Le classificazioni stellari e il diagramma H-R

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Categoria:Astronomia

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Testo

CLASSIFICAZIONI STELLARI E DIAGRAMMA HR
Le classificazioni stellari
In astronomia sono utilizzati diversi metodi per classificare le stelle. Sicuramente il parametro più importante è costituito dalla massa, tuttavia tale valore è molto difficile da stimare nella maggior parte dei casi.
Per questo motivo le stelle sono classificate secondo parametri più semplici da rilevare, anche se meno fondamentali.
I criteri di classificazione oggi comunemente usati sono tre: il primo si basa sul legame esistente tra lo spettro stellare e la temperatura superficiale (classi o tipi spettrali), il secondo sul legame tra la gravità superficiale (quindi la massa di una stella) e la sua luminosità (classi di luminosità) e il terzo sull’abbondanza chimica degli elementi pesanti (popolazioni stellari).
Prima di parlare di tipi spettrali stellari, è necessario introdurre la nozione di spettro per la radiazione elettromagnetica.
Lo spettro della luce
Nel 1666 Isaac Newton scoprì che la luce solare poteva essere scomposta in quello che egli definì lo “spettro dei colori”.
Newton fece passare un fascio di luce solare attraverso un prisma di vetro a sezione triangolare, e trovò che il raggio si allargava, formando una striscia colorata costituita a bande di luce rossa, arancione, gialla, verde, blu, indaco e violetta, in cui ogni colore sfumava nell’altro.
Nel 1814 il fisico tedesco Joseph von Fraunhofer compì un passo in avanti nello studio della radiazione visibile, osservando che lo spettro della luce solare era solcato da numerose righe scure. Tali righe vennero poi denominate righe di Fraunhofer.
La spiegazione fisica delle righe avvenne nel 1859, ad opera dello scienziato tedesco Gustav Kirchhoff. Le righe scure (righe di assorbimento) erano dovute all’assorbimento della luce da parte dei diversi elementi chimici presenti nell’atmosfera solare.
In definitiva, dato che a ogni gruppo di righe è associato un ben determinato elemento chimico, come se fosse una sorta di “impronta digitale”, studiando lo spettro della radiazione che ci giunge dalle stelle, possiamo risalire all’esatta composizione chimica della superficie delle sorgenti emittenti.
Misurando l’intensità delle diverse righe spettrali, è inoltre possibile risalire alla temperatura del materiale che produce le righe.
A volte gli spettri possono presentare solo righe brillanti (righe di emissione), corrispondenti ad esempio all’emissione della luce da parte di determinati atomi posti in una regione molto calda della stella.
La nascita della classificazione spettrale
Sin dai primi esperimenti di spettroscopia ci si chiese se fosse possibile raggruppare gli spettri delle stelle osservabili, in un numero più o meno ristretto di classi: nacque così l’idea della classificazione spettrale.
Fu Padre Angelo Secchi, gesuita, a iniziare l’osservazione sistematica degli spettri stellari, nella seconda metà dell’Ottocento. Lo scienziato si accorse che era possibile suddividere gli spettri stellari in 5 diversi tipi (classificazione di Secchi) e che al colore di una stella era associato sempre un particolare spettro.
Padre Secchi si chiese quale fosse la ragione fisica delle diversità tra i vari tipi spettrali, riuscendo a intuire che il parametro da cui dipendeva il tipo spettrale delle stelle fosse la temperatura (nonostante che non fossero ancora note le leggi di Planck sull’emissione e l’assorbimento della radiazione elettromagnetica).
All’epoca era risaputo che un metallo portato all’incandescenza diventa prima rosso, poi arancione, poi bianco, man mano che la temperatura aumenta.
Padre Secchi, ammettendo che fosse possibile paragonare la stella a un metallo incandescente, capì che il colore rosso, giallo o bianco di una stella non era altro che la manifestazione di una diversa temperatura superficiale.
La classificazione di Harvard
Quando la tecnologia applicata alle osservazioni spettrali migliorò, grazie soprattutto all’introduzione di tecniche fotografiche, ci si accorse che la suddivisione di Padre Secchi non era più sufficiente a classificare gli spettri stellari.
L’Osservatorio di Harvard iniziò allora una catalogazione sistematica di spettri stellari: si trovò che gli spettri del 99% delle stelle possono essere classificati in 7 classi suddivise ognuna in 10 sottoclassi, secondo una sequenza continua.
Le classi furono indicate con le lettere O, B, A, F, G, K, M e le sottoclassi ponendo un numero compreso tra 0 e 9 a fianco della classe.
La classificazione di Harvard consiste in una sequenza corrispondente a una variazione continua del colore (o della temperatura), ponendo le stelle azzurre (o più calde) alla sinistra e quelle rosse (o più fredde) a destra.
Si parla così dei primi tipi spettrali (O, B), dei tipi intermedi (A, F, G) e dei tipi avanzati (K, M).
Il rimanente 1% delle stelle è raccolto nelle seguenti classi, estensioni delle classi principali:
• classi WC e WN (stelle Wolf-Rayet) poste all’inizio della sequenza spettrale, prima delle stelle O. La classe W è costituita dalle stelle più calde che si conoscano.
• classi R, N, (stelle al carbonio) poste all’altro estremo della sequenza, come diramazioni della classe G.
• classe S, diramazione della classe K.
Tabella della classificazione di Harvard
Classe
Temperatura (K)
Caratteristiche principali dello spettro
Colore
Esempi
WC,
WN
60 000
50 000
Righe di emissione molto larghe e brillanti, con C ionizzato (WC) e N ionizzato (WN)
Blu intenso
V444 Cygni
O
50 000
28 000
Righe di assorbimento di He+, He, H e C, Si, N, O ionizzati, alcune righe di emissione
Blu intenso
Alnitak, Zeta Puppis
B
28 000
9900
Righe di He neutro alla massima intensità
Blu
Rigel, Spica
A
9900
7400
Righe di H alla massima intensità
Blu-bianco
Sirio, Vega, Altair
F
7400
6000
Righe di H deboli, righe di Ca+ e dei metalli più intense
Bianco
Stella Polare, Procione, Canopo
G
6000
4900
Righe dei metalli intense (Ca+, Fe, Ti, ecc.)
Giallo
Sole, Capella
K
4900
3500
Righe dei metalli neutri molto intense. Compaiono bande molecolari
Arancio
Arturo, Aldebaran
M
3500
2000
Bande di assorbimento delle combinazioni molecolari molto intense, soprattutto ossido di Titanio (TiO)
Rosso-arancio
Betelgeuse, Antares
R, N
3500
2000
Bande di assorbimento molecolare di C2 e delle sue combinazioni quali l’ossido di carbonio (CO) e il cianogeno (CN) (stelle al carbonio)
Rosso
BL Ori
S
3500
2000
Bande di assorbimento dell’ossido di zirconio (ZrO)
Rosso
U Cas
Le classi di luminosità
Il secondo criterio utilizzato per classificare le stelle è quello basato sulla loro luminosità e fu introdotto da W. Morgan, P. Keeman e E. Kelman dello Yerkes Observatory, nel 1942.
La classificazione, denominata MK, dalle iniziali degli astronomi che l’hanno proposta, si basa sul legame esistente tra la luminosità e la temperatura per determinati gruppi di stelle; essa aggiunge, per così dire, una “seconda dimensione” alla classificazione di Harvard.
La luminosità di una stella (cioè la quantità di energia irraggiata ogni secondo) dipende sia dalla sua temperatura superficiale, sia dall’area della superficie stessa (cioè dalla dimensione della stella), e quindi può variare notevolmente all’interno di una determinata classe spettrale.
Infatti, se le temperature delle atmosfere stellari non differiscono che per una decina di volte, la differenza per i diametri raggiunge quasi un milione di volte.
Per tener conto di questi aspetti nella classificazione stellare, sono state introdotte le seguenti classi di luminosità:
Classe
Tipo di stella
Ia
Supergigante brillante
Iab
Supergigante intermedia
Ib
Supergigante debole
II
Gigante brillante
III
Gigante normale
IV
Subgigante
V
Nana di sequenza principale
VI
Subnana (Subdwarf, SD)
VII
Nana bianca (White dwarf, WD)
La classificazione completa di una stella è allora quella che unisce la classificazione di Harward alla classificazione MK. Ad esempio il Sole è una stella G2V, Arturo K1,5IIIp, Vega AOV, Rigel B8Iae; il suffisso “p” indica uno spettro peculiare e quello “ae”, uno spettro con normali righe di emissione.
Le popolazioni stellari
La nozione di popolazione stellare fu introdotta da Walter Baade nel 1944, per interpretare le sue osservazioni sulla galassia di Andromeda, la grande galassia più vicina alla nostra. Lo scienziato avanzò l’ipotesi che in Andromeda, nella nostra Galassia e in altre simili, esistessero due classi di stelle, che denominò Popolazioni.

• Le stelle di Popolazione I sono giovani, poste principalmente sul piano della Galassia e in particolare nei bracci a spirale. Le stelle più brillanti di questa Popolazione sono stelle azzurre molto calde, ma si trovano anche stelle più fredde, compreso il Sole.
Le stelle di Popolazione I sono relativamente ricche di metalli (per gli astronomi ciò significa tutti gli elementi tranne idrogeno e elio), poiché esse si sono formate da nubi molecolari “fecondate” da generazioni precedenti di stelle. Le stelle più vecchie, infatti, al termine del loro ciclo evolutivo hanno disperso nello spazio, tramite enormi esplosioni stellari, gli elementi pesanti prodotti al loro interno per nucleosintesi.
Per quantificare l’abbondanza degli elementi pesanti, in astronomia si utilizza il parametro della metallicità (Z), definita come il rapporto tra l’abbondanza degli elementi più pesanti dell’elio e l’abbondanza dell’idrogeno. Il Sole ha Z = 0,02.
• Le stelle di Popolazione II sono più vecchie di quelle di Popolazione I e non esistono come queste da qualche miliardo di anni ma da circa una decina di miliardi di anni.
Esse hanno, infatti, una bassa metallicità, il che significa che esse si formarono in un’epoca remota quando i metalli non esistevano ancora.
La Popolazione II è generalmente dispersa nell’alone galattico, in zone relativamente povere di gas e polveri. Le stelle più brillanti sono rosse.
Ulteriori ricerche hanno stabilito che la ripartizione delle stelle nelle due popolazioni è un po’ più complessa, anche perché le differenze tra due popolazioni sfumano l’una nell’altra.
Inoltre alcuni astronomi hanno introdotto la Popolazione III, un’ipotetica Popolazione composta da stelle di grandissima massa, probabilmente comparse prima della formazione delle galassie, e ormai estinte da tempo.
Tabella delle Popolazioni stellari nella Via Lattea
Caratteristiche
Popolazione I
Gruppo della Popolazione di disco
Popolazione II
Gruppo della popolazione di alone
Bracci a spirale
Giovane
Intermedio
Vecchio
Medio
Estremo
Oggetti tipici
Gas e polveri interstellari,
stelle O e B in associazioni stellari e giovani ammassi aperti, supergiganti, Cefeidi, T Tauri, alcune stelle A
Stelle A, F, da A a K giganti, alcune G, K, nane M e nane bianche
Sole, la maggior parte delle G, alcune nane K e M e nane bianche, alcune subgiganti e giganti rosse, nebulose planetarie
Alcune nane K e M e nane bianche, alcune subgiganti e giganti rosse, stelle moderatamente povere di metalli, variabili a lungo periodo, RR Lyrae con periodi inferiori a 0,5 giorni
Variabili giganti rosse, stelle a alta velocità estremamente povere di metalli
Variabili RR Lyrae con periodi maggiori di 0,5 giorni, alcune subnane, stelle estremamente povere di metalli, giganti rosse
Età in 109 anni
< 0,1
~ 1
~ 5
< 10 (?)
~ 10 ÷ 15
~ 10 ÷ 15
Collocazione
Bracci a spirale
Disco sottile
Disco
Nucleo e disco spesso
Nucleo e alone
Alone
Orbite galattiche
Circolari
Bassa eccentricità
Moderata eccentricità
Considerevole eccentricità
Molto eccentriche
Estremamente eccentriche
Metallicità (Z)
0,04
0,04
0,03
0,02
0,01
0,003
La scala delle magnitudini
Sicuramente le informazioni più esaurienti sulla radiazione proveniente dalle stelle sono rappresentate dall’analisi spettrale. Tuttavia, misure spettrofotometriche sufficientemente precise si possono ottenere solo per stelle relativamente luminose, per quelle più deboli non rimane altro che misurare l’energia luminosa ricevuta a Terra.
La scala che si utilizza a questo scopo è la cosiddetta scala delle magnitudini o scala di Pogson.
Questa scala è un sistema vicino a quello introdotto da Ipparco di Nicea nel II secolo a.C. L’importante astronomo greco classificò le stelle in 6 grandezze, definendo le stelle più brillanti di prima grandezza e quelle meno brillanti, a stento percepibili a occhio nudo, di sesta grandezza.
Nel 1854 l’astronomo britannico Norman Pogson dimostrò che l’occhio umano non opera in modo lineare, ma percepisce le differenze di luminosità in modo logaritmico: la differenza di una magnitudine corrisponde a una differenza di luminosità di 2,512 volte.

Nella scala di Pogson la magnitudine 1 è 2,512 volte meno brillante della magnitudine 0, la magnitudine 2 è 6,3 volte (2,5122) meno brillante della magnitudine 0, e così via, come illustrato nella tabella seguente:
Magnitudine
Fattore di diminuzione di brillanza rispetto a una stella di magnitudine 0
1
2,512
2
6,3
3
16
4
40
5
100
10
10 000
15
1 000 000
20
100 000 000
Il sistema così ottenuto si definisce di magnitudini apparenti, poiché in questo caso la magnitudine dipende dalla distanza della stella (più è lontana una stella, meno è brillante) e non fornisce indicazioni sulla sua luminosità intrinseca, cioè sulla quantità di energia che la stella irradia per secondo in tutte le direzioni.
A questo scopo è stata introdotta la magnitudine assoluta, che corrisponde alla magnitudine apparente che avrebbe una stella se fosse posta a una distanza standard, pari a 10 parsec (32,6 a.l.), dall’osservatore.
Il diagramma di Hertzsprung-Russell
Nel 1911 Ejnar Hertzsprung dell’Osservatorio di Copenhagen e, indipendentemente, nel 1913 Henry Norris Russell a Princeton ebbero l’idea di cercare una relazione tra il tipo spettrale delle stelle e la loro magnitudine assoluta.
Il risultato fu il diagramma passato alla storia come diagramma di Hertzsprung-Russell (abbreviato in diagramma HR), uno dei pilastri dell’astrofisica moderna.
Il diagramma HR ha in ascissa il colore delle stelle (e quindi il loro tipo spettrale, in ordine di temperatura decrescente) e in ordinata la magnitudine assoluta (oppure la luminosità in scala logaritmica).
Si può notare che le stelle non si distribuiscono a caso, ma sono concentrate in alcune zone; esiste cioè una correlazione ben definita tra la magnitudine assoluta (luminosità) e lo spettro (colore) di una stella.
La parte superiore del diagramma è occupata da stelle ad alta luminosità e molto grandi (giganti e supergiganti). Come lascia intuire il nome sono stelle dai raggi enormi (sino a 300 raggi solari) e, proprio a causa della grande superficie di emissione, sono le più luminose.
Le stelle della parte inferiore del diagramma sono di debole luminosità e sono chiamate nane; in particolare quelle in basso a sinistra, a causa del loro colore, sono denominate nane bianche.
Queste ultime sono stelle ad alta temperatura, hanno un raggio molto piccolo (paragonabile al raggio terrestre) e una densità elevatissima.
Il 90% delle stelle si dispone lungo la diagonale che va dall’alto in basso e da sinistra a destra, dalle supergiganti blu alle nane rosse, denominata sequenza principale. Queste stelle risplendono traendo energia dalla fusione di idrogeno in elio nei loro nuclei.
La posizione di ogni stella nel diagramma dipende dalla sua natura fisica e dalla evoluzione, perciò si può affermare che il diagramma HR fotografa tutta la storia del sistema di stelle considerato ed è uno strumento formidabile, tra l’altro, per lo studio della composizione chimica e dell’evoluzione stellare.
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