Come funzionano i polmoni

Materie:Riassunto
Categoria:Biologia

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Testo

Come funzionano i polmoni

Ogni 24 ore noi immettiamo nel nostro corpo 13 mila litri di aria e altrettanta ne espelliamo: se solo per qualche minuto manca l’ossigeno, la macchina del corpo umano si ferma, definitivamente. La respirazione per noi è un’azione banale, che eseguiamo senza neppure pensarci ma è un processo che ogni volta attiva sistemi molto complessi. Nella respirazione non entrano in gioco soltanto i polmoni, contenuti nella gabbia toracica, ma anche molte altre strutture. I nostri polmoni sono racchiusi in una specie di giubbotto corazzato formato dalle costole perché sono organi molto vulnerabili che vanno perciò salvaguardati da urti e traumi. Il sistema è elastico: infatti le costole, muovendosi per l’azione dei muscoli respiratori, consentono e accompagno l’espansione dei polmoni durante la respirazione. La capacità polmonare, a massima estensione, è di circa 6,5 litri nella donna, 7,5 litri nell’uomo. Si calcola che nel corso della vita un individuo compia circa mezzo miliardo di respiro, dal primo della nascita all’ultimo della morte, con un ritmo di 12-15 al minuto. In questo modo vengono ossigenati circa 300 milioni di litri di sangue, l’equivalente di un piccolo lago. Ma procediamo con ordine, seguendo il percorso dell’aria che entra dalla bocca. Il primo ostacolo che l’aria incontra sul suo passaggio è il velopendulo, un’appendice di tessuto che si trova all’ingresso della gola e che è uno dei responsabili del russare: durante il sonno, infatti, i tessuti si rilassano, il velopendulo si affloscia e l’aria è costretta a passare attraverso una strettoia, producendo rumori, che in taluni risuonano più forte di altri. Procedendo verso la laringe l’aria incontra un bivio, che da un lato porta allo stomaco e dall’altro ai polmoni: una specie di valvola, l’epiglottide, smista l’aria da una parte e il cibo dall’altra, comportandosi come uno scambio ferroviario che entra in azione ogniqualvolta viene ingerito del cibo, deviandolo verso l’esofago. Al passaggio del cibo l’epiglottide si piega all’indietro, verso il basso, proteggendo così le vie respiratorie; il suo movimento è automatico (movimento riflesso) e avviene ogni volta che deglutiamo. Questo sistema di chiusura è solo umano: gli scimpanzé, per esempio, usano i due canali (laringe ed esofago) contemporaneamente e anche i neonati umani, nei primi mesi di vita, hanno la capacità di bere il latte e respirare nello stesso tempo. È nella zona dell’epiglottide che avviene la formazione dei suoni che consentono il linguaggio: l’aria, che esce dai polmoni, viene, infatti, qui “modulata” dalle corde musicali. Queste ultime sono in realtà come delle labbra molto sottili, attraverso le quali passa l’aria che proviene dai polmoni: sono costituite da un tessuto perfettamente elastico, proprio perché devono potersi contrarre per permettere la formazione dei suoni. La zona è particolarmente ricca di muscoli e legamenti proprio per rispondere meglio ai segnali inviati dal cervello, che ordina alle corde vocali di contrarsi nel modo giusto. La qualità della voce dipende dalla lunghezza e dalla tensione delle corde vocali, il tono e il timbro sono modulati dal “tubo di risonanza” della laringe, che contribuisce anche all’articolazione delle vocali. L’intensità dei suoni, invece, dipende dalla pressione dell’aria che esce dai polmoni. Gli uomini hanno voci più basse delle donne e dei bambini, perché durante la pubertà gli ormoni sessuali maschili provocano un rapido allungamento delle corde vocali. A seconda della fessura si hanno dunque suoni differenti: le vocali dipendono dalla forma del tubo di risonanza e dai movimenti di laringe, dorso della lingua e labbra. Il principio è abbastanza semplice, tant’è vero che può essere riprodotto artificialmente: uno strumento curioso, esposto all’Exploratorium di San Francisco, mostra, appunto, come si possono ottenere le 5 vocali. Per le consonanti le cose sono invece un po’ più complicate perché entrano in gioco la lingua e le labbra. L’intero apparato vocale rimane dunque azionato dal cervello: tutti gli ordini di movimento e contrazione provengono dalla corteccia cerebrale, dai cosiddetti centri del linguaggio. Questa comunicazione avviene grazie a un fitta rete nervosa che collega le due zone. Nell’uomo il sistema è molto evoluto: i collegamenti nervosi sono complicati e coinvolgono più strutture cerebrali. In uno scimpanzé, invece, la rete nervosa è molto più limitata e le possibilità di movimento delle corde sono assai rudimentali. Il linguaggio serve inoltre a veicolare invenzioni, idee, immaginazioni e questo richiese un cervello molto sviluppato.
Proseguendo oltre le corde vocali, l’aria si dirige verso i polmoni attraversando la trachea, che è, in pratica, il tubo che collega i polmoni all’esterno. Le pareti della trachea sono molto lisce, umide e ricoperte da numerosissime cellule cigliate che trattengono ed espellono i corpi estranei, che arrivano nelle vie aeree trasportati dall’aria e che rimangono invischiati nel muco secreto da altre cellule che si trovano sulla parete. Questo canale funzione anche come una specie di camere di compensazione per regolare la temperatura e l’umidità dell’aria che giunge dall’esterno. È proprio a livello della trachea che i chirurghi, in caso di soffocamento, praticano un’apertura a valle del punto ostruito, la tracheotomia, che ha la funzione di fare entrare l’aria direttamente dall’esterno. Continuando a seguire il viaggio dell’aria, si scende nei bronchi e nei polmoni, incaricati di rifornire l’organismo di ossigeno e liberarlo dall’anidride carbonica. Se volessimo paragonare la trachea al tronco di un albero rovesciato, i bronchi rappresenterebbero i rami, grandi e piccoli, gli alveoli le foglie. Gli alveoli prendono infatti origine dalle ultime diramazione bronchiali. I polmoni ospitano altri 2 tronchi pieni di ramificazione e rametti: l’arteria e le vene polmonari che, ramificandosi in sterminati rivoli di capillari, fanno scorrere il sangue a stretto contatto con le pareti degli alveoli. È appunto qui che avviene lo scambio dei gas. I polmoni sono i contenitori di tutto il sistema, grazie ad un sacco elastico e a una rete di fibre che funzionano da tiranti. Per rimanere in tensione e non afflosciarsi i polmoni fanno affidamento su due pareti, dette pleure: la pleura esterna riveste il torace e tende ad espandersi sotto l’azione dei muscoli inspiratori, la pleura interna è in pratica incollata all’altra grazie ad un liquido vischioso. Nel sottilissimo spazio fra le due pareti si crea una pressione negativa, che impedisce al polmone di afflosciarsi e permette al polmone di aumentare di volume durante l’inspirazione. Ecco perché, se si bucano queste pleure, il polmone rischia di collassare. L’intera struttura dei polmoni può essere vista come una serie di biforcazioni successive, dando così origine ad quella straordinaria arborizzazione, sempre più fitta e fine, che permette al sangue di arrivare a contatto con le sottilissime membrane degli alveoli polmonari. Ed è proprio negli alveoli che avviene lo scambio dell’ossigeno e dell’anidride carbonica. Questa struttura a “cellette” è il solito trucco messo in atto dall’organo per aumentare la sua superficie interna, senza aumentare il volume. Infatti, grazie alla loro struttura ad alveare, la superficie interna dei polmoni diventa di circa 77 m2: il sangue ha dunque un’enorme superficie per ossigenarsi. Il segreto della respirazione risiede proprio nella struttura della parete che separa l’alveolo dal sangue che gli scorre a fianco: si tratta di una parete sottilissima che permette lo scambio di gas (cioè di molecole molto piccole) mentre impedisce il passaggio dei globuli rossi, molto più grandi. È così che entrano nel sangue le molecole di ossigeno, di cui l’aria inspirata è ricca, ed escono quelle di anidride carbonica qui trasportate dal sangue. Lo scambio avviene perché negli alveoli c’è maggiore tensione di ossigeno, e nei capillari maggiore tensione di anidride carbonica. Si crea così un gradiente che funzione come una spintarella nei due sensi, grazie alla diffusione molecolare. In questo modo il sangue cede le sue scorie di anidride carbonica e si arricchisce di ossigeno che, una volta entrato nei capillari, viene saldamente incorporato dai globuli rossi. All’interno dei globuli rossi, infatti, si trovano le molecole di emoglobina, che hanno proprio la specifica capacità di incorporare l’ossigeno e trasportarlo, per poi cederlo ai vari tessuti dell’organismo. Il ritmo della respirazione può essere regolato volontariamente perché noi possiamo decidere di accelerare e diminuire il ritmo, ma solo entro limiti precisi. C’è, infatti, un meccanismo di sopravvivenza comandato dal centro respiratorio del cervello che regolare la respirazione in modo automatico: è per questo che respiriamo anche quando dormiamo ed è impossibile “dimenticarsi” di respirare. Il fatto curioso nel processo degli scambi gassosi respiratori è che l’aria che respiriamo è composta solo per un quinto da ossigeno; i restanti quattro quinti sono invece di azoto (misto a vapore acqueo e trascurabili parti di anidride carbonica). L’80% dell’aria che inspiriamo è dunque formata da azoto che noi, praticamente, non utilizziamo, perché è un gas inerte e anche poco solubile. La sua funzione nei polmoni è sia di stabilizzatore del volume di aria, sia, soprattutto, di diluente dell’ossigeno, in quanto in alte percentuali sarebbe tossico, se non addirittura letale, per le cellule dell’apparato respiratorio. L’ossigeno, proprio per le sue proprietà ossidanti, costituiva, infatti, un gas velenoso agli albori della vita e, come tale, non utilizzato fino al momento in cui comparvero organismi in grado di sfruttarlo come fonte energetica tramite il circolo sanguigno e i globuli rossi. Essi viaggiano nella sterminata rete del sistema circolatorio e portano l’ossigeno ovunque sia necessario: da solo il cervello consuma quasi un quarto di tutto l’ossigeno disponibile e non può rimanerne privo per più di qualche minuto. Possediamo un numero sterminato di globuli rossi (5 milioni ogni millimetro cubo di sangue maschile, 4 milioni in quello femminile). Disporre di un sistema efficiente per far circolare l’ossigeno non è solo un problema dell’uomo: la selezione naturale ha inventato soluzioni molto diverse per risolvere lo stesso problema. Da quando, 2 miliardi di anni fa, l’ossigeno cominciò ad essere usato come “carburante”, sono stati affinati vari sistemi per immagazzinare e utilizzare l’ossigeno e i polmoni sono soltanto l’ultimo modello. All’inizio gli organismi unicellulari assorbivano l’ossigeno disciolto nell’acqua direttamente, attraverso la membrana cellulare. Quando però gli esseri viventi diventarono più grandi e complessi furono costretti a sviluppare organi specializzati: ben preso molti animali marini spostarono le loro appendici respiratorie all’interno del corpo, in modo da poterle sfruttare anche da fermi. I primi animali ad abbandonare l’acqua e ad imparare a respirare l’aria furono gli insetti che, per non morire disidratati, si ricoprirono di una pelle impermeabile che però li costrinse a dotarsi di una serie di aperture disposte lungo tutti il corpo (come prese d’aria). Questo sistema diventa meno efficiente man mano che le dimensione dell’organismo aumentano e dunque non esistono insetti più lunghi di 30 cm e più pesanti di 100 grammi. Polmoni simili ai nostri ebbero un’origine diversa: sappiamo che ci vollero molti milioni di anni prima che la vescica natatoria dei pesci si trasformasse in polmoni veri e propri. Per molto tempo la vita rimase legata alla presenza dell’acqua, come avviene oggi per rane e salamandre i cui polmoni sono ancora primitiva, cosicché devono assorbire l’ossigeno attraverso la pelle, che deve essere mantenuta sempre bagnata. Fu solo più tardi, quando riuscirono a dotarsi di polmoni efficienti e di una pelle impermeabile, che i vertebrati furono in grado di tagliare il cordone ombelicale con l’ambiente acquatico. La terra ferma divenne però pericolosa per alcune specie, come le tartarughe, che si rifugiarono di nuovo in mare e che mantengono tutt’oggi i polmoni. La loro capacità polmonaria permette loro di nuotare sott’acqua per più di un’ora senza dover riemergere e uno speciale sistema muscolare consente di regolare la dilatazione della massa polmonare modificando il peso specifico del corpo: in questo modo una tartaruga può risalire alla superficie senza battere un solo colpo di pinna. I cetacei hanno saputo fare ancora meglio: possono rimanere in immersione per 90 minuti e la loro respirazione non richiede più di 2 secondi, brevissimo intervallo durante il quale riescono a rinnovare, attraverso lo stretto sfiatatoio, almeno 2000 litri d’aria e ad espellere il 90% dell’aria contenuta nei polmoni (l’uomo non arriva al 15%). Per quanto meraviglio, il sistema polmonare può anche entrare in crisi: i polmoni sono infatti a contatto continuo con l’aria esterna e possono essere aggrediti da ogni tipo di sostanza volatile o microrganismo. Bronchiti e polmoniti, ad esempio, sono il risultato di queste aggressioni.

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