Pop Art

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La Pop Art
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il centro dell’arte moderna si trasferisce da Parigi a New York, che diventa la casa degli artisti dadaisti e surrealisti.
Tra questi dobbiamo nominare Robert Rauschenberg (1925), che da pittore d’espressionismo astratto divenne il padre della Combine-Painting. L’altro pittore è Jasper Johns (1930), che riproduce su tela la bandiera americana e la propone come opera d’arte. Tutte queste arti, che si spinsero per un decennio, erano solo un anticipo di una nuova e rivoluzionaria corrente artistica, la Pop Art.
La Pop Art si rivolgeva ad un pubblico di massa, e, infatti, Pop è l’abbreviazione di popular. Un tipo di arte nuova, che nasceva da una cultura giovanile e richiama l’attenzione sull’esperienza della vita quotidiana. Popular in un caso come questo non significa popolare, ma sta a indicare un’informazione visiva filtrata, assimilata e trasmessa alla massa. Il successo della Pop Art, forse perché indirizzato al popolo, è stato grande: ha influito sul costume e sulla vita quotidiana più di qualsiasi altro movimento di questo secolo. A quest’arte innovativa non è possibile assegnare il nome di avanguardia perché non ha manifesto né programma ideologico e/o artistico. Fu anche questo clima di “indifferenza” a favorire l’arte del popolo: non si poteva dire se fosse ironica, critica, consenziente o favorevole alla società dei consumi. Non si poteva nemmeno dire se fosse un’arte realista o astratta. Un critico americano, Lucy Lippard, assicura che “ la Pop Art è la conseguenza di un ventennio d’arte astratta e quindi, nonostante la presenza di emblemi figurativi, il modo di comporre, l’amore per i colori piatti e le cromie violente e industriali, sono tipicamente astratti.

La Pop Art in Gran Bretagna e negli Stati Uniti
Quella della Pop Art può essere definita come una doppia nascita divisa dall’Atlantico: è comparsa in Inghilterra e rinata in America. Le primissime manifestazioni di quest’arte che rappresentavano una società da poco uscita dalla guerra si tennero in Inghilterra. Famosa è la mostra intitolata “This is tomorrow”, questo è il domani che voleva fare il punto sulla situazione e vita contemporanea. Gli artisti più importanti di questa prima arte popolare erano Richard Hamilton, Eduardo Paolozzi, Peter Blake. In particolare un’opera di Hamilton, un collage fotografico intitolato “E’ proprio questo che rende le case d’oggi così particolari, così attraenti?” offriva tematiche che poi sarebbero state riprese da altri artisti inglesi. Blake si appropriò dell’immaginario popolare, Paolozzi dei colori e dei materiali industriali, Tilson delle parole ingrandite, Jones del fumetto, ecc… L’arte inglese però non fu capace di dare alla Pop Art l’effetto scandalistico americano.
Quello americano fu un successo del tutto diverso da quello inglese. Gli artisti di Pop Art diventavano personaggi alla moda al pari dei veri e propri attori, e venivano fotografati e messi su rotocalchi come dive. Ma i più importanti artisti Pop sono sicuramente, per Lucy Lippard, pochi: Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg, Tom Wesselman e James Rosenquist. Tra questi il più famoso è sicuramente il primo. Andy Warhol (1930-1987) è l’artista Pop più famoso e chiacchierato, ma anche quello più radicale. L’apice del suo successo lo raggiunse quando si staccò da uno stile simile a quello di Lichtenstein per fotografare ciò che gli interessava. L’artista si occupò anche di cinema. Roy Lichtenstein all’inizio fece molto scalpore coi suoi fumetti, che erano l’ingrandimento delle stripes. Ma la sua tecnica di pittura, le sue puntate esplosive, la fine “citazione”di alcuni artisti si sono imposte come commenti e vere e proprie meditazioni sul mondo dell’immagine moderna. La realtà dell’uomo contemporaneo si vive forse più attraverso il filtro dell’immagine stampata che in prima persona; così come le Marilyn Monroe e Jacqueline Kennedy di Warhol sembrano consumarsi, i fumetti di quest’artista diventano riproduzioni tradotte della realtà.

La Pop Art in Italia
Tranne che in gran Bretagna, in Europa non esiste un corrispettivo della Pop americana. Meritano però di essere ricordati alcuni pittori italiani, soprattutto romani, che hanno rappresentato una delle voci più vitali della nostra pittura. Tra questi c’è Mario Schifano, che è diventato uno dei grandi ispiratori delle correnti neopittoriche italiane. Porto all’attenzione che un certo numero di artisti italiani hanno rappresentato scritte o immagini provenienti dal contesto urbano o da quello dell’informazione di massa.
Partiamo innanzitutto con il gia citato Mario Schifano (1934). Questo artista è la persona più complessa del gruppo e usa una pittura monocromatica, carica di emblemi desunti dalla segnaletica stradale. Passò poi a una colorazione gocciolante e piatta. Alcune volte usava anche gli smalti industriali che lo spingevano a scegliere scritte da inserire nei suoi quadri come “Esso” e “Coca-Cola”. In seguito avrebbe dipinto paesaggi, silhouettes e il ciclo del “Futurismo Rivisitato”.
A Milano il rappresentante del gruppo era Valerio Adami (1935), che proponeva una pittura molto piatta e colorata. Anche lui come Lichtenstein disegnava fumetti dal tratto molto sottolineato che ritraevano interni e situazioni quotidiane. Seguono: Mimmo Rotella, che fin dagli inizi degli anni sessanta aveva inglobato nei suoi décollage frammenti di scritte o immagini pubblicitarie; Franco Angeli, che si concentra su emblemi pieni di significati plurimi (come l’aquila delle banconote americane o le insegne nazifasciste); Tano Festa, che aveva dato inizio a cicli pittorici che ripetevano le opere degli artisti del passato; Rio Ceroli (1938) la cui fama è legata alle silhouettes in legno grezzo e Pino Pascali (1935-1969) dalle sculture esuberanti e multiforme.
Andy Warhol
Andy Warhol (Andrew Warhola: questo il suo vero nome) nacque nel 1928 a Pittsburgh, in Pennsylvania, da genitori cecoslovacchi immigrati. Lavorò per tutti gli anni Cinquanta come grafico pubblicitario a New York, iniziando un’intensa attività di collaborazione con riviste come il New Yorker e Harper’s Bazar, e con agenzie pubblicitarie per calzature e accessori d’abbigliamento femminile. Nel 1952 ebbe luogo la sua prima personale alla Hugo Gallery di New York, con quindici disegni ispirati ai racconti di Truman Capote. Nel 1957 verrà fondata dall’artista la Andy Warhol Enterprises, un’azienda per la commercializzazione delle sue opere, già basate sulla ripetizione e sulla uniformità seriale di immagini, già ampiamente diffuse dai mass-media, riproducenti oggetti di consumo industriale. I primi anni Sessanta saranno fondamentali per la sua produzione artistica, che accusava ed esaltava, al tempo stesso, la società di cui egli stesso si proponeva come integrato e consumatore, fino a divenire un’autentica star. Tra il 1960 e il 1961 scoprì i dipinti di Lichtenstein ispirati ai fumetti, pittore che contribuì moltissimo alla diffusione della Pop Art americana. Nel 1962 un incidente aereo, in cui morirono centoventinove persone, ispirò il soggetto della prima serie di opere di Warhol intitolata Death and Disaster. Iniziò, contemporaneamente, anche la serie delle scatolette di zuppa Campbell, delle bottigliette di Coca Cola, e quella dei ritratti di Marilyn Monroe, di Elvis Presley e di altri personaggi dello spettacolo e della politica. La tecnica usata da Warhol fu quella del riporto fotografico, con i violenti colori industriali, creando un procedimento artistico meccanico. Egli sarà autore di film e cortometraggi sulla stessa tematica, che realizzerà insieme ai collaboratori del suo studio, la famosa Factory, dove si svolgevano le attività artistiche e mondane del gruppo della Pop Art. Fu proprio in quella sede, a Manhattan, che il 3 giugno del 1968 Valerie Solanis, un’attivista del femminismo, sparò ad Andy Warhol, ferendolo gravemente. La produzione di Warhol ebbe un gran successo di mercato che portò l’artista ad esporre in tutto il mondo: a Montreal, Osaka, Pasadena, Chicago, Londra, Parigi e New York. Le sue produzioni di video e progetti televisivi, i suoi ritratti di divi di Hollywood e le sue pubblicazioni continuarono per tutti gli anni Settanta e Ottanta, fino all’esposizione a Milano del Last Supper, ispirato all’Ultima cena di Leonardo. Nel 1980 fonda una televisione dal nome “Andy Warhol’s TV”. Warhol morì il 22 febbraio 1987 in un ospedale di New York, in seguito a un’operazione chirurgica alla cistifellea. Verrà sepolto a Pittsburgh, dove nel 1990 nasce l’Andy Warhol Museum.
Andy Warhol rifiuta per intero la storia dell’arte; è per questo che l’arte di Warhol si muove unicamente nelle coordinate delle immagini prodotte dalla cultura di massa americana. La sua arte prende spunto dal cinema, dai fumetti, dalla pubblicità, senza alcuna scelta estetica, ma come istante di registrazione delle immagini più note e simboliche. L’opera intera di Warhol appare quasi un catalogo delle immagini-simbolo della cultura di massa americana: si va dal volto di Marilyn Monroe alle inconfondibili bottigliette di Coca Cola, dal simbolo del dollaro ai detersivi in scatola, e così via. In queste sue opere non vi è alcuna intenzione polemica nei confronti della società di massa: esse ci documentano qual’è divenuto l’universo visivo in cui si muove quella che noi definiamo la «società dell’immagine» odierna. Il percorso artistico di Warhol si è mosso tutto nella cultura newyorkese, nel momento in cui New York divenne la capitale mondiale della cultura. teatro del cinema.
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