La disoccupazione in Italia e in Europa

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LA DISOCCUPAZIONE IN ITALIA E IN EUROPA

Da sempre il problema della disoccupazione rappresenta uno dei crucci principali dei governi di tutto il mondo. Descrivi come esso viene affrontato in Italia e in Europa.

Per disoccupazione si intende la condizione di chi “essendo desideroso e capace di lavorare, non trova tuttavia un impiego”. È una situazione non solo “pesante” dal punto di vista economico, ma anche frustrante e avvilente dal punto di vista psicologico, perché pone la gente in una sorta di complesso di inferiorità che, spesso, porta a considerare se stesso non meritevole, non idoneo, colpevole di qualcosa di cui è reo semmai soltanto il sistema socioeconomico in cui è immerso.
Essendo la disoccupazione un fenomeno che, purtroppo, sempre più si va allargando, può essere suddivisa in varie tipologie. Tra le più note, la disoccupazione normale, tecnologica, cronica, ciclica, strutturale e stagionale.
La disoccupazione normale è quella che ogni sistema economico (anche il più efficiente ed organizzato) possiede al suo interno e che concerne quel numero di lavoratori che, avendo lasciato un tipo di lavoro, impiegano giorni o settimane per trovarne un altro. Essendo non solo regolare, quanto quasi necessaria, questa disoccupazione non desta stupore, né richiede interventi esterni per essere eliminata.
La disoccupazione tecnologica è quella determinata, per l’appunto, in un’azienda, dall’introduzione di macchinari e strutture moderne in grado di eliminare il lavoro dell’uomo o, comunque, di ridurlo notevolmente. Ma anche questa forma di disoccupazione può risultare temporanea perché attraverso la fabbricazione di nuove materie prime , ci può essere un riassorbimento di lavoratori.
La disoccupazione cronica quella perenne o quasi, che non si estingue, cioè, con la fine di un periodo “critico” dal punto di vista della richiesta della manodopera.
Questa forma di disoccupazione, che è la più brutta di tutte, è tipica dei Paesi sottosviluppati e indigenti.
La disoccupazione ciclica si verifica, invece, proprio nei periodi di depressione, nelle “epoche negative” che vedono ristagnare l’economia di una nazione. È quella fase che un saggio governo si impegna a combattere dando lavoro pubblico o incentivi alle imprese che intendono assumere personale.
La disoccupazione strutturale è quella propria di un Paese che, grazie alla sua configurazione naturale geografica o a un basso tasso di sviluppo, non permette alcuna forma di lavoro. A questa disoccupazione si può ovviare con l’emigrazione (fenomeno presente ancora oggi e che in dosi più massicce avveniva in passato) o con un’adeguata politica di sviluppo economico che crei imprese e industrie, favorendo il progresso.
La disoccupazione stagionale, infine, è la disoccupazione che si verifica in determinati periodi dell’anno e che è in stretta relazioni con le stagioni e i settori produttivi (l’agricoltura, l’edilizia, il turismo).
Nel nostro bel Paese -e in Europa, in generale- il tasso di disoccupazione ha subito un calo progressivo e confortante nel corso degli ultimi vent’anni.
Se in passato una buona fetta della popolazione era costretta ad emigrare in Paesi più ricchi e floridi per cercare lavoro ottenendo, alla fin fine, soprattutto impieghi poco redditizi, oggi il numero degli emigranti si è molto ristretto. Le possibilità di reperire un’occupazione anche “sotto casa” si sono ampliate. E, d’altra parte, grazie alla crescente scolarizzazione, i potenziali lavoratori coltivano aspirazioni consone al loro titolo di studio.
Il fatto, ad esempio, che sempre meno persone sia disposte ad esercitare mestieri “umili” e dedicarsi, così, all’agricoltura o all’artigianato, è un fattore che va ad accrescere sicuramente la disoccupazione.
Sempre più, infatti, i giovani si pongono alla ricerca di un lavoro “pulito” e comodo, che a fine mese permetta di portare a casa il classico, beneamato stipendio… Mettersi in proprio e avviare un esercizio è spesso considerato fonte di rischi e pericoli e risulta poco conveniente per via delle imposte a cui si sottoposti da governo.
Per contro, nelle industrie e nelle imprese si sta sempre più diffondendo il sistema di assumere lavoratori solo attraverso contatti a termine. La mancanza di posti di lavoro e l’esigenza di crearne dei nuovi e in maggior numero è un tema sempre attuale nel mondo politico. In molti sostengono che sotto l’egida dell’Euro anche la crisi socioeconomica risentirà di influssi più positivi e benefici…teorizzazioni che restano ancora e comunque solo tali.
E per quanto si dica e venga dimostrato che il fenomeno disoccupazione è in generale diminuito, esso resta pur sempre una piaga, in special modo per alcune regioni.
Iniziando dall’Europa, secondo quanto è emerso di recente da un rapporto dell’Eurostat, il Paese con il più alto tasso di disoccupazione è la Spagna con quasi il 16%.
Molto migliore, invece, la situazione in Irlanda (6%), Portogallo (5%), Danimarca (4%), Olanda e Lussemburgo (2,5%). Per quel che concerne l’Italia, la disoccupazione generale è preoccupante soprattutto al Sud, con Calabria, Campania e Sicilia che lamentano punte anche del 30%.
Ma volendo parlare di disoccupazione specifica, ossia quella che riguarda i giovani al di sotto dei 25 anni, dobbiamo “dare numeri” davvero elevati, quasi da non credere. In Calabria, ad esempio, gli under 25 che non riescono a trovare lavoro sono oltre il 65%, di cui gran parte sono donne. E, oltre ad uno scarso sviluppo del territorio, ad influire sulla disoccupazione giovanile è anche il numero di lavoratori più o meno anziani, restii ad andare in pensione.
Bene, invece, si presenta il Nord Italia dove il tasso di disoccupazione è alquanto basso e molte aziende sono alla ricerca di manodopera e, non trovandola, si vedono costrette ad assumere extracomunitari. Inoltre, se nel Settentrione il rischio di perdere il proprio posto di lavoro è basso, o quasi nullo, nel Sud è di tre volte superiore.

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