Storia dell'astronomia

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Categoria:Astronomia

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Testo

L'Universo immaginato: dagli albori a Newton
L'Universo immaginato: dagli albori a Newton
Indice
1. Le origini. Introduzione
1.1. L’astronomia in Mesopotamia
1.2. La Bibbia
1.3. L’astronomia in Egitto
1.4. L’astronomia in Cina
1.5. L’astronomia in India
2. L’astronomia nella Grecia classica. Introduzione
2.1. I Pitagorici e Filolao
2.2. Il Timeo di Platone
2.3. Il Cielo di Aristotele
3. L’astronomia dell’Età ellenistica. Introduzione
3.1. Aristarco di Samo
3.2. Eratostene e Ipparco di Nicea
3.3. Claudio Tolomeo
4. L’astronomia dell’Islam e del Medioevo cristiano
4.1. Dante e la Divina Commedia
5. La rivoluzione astronomica del Cinquecento. Introduzione
5.1. Copernico
5.2. Eliocentrismo e geocentrismo nel Cinquecento
5.3. Tycho Brahe
5.4. Giovanni Keplero
6.0 Galileo Galilei. Introduzione
6.1. Galileo. Le scoperte astronomiche e il Sidereus Nuncius
6.2. Le teorie scientifiche di Galileo
6.3. Il Dialogo sopra i Massimi Sistemi
6.4. Il conflitto con la Chiesa
7. Isaac Newton
7.1. Le leggi del moto
7.2. L’astronomia sperimentale del XVII e del XVIII secolo
1) Le origini dell’astronomia presso i popoli primitivi si confondono con quelle della civiltà e della religione.
In alcuni paesi lo svolgersi dei fenomeni celesti ha suggerito, con la possibilità di prevederli, il concetto di legge naturale immutabile, aprendo così la via al passaggio da forme originarie di culto, quali il feticismo, il totemismo, l’animismo, a credenze più complesse in divinità esterne al mondo terrestre e capaci di agire sopra di esso. Tra gli Israeliti si arriva direttamente sino al monoteismo.
La molteplicità e l’apparente indipendenza dei movimenti osservati nel cielo, porta al diffondersi di mitologie ricche di dei e di semidei: politeisti sono i Babilonesi, gli Egizi, i Cinesi, gli Indiani e gli stessi Greci, sino a quando la formazione di una coscienza filosofica e religiosa più progredita non conduce a riconoscere nell’unità del cosmo un’unica causa prima che in essa si rispecchia.
Un carattere comune a tutti i sistemi astronomici primitivi è dato dalla distinzione netta tra il cielo e la terra. In queste concezioni si assegna al cielo l’immutabilità, alla terra la variabilità; al cielo la libertà, alla terra la dipendenza; al cielo la conoscenza, alla terra l’ignoranza; al cielo l’impeccabilità, alla terra la colpa.
Per gli Ebrei (Genesi, 1) il distacco deriva da successive differenziazioni nell’atto creativo, mentre i Babilonesi lo riportano all’origine del Mondo e ne affermano la preesistenza agli stessi Dei.
Per la storia dell’astronomia hanno importanza fondamentale quelle civiltà che, come i Babilonesi, gli Egizi, i Greci, forniscono gli elementi alla prima grande sintesi, quella Alessandrina; e quelle che, come gli Arabi, preparano la seconda, iniziata nel Quattrocento e portata a compimento nei secoli successivi.
Ma altre civiltà e culture danno vita allo sviluppo indipendente di altrettante concezioni astronomiche: i Cinesi, i Persiani, gli Indiani, gli Ebrei, alcune popolazioni celtiche e scite e, nel Nuovo Continente, gli Atzechi del Messico e gli Inca del Perù.
1.1) Le nostre conoscenze sulla matematica e sull’astronomia della Mesopotamia si basano sulle iscrizioni delle migliaia di tavolette di argilla rinvenute nei luoghi che furono sede di antiche città.
Le testimonianze appartengono a due periodi separati, il “babilonese antico” (1800-1600 a.C. circa) e il “seleucidico” (gli ultimi tre secoli prima di Cristo).
Le conoscenze relative alla matematica si sono sviluppate nel più antico di questi periodi, in quanto i numeri venivano già rappresentati sotto forma di simboli, in un sistema decimale e sessagesimale. Nei testi più tardi del periodo seleucidico, troviamo lo “zero” per indicare un posto vuoto sessagesimale tra due altre cifre.
L’astronomia del periodo babilonese antico contempla solo l’osservazione delle stelle più luminose.
I testi più tardi, o seleucidici, comportano invece complicati sistemi di astronomia teoretica elaborati dai sacerdoti. Essi sono abituati a osservare il cielo da osservatori o templi a gradoni, di cui la biblica “torre di Babele” è un ricordo.
Le loro osservazioni riguardano per lo più i movimenti dei “sette pianeti” conosciuti fin dai tempi preistorici: il Sole, la Luna e cinque corpi (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno).
Ciascun pianeta sembra muoversi nel cielo, relativamente allo sfondo delle stelle. Si ritiene che i movimenti giacciono tutti entro una certa zona della sfera celeste, che ai fini del calcolo viene immaginata come un grande cerchio: lo Zodiaco (dal greco zodion, piccola figura di animale). Esso, in seguito, sarà diviso in dodici parti uguali dai babilonesi, ciascuna delle quali porta il nome di una costellazione corrispondente.
Per la misura del tempo sono utilizzati i periodi della rivoluzione del Sole e della Luna. Le vicende mensili della Luna, più evidenti del corso annuale del Sole, servono per regolare il più antico calendario lunare. Questa divisione del tempo in funzione della Luna sarà conservata per fini religiosi. Tra il mese lunare e l’anno solare non esiste nessuna relazione numerica naturale, tuttavia l’astronomia babilonese viene spinta a svilupparsi anche per la necessità di trovare, attraverso una regola efficace, la connessione tra i calcoli lunari e quelli solari.
Intorno al quinto secolo si stabilisce che 19 anni solari corrispondono a 235 mesi lunari, con l’approssimazione della frazione di un giorno.
1.2) Genesi 1, 1-31. Creazione del mondo e dell’umanità.
“In principio Dio creò il cielo e la terra. Ma la terra era disadorna e deserta: c’erano tenebre sulla superficie dell’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque.
Dio disse: Vi sia luce! E vi fu luce. Dio vide che la luce era buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò giorno la luce e chiamò notte le tenebre . Poi venne sera, poi venne mattina: un giorno.
Dio disse: Vi sia un firmamento in mezzo alle acque e separi le acque dalle acque. E così avvenne: Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmanento. Poi venne sera, poi venne mattina: secondo giorno.
Dio disse: Le acque, che sono sotto il cielo, si ammassino in una sola massa e appaia l’asciutto. E così avvenne: le acque, che sono sotto il cielo, si ammassarono nelle loro masse e apparve l’asciutto. Dio chiamò terra l’asciutto e chiamò mare la massa delle acque. E Dio vide che ciò era buono.
Dio disse: La terra verdeggi di verzura, di graminacee che producano semente e di alberi da frutto, che facciano sulla terra, ciascuna secondo la sua specie, un frutto contenente il seme. E così fu: la terra fece spuntare verzura, graminacee che producono semente, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno un frutto contenente un seme secondo la propria specie. E Dio vide che ciò era buono. Poi venne sera, poi venne mattina: un terzo giorno.
Dio disse: Vi siano luminari nel firmamento del cielo per separare il giorno dalla notte e diventino segni per le feste, per i giorni e per gli anni e diventino luminari del firmanento del cielo per fare luce sulla terra. E così fu: Dio fece i due luminari maggiori, il luminare grande per il governo del giorno e il luminare piccolo per il governo della notte e le stelle. E Dio li pose nel firmamento del cielo per fare luce sulla terra e per governare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che ciò era buono. Poi venne sera, poi venne mattina: un quarto giorno.
Dio disse: Le acque brulichino di un brulichio di esseri vivi e volatili volino sopra la terra, sullo sfondo del firmamento del cielo. E così fu: Dio creò i grandi cetacei e tutti gli esseri vivi guizzanti di cui brulicarono le acque, secondo la loro specie e tutti i volatili alati secondo la loro specie. E Dio vide che ciò era buono. E Dio li benedisse dicendo: Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari, i volatili poi si moltiplichino sulla terra. Poi venne sera, poi venne mattina: un quinto giorno.
Dio disse: La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame e rettili e fiere della terra secondo la loro specie. E così fu: Dio fece le fiere della terra secondo la loro specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che ciò era buono.
Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, e abbia dominio sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame, su tutte le fiere della terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra.
Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela e abbiate dominio sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame e su tutte le fiere che strisciano sulla terra. Poi Dio disse: Ecco, io vi dò ogni sorta di graminacee produttrici di semente, che sono sulla superficie di tutta la terra, e anche ogni sorta di alberi in cui vi sono frutti portatori di seme: costituiranno il vostro nutrimento. Ma a tutte le fiere della terra, a tutti i volatili del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è l’alito di vita, io dò come nutrimento le erbe verdi. E così fu.
E Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono. Poi venne sera, poi venne mattina: il sesto giorno”.
Giosuè 10, 10-15. La vittoria di Giosuè
“Jahve li mise in rotta di fronte a Israele, che inflisse loro una grande sconfitta a Gabaon, li inseguì poi nella direzione della salita di Bethoron e li battè fino ad Azeka e fino a Makkeda. Ora, quando essi fuggivano innanzi a Israele ed erano sulla discesa di Bethoron, Jahve scagliò dal cielo sopra di loro, fino ad Azeka, grosse pietre che li annientarono. Ne morirono più per le pietre della grandine che non per la spada dei figli di Israele.
Allora Giosuè parlò a Jahve, il giorno stesso in cui Jahve mise gli Amorrei nelle mani dei figli di Israele, e disse sotto gli occhi di Israele:
O sole, fermati su Gabaon
e tu, luna, sulla valle di Aialon!.
Il sole si fermò
e la luna restò immobile
finchè il popolo non si fu vendicato dei suoi nemici.
Non sta scritto forse nel libro del Giusto? Il sole restò immobile in mezzo al cielo e non si affrettò al tramonto quasi per un giorno intero.
Non ci fu mai nè prima nè dopo un giorno come quello, quando Jahve ascoltò la voce di un uomo, perchè Jahve combatteva per Israele!
Quindi Giosuè e tutto Israele con lui ritornò all’accampamento di Galgala”.
1.3) L’astronomia egiziana è stata empirica, come quella dei popoli asiatici. I monumenti della valle del Nilo attestano in epoche remotissime conoscenze significative di geometria applicata all’arte delle costruzioni, in relazione all’astronomia, come si rileva dalle tracce di orientamenti esatti delle piramidi, dei templi e di altri edifici secondo le direzioni cardinali eclittiche o secondo i punti di culminazione di stelle.
Tale pratica rituale sarà usata anche fuori dell’Egitto, ma nessuno la applica più largamente degli Egizi, dai quali l’apprenderanno i Greci e i primi cristiani.
Gran parte dell’interesse astronomico degli Egizi coincide con l’invenzione del loro calendario: e ciò per due ragioni distinte. Anzitutto la vita economica e sociale di quel popolo è dominata dalla periodicità delle variazioni di portata del Nilo: da cui la necessità di far dipendere le norme dell’avvicendarsi delle occupazioni e dei riti religiosi da una conoscenza sicura dei periodi che riducono le inondazioni. Inoltre la conservazione del predominio sacerdotale sulla nazione e sugli stessi reggitori civili, i faraoni, è affidata a una dottrina occulta, della quale l’astronomia è parte integrante. Pertanto il controllo sul calendario costituisce lo strumento più sicuro di dominio delle popolazioni della valle del Nilo.
L’Egitto ha in uso nella vita civile “l’anno vago”. Esso è di 365 giorni. All’anno tradizionale di 360 giorni, in uso nei tempi più antichi, vengono aggiunti i cinque giorni “epagomeni”, verosimilmente già nel quarto o quinto millennio avanti Cristo. Tuttavia, gli egiziani conoscono anche l’anno solare o “fisso” costituito da 365 giorni e un quarto. La compresenza dei due calendari ha comportato problemi di datazione per i periodi più antichi.
I sacerdoti egizi si servono di tre metodi per determinare la durata dell’anno solare: il primo, tramite le osservazioni sull’inizio delle inondazioni del Nilo; il secondo, basato sulla ricomparsa della stella Sirio all’orizzonte orientale nel crepuscolo mattutino; il terzo, determinato dal passaggio del Sole per i cardini dell’eclittica.
Un particolare carattere della più tarda astronomia egiziana è il concetto dei trentasei decani (o decadi), una serie di costellazioni sorgenti a intervalli regolari, che servono a determinare il tempo durante le ore notturne. Ciò lascia supporre che l’istituzione dei decani sia anteriore a quella dei cinque epagomeni, risultando quindi antichissima.
Le stelle e i gruppi maggiori sono dedicati a divinità: Sothis (o Sirio ) a Iside, Orione a Osiride, Le Pleiadi, Le Iadi e altri astri a dei non bene identificati. Osservatori veri e propri a Dendera, a Thinis, a Menfi, a Eliopoli, attendono con regolarità a seguire il corso degli astri, costruendo le tavole del loro passaggio per l’orizzonte.
1.4) I Cinesi raggiungono già in tempi molto antichi una concezione piuttosto elaborata dei fenomeni celesti, ma le loro conoscenze tendono a cristallizzarsi, così che altri popoli porteranno avanti la ricerca sul cosmo.
Sotto la dinastia di Yao, nel secolo XXIV a.C., l’osservazione sistematica del cielo è affidata a uomini preparati e scelti con cura, tenendo conto soprattutto dell’acutezza di vista necessaria per tale funzione. Questa attività porta ad una prima importante classificazione delle costellazioni.
La Cina risulta essere l’unico paese che abbia istituito un vero e proprio “Tribunale astronomico”, al quale il sovrano deferisce direttamente la soluzione di importanti questioni connesse con la scienza e le sue applicazioni al bene generale.
Una seconda fase nell’opera di classificazione delle stelle risale alla dinastia Han, verso l’anno 120 a.C. Rispetto alla sintesi di Tolomeo, che individua 48 costellazioni, gli aggruppamenti sono in generale più piccoli, giungendo a contare più di 300 costellazioni. Ad esempio, le due maggiori stelle della Lira formano la “Ricamatrice”; l‘Orsa Maggiore si identica con una “Casseruola” e anche le singole stelle dalla caratteristica configurazione prendono nomi speciali: Alfa è il “Perno del Cielo”, Beta e Y sono “Le Pietre Preziose”, Enne la “Luce Agitata”, Alfa e Beta dell’Orsa Maggiore le “Sovrane del Cielo”. Benchè i cinesi si spingano nei loro viaggi in regioni dalle quali si possono scorgere astri non visibili sotto la latitudine di Pechino, non si hanno tracce di una loro descrizione del cielo meridionale.
La loro attenzione è invece concentrata sulle variazioni di posizione del Sole, desunte piuttosto dall’osservazione delle ombre durante il giorno, che non dall’indagine sui gruppi di stelle. Il procedimento seguito dai Babilonesi e dagli Egizi, che ha permesso loro di progredire enormemente nel campo dell’astronomia solare, cioè l’osservazione del “Levare Eliaco” di alcune stelle, non viene seguito dai cinesi, i quali si attengono di preferenza alle misure meridiane delle ombre. La frequenza data alle osservazioni meridiane non si limita a quelle eseguite di giorno mediante gnomoni, ma si estende anche a osservazioni notturne.
Sono i cinesi a precedere tutti gli altri popoli nell’uso di strumenti per le osservazioni astronomiche e nautiche. Risale al XXII secolo a.C. circa l’uso di clessidre a due recipienti sovrapposti, di tubi di puntata, di specchi concavi e convessi.
Più recente è la conoscenza della polarità magnetica, con la conseguente applicazione alla costruzione della bussola e all’uso di tale strumento per l’orientamento delle navi.
Gli astronomi cinesi del sec. XVII apprezzano le traduzioni dei testi europei fatte dai gesuiti, ma la loro scienza rimane stazionaria, senza contatti ulteriori con il movimento del pensiero occidentale e senza che le loro conoscenze costituiscano un corpo organico di dottrina.
1.5) La possibilità di un influsso reciproco delle antiche culture greca e indiana pare dimostrato. Si hanno tracce di derivazioni verbali fino al sec. XVII a.C., ma i rapporti diretti tra i due popoli hanno origine nel quarto secolo avanti Cristo; la mancanza di un’astronomia australe viene determinata dalla migrazione di questo popolo da settentrione. Certamente, nelle terre più meridionali della penisola non avrebbe potuto nascere e rafforzarsi la credenza antichissima secondo la quale il Sud-Ovest è la regione dei Mani, della dea Nirrti e di Yama, dio della morte: regione ove il Sole “muore” e scende sottoterra.
Molto presto si conoscono e si identificano con nomi le stelle e le costellazioni principali incontrate dalla Luna nel suo cammino mensile e che costituiscono lo Zodiaco degli Indiani: vi sono 28 gruppi (Nakshatra) di stelle percorsi dalla Luna lungo lo zodiaco; il luogo che la Luna piena occupa fra i Nakshatra definisce la stagione dell’anno.
Gli osservatori del cielo ricercano connessioni vere o supposte tra i movimenti degli astri e gli eventi terreni e umani: gli astrologi hanno un sistema di regole fisse per l’interpretazione di ogni dato evento.Si crea inoltre un nesso tra i periodi astronomici e i cicli ideati per ragioni liturgiche e largamente applicati in ogni sistema filosofico e mistico indiano, mentre appare una tendenza a studiare le cose divine e umane da un punto di vista numerico.
Altra caratteristica del pensiero indiano è il rapporto tra uso dei cicli e alternanza tra opposti, come nell’alternanza del giorno e della notte. Giorni e notti di lunghezza differente sono formati con multipli dei giorni comuni: un mese di trenta giorni dà, diviso per metà del novilunio, il giorno e la notte dei Pitris, reggitori delle mansioni lunari: un anno di 360 giorni (Istituti di Manu) dà il giorno e la notte degli Dei, che incominciano rispettivamente all’equinozio di primavera e a quello d’autunno.
12.000 “anni degli dei” fanno un “kalpa” o giorno di Brahama, periodo che comprende tutta l’evoluzione del mondo, creato ex-novo all’inizio di ogni kalpa, e portato alla dissoluzione quando, con l’addormentarsi di Brahama in una notte di uguale durata, il kalpa finisce.
Fenomeni cosmici e astronomici stanno a separare tra di loro le varie suddivisioni di ogni kalpa, alle quali presiedono speciali divinità. Così i diluvi al termine di ognuno dei 14 ‘manavantra’ nei quali il kalpa si suddivide: per ogni diluvio le differenti specie sono raccolte in un’arca da un Manu, che diviene il reggitore del periodo successivo. Questo complesso sistema di cicli si trova descritto nel Mahabharata e nei Purana, antichi libri sacri.
2) E’ in Grecia che l’astronomia compie un importante salto qualitativo, presentandosi per la prima volta con un impianto “scientifico” e superando le motivazioni prevalentemente empiriche e la subordinazione al pensiero religioso che l’aveva caratterizzata presso i popoli della Mesopotamia e dell’Egitto.
Già con Talete, che con la sua permanenza in Egitto viene a contatto con le conoscenze di quel paese, si hanno le prime speculazioni cosmologiche. I principali esponenti dell’astronomia della Grecia classica, tra i VI e il IV secolo a.C., sono i filosofi della scuola pitagorica, Filolao principalmente, Platone ed Aristotele.
Filolao è il primo a diffondere la conoscenza delle dottrine pitagoriche al di fuori della Magna Grecia ed è anche il primo fra i seguaci della setta che pubblica i suoi scritti contravvenendo alla prescrizione del silenzio.
Egli ha una particolare concezione dell’universo con due fuochi: uno centrale ed uno situato nella parte più esterna; intorno a quello centrale ruotano, con orbita circolare, i dieci corpi divini. La particolarità del suo sistema è che la Terra non viene posta al centro dell’universo, idea che sarà ripresa solo nel XVI secolo da Copernico. Altro grande filosofo greco è Platone, che polemizzando con i sofisti costruisce una complessa teoria filosofica che è la “dottrina delle idee”.
Nel Timeo egli formula il principio per il quale tutto ci˜ che nasce deve avere una causa, ossia deve essere stato creato da qualcosa. Dio è il creatore del mondo e lo ha generato a sua immagine e somiglianza. Egli pensa ad un universo sferico, con la Terra al centro, gli astri “fissi” e quelli “vaganti” (i pianeti) inseriti in sfere concentriche. Influenzato dalle dottrine che provengono dall’Oriente, pensa ad un “Grande anno” di durata indefinita, che terminerebbe con un cataclisma che rinnoverebbe il mondo, per poi ripetere un nuovo ciclo.
Spetta ad Aristotele la costruzione del primo duraturo sistema cosmologico, che attraverserà il mondo antico, per essere riconosciuto come la più autorevole costruzione astronomica, assieme a quella di Tolomeo, fino alla rivoluzione copernicana del Cinquecento. Lo stesso Paradiso dantesco è ispirato al suo sistema.
Nel Cielo, la sua maggiore opera di argomento astronomico, egli aumenta il numero delle sfere che circondano la Terra e giustifica il loro movimento con la presenza di un “primo mobile”, ovvero la sfera più esterna. Fornisce, inoltre, prove sulla sfericità della Terra, spiega la natura delle comete, della Via Lattea e di altri fenomeni relativi alla Terra.
Sarà ad Alessandria di Egitto, nei secoli seguenti, che la sintesi greca giungerà a compimento.
2.1) Filolao di Crotone è un filosofo della scuola pitagorica, nato qualche decennio dopo Pitagora, verso il 470 a.C., vive sino alla fine del V. Sfugge alle persecuzioni e alla distruzione dei circoli pitagorici di Crotone e verso il 450 si rifugia in Grecia dove vive per lo più a Tebe.
E' molto importante nella storia del pitagorismo perché è il primo a diffondere le dottrine pitagoriche al di fuori della Grecia; è anche il primo fra i veri e propri adepti che pubblichi scritti contravvenendo alla prescrizione del silenzio.
Secondo Filolao l’universo è una sfera e non comprende solo terra e astri, ma anche il principio formativo di tutto, l’essenza delle cose, la volta celeste ed anche ciò che c’è intorno, come il fuoco purissimo, o etere, o anima, o Dio. Questa concezione costituisce il più antico sistema astronomico non-geocentrico e verrà poi sviluppata dai neopitagorici nell’età ellenistica e romana.
Filolao condivide la concezione del numero 10, ovvero la “tetractys” o decade, come numero perfetto, egli afferma che tale numero è:
“grande, onnipotente e creatore di tutte le cose, il principio e la guida sia della vita divina che di quella terrestre”.
Nella composizione dell’universo c’è un “fuoco” nel centro che egli chiama: "focolare dell'universo" ed anche ''casa di Zeus'' o ''madre degli dei'' o ''vincolo'' o ''altare'' o ''misura della natura''. Vi è poi un altro fuoco nella parte più alta, che è l’involucro: egli sostiene che, primo per natura è il fuoco di mezzo, intorno a cui si muovono in cerchio 10 corpi divini, cioè l’Olimpo e i 5 pianeti (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno), dopo questi c’è il Sole con sotto la Luna, sotto ancora c’è la Terra seguita dall’Antiterra. Dopo tutti questi è posizionato il fuoco del focolare con il posto al centro.
“I pitagorici dicono che nel centro dell’universo c’è il fuoco a cui ruota intorno l’Antiterra, chiamata così perché opposta alla Terra. L’Antiterra gira intorno al centro seguendo la Terra, ma non è veduta da noi a causa dell’interposizione continua della mole terrestre (...)
La parte più alta, quella dell’involucro, in cui risiedono gli elementi nella loro purezza, la chiama ''olimpo''; quella sotto il giro dell’olimpo, in cui sono disposti i cinque pianeti insieme col sole e la luna, la chiama ''cosmo''; infine la parte sublunare e circumterrestre, in cui si generano le cose mutabili, la chiama ''cielo”. (Aetius, Philolaus)
“I filosofi italici detti "'pitagorici'' sostengono la teoria del fuoco nel mezzo, e che la terra è un astro che, muovendosi in circolo intorno al centro, produce la notte e il giorno; suppongono anche un’altra terra opposta a questa, l’antiterra. Essi però cercano di adattare i fenomeni alle loro teorie e non il contrario. Ritengono che sia il fuoco a dover stare nel centro piuttosto che la terra perché quello è il luogo più nobile, dove deve essere custodita la parte più importante di tutto”. (Aristotele, De Caelo)
“ Dice Filolao Pitagorico che il sole è di natura vitrea e porosa, assorbe il riflesso del fuoco che è nel cosmo e ne trasmette a noi la luce ed il calore”. (Aetius, Philolaus)
“Alcuni pitagorici, fra cui Filolao, dicono che la luna è costituita da terra e per questo è abitata da animali e piante come la nostra terra; sono però più grandi e più belli; dicono infatti che gli animali che si trovano su di essa sono quindici volte più grandi e non espellono escrementi, e che il giorno è altrettante volte più lungo”. (idem)
Nel sistema di Filolao la terra impiega 24 ore per girare intorno al fuoco centrale; la luna impiega un mese sinodico, cioè 29 giorni e mezzo. E’ nota la particolarità della luna di rivolgere sempre la stessa faccia verso l’interno dell’orbita, ed è forse da essa che Filolao trae il convincimento che anche la terra e l’antiterra volgano sempre la stessa faccia al fuoco centrale.
Inoltre era stato osservato che il Sole, la Luna ed i cinque pianeti si muovono di moto proprio da ponente a levante sul piano dello zodiaco, percorrendo successivamente le costellazioni zodiacali; con Filolao anche la terra diviene partecipe del moto rotatorio da occidente ad oriente intorno al fuoco centrale, secondo il circolo obliquo in modo simile alla Luna e al Sole.
2.2) Platone (Atene 427-347 a.C.) è un filosofo greco, discepolo di Socrate. Partendo dal pensiero di Socrate e polemizzando con i sofisti costruisce una complessa teoria filosofica che è la “dottrina delle idee”.
L’idea platonica trascende dalla realtà. L’idea possiede delle caratteristiche come l’universalità, l’immutabilità e l’eternità che non coincidono con quelle della realtà, che risulta essere, invece, particolare e transitoria. La realtà non è che una copia della forma ideale.
Per Platone l’unica scienza che rappresenta la conoscenza dell’universale è la matematica. Soltanto con uno studio accurato di matematica ci si può dedicare alla filosofia. La matematica però ha dei limiti, perché parte da alcuni presupposti che non è in grado di giustificare. Per Platone esistono le cose sensibili, le idee e gli enti matematici, che differiscono dalle cose sensibili perché sono eterne ed immutabili.
Il “Timeo”
Timeo era uno storico greco che viene utilizzato da Platone in un suo dialogo per spiegare l’origine del mondo. Nel Timeo viene formulato un principio per il quale tutto ciò che nasce deve avere una causa, ossia deve essere stato creato da qualcuno. Viene fatta distinzione tra:
''quello che sempre è e non ha nascimento, e quello che nasce sempre e mai non è. L’uno è apprensibile dall’intelligenza mediante il ragionamento, perché è sempre nello stesso modo; l’altro invece è opinabile dall’opinione mediante la sensazione irrazionale, perché nasce, muore, e non esiste mai veramente”.
Quindi le cose che non hanno origine e sono sempre state così si apprendono con l’intelligenza, mentre le cose che nascono e muoiono si percepiscono tramite l’opinione. Bisogna capire se il mondo è una di quelle cose che è sempre stata così oppure se è stato generato da un qualche principio.
“Ma è difficile trovare il fattore e padre di questo universo, e, trovatolo, è impossibile indicarlo a tutti.”
Dio è il creatore del mondo e lo ha generato a sua immagine e somiglianza e poiché voleva che tutte le cose fossero buone e nessuna cattiva prese tutto quello che si agitava in modo sregolato e disordinato e lo trasformò in ordine. Tra tutto quello che ha creato ha pensato di fare la cosa più bella e per renderla tale l’ha fornita di intelligenza e di anima. Per questo motivo ha creato un solo mondo e lo ha creato perfetto.
“Dio volendo che tutte le cose fossero buone e, per quant’era possibile, nessuna cattiva, prese dunque quanto c’era di visibile che non stava quieto, ma si agitava sregolatamente e disordinatamente, e lo ridusse dal disordine all’ordine, giudicando questo del tutto migliore di quello (...) componendo l’intelligenza dell’anima e l’anima del corpo, fabbricò l’universo, affinché l’opera da lui compiuta fosse la più bella secondo natura e la più buona che si potesse (...) Quello che è nato deve essere corporeo e visibile e tangibile. Ma niente potrebbe essere visibile, separato dal fuoco, né tangibile senza solidità, né solido senza terra”.
Dio ha creato il mondo che è visibile e quindi formato dal fuoco e tangibile e quindi formato dalla terra. Entrambe queste sostanze sono connesse da aria e acqua in modo tale che l’universo sia costituito da quattro elementi. Ognuno di questi elementi fu usato interamente per la composizione del mondo in modo tale che il creato risultasse perfetto ed eterno. La forma che Dio attribuì al mondo fu quella sferica, perché tra tutte le figure è la più perfetta.
Il mondo non fu dotato di nessun organo perché essendo perfetto bastava a se stesso. Gli fu attribuito il moto circolare e fu privato degli altri sei movimenti per eliminare ogni tipo di errore.
“L’anima poi Dio non la fece dopo il corpo come noi che ora prendiamo a parlarne in ultimo, perché, dopo averli congiunti, non avrebbe lasciato che il più vecchio fosse governato dal più giovane. Ma noi che molto dipendiamo dalla sorte del caso, così anche a caso parliamo. Egli invece formò l’anima anteriore e più antica del corpo per generazione e per virtù, in quanto che essa doveva governare il corpo, e questo obbedirle, e la formò di tali elementi ed in tal guisa”.
Dio creò anche l’anima del mondo e questa fu creata senz’altro prima del corpo.
“Il tempo dunque fu fatto insieme col cielo, affinché, generati insieme, anche insieme si dissolvano, se mai allora avvenga alcuna dissoluzione; e fu fatto secondo il modello dell’eterna natura affinché le sia simile quanto più possa”.
“Per le cose mobili dell’universo crea il tempo, che consiste nella suddivisione in giorno, notte, mesi, anni. Tutte queste parti di tempo non hanno senso quando si riferisce all’universo che è eterno, per cui non si parlerà né di vecchio né di giovane”.
“...affinché il tempo fosse creato, furono fatti il Sole e la Luna e altri cinque astri, che si dicono pianeti, per distinguere e guardare i numeri del tempo”.
Questi sette corpi li mise a ruotare in sette orbite. Nella prima orbita ruotava la Luna intorno alla Terra; il Sole ruotava nella seconda al di sopra della Terra; Lucifero e il pianeta sacro ad Hermes ruotavano nella stessa orbita del Sole, ma con direzione opposta. Le orbite percorse dai pianeti non erano uguali ma quelli che percorrevano orbita maggiore giravano più lentamente di quelli che percorrevano orbita minore. Per valutare la velocità con la quale i pianeti fanno la loro rivoluzione, Dio accese il Sole e lo fece risplendere per tutto il cielo.
Il tempo fu definito in questo modo: la notte e il giorno sono determinati dal movimento circolare unico; il mese è l’orbita percorsa dalla Luna fino a quando raggiunge il Sole; l’anno è il tempo impiegato dal Sole a percorrere la sua orbita.
“E tutto il resto fino alla generazione del tempo era giˆ stato compiuto a somiglianza del suo modello: ma il mondo gli era ancora dissimile in quanto che non ancora comprendeva dentro di sé tutti gli animali, che poi vi furono generati. Una volta creato il mondo decise di metterne quattro tipi di specie: la specie celeste degli dei la fece di fuoco, perché fosse splendida e bella da vedere. Per farla più simile all’universo la fece rotonda”.
2.3) Aristotele (384-322 a.C) nasce a Stagira, una colonia greca nei pressi dell’attuale Monte Athos. Allievo di Platone ad Atene, nel 342 diviene tutore del giovane principe Alessandro di Macedonia e rimane in Macedonia fino al 336. Torna in seguito ad Atene per intraprendere la professione di insegnante pubblico. Gli scritti di Aristotele spaziano su ogni regione della conoscenza. La maggior parte delle sue opere è composta durante il suo secondo soggiorno ateniese nei dodici anni che precedettero la sua morte. Nella sua opera chiarisce il rapporto tra la fisica, che per lui è una descrizione generale dell’universo, e lo studio degli esseri viventi.
Dal Cielo
“Il cielo nella sua totalità non è generato, ma è uno ed è eterno, non ha principio né fine anzi contiene e abbraccia in sé tutta l’infinità del tempo”.
Il cielo è sferico, come i corpi che occupano il centro dell’universo, poiché se l’acqua circonda la terra, l’aria l’acqua, il fuoco l’aria e i corpi superiori che hanno una disposizione analoga, non sono continui ai primi, ma sono in contatto con essi, di conseguenza la superficie dell’acqua sarà sferica, "e ciò che è continuo ad un corpo sferico è di necessità anch’esso tale, e per questo motivo il cielo sarà considerato sferico”.
“Tutto ciò che ha una funzione esiste in vista di questa funzione”, poiché anche il cielo è di tal natura, per questo motivo esso ha un corpo circolare, che per natura si muove in circolo; “in un corpo che si muove in circolo vi è di necessità una parte che rimane ferma, ed è quella che si trova al centro; mentre nel corpo circolare non c’è nessuna parte che possa rimanere ferma, né in assoluto, né al centro”.
Aristotele considera la caduta di un oggetto pesante verso il centro della Terra come un esempio di moto naturale ed è convinto che ogni oggetto lasciato a se stesso raggiunga in breve tempo una velocità costante di caduta e la mantenga fino alla fine. Deduce che il peso di un oggetto contribuisce a determinare la velocità di caduta e che questa deve essere proporzionale al peso dell’oggetto e inversamente proporzionale al rapporto tra peso e resistenza. Esamina anche il moto violento, cioè il moto di un oggetto che non si sta spostando liberamente verso il suo luogo naturale. Secondo la sua teoria un tale moto deve essere causato da una forza: se la forza aumenta deve aumentare la velocità, se la forza cessa il moto deve cessare.
Aristotele, a differenza di Platone, risente di influenze pitagoriche nel suo schema del mondo fisico. In particolare egli, considerando il cerchio e la sfera come figure geometriche più perfette, le pone a fondamento della struttura del mondo, “in quanto essa [la sfera] non possiede alcun organo atto al movimento”, ad esempio “la Luna che è sferica ci è dimostrato dai fenomeni che noi percepiamo con la vista, altrimenti non assumerebbe al crescere e al calare una forma per lo più lunata e una sola volta a forma di mezza luna, poiché se uno degli astri ha questa forma, e chiaro che anche gli altri saranno sferici”. Era così condotto a considerare il cosmo come una serie di sfere concentriche con la Terra nel centro, affermando che se c’è la terra deve esserci anche il fuoco: “giacché se di due contrari l’uno è secondo natura, anche l’altro deve essere secondo natura”.
Ma se sono presenti la Terra e il fuoco, ci sono anche i corpi intermedi a questi: “ciascun elemento infatti si trova in relazione di contrarietà con ciascun altro elemento”. Ma una volta posta l’esistenza di questi, è chiaro che deve esserci anche generazione, poiché “nessuno di essi può essere eterno; i contrari infatti subiscono l’uno l’azione dall’altro, ed hanno in virtù quella di provocare l’uno la corruzione dell’altro”.
Questa sua concezione dominerà per duemila anni l’idea che gli uomini si faranno della natura e la si può riassumere in diverse definizioni:
- La materia è continua; Aristotele con questo principio si oppone a Democrito e si accorda con Socrate e Platone.
- Tutte le cose terrestri sono costituite da quattro elementi: Terra, Aria, Acqua e Fuoco, che, a loro volta, contengono le quattro qualità: caldo, freddo, secco e umido combinate a coppie. Questa concezione della materia è presa da Empedocle ed è probabilmente di origine più antica, ma è anche l’espressione aristotelica della concezione pitagorica che tutte le cose si trovano in rapporto di amore e discordia.
- Stelle e pianeti si muovono con moto circolare in sfere cristalline intorno alla Terra; ciascuna sfera è soggetta all’influenza di quelle più esterne. Questo schema rimarrà in vigore fino al tempo di Keplero.
- Il movimento circolare è perfetto poiché il cerchio è la figura perfetta. Alla fine del secolo diciassettesimo Newton riuscirà ad esprimere in termini noti e sperimentalmente dimostrati i movimenti dei corpi celesti.
- L’universo è limitato nello spazio nel senso che è contenuto entro una sfera esterna; è illimitato nel tempo nel senso che nella sua totalità non è soggetto né a creazione né a distruzione. Questa teoria di Aristotele non verrà accettata interamente perché non si poteva immaginare la finitezza dell’universo sia nello spazio che nel tempo, quindi ci si baserà sulla concezione filosofica dell’universo infinito.
- I movimenti di ogni astro hanno luogo secondo un rapporto proporzionale alla distanza quanto all’essere gli uni più veloci, gli altri più lenti. Infatti il corpo più vicino è maggiormente sottoposto all’azione del primo cielo; mentre il più lontano lo è in grado minimo, per effetto della distanza.
3) Con la nascita della scuola di Alessandria d’Egitto, nel III secolo a.C., la tradizione filosofica e scientifica greca raggiunge i suoi risultati più alti. Tra le scienze più rappresentative della cultura ellenistica vi è l’astronomia. Gli studi compiuti dagli scienziati della scuola, oltre a portare ad un significativo incremento delle conoscenze sul cielo e sugli astri, risultati ottenuti grazie allo sviluppo di strumenti e di metodi di osservazione tipici della scienza sperimentale, forniscono sistemi di idee e cosmologie che saranno considerati validi fin oltre la rivoluzione astronomica del Cinquecento.
Aristarco di Samo è contemporaneo di Euclide e basa le sue conclusioni su coerenti procedimenti logici. Egli concepisce, come Filolao, un universo con il Sole centrale. Studia inoltre le distanze e i rapporti tra Terra, Sole e Luna. Le sue teorie vengono condannate dalla maggioranza degli altri scienziati, per cui le sue posizioni sono note grazie agli scritti di coloro che l’hanno combattuto, mentre le sue opere non ci sono pervenute.
Eratostene, bibliotecario della scuola di Alessandria, misura con precisione il raggio terrestre.
Ipparco di Nicea è considerato il maggiore astronomo dell’antichità. Il suo metodo di indagine, che sembra anticipare quello galileiano, parte dalla raccolta di materiali di osservazione, che vengono rielaborati, ordinati e studiati; quindi cerca di esprimere in forma geometrica i risultati raggiunti. Egli studia la precessione degli equinozi e il moto solare.
Claudio Tolomeo conclude la grande ricerca alessandrina, astronomo tra i più importanti, egli è noto soprattutto per la sua “grande composizione matematica”, l’Almagesto, in cui raccoglie i suoi studi sulla Terra e sull’universo.
Tra il IV e il V secolo la scuola alessandrina si estingue, le sue conoscenze passeranno alla cultura araba e, tramite questi ultimi, all’Occidente medievale, dopo l’anno Mille.
3.1) Aristarco di Samo (310 - circa 230 a. C.) insegna ad Alessandria d’Egitto dopo Euclide.
Egli sviluppa l’idea di Filolao, che la Terra ruoti attorno a un fuoco centrale, sostenendo che il Sole stesso è fermo e tutti i pianeti ruotino in orbite circolari attorno ad esso. Afferma inoltre che la terra ruota su se stessa.
Dobbiamo ad Aristarco il primo tentativo scientifico di determinare le distanze del Sole e della Luna dalla Terra e le loro dimensioni relative.
Nel trattato “Sulla grandezza e sulla distanza del Sole e della Luna” (circa 260 a.C.), basato sull'ipotesi di un universo geocentrico, Aristarco asserisce che il Sole dista dalla Terra circa 19 volte la distanza Luna - Terra.
Egli sviluppa un ragionamento che gli permetterebbe di calcolare le dimensioni dei corpi celesti: quando la Luna presenta il primo e l'ultimo quarto, ossia quando vediamo solo metà della sua faccia illuminata dal Sole, l’asse visivo che va dall’osservatore terrestre al centro del disco lunare deve intersecare ad angolo retto l’asse di illuminazione che va dal centro del disco solare al centro del disco lunare. Conoscendo le distanze relative del Sole e della Luna dall’osservatore, si possono determinare le rispettive dimensioni di questi corpi, supponendo conosciute le dimensioni relative dei loro dischi quali appaiono ad un osservatore terrestre.
In realtà la distanza Sole-Terra è quasi 400 volte superiore alla distanza Luna-Terra.
Pur essendo i risultati di Aristarco distanti rispetto a quelli attuali, sono comunque migliori di quelli dei suoi predecessori. Inoltre il suo metodo è irreprensibile nella procedura ed il risultato è viziato da un errore di osservazione consistente nel misurare l’angolo Luna - Terra - Sole in 87 gradi (mentre in realtà è di circa 89 gradi)
Per giungere ad una valutazione reale della distanza del Sole e della Luna occorre la misura del raggio della Terra. Questo calcolo è dovuto ad Eratostene, contemporaneo di Aristarco.
Il ragionamento matematico di Aristarco
Indicati con S,T,L rispettivamente Sole, Terra, Luna, quando la Luna presenta il primo o l’ultimo quarto, l’angolo compreso tra le visuali del Sole e della Luna risulta uguale ad 87¡ circa, cioè LTS~87¡. Posti LT ed ST rispettivamente la distanza Luna-Terra e Sole-Terra, sapendo che sen3¡~1/19, Aristarco conclude che LT/ST~1/19.
Avendo determinato il rapporto LT/ST, Aristarco sostiene che le grandezze della Luna e del Sole stanno nello stesso rapporto. Ciò deriva dal fatto che Sole e Luna hanno grandezze apparenti quasi identiche, ossia sottendono lo stesso angolo visti da un osservatore della Terra. Posto quindi Rl il raggio della Luna ed Rs quello del Sole, risulta Rl/Rs=1/19.
Sulla base di questo rapporto, che esprime in particolare la grandezza del Sole rispetto a quella della Terra, Aristarco determina la grandezza della Luna rispetto a quella della Terra. In particolare ottiene l’approssimazione Rl=20/57Rt.
Il calcolo matematico sviluppato allo scopo si basa sulla figura 2, che costituisce un modello geometrico di un’eclissi lunare. La figura 2 si disegna tracciando la tangente alle circonferenze di centro S e T (centro del Sole e della Terra) e ponendo A e B i rispettivi punti di contatto; su tale tangente si determina il punto C tale che LC sia parallelo a TB (L è il centro della Luna). Si tracciano poi EB e DC tali che siano paralleli alla retta passante per S,T,L.
Dalla conseguente similitudine dei triangoli EAB e DBC, segue la proposizione DB/EA=DC/EB.
Avendo Aristarco a disposizione il dato sperimentale secondo cui l’ampiezza dell’ombra proiettata dalla Terra alla distanza della Luna è 2 volte la grandezza della Luna, secondo la figura 2 risulta LC+2Rl. Sfruttando questa ultima uguaglianza e tenendo presente che i quadrilateri EBTS e DCLT sono parallelogrammi, la precedente proporzione (DB/EA=DC/EB) si trasforma nella seguente (Tr-2Rl)/(Rs-Rt)=LT/ST.
Sapendo che LT/ST~1/19 ed Rs~19Rl, si ricava l’approssimazione Rl~20/57Rt.
3.2) Eratostene (276 circa - 194 a.C.) è bibliotecario di Alessandria. La sua indagine più importante è la misurazione del raggio terrestre; a partire da questo dato ricava la distanza Terra - Luna e il raggio del Sole.
Eratostene osserva che a mezzogiorno del solstizio estivo, il Sole manda direttamente i suoi raggi in fondo ad un pozzo profondo a Syene (la moderna Assuan). Nello stesso tempo, ad Alessandria, che si trova sullo stesso meridiano di Syene, ad una distanza di 5.000 stadi, il Sole getta un’ombra (rispetto allo zenit) di un’ampiezza che può essere misurata con precisione. Egli calcola la misura dell’angolo in un cinquantesimo di circonferenza. Ciò porta al risultato che la circonferenza (quella della terra) deve misurare 250.000 stadi, ossia 25.000 miglia.
Ipparco di Nicea (circa 190 - 120 a.C.) è il più grande astronomo dell'antichità ed è ritenuto il fondatore dell’astronomia scientifica. Svolge la sua attività a Rodi, dove fonda un osservatorio per le sue ricerche. Ipparco sviluppa la trigonometria e fa numerose e precise osservazioni astronomiche che lo fanno arrivare a due brillanti intuizioni astronomiche.
Scopre la precessione degli equinozi, osservando lo spostamento delle stelle nel tempo e confrontando la posizione di circa 1.000 stelle da lui studiate con le osservazioni fatte da altri studiosi 150 anni prima. Egli dimostra che in un determinato tempo si verificano degli spostamenti delle distanze tra le stelle da punti fissi determinati, spostamenti spiegabili soltanto con la rotazione dell’asse della Terra in direzione dell’apparente moto diurno delle stelle. In conseguenza di ciò gli equinozi cadono ogni anno con un lieve anticipo.
Egli sviluppa una propria teoria sul moto apparente dei pianeti basato sul movimento eccentrico: i pianeti disegnerebbero delle orbite circolari attorno alla Terra il cui centro non coinciderebbe con quello della Terra; questo secondo centro può essere rappresentato come se si muovesse in un cerchio. I calcoli molto accurati di Ipparco permettono di prevedere le eclissi di Luna con un’approssimazione di una o due ore.
3) Claudio Tolomeo (Tolemaide d’Egitto, 90 d.C., Canopo 168) vive ad Alessandria. Egli elabora la più compiuta sintesi astronomica e geografica e svolge le più notevoli ricerche sperimentali di ottica dell’antichità.
Formula la regola della proporzionalità degli angoli di incidenza e di rifrazione (approssimativamente vera per gli angoli piccoli) e applicandola intuisce che la luce di una stella, entrando nell’atmosfera, viene deviata o rifratta in modo da apparire più vicina allo zenith di quanto lo sia realmente.
Scrive un’opera di enorme importanza scientifica che più tardi sarà riconosciuta come Almagesto.
All’opera tolemaica sarà dato il nome di Almagesto solo nel Medioevo. Questo nome deriva dall’espressione greca “Megalé Mathematikè Syntaxis” cioè “Grande sintassi matematica”, usata anche nella forma superlativa “magisté syntaxis”, da cui la traduzione araba “Al-Magiste”, che diviene Almagestum in latino medioevale.
Non si può sapere esattamente quale parte dell’opera sia dovuta al merito personale di Tolomeo e quanto invece debba essere ascritto a quello dei suoi predecessori, come Ipparco, cosa che l’autore stesso a volte fa intendere. E’ probabile che anche alla teoria matematica planetaria egli apporti solamente gli ultimi perfezionamenti.
Nell’Almagesto Tolomeo presenta matematicamente le orbite apparenti dei pianeti. Egli tiene conto di tutti i movimenti planetari osservati, con una precisione di cinque secondi circa di arco in più di un occhio nudo. Questa teoria rimarrà immutata per ciò che riguarda la parte matematica anche dopo che Copernico ne modificherà il sistema teorico (1543). Solo dopo Keplero, nel XVII secolo, saranno apportate sostanziali modifiche, per poter tenere conto delle più esatte osservazioni di Tycho Brahe.
Tolomeo presenta lo schema dell’universo come un tutto unificato, situando la Terra all’interno del cerchio principale delle orbite dei pianeti, ma in posizione eccentrica, mentre i pianeti compiono la loro rotazione intorno all’equante, un punto situato a uguale distanza della Terra, ma dall’altra parte del centro del cerchio. Il risultato di questi studi è così vicino a quello ottenuto da Keplero quindici secoli più tardi.
Nell’Almagesto sono utilizzati degli “epicicli”, cioè circoli descritti dai pianeti intorno a un punto ideale detto “equante”, il quale descrive a sua volta un circolo intorno alla Terra detto “deferente”, per spiegare la seconda variazione periodica della posizione di un pianeta (che realmente è causata dal movimento della terra intorno al sole), ma per i matematici è indifferente considerare ferma la Terra come Tolomeo, o il Sole come Copernico.
L’Almagesto contiene inoltre un particolareggiato e preciso elenco delle Stelle, adattato in parte da Ipparco.
Infine vi sono descritti i principali strumenti utilizzati da Tolomeo nei suoi studi:
- L’ANELLO DI METALLO, utilizzato per l’osservazione dell’altitudine meridiana del sole.
E’ composto da un anello interno con due indicatori, collocato all’interno di un altro anello graduato, posto verticalmente sul piano del meridiano;
- UN BLOCCO DI LEGNO scorrevole su un lungo telaio con un foro su una delle due estremitˆ per applicarvi l’occhio, in modo che facendo scorrere il blocco si possono misurare piccoli angoli e valutare la grandezza apparente del sole;
- UN SEMPLICE ANELLO posto sul piano dell’equatore, usato per determinare gli equinozi;
- IL TRIQUETRUM (termine latino che significa triangolo) che serve per determinare il centro della Luna anche quando ne è visibile solo una parte. E’ composto da un asse per mirare la Luna che viene inquadrata da un grosso foro all’estremità inferiore, e ha il vantaggio che le graduazioni sono segnate su un’asta dritta e quindi possono essere più facilmente determinate che non sulle scale circolari di altri strumenti;
- L’ASTROLABON ARMILLARE è il più importante strumento utilizzato da Tolomeo. Formato da una serie di anelli metallici inseriti l’uno nell’altro, il più interno dei quali porta un’alidada (un indice mobile che, scorrendo su un cerchio graduato, permette di misurare l’apertura di un angolo) con due piccoli fori (attraverso cui compiere le osservazioni) mentre il più esterno è fissato ad un pesante supporto; un asse di rotazione è parallelo all’asse polare della terra, e un secondo asse è inclinato come l’asse eclittica di 23,5 gradi rispetto a quello polare. Questo serve a misurare direttamente gli angoli, mentre con qualsiasi altro strumento meno complicato ci vorrebbero calcoli lunghi e complessi per trasformare i dati di altezza e di azimuth, o coordinate equatoriali, nelle coordinate eclittiche essenziali alla teoria. Con questo strumento, Tolomeo riesce anche a misurare il mondo “abitabile”; questi risultati sono riportati in un’altra sua opera: la Geografia.
L’Almagesto è caratterizzato dalla maggiore preoccupazione di Tolomeo: quella di trovare una teoria matematica particolare per ogni pianeta. Ma quando giunge al problema di considerare il sistema planetario come un tutto, rileva che nessuna osservazione a lui nota può gettare molta luce su questo punto e qualsiasi ipotesi non potrebbe modificare di molto le sue conclusioni. Così egli ricade nella tradizionale considerazione che la velocità con la quale i pianeti si muovono provi la loro vicinanza; in questo modo egli sistema la Terra al centro, e la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno e le Stelle fisse in orbite sempre più esterne. Perciò, anche se l’Almagesto parla poco di cosmologia, il nome di Tolomeo è rimasto al maggior sistema pre-copernicano.
L’Almagesto sarà tradotto in latino verso la fine del XII secolo (intorno al 1175) da Gerardo, monaco cremonese, quindi non potrà avere una diretta influenza sulla scienza dell’Alto Medioevo. Al suo posto si diffonderà il più semplice schema dell’universo tratto da Aristotele. Alla fine del Medioevo il conflitto tra la concezione aristotelica e quella tolemaica sarà destinata ad assumere grande importanza per la storia della scienza.
4) I romani non forniscono un contributo originale alla scienza astronomica. Essi hanno una buona pratica di alcuni strumenti fondamentali come la meridiana, che conoscevano sin dal secolo III a.C., e che applicano al computo del calendario. Inoltre posseggono una considerevole abilità meccanica che permette loro di compiere e inquadrare osservazioni astronomiche fondamentali. Più significatica è l’influenza dell’astrologia che, seppur proibita ai tempi dell’impero, ha una particolare diffusione tra i ceti popolari.
A collegarsi alla ricerca astronomica alessandrina sono gli Arabi che, tramite gli scambi commerciali con gli Indiani, a partire dal secolo IX, possono utilizzare le loro conoscenze nell’ambito dell’aritmetica e dell’algebra per riconsiderare le conoscenze dell’Età ellenistica. Essi traducono e volgarizzano l’opera di Tolomeo, trasmettendola all’Occidente cristiano, mentre sviluppano l’uso di particolari strumenti come l’astrolabrio, uno strumento antico usato dai naviganti per determinare la posizione degli astri, sostituito in seguito dal sestante. Si tratta di un sistema per trasportare una superficie curva su una piana.
Lo strumento consiste essenzialmente di una mappa circolare del firmamento che si fa ruotare attorno al polo nord, riposante su un piano celeste corrispondente alla visuale di un osservatore che si trovi ad una determinata latitudine. Questo strumento astronomico viene usato tra i secoli VII e XVI ed è di inestimabile valore per le ricerche astronomiche.
Tra i maggiori astronomi arabi sono Al-Farghani e Al-Battani, vissuti nel secolo IX, che compilano sintesi dell’Almagesto. Il filosofo Averroè sarà il mediatore del pensiero aristotelico tra la cultura araba e quella cristiana.
Solo nel XIII secolo le opere di Aristotele e quelle di Tolomeo vengono conosciute in Europa, determinando la ripresa del pensiero occidentale. All’interno delle università europee e degli ordini dei domenicani e dei francescani si sviluppa una riflessione su questi temi. Tra le personalità che propongono le prime sintesi astronomiche cristiane vi è il Sacrabosco, attivo a Parigi nel XIII secolo.
Col diffondersi del Cristianesimo e la scomparsa della filosofia stoica, l'astrologia passa in secondo piano per ritornare con gli Arabi e con il sorgere dell'Università del XIII secolo.
4.1) Nella Divina Commedia di Dante troviamo sintetizzata la visione cosmologica medievale. Essa è una diretta derivazione della concezione aristotelica, in parte differente da quella tolemaica, filtrata attraverso la riflessione teologica di derivazione tomista, operata nella prima metà del XIII secolo da Tommaso d’Aquino.
Nella Divina Commedia, e in particolare nella terza cantica, il Paradiso, gli elementi astronomici e cosmologici sono parte integrante della costruzione poetica. In numerosi luoghi del poema, l’Autore presenta situazioni astronomiche ben definite e riconoscibili e ne indica gli influssi sui comportamenti e le sorti degli umani. Astronomia e astrologia sono fusi in un’unica concezione, poetica ed esistenziale.
Ciò è tanto più vero nella cantica del Paradiso, dove le anime appaiono a Dante nei diversi cieli. Ma la cosmologia dantesca è, contemporaneamente, una visione morale del mondo. Per l’Autore, la virtù divina è causa e creazione di tutto ciò che esiste. I cieli e le loro influenze agiscono come cause derivanti dalla creazione. Il loro moto non è un fatto puramente meccanico, ma ad essi presiedono le singole gerarchie o intelligenze celesti, ognuna per uno specifico cielo. Ogni pianeta e ogni costellazione ha una specifica influenza sulle creature terrestri.
Sulla visione astronomica-astrologica di Dante hanno esercitato una significativa influenza l’opera di Alfragano, commentatore di Tolomeo, e le Etymologiae di Isidoro di Siviglia.
Paradiso. Canto XXII
Versi 133-150
“Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
e quel consiglio per migliore approbo
che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell’ombra che mi fu cagione
per che già la credetti rara e densa.
L’aspetto del tuo nato, Iperione,
quivi sostenni, e vidi com’ si move
circa e vicino a lui Maia e Dione.
Quindi m’apparve il temperar di Giove
tra ‘l padre e ‘l figlio; e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo”.
Paradiso. Canto XXVIII
Versi 22-39
Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che ‘l dipigne
24 quando ‘l vapor che ‘l porta più èspesso,
distante intorno al punto un cerchio d’igne
si girava sé ratto, ch’avria vinto
quel moto che più tosto il mondo cigne;
e questo era d’un altro circumcinto,
e quel dal terzo, e ‘l terzo poi dal quarto,
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
Sopra seguiva il settimo sé sparto
già di larghezza, che ‘l messo di Iuno
intero a contenerlo sarebbe arto.
Così l’ottavo e ‘l nono; e ciascheduno
più tardo si movea, secondo ch’era
in numero distante più da l’uno;
e quello avea la fiamma più sincera
cui men distava la favilla pura,
credo, però che più di lei s’invera.”
5) L’astronomia dei primi anni del Cinquecento ha dei caratteri propri che la distinguono da quella medioevale. A stimolare la ripresa degli studi astronomici è la conoscenza dell’opera del Regiomontano.
Spetta però al polacco Niccolò Copernico il merito di avere avviato la “rivoluzione astronomica” del secolo. Egli è soprattutto un teorico e si occupa di matematica, astronomia, medicina, diritto e teologia, mentre come ricercatore di fenomeni astronomici la sua attività è scarsissima. Dopo aver preso in considerazione i vari movimenti dei corpi celesti, trova uno spunto per la sua teoria nella tradizione classica che aveva tramandato le idee del pitagorico Filolao e di Aristarco. Il nuovo sistema copernicano conserva molto delle vecchie teorie: continua a considerare l’universo come sferico, finito e come concluso dalla sfera delle stelle fisse.A determinare l’accoglienza fatta al sistema copernicano, intervengono anche circostanze esterne, in particolare il clima culturale del periodo e il dibattito sulla religione, in cui si contestano molte delle convinzioni tradizionali.
Tra i contributi critici più rilevanti appare quello di Giordano Bruno (1547-1600). Insegnante in diverse università (Lione, Tolosa, Montpellier e Parigi), esperto di mnemotecnica (ovvero le tecniche per attivare la memorizzazione), nella sua opera De l’infinito universo e mondi espone la sua visione di un universo infinito e senza un centro, formato da infiniti mondi. Dio non agirebbe dall’esterno di quest’universo, ma si identificherebbe con esso, animandolo dall’interno.
Un altro personaggio molto importante è il tedesco Johannes Keplero (1571-1630), il primo ad applicare la matematica negli studi dei moti celesti, convinto che lo schema dell’universo e delle sue parti debba rispondere ad un astratto criterio numerico e geometrico. La struttura dell’universo viene spiegata secondo un sistema unitario, anche se Keplero scopre ben presto di essersi sbagliato a calcolare la distanza dei pianeti dal centro della loro orbita.
Egli raccoglie comunque a Praga delle importanti osservazioni insieme ad un altro protagonista di questo secolo: Tycho Brahe, con il quale corregge le teorie cosmiche. Questi lavora per dieci anni su un’isola fornitagli dal proprio re e le sue osservazioni sono le più ampie e accurate che siano mai state fatte fino ad allora.
5.1) Il polacco Niccolò Copernico (Thorn 1473 - Frauenberg 1543) per rispondere alle difficoltà del sistema tolemaico circa il moto apparente degli astri, nella sua opera De rivolutionibus orbium coelestium (1543), nega alla Terra la posizione centrale nell’universo affermata dalle concezioni tradizionali, mentre sostiene che ruoti, come gli altri pianeti, attorno al Sole, immobile.
Copernico afferma che, dopo aver riscontrato l’insufficienza delle teorie tradizionali, si era proposto di leggere i libri di tutti i filosofi che fosse riuscito a procurarsi, per vedere se qualcuno avesse mai pensato a moti delle sfere del mondo diversi da quelli insegnati nelle scuole. In Cicerone trova che Niceta aveva ammesso il moto della Terra. Successivamente viene a sapere che altri, come Filolao, lo avevano fatto. Così medita su quanto appreso e riesce a spiegare in modo soddisfacente i moti celesti.
5.2) Secondo le convinzioni accettate dai tempi di Platone, i moti dei corpi celesti dovevano essere circolari o composti di moti circolari. Copernico accetta la circolarità del moto dei corpi celesti come un principio indiscutibile, aggiungendovi però una ragione di carattere pratico: soltanto un moto circolare, o composto di più cerchi, può rendere conto del movimento periodico delle figure celesti.
Tolomeo aveva salvato la circolarità dei corpi celesti, ma non la loro uniformità, in quanto il moto presenta una velocità angolare uniforme ma non coincide col suo centro, perciò era necessario che i corpi celesti si muovessero di moto composto di moti circolari uniformi. E’ da questo problema che prende avvio la ricerca di Copernico.
La soluzione di Copernico al problema della causa dei moti celesti si fonda sugli assiomi seguenti.
1) Le orbite e le sfere celesti non hanno un solo centro.
2) Il centro della Terra non è il centro del mondo, ma solo della gravità e dell’orbita della Luna.
3) Tutte le orbite ruotano intorno al Sole in quanto è posto al centro di tutte le cose.
4) Il rapporto tra la distanza Sole - Terra e l’altezza del firmamento è minore di quello tra il raggio terrestre e la distanza Sole-Terra, sì che questa è insensibile rispetto all’altezza del firmamento.
5) Qualunque moto si osservi nel firmamento, non appartiene ad esso ma alla Terra. Dunque la Terra, con gli elementi che la circondano, ruota di moto diurno sui suoi poli immutabili, mentre il firmamento e ultimo cielo rimane immobile.
6) Tutti i moti che vediamo nel Sole, si devono alla Terra e alla nostra orbita, con la quale ruotiamo alla maniera di qualsiasi altro pianeta intorno al Sole.
7) Il moto retrogrado e diretto che si osserva nei pianeti non appartiene ad essi, ma alla Terra. Il moto di questa sola è sufficiente a spiegare tutte le ineguaglianze che si osservano in cielo.
Anche se la rivoluzione copernicana apparirà come una contestazione frontale dell’Aristotelismo, in realtà essa è nata dal tentativo di Copernico di risolvere delle difficoltà pratiche del sistema tolemaico e contiene, in opposizione all’Aristotelismo, solo alcune conclusioni particolari, come la centralità del Sole. Copernico, invece, non perderà la fiducia nella fisica e nella filosofia aristoteliche che continua a considerare valide.
Nella concezione di Tolomeo il mondo astronomico non costituisce un sistema: i moti planetari, pur essendo simili tra loro, sono indipendenti l’uno dall’altro e non sono uniti che per il loro centro comune, la Terra. Copernico dà, invece, una struttura organica e architettonica dell’universo, e i moti dei pianeti non sono semplicemente tracciati sulla sfera, ma costituiscono un sistema secondo una disposizione necessariamente determinata. Keplero può sostenere che l’ipotesi copernicana è più vera di quella tolemaica perché, delle due, essa sola dispone i pianeti intorno al Sole in un ordine che si accorda con i loro periodi.
La confutazione da parte della cultura tradizionale della teoria copernicana si articola in sei punti.
1) Se la Terra non fosse collocata nel centro del mondo, le eclissi di Luna non si spiegherebbero quando Sole e Luna non si trovano in luoghi opposti dello zodiaco, ciò che è in contraddizione con l’esperienza degli astronomi, i quali insegnano che le eclissi avvengono quando la Luna è in opposizione col Sole, e mai altrimenti.
2) Il secondo argomento è tratto da Aristotele e da Regiomontano: tutti i gravi in caduta libera lungo il diametro del mondo incontrano la superficie della Terra secondo angoli uguali, in qualunque parte dell’orbe discendano, di conseguenza essi tendono al centro della Terra; da ciò consegue che il centro della Terra e del mondo si identificano.
3) Il terzo argomento, tratto anch’esso da Aristotele, pone la Terra al centro in quanto, “essendo pesantissima, deve tendere verso il luogo più basso; e questo dovendo essere il più lontano possibile dal cielo, non può essere collocato che nel centro del mondo”. Inoltre la Terra, ‘essendo il corpo più ignobile, dovette giustamente essere collocata nel centro, per non recar danno con la sua vicinanza agli altri corpi”. (De caelo)
Alla prima parte di questa obiezione Copernico risponde con la sua definizione della gravità e con l’ipotesi dell’esistenza non di un unico centro di gravità, ma di una pluralità di centri; alla seconda aveva opposto la maggiore nobiltà del dentro rispetto alle altre parti dell’universo, giustificando in tal modo la centralità del Sole.
4) Il quarto argomento è tratto da Alfragano e da Sacrobosco: tolti tutti i vapori, le nebbie e le esalazioni che possono impedire la nostra vista, in qualunque luogo della superficie della Terra ci troviamo, le stelle ci appaiono sempre della stessa grandezza, al sorgere, al tramonto, allo zenit: ciò che non sarebbe possibile se la Terra non fosse collocata al centro dell’universo, esattamente equidistante da tutte le parti del cielo.
5) Il quinto argomento, desunto da Sarobosco, afferma che se la Terra non si trovasse al centro dell’universo non si avrebbero sei segni dello zodiaco sopra l’orizzonte e sei sotto.
A questi due argomenti Copernico risponde rovesciando il ragionamento: dall’osservazione che l’orizzonte divide la sfera stellata in due porzioni esattamente uguali, e che lo stesso fa con lo zodiaco, sì che quando il diametro del cerchio dell’orizzonte comincia per esempio nel Cancro a oriente, termina a occidente nel Capricorno, si deduce che il cielo è immenso a paragone della Terra e che la Terra è rispetto al cielo come un punto paragonato a un corpo e il finito all’infinito.
6) Il sesto argomento è desunto da Tolomeo: se la Terra non fosse al centro dell’universo, dovrebbe essere o nel piano del circolo equinoziale fuori dell’asse del mondo (infatti se fosse sull’asse del mondo e nel piano dell’equatore si troverebbe nel centro), o sull’asse del mondo fuori del piano equinoziale o, infine, né sul piano equinoziale né sull’asse del mondo.
Ai tempi di Copernico, e di Galileo, l’eliocentrismo può fondarsi solo su una serie di argomentazioni aventi un grado di probabilità più o meno elevato.
1) Il movimento della Terra consente di spiegare tutte le apparenze che si osservano in cielo, comprese la precessione degli equinozi e le variazioni dell’eccentricità.
2) La stessa diminuzione dell’eccentricità del Sole si riscontra inalterata nell’eccentricità degli altri pianeti.
3) I pianeti hanno i centri dei loro deferenti intorno al Sole come al centro dell’universo.
4) La quarta ragione è di carattere filosofico e riguarda l’uniformità del moto circolare rispetto al proprio centro e non a un punto introdotto arbitrariamente (come in Tolomeo).
5) Vi è poi la convinzione della semplicità ed economicità della natura. Senza la convinzione della razionalità e perfezione della natura, Copernico non avrebbe impegnato tutte le sue energie nella ricerca di una costituzione semplice ed esatta da applicare agli orbi celesti.
6) L’ultima ragione risiede nel fatto che gli astronomi precedenti, nell’elaborare le loro teorie, non hanno tenuto conto di quella regola la quale avverte che l’ordine e i moti delle orbite celesti sono inseriti in un sistema assoluto.
5.3) Tycho Brahe (1546-1601) a differenza di Copernico è piuttosto un osservatore che un teorico. Il re gli aveva messo a disposizione un osservatorio molto attrezzato situato su un’isola dove rimane per dieci anni. Più tardi, a Praga con Keplero, egli raccoglie osservazioni astronomiche che gli permettono di correggere le conoscenze tradizionali. Le sue informazioni sono le più ampie e accurate di quelle fatte fino ad allora. Egli non si preoccupa di dare vita ad una nuova teoria della conoscenza, ma di dare conto delle sue indagini sull’evidenza sensibile.
I risultati di Brahe si possono riassumere così:
- Egli illustra il sistema planetario con la Terra al centro delle orbite della Luna e del Sole e al centro delle Stelle fisse. Il Sole ruota intorno alla terra in ventiquattro ore portando con sé tutti i pianeti. Dal punto di vista matematico il sistema risulta identico a quello di Copernico.
- Nel 1502 osserva una nuova stella e nel 1577 riesce a determinarne il parallasse e a dimostrare che era molto più lontana della luna e perciò al di là della sfera del mondo “elementare”. Questo significa introdurre il principio di mutamento nella sfera considerata immutabile, contraddicendo quindi i principi aristotelici.
- Formula l’ipotesi che il movimento di una cometa possa essere “non esattamente circolare ma leggermente oblungo”. E’ questa la prima ipotesi che il movimento di un corpo celeste possa seguire un’orbita diversa da quella circolare.
- Descrive con grande accuratezza le alterazioni del moto della luna (1599), che saranno poi spiegate dalle generazioni di astronomi successive.
- Le sue molteplici osservazioni sui pianeti permettono a Keplero di rivelare la vera natura delle loro orbite.
- Rettifica i valori di molti dati astronomici e in un’opera pubblicata da Keplero (Praga 1602) determina la posizione di 719 stelle, che più tardi Keplero porterà a 1005.
5.4) Giovanni Keplero (1571-1630) è convinto che lo schema dell’universo si possa esprimere in rapporti numerici e geometrici. Egli è il primo ad applicare la matematica come strumento pratico per lo studio delle leggi che regolano i moti celesti. La sua idea dell’universo è dapprima sostanzialmente platonica e pitagorica. Egli è convinto che lo schema dell’universo e delle sue parti debba rispondere ad un astratto criterio di bellezza e di armonia. D’altra parte, in accordo con lo spirito del tempo, non rinuncia a considerare i rapporti tra scienza e astrologia: attraverso i calcoli astrologici cerca negli eventi della sua stessa vita una verifica della teoria dell’influsso dei corpi celesti. Keplero adotta ben presto il punto di vista copernicano, mirando sempre a trovare una legge che riunisca gli elementi del sistema solare. Perviene così a una prima soluzione (1596), in cui collega le sue riflessioni a convinzioni che gli vengono dalla tradizione. Ci sono cinque solidi regolari possibili, i cosiddetti “corpi platonici” e ci sono solo cinque intervalli fra i sei pianeti che egli conosce. Secondo i calcoli di Keplero i cinque solidi regolari possono essere collocati tra le sfere dei pianeti in modo che ciascuno sia inscritto nella stessa sfera a cui era circoscritto il pianeta prossimo più esterno, secondo lo schema seguente:
Sfera di Saturno
Cubo
Sfera di Giove
Tetraedro
Sfera di Marte
Dodecaedro
Sfera della Terra
Icosaedro
Sfera di Venere
Ottaedro
Sfera di Mercurio
Tuttavia Keplero scopre ben presto di essersi sbagliato nel valutare la distanza dei pianeti dal centro della loro orbita e la struttura unitaria del sistema non può essere conservata. Malgrado il fallimento del suo primo tentativo, Keplero continua a ricercare la costituzione di un’astronomia in cui le ipotesi siano sostituite da principi matematici dimostrabili. Esamina i rapporti tra le distanze dei pianeti e i loro tempi di rivoluzione intorno al Sole e gli appare chiaro che siccome i pianeti esterni si muovono troppo lentamente, quei tempi non sono proporzionali alla distanza.
Egli suppone l’esistenza di un intelletto motore all’interno del sole che muove tutte le cose intorno a sé, ma soprattutto le più vicine, indebolendosi invece per le più distanti, a causa del diminuire della sua influenza. Quindi si dedica allo studio delle coniche. L’idea delle parabole con due fuochi, uno dei quali all’infinito, gli permette di avvicinarsi alla soluzione del problema.
Fin dal 1604 Keplero si interessa alle sezioni coniche, che egli preferisce considerare come distribuite in cinque specie, tutte appartenenti ad un’unica famiglia. Keplero formula per le coniche il principio di continuità. Dalla sezione conica formata da due rette intersecantisi, nella quale i due fuochi coincidono con il punto di intersezione, si passa gradualmente attraverso un numero infinito di iperbole via via che un fuoco si allontana sempre di più dall’altro. Quando un fuoco è infinitamente lontano, non si ha più iperbole a due rami ma la parabola. Quando il fuoco, continuando a muoversi, passa al di là dell’infinito e torna ad avvicinarsi dall’altra parte, si passa attraverso un numero infinito di ellissi, fino a che, quando i fuochi tornano a coincidere, si raggiunge il cerchio.
Le tre leggi di Keplero
Keplero elabora un utile metodo per affrontare il problema dell’infinitamente piccolo nell’ambito dell'astronomia. Nella sua Astronomia nova del 1609 annuncia le sue due prime leggi planetarie:1) i pianeti si muovono intorno al Sole in orbite ellittiche e non circolari, aventi il Sole in uno dei fuochi; 2) il raggio vettore che congiunge un pianeta con il Sole copre aree uguali in tempi uguali. Trascorrono altri dieci anni prima che Keplero enunci nell’Epitome astronomiae (1618) la sua terza legge secondo la quale:3) i quadrati dei periodi di rivoluzione attorno al
6) Galileo Galilei (Pisa 1564 - Arcetri 1642) fisico e astronomo, iniziatore del moderno metodo sperimentale. Nel 1589 ottiene la cattedra di matematica all’università di Pisa; nel 1592 si trasferisce a Padova, dove, nel 1604, inizia la sua attività di astronomo.
Galileo, oltre ad essere importante per le sue teorie scientifiche, va considerato uno dei primi scienziati nel senso moderno del termine. Infatti, con il suo modo di ragionare e di usare la matematica, con le sue convinzioni sulla necessità di usare controlli sperimentali, egli crea il metodo di lavoro della scienza moderna.
Galileo mostra che i fenomeni naturali possono essere espressi quantitativamemte in termini matematici.
Inoltre la scienza deve considerare che gli eventi naturali che osserviamo non sono semplici ed elementari, come credeva Aristotele, ma molto complessi.
La scienza precedente Galileo si basa sulle teorie aristoteliche dalle quali deriva la fisica medievale che fa una netta distinzione tra corpi terrestri e celesti, il cui moto naturale è una perenne rivoluzione su orbite circolari attorno al centro dell'universo. Questo coincide col centro della terra.
Occorre l'opera di una personalità complessa come quella di Galileo per mettere in discussione le teorie aristoteliche e gettare quindi le basi della fisica moderna.
6.1) Il primo fenomeno celeste che attrae la sua attenzione è probabilmente la cometa del 1577, mentre viene a conoscenza dell’ipotesi copernicana il 5 settembre 1581 allo Studio di Pisa, se non prima.
L’attività di Galileo come astronomo inizia nel 1604, quando appare, nella costellazione del Serpentario, un nuovo corpo luminoso. Egli dimostra che non possiede un parallasse, cioè non si notano variazioni della sua posizione apparente nel firmamento, da qualunque punto lo si osservi. Il parallasse decresce col crescere della distanza e, ai tempi di Galileo, mentre quello dei pianeti è ben conosciuto, il parallasse delle stelle fisse è tanto piccolo, a causa della loro enorme distanza, da non poter essere rilevato con gli strumenti di misurazione dell’epoca.
Di conseguenza, il nuovo corpo celeste deve trovarsi nella remota regione delle stelle fisse, in quella zona esterna cioè, che Aristotele e la sua scuola avevano considerato come assolutamente immutabile. Fino ad allora si era ritenuto che le nuove stelle, come le meteore e le comete, si trovassero nelle meno elevate e meno perfette regioni dell’universo, cioè in quelle più vicine alla Terra. Tycho Brahe dimostra che la nuova stella è al di là della Luna e Galileo gli succede nella lotta contro l’idea di incorruttibilità e immutabilità dell’universo, portando un colpo alla saldezza dello schema aristotelico.
Nel 1609 Galileo inventa due strumenti che avranno enorme importanza nella successiva evoluzione della scienza: il telescopio e il microscopio.Mentre gli occhialai fiamminghi Lippershey e Jansen, avendo per caso scoperto la combinazione di vetri che forma il cannocchiale, si limitano ad apportare i perfezionamenti indispensabili ai loro occhiali rinforzati, Galileo, dal momento in cui riceve la notizia degli occhiali da avvicinamento, ne costruisce la teoria. E a partire da questa teoria, egli, spingendo sempre più lontano la precisione e la potenza dei suoi vetri, costruisce la serie dei suoi strumenti ottici.
Se la lente olandese è un apparecchio pratico, infatti ci permette di vedere a una distanza che supera quella della vista umana, Galileo cerca di dare, con l’uso di questi strumenti, una risposta a bisogni puramente teorici.
Nel gennaio 1610 Galileo, grazie al telescopio, scopre quattro satelliti di Giove. Ci sono reazioni sia di entusiasmo che di polemica. C’è chi rifiuta l’uso del nuovo strumento, che pone in dubbio la validità e i risultati delle osservazioni svolte fino ad allora. Altri sostengono che la scoperta dei satelliti di Giove sia insignificante.
Le sue prime scoperte sono pubblicate nel Sidereus Nuncius, del 1610. La prima parte è occupata dalle osservazioni sulla Luna, la cui superficie, lungi dall’essere liscia e levigata, come appare ad occhio nudo, è descritta come ricca di rilievi, con alte montagne e profonde depressioni che Galileo pensa siano fiumi, laghi e mari.
Ma Galileo non si limita alle osservazioni dirette dello spazio. Egli considera essenziali, nelle sue ricerche, interpretare i fenomeni naturali, osservati e misurati con esattezza con i suoi strumenti, per mezzo della matematica, e in particolare della geometria. Il linguaggio matematico perde la sua astrattezza e permette allo scienziato di staccarsi dalle apparenze e dagli elementi occasionali e sensibili della conoscenza, per arrivare a formulare leggi generali. L’uso della matematica non è solo un metodo di lavoro, quanto rispecchia una particolare concezione dell’universo e dell’azione divina.
“La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non si impara a intendere la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente parola” (Il Saggiatore)
6.2) Lo sviluppo intellettuale di Galileo è già compiuto molti anni prima che le sue opere, il De Motu, i Massimi Sistemi e le Nuove Scienze, siano scritte. Numerosi indizi, infatti, confermano che:
nel 1602, Galileo ha già notevolmente approfondito lo studio del pendolo e dei piani inclinati, come pure degli effetti della percossa sul moto dei corpi;
nel 1604, è in possesso della legge dell’accelerazione di caduta (che scoprirà del tutto nel 1609);
nel 1607 si pensa che lo scienziato sia già pervenuto a una prima formulazione del principio di inerzia e della relatività;
nel 1609 Galileo lavora intorno ai moti dei proietti e approfondisce il già enunciato principio della relatività; ormai a buon punto è l’elaborazione intellettuale della sua opera sul moto.
La scoperta della legge di accelerazione di caduta del 1609
La posizione della comunità scientifica.
Punto di partenza è la formulazione di Aristotele, non molto chiara, ovvero che ogni moto, per conservarsi, ha bisogno di un motore. Secondo il filosofo ogni corpo rimosso dal suo luogo naturale ha la tendenza a ricongiungersi con esso.
Una spiegazione radicalmente diversa si affaccia solo nel XIV secolo a Parigi, dove sorge una dinamica sostanzialmente nuova in antagonismo a quella aristotelica. Ne è fondatore Giovanni Buridano. Egli spiega l’accelerazione di caduta mediante l’acquisizione, da parte dell’oggetto cadente, di una serie di impeti che si aggiungono alla sua gravità: man mano che il grave prosegue la sua caduta, il suo moto diventa sempre più veloce perché si allontana sempre di più dal punto dal quale ha cominciato a cadere. Nicola Oresme introduce la rappresentazione grafica del moto in relazione a due assi ortogonali che egli chiama Longitudo e Latitudo.
La posizione di Galileo
Nel De Motu, Galileo spiega l’accelerazione di caduta come il risultato di due forze contrastanti, di cui una, la virtù impressa (impeto), si consuma da sé col tempo, e l’altra, il peso, esercita un’azione costante. Per Galileo l’impeto, invece di accentuare l’azione della gravità, la ostacola, dapprima in misura molto forte e poi sempre meno sensibile. Ne risulta che, se il moto naturale potesse continuare all’infinito, la sua velocità non si accrescerebbe a tale tempo.
Senza questa scoperta non sarebbe possibile né l’esatta trattazione della composizione dei moti in generale, né la matematizzazione della scienza del moto. Attraverso il legame con la composizione dei moti, viene in piena luce l’importanza che l’esatta formulazione della legge ha per la soluzione del problema cosmologico.
Un’altra teoria: il principio di inerzia
Galileo sostiene, in diversi contesti, l’impossibilità di un moto veramente inerziale. Egli afferma che solo il moto circolare può conservarsi indefinitamente.
E’ opportuno tener presente una distinzione fondamentale tra il piano cosmologico- architettonico e quello dinamico.
Quando Galileo sostiene che solo il moto circolare è perpetuo, perché il moto rettilineo introdurrebbe un elemento di disordine nella compagine ben ordinata del cosmo, non si vale di una considerazione dinamica, ma architettonica, la cui verità non può essere negata da alcuno.
Quando, invece, spiegando come la rotazione diurna della Terra non abbia effetti rovinosi, Galileo fa vedere che il moto circolare è in realtà la risultante di una “proiezione per la tangente” e della “propria gravità” del mobile, fa ricorso a una considerazione dinamica. Galileo ha chiaro il principio d’inerzia anche su scala cosmologica e ciò risulta dalla sua teoria sulle maree, nella quale egli applica quella tendenza dei corpi a muoversi di moto rettilineo uniforme nella quale si identifica il principio di inerzia.
Il moto della Terra
Galileo sviluppa tutta una serie di argomentazioni per dimostrare la possibilità del moto della Terra. Si propone di vedere se, nei corpi separati dalla Terra, si scorge apparenza alcuna di movimento, il quale egualmente competa a tutti. Per determinare se la Terra si muova, è necessario ritrovare, per così dire, un’immagine negativa di tale moto in tutti gli altri corpi dell’universo.
Un moto comune a tutti i corpi esterni alla Terra è la rotazione diurna, ossia quel moto apparente della volta celeste in virtù del quale tutti i corpi celesti compiono una rotazione da est a ovest in ventiquattro ore. Tale moto sarà, dunque, un’apparenza, un’immagine negativa della rotazione della Terra da ovest a est. E’ praticamente dimostrato che un eventuale moto non influisce sul comportamento dei corpi che ne fanno parte, o che una tale influenza, se esiste, è pressoché insensibile; in secondo luogo l’intenzione di Galileo è quella di far vedere che il moto diurno della Terra può considerarsi, in pratica, un moto inerziale, anche se sul nostro pianeta il solo piano veramente orizzontale è la superficie sferica. E’ evidente che si tratta di considerazioni di carattere architettonico (o cosmologico) e non dinamico.
Per quanto la dimostrazione data da Galileo del perché la rotazione della Terra non abbia effetti distruttivi sia insoddisfacente, rimane tuttavia acquisito che il moto per la tangente è quello della vertigine diurna e che la rotazione della Terra non è abbastanza veloce da determinare i disastrosi effetti paventati da Tolomeo.
6.3) Il Dialogo sopra i Massimi Sistemi (1632) è l’opera scritta da Galileo nel corso della sua maturità intellettuale, essa riassume gli innumerevoli studi fatti nell’arco della sua esistenza.
In quest’opera e nel testo Le Nuove Scienze (1638), Galileo riassume tutto il suo pensiero cosmologico e scientifico, un insieme di concetti molto complessi, ma sobri e razionali, in cui si trovano le basi di una nuova disciplina, la dinamica.
Nei Massimi Sistemi si propone di dimostrare la verità del sistema copernicano e la prima parte è sostanzialmente un’analisi critica dei due libri del De Caelo di Aristotele. Lo scienziato introduce anche un concetto di gravitazione vicino a quello copernicano e mette in luce il fatto che la Luna e il Sole non sono inalterabili, ma che anzi la prima presenta numerose somiglianze con la Terra, che diventa un globo mobile e vagante come la Luna, Giove e Venere.
Ammettendo il moto della Terra e situando il Sole al centro dell’universo, il moto del corpi celesti da oriente a occidente si rivela illusorio. L’universo acquista una struttura architettonica razionale, mentre nel mondo tolemaico gli orbi planetari non avevano alcun rapporto tra loro. Ai tempi di Galileo, l’attribuzione del moto diurno alla Terra rappresenta un grande vantaggio rispetto all’astronomia tradizionale e il principio fondamentale, al fine della spiegazione del moto diurno e di tutti i fenomeni che accadono sulla Terra, è quello della composizione e dell’indipendenza dei moti.
Secondo questo principio un corpo, sollecitato contemporaneamente da due moti diversi, si muove secondo la risultante. In questo modo Galileo abbandona la concezione aristotelico-telemaica sulla gravità. La principale difficoltà contro l’adozione del moto annuo della Terra, è il fatto che in tal caso si dovrebbe osservare anche qualche mutazione delle stelle fisse. La soluzione che Galileo dà di questo problema, è che l’orbita della Terra è come un punto rispetto alla sfera delle stelle fisse, di conseguenza insensibile risulta la sua proiezione sulla sfera.
Per Galileo, nel sistema Terra-Luna-Sole, il legame che unisce tra loro i corpi non è un legame “materiale”; questo legame, come oggi sappiamo, è gravitazionale.
L’unica prova certa del moto della Terra è vista da Galileo nel fenomeno delle maree, il quale flusso consiste in una sorta di attrazione che la Luna esercita sull’acqua mediante una forza derivante da un’affinità di natura. L’attrazione lunare tende a conferire al globo fluido una forma ellittica, con l’asse orientato nella direzione della forza esercitata. Il periodo mensile e quello annuo si spiegano, a loro volta, mediante la posizione della Terra, della Luna e del Sole, nel corso del mese e dell’anno.
Galileo sembra rendersi conto che il legame che unisce i corpi celesti è di natura gravitazionale, ma egli non affronta mai i problemi tecnici dell’astronomia tradizionale, non elabora una “teoria” planetaria, nemmeno nel caso dei “pianeti medicei” da lui scoperti. Il suo interesse è tutto per l’astronomia “filosofica”, ossia per la cosmologia.
6.4) Ma questo suo interesse lo mette in contrasto con la Chiesa, che non tollera che si mettano in dubbio le interpretazioni dei sacri testi. Per la Chiesa ad ogni matematico dovrebbe bastare una supposizione che gli sia utile per interpretare i fenomeni, ma non può accettare che il filosofo metta in dubbio le prove sulla centralità della Terra. Galileo non si cura eccessivamente dei limiti teorici molto precisi imposti da papa Urbano VIII, ritenendoli in fondo una pura formalità.
L’opera incontra ben presto seri ostacoli per la pubblicazione; alla sua apparizione i Massimi Sistemi suscitano l’entusiasmo dei galileiani. Al contrario, i Gesuiti intuiscono subito il profondo significato culturale che prevale sugli stessi meriti scientifici dell’opera e scatenano polemiche destinate a vincere ogni resistenza da parte del papa che, se dapprima era a favore dello scienziato, ora si sente tradito e diventa suo avversario.
Nell’ottobre del 1632 Galileo è convocato dall’Inquisizione a Roma; nei lunghi mesi del processo, motivi teologici e culturali s’intrecciano con la necessità della Chiesa di riaffermare pubblicamente la politica controriformista verso ogni eresia.
Il pontefice rimane turbato dalle violente accuse formulate contro di lui, per aver favorito, con la sua politica antiasburgica, gli eretici protestanti, privilegiando il fattore politico rispetto ai vitali interessi religiosi della Chiesa cattolica e al suo impegno nella lotta all’eresia.
La condanna di Galileo diviene inevitabile. Il 22 giugno, inginocchiato dinanzi alla “congregazione di solenne adunanza”, lo scienziato, ormai settantenne, pronuncia, dopo la lettura della condanna, la sua pubblica abiura.
Seguono anni di lunghe meditazioni, nel quale Galileo porta a termine i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze; in questo testo, che i teologi stranamente non condannano, benché non siano meno copernicani dei Massimi Sistemi, la scienza moderna galileiana appare ormai come un fatto compiuto; nell’opera chi legge trova il suo nuovo universo governato da quelle precise leggi dinamiche che lo scienziato aveva così abilmente ricavato.
7) Isaac Newton (Woolsthorpe, Lincolushire 1642; Kensington, Middlesex 1727) racconta di essere stato attratto dalla caduta di una mela da un albero nel suo giardino, così elabora l’idea che esista un’unica forza di gravitazione universale, come quella che trattiene la Luna lungo la sua orbita attorno alla Terra e attrae i corpi verso il suolo.
Dopo la scoperta della legge di gravitazione costruisce il suo primo telescopio a riflessione, espone poi la teoria della scomposizione della luce bianca: quando un raggio di luce bianca attraversa un prisma di vetro si potrà vedere la scomposizione della luce bianca in altri raggi di colore dell’arcobaleno grazie al diverso angolo di rifrazione.
Gli studi di Newton sulla gravitazione portano alla spiegazione del perché un pianeta si muove lungo un’orbita ellittica e non circolare. Tuttavia, il risultato che Newton ottiene non è quello da lui desiderato, così elabora un nuovo tipo di trattamento delle curve, questo metodo diventerà il “calcolo infinitesimale”.
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Molti scienziati, compreso Newton, pensano che il sistema solare sia una grande macchina, cioè che le diverse parti del sistema solare siano tenute insieme da una forza di gravitazione, il loro moto relativo, secondo la teoria di Newton, è determinato una volta per tutte quando le parti del sistema solare sono messe insieme.
Il modello dell’universo - macchina è adottato anche da altri scienziati “religiosi” come Robert Boyle, che afferma:
“...risalta maggiormente la sapienza di Dio nella costruzione della fabbrica dell’universo, cioè il fatto che Egli abbia realizzato un così complesso meccanismo che, facendo uso solo della materia bruta e del suo generale e normale contributo, si comporta come Egli ha deciso, più di quanto sarebbe avvenuto se Egli avesse usato un supervisore intelligente con il compito di, ogni tanto, regolare, assistere e controllare il moto delle varie parti.”
7.1) Newton si interessa della dinamica; cioè lo studio delle cause che determinano il moto dei corpi, facendo sì che cominci a muoversi invece di restare fermo. Questo suo interesse può realizzarsi grazie agli studi di Galileo Galilei sulla cinematica, cioè lo studio di come si muovono gli oggetti.
Attraverso la dinamica, Newton può spiegare le proprietà che caratterizzano il moto degli oggetti, formula tre principi della dinamica e riesce a ricollegarle alle leggi di Keplero sui movimenti planetari, sulle orbite dei pianeti e sui tempi della loro rivoluzione.
- Prima legge della dinamica: ogni corpo mantiene il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme a meno che su di esso agisca una forza risultante diversa da zero.
- Seconda legge: l’accellerazione subita da un corpo ha la stessa direzione della risultante delle forze agenti ed è proporzionale a essa, inoltre è inversamente proporzionale alla massa del corpo.
- Terza legge: a ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria; in altre parole, le azioni reciproche di due corpi sono sempre uguali tra loro e dirette in versi opposti.
7.2) L'astronomia sperimentale, ovvero l’osservazione diretta di corpi celesti per mezzo del telescopio, ha una forte accelerazione con il perfezionamento del telescopio nei secoli XVII e XVIII.
I più grandi progressi in questo campo avvengono grazie agli studi degli astronomi che seguono.
C. HUYGENS (1629-1695): perfeziona il telescopio, introducendo il micrometro. Dimostra che le variazioni d’aspetto di Saturno sono dovute ad un anello inclinato di 28 gradi sull’eclittica. Misura anche l’accelerazione di gravità.
O. ROEMER (1644-1712): fornisce la prova che la luce si propaga con una velocità determinata.
G.D. CASSINI: dimostra che la Terra è appiattita ai poli; misura il parallasse di Marte permettendo una valutazione della distanza di Marte dal Sole.
J. FLAMSTEED (1646-1719): dimostra che il sistema per rilevare la longitudine in mare aperto, sarebbe impossibile se non si trovasse il modo di stabilire con maggior precisione la posizione delle stelle fisse.
E. HALLEY (1656-1742): perfeziona il pendolo a secondi e determina la posizione di 341 stelle. Newton aveva ipotizzato che le comete si muovessero lungo ellissi molto allungate, Halley calcola forma, posizione e dimensione della traiettoria della cometa del 1682, che assume il suo nome.
J. BRADLEY (1693-1762): scopre che l’asse della Terra subisce un’oscillazione sotto l’influenza della Luna; scopre l’aberrazione delle stelle fisse, un apparente cambiamento nella loro posizione dovuto al moto della Terra rispetto alla velocità della luce.
W. HERSCHEL (1738-1822): costruttore di telescopi di gran precisione, scopre Urano, 800 stelle doppie e oltre 2000 nebulose. Descrive la struttura della via Lattea ed accerta il moto di traslazione del Sole ipotizzato da Bradley. Si può considerare il fondatore dell’astrofisica, perché cerca di scoprire nell’apparente disordine secondo il quale le stelle sono distribuite in cielo, le leggi dei raggruppamenti in sistemi.
G.W. LEIBNIZ (1646-1716): giunge alla concezione del calcolo differenziale, che diviene indispensabile strumento per i matematici posteriori.
L.EULERO ( 1707-1783): dimostra che certe irregolarità dei movimenti della Terra verificatisi dai tempi di Tolomeo sono spiegabili supponendo che il nostro pianeta si muova lungo una traiettoria costituita da un’ellissi variabile e non fissa.
J.L. LAGRANGE (1736-1813): studia le perturbazioni del sistema solare.
P.S. LAPLACE (1749-1827): sviluppa le indagini sulle perturbazioni secolari del sistema solare individuate da Lagrange e riassume i risultati delle indagini astronomiche del suo secolo nell’opera Trattato di meccanica celeste (1799-1825). A lui si deve “l’ipotesi della nebulosa” sull’origine del sistema solare.
G. PIAZZI (1746-1826): scopre il pianetino Cerere, grande circa 1/4 della Luna e dà inizio alla scoperta degli asteroidi.
F.W. BESSEL (1784-1846): misura per la prima volta la distanza di una stella, ottenendo il valore di circa undici anni luce.

Esempio



  


  1. Azia

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