Saldatura ossiacetilenica

Materie:Altro
Categoria:Tecnologia
Download:1443
Data:06.10.2006
Numero di pagine:21
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
saldatura-ossiacetilenica_1.zip (Dimensione: 188.46 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_saldatura-ossiacetilenica.doc     278.5 Kb


Testo

Saldatura Ossiacetilenica
Ricci Christian III MB
SALDATURA OSSIGAS
La saldatura consiste nell'assemblare pezzi metallici, con o senza metallo d'apporto, mediante fusione graduale del metallo di base.
Nel caso della saldatura con metallo d'apporto, quest'ultimo deve presentare una temperatura di fusione e caratteristiche meccaniche equivalenti a quelle dei pezzi da assemblare.
Questo procedimento è utilizzato per applicazioni di fai-da-te, manutenzione, riparazione...
E' necessario impiegare una fiamma ossicombustibile fortemente riducente. L'acetilene permette di ottenere saldature di buona qualità.La saldatura manuale ossiacetilenica è un procedimento di saldatura autogena per fusione, che sfrutta la combustione dell'acetilene ad opera dell'ossigeno.
L'ossigeno
L'ossigeno si trova nell'aria ad un tenore del 21% circa. E' un gas comburente incolore, inodoro e insapore. Il sistema di conservazione e trasporto avviene in bombole la cui pressione massima è di 200 kg/cm2.
L'acetilene
L'acetilene è un gas combustibile senza colore e senza sapore, ma con un odore molto caratteristico. E' molto infiammabile se mescolato con l'aria o con l'ossigeno. In presenza di rame, argento, leghe di rame contenenti più del 70% di questo metallo, o di mercurio, si può formare un prodotto esplosivo. Per impiegarlo industrialmente viene disciolto nell'acetone riempiendo le bombole di una materia porosa atta a ritenere l'acetone con l'acetilene in esso disciolto.
Scheda tecnica OSSIGENO:
1 FORMULA CHIMICA O2
2 PROPRIETÀ FISICHE
2.1 Caratteristiche generali
È un gas incolore, inodore, indispensabile alla respirazione e alla combustione, a reazione
ossidante.
2.2 Densità
La densità dell'ossigeno, riferita a quella dell'aria a 0°C, pari a 1,10; la sua massa volumica, in
condizioni di temperatura e pressioni normali, è di 1,4289 kg/m3.
2.3 Punto critico e punto di liquefazione
L'ossigeno liquefa alla pressione critica di 50,43 bar ed alla temperatura critica di -118,574°C; il
suo punto di liquefazione a pressione atmosferica è -182,97°C.
2.2.1 Solubilità
L'ossigeno è moderatamente solubile in acqua: la sua solubilità decresce con l'aumentare della
temperatura.
2.5 Infiammabilità
L'ossigeno è la sostanza comburente per eccellenza e forma miscele esplosive con i gas
combustibili.
2.6 Tossicità
L'ossigeno non provoca alcun effetto nocivo se contenuto in aria in concentrazione variabile tra il
17% e il 75%.
2.6.2 Corrosione
L'ossigeno puro non è corrosivo e può essere impiegato con tutti i metalli di normale uso; ad alta
pressione occorrono, tuttavia, particolari precauzioni nella scelta dei materiali.
3 CARATTERISTICHE DI PERICOLOSITÀ
3.1 Reazioni chimiche
Reagisce con tutti i combustibili dando fuoco a pericolo di esplosione edincendio: tale pericolo è
particolarmente grave quando l'ossigeno viene a contatto con olio e grassi.
3.2 Effetto ustionante
L'ossigeno allo stato liquido può provocare ustioni da freddo per contatto con l'epidermide.
4 PRODUZIONE
L'ossigeno è prodotto mediante liquefazione dell'aria.
5 UTILIZZAZIONE
L'ossigeno è usato industrialmente per aumentare la temperatura di combustione in moltiprocessi
quali:
- saldatura dei metalli
- siderurgia
- vetreria
È usato nell'industria chimica come ossidante in numerose reazioni di processo. Può essere
trasportato sia allo stato gassoso in bombole sotto pressione che allo stato liquefatto in contenitori
a bassa temperatura.

Scheda tecnica ACETILENE
1 FORMULA CHIMICA C2 H2
2 PROPRIETÀ FISICHE
2.1 Caratteristiche generali
Gas incolore, di odore agliaceo, infiammabile, soggetto a fenomeni di decomposizione e
polimerarizzazione. Non è tossico, ma ha azione narcotica.
2.2 Densità
L'acetilene ha densità a 0°C, riferita all'aria, di 0,91; la sua massa volumica, in condizioni normali
di pressione e temperatura è di 1,1747 kg/m3; a temperatura di 15°C a pressione atmosferica è di
1,117 kg/m3.
2.3 Punto critico
L'acetilene si liquefa allapressione critica di 61,91 bar e alla temperatura critica di 35,18°C.
2.4 Solubilità
L'acetilene è solubile in acetone, che ne scioglie 24 volte il suo volume a pressione atmosferica; è
pure solubile in molti altri solventi, tra I quali di particolare interesse la dimetilformamide.
2.5 Infiammabilità
Il limite di infiammabilità in aria a pressione atmosferica (760 mm Hg) ed alla temperatura di
15°C è compreso tra 1,5% e 82% in volume di acetilene: la temperatura di accensione in aria a
pressione atmosferica è di 300%.

2.6 Tossicità
L'acetilene non è tossico, ma agisce come narcotico. Ad levata concentrazione nell'aria può
diventare asfissiante, a causa della riduzione del tenore di ossigeno nell'atmosfera che ne
consegue.
2.7 Corrosione
L'acetilene non corrode, a temperatura ordinaria, I materiali metallici, con eccezione del rame,
argento e mercurio con I quali forma dei composti suscettibili di dar luogo ad esplosione.
3 CARATTERISTICHE DI PERICOLOSITÀ
3.1 Esplosione
L'elevato grado di instabilità dell'acetilene può provocare la decomposizione della molecola con
fenomeni di esplosione.
Allostato gassoso l'acetilene è stabilea pressione atmosferica, ma portato a pressione superiore a
1,5 kg/cm2 diventa esplosivo.
Allo stato liquido, a temperatura ordinaria, è fortemente esplosivo.
L'esplosione può essere innescata da urti, detonazioni o altre cause ed avviene con notevole
sviluppo di calore. Per consentirne l'impiego, l'acetilene viene prodotto allo stato gassoso e
raccolto in gasometri a pressione non superiore a 1,5 kg/cm2. Può essere compresso ma deve
essere stabilizzato mediante soluzione sotto pressione in un solvente (acetone e, più raramente,
dimetilformamide) fissato da una materia porosa contenuta in bombole, a pressione non superiore
a a 1,5 kg/cm2 alla temperatura di riferimento di a 1,5°C.
3.2. Infiammabilità
L'acetilene è particolarmente infiammabile a causa del limite di infiammabilità assai esteso e del
basso valore della temperatura di accensione (ved. Punto 2.5).
3.2 Reazioni con sostanze chimiche
L'acetilene reagisce violentemente a contatto con varie sostanze, in particolare gli alogeni ed i
composti alogenati , dando origine ad esplosioni: reagisce anche con rame, argento e mercurio
formando acetiluri suscettibili di decomporsi violentemente.
4 PRODUZIONE
L'acetilene viene normalmente prodotto in appositi generatori facendo reagire carburo di calcio
con acqua.
È anche ottenuto come sottoprodotto di sintesi organiche o con processo di decomposizione del
metano o del gas di raffineria.
5 UTILIZZAZIONE
Oltre all'uso come materia prima nell'industria chimica per la produzione di numerosi prodotti di
sintesi, l'acetilene viene normalmente usato:
- per la saldatura ed il taglio di metalli con fiamma ossiacetilenica
- per la maturazione artificiale di frutta.
Viene trasportato in bombole che contengono l'acetilene disciolto sotto pressione in solvente entro
materia porosa.
Il posto ossiacetilenico
Un posto ossiacetilenico moderno in generale si compone di :
• Le bombole di gas (Ossigeno : ogiva bianca - Acetilene disciolto : ogiva arancione)
• I riduttori di pressione (Ossigeno e Acetilene)
• Gli accessori (Valvole di sicurezza, tubi gomma, raccordi rapidi di connessione, anelli stringitubo)
• Cannello per saldatura e taglio
Le bombole di gas
Le bombole di gas sono recipienti ad alta pressione in acciaio o in lega leggera costruiti appositamente allo scopo di contenere i gas compressi a 200 atmosfere.
Si differenziano, per i vari tipi di gas, dalla colorazione dell'ogiva (bianca per l'ossigeno, arancione per l'acetilene, grigia per l'argon, ecc.).
I riduttori di pressione
I riduttori di pressione hanno lo scopo di ridurre e stabilizzare la pressione dei gas impiegati.


Le valvole di sicurezza
Le valvole di sicurezza, o dispositivi di sicurezza, impediscono i ritorni di fiamma e di gas verso le bombole, riducendo il rischio di scoppio delle bombole stesse, e scaricano le sovrappressioni, evitando l'esplosione delle valvole per bombole o dei tubi gomma.
Il cannello per saldatura
Il cannello per saldatura è un apparecchio che permette di ottenere una miscela conveniente del gas combustibile con il gas comburente i quali, incendiandosi alla uscita, danno luogo alla formazione di una fiamma stabile, di forma, potenza e proprietà determinate.
FIAMMA OSSIACETILENICA:
GENERALITA'
E' un processo di saldatura autogena tramite fiamma. Il gas utilizzato è una miscela di acetilene e ossigeno che permette di raggiungere una temperatura molto elevata (3030 °C).
Nonostante sia un sistema di saldatura piuttosto semplice, molto utilizzato nelle officine ed in cantiere perché l'attrezzatura necessaria è poco ingombrante e permette di eseguire saldature in posizioni piuttosto scomode, su tubazioni in prima passata.
Con questa tecnica si ha una buona distribuzione di calore sulla superficie da saldare inoltre la fiamma è rigida e quindi ben orientabile.
Di contro l'elevato e diffuso calore, genera zone termicamente alterate molto ampie e ritiri termici elevati. Il processo si applica limitatamente alla saldatura di spessori ridotti, viene quindi utilizzato per saldature di tubi non ripresi di piccoli spessori e lamiere di spessore compreso tra 6 e 8 mm.
ATTREZZATURA
Ossigeno ed acetilene sono forniti da bombole collegate al cannello ossiacetilenico mediante tubi flessibili muniti di valvole di sicurezza. L'afflusso è regolato da rubinetti posti all'estremità dell'impugnatura, all'interno della quale i gas si miscelano nelle proporzioni richieste per poi passare attraverso la lancia e uscire dal beccuccio: quest'ultimo è intercambiabile in modo da poterne adattare il calibro al tipo di fiamma voluto.
La combustione dei due gas avviene all'uscita del cannello; la fiamma deve essere regolata in base al materiale da saldare ad alla protezione atmosferica gassosa da applicare.
Schema di saldatura
FIAMMA OSSIACETILENICA
La fiamma può essere suddivisa in tre zone:
1. Una prima zona è quella immediatamente adiacente all'ugello del cannello; qui avviene la prima combustione detta appunto combustione primaria. L'acetilene reagisce con l'ossigeno fornito dalla bombola e forma monossido di carbonio e idrogeno che, in questa fase, non partecipa ad alcuna reazione. In questa prima reazione, a causa della insufficiente quantità di ossigeno che esce dal cannello, non avviene la completa combustione dell'acetilene, e la reazione esotermica fornisce circa un terzo del calore totale generato dalla combustione completa dell'acetilene. La comustione primaria è visibile sotto forma di piccolo cono denominato "dardo" in cui la temperatura è di circa 1200 °C.
La combustione completa avviene nelle immediate vicinanze del dardo grazie all'ossigeno
TIPI DI FIAMMA
La combustione ossiacetilenica è caratterizzata da due stadi. Nel primo stadio, detto combustione primaria il gas acetilene reagisce con l'ossigeno fornito da un recipiente sotto pressione per formare monossido di carbonio CO e idrogeno H2 secondo la reazione:
C2H2 + O2(recipiente) = 2CO + H2
Questa reazione è esotermica ed è responsabile di circa un terzo del calore totale generato dalla combustione completa dell'acetilene.
La scomposizione di acetilene in carbonio e idrogeno libera 227 KJ per mole a 15°C, mentre la parziale combustione del carbonio per formare il monossido libera 221 KJ per mole di carbonio. In questo stadio l'idrogeno non partecipa ad alcuna reazione.
Il calore totale liberato dalla combustione primaria è di 448 KJ per mole di acetilene.
Nel secondo stadio, detto combustione secondaria, che avviene immediatamente dopo il primo stadio, il monossido di carbonio liberato dall'acetilene reagisce di nuovo con l'ossigeno, che questa volta deriva dall'ambiente circostante, per formare anidride carbonica mentre l'idrogeno, anch'esso liberato nel primo stadio, reagisce con l'ossigeno atmosferico per formare acqua secondo le reazioni:
2CO + O2(aria) = 2CO2
H2 + 1/2O2(aria) = H2O
Anche queste reazioni sono esotermiche e sono responsabili dei due terzi del calore totale generato dalla combustione completa dell'acetilene. L'ossidazione dell'idrogeno per formare acqua libera 242 KJ per mole di H2, mentre l'ulteriore ossidazione del monossido per formare anidride carbonica libera 285 KJ per mole di CO.
Il calore totale dalla combustione secondaria è pari a 812 KJ per mole di acetilene.
I due stadi di combustione prendono luogo in due distinte regioni della fiamma sulla torcia di saldatura. La combustione primaria avviene in prossimità dell'ugello della torcia ed ha la forma caratteristica di un piccolo cono, detto dardo, la cui temperatura raggiunge i 3000°C ed è distinguibile per la sua elevata luminosità. La combustione secondaria avviene nella regione che avvolge il dardo ed è a contatto con l'atmosfera. La sua temperatura varia tra i 2500°C e i 1000°C tra il cuore e la punta. Nonostante il dardo contribuisca per un solo terzo al calore totale di combustione, il suo volume ridotto ne aumenta la temperatura ("concentrazione di energia"). Per questo motivo il tecnico saldatore sfrutta la punta del dardo per fondere il metallo mentre la fiamma esterna funge da preriscaldatore per il metallo adiacente al bagno di fusione e rende meno drastico il raffreddamento della saldatura già effettuata.
L'esatta natura chimica, o reattività, della fiamma nei processi di saldatura a gas può essere modificata in modo da ottenere una fiamma chimicamente neutra, riducente o ossidante. La fiamma neutra si ottiene quando il rapporto molare di acetilene e ossigeno rispetta la stechiometria della reazione C2H2+O2=2CO+H2.
Conferendo un eccesso di acetilene alla fiamma la combustione primaria diventa incompleta e una parte di acetilene incombusta entra nella regione del secondo stadio rendendo il processo di saldatura di tipo riducente. Una sufficiente esperienza nel campo della saldatura a gas permette di riconoscere le condizioni chimiche della combustione semplicemente guardando le caratteristiche della fiamma. Una fiamma riducente mostra delle increspature sulla superficie esterna del dardo dovute all'acetilene in eccesso. Una fiamma ossidante è caratterizzata da un dardo piccolo ed appuntito ed è accompagnata da un sibilo molto acuto.
a) Fiamma neutra
b) Fiamma ossidante
c) Fiamma riducente
La fiamma riducente viene sfruttata quando si rende necessaria la rimozione degli ossidi dal metallo e per prevenire la formazione degli stessi in fase di saldatura. Una fiamma ossidante può essere utile per evitare la perdita di elementi volatili per evaporazione, come lo zinco nell'ottone, mediante la formazione di uno strato di ossido impermeabile.
La procedura di accensione ed estinzione della fiamma sulla torcia di saldatura è la stessa per tutti i gas combustibili.
Inizialmente si apre la valvola del gas combustibile e una volta accesa, la fiamma appare debole e giallastra. A questo punto si apre gradatamente la valvola dell'ossigeno finche non si ha la formazione del dardo in prossimità dell'ugello della torcia. Quando le increspature sul dardo, dovute all'eccesso di acetilene, scompaiono, la fiamma è chimicamente neutra quindi l'operatore decide se renderla riducente o ossidante agendo sulla valvola dell'ossigeno.
Per lo spegnimento della torcia si esegue prima la chiusura della valvola del gas e poi quella dell'ossigeno. In questo modo si evita che la fiamma in fase di spegnimento cerchi ossigeno all'interno della linea di conferimento dello stesso causando spiacevoli inconvenienti.
Il processo di saldatura ossiacetilenica è semplice e molto pratico. Richiede un equipaggiamento poco costoso, composto da una bombola di ossigeno ed una di acetilene sotto pressione, due regolatori di pressione, una torcia per miscelare i due gas e due tubi accoppiati per portare i gas dalle bombole alla torcia. Lo svantaggio di questo processo è una limitata potenza della sorgente energetica che implica una saldatura lenta e richiede un elevato calore totale per unità di lunghezza di saldatura a causa della buona conducibilità termica dei metalli.
Fiamma neutra
Quando la combustione dell'acetilene in combinazione con l'ossigeno inizia in prossimità del cannello e termina nella parte iniziale del pennacchio, si ha una fiamma detta Neutra.
Fiamma carburante
Se l'ossigeno erogato non è sufficiente per completare la combustione primaria dell'acetilene, la combustione di quest'ultimo sarà parziale e parte del carbonio costituente l'acetilene rimane libero nella fiamma e tende a passare nel bagno fuso: per questo tale fiamma viene detta "fiamma carburante".
Fiamma ossidante
Contrariamente al caso precedente, la fiamma Ossidante, la si ottiene nel caso di eccesso di ossigeno alla punta del cannello.
Con questa regolazione la combustione avviene immediatamente in prossimità dell'uscita del cannello con una conseguente riduzione, od eliminazione, della zona riducente.
La fiamma, in questo modo, tende a cedere ossigeno al bagno di fusione.
Procedura di avviamento cannello.
Seguire esattamente la seguente procedura di accensione:
1. Impugnare il cannello ed aprire il rubinetto dell'acetilene
2. Accendere la fiamma con un opportuno dispositivo ottenendo una fiamma fuligginosa
3. Aprire il rubinetto dell'ossigeno e regolare secondo la necessità.
Procedura di spegnimento cannello.
Seguire esattamente la seguente procedura:
1. Chiudere il rubinetto dell'acetilene
2. Chiudere il rubinetto dell'ossigeno
3. Chiudere la bombola dell'acetilene
4. Chiudere la bombola dell'ossigeno
I procedimenti di accensione e di spegnimento devono essere eseguiti in queste esatte sequenze per evitare ritorni di gas nelle bombole e possibilii esplosioni.
TECNICHE OPERATIVE
Tecnica da destra a sinistra avanti
Tenere il cannello con la mano destra e la bacchetta con la mano sinistra e procedere da destra verso sinistra con movimento oscillatorio.
Questa tecnica è adatta per la saldatura di lamiere di piccolo spessore, a lembi retti. Dal momento che la sorgente termica investe una zona più estesa abbiamo il rischio di incollature e ingrossamento del grano.
Tecnica da sinistra a destra all'indietro
Tenere il cannello con la mano destra e la bacchetta con la mano sinistra e procedere da sinistra verso destra con movimento oscillatorio trasversale della punta più limitato rispetto alla precedente tecnica.
In questo modo, la sorgente termica è diretta prevalentemente sul bagno e verso la bacchetta con il risultato di ottenere minore diluizione di materiale base e maggiore deposito di materiale d'apporto; inoltre il movimento della fiamma sul bagno non è più oscillatorio come nella tecnica precedente ma rotatorio in modo da creare una specie di vortice in grado di contribuire alla penetrazione del materiale d'apporto. Grazie a questa tecnica si possono saldare lamiere di dimensioni maggiori.
Saldatura ossiacetilenica dell'acciaio dolce
L'acciaio dolce, comunemente chiamato "ferro", è un metallo duttile, malleabile e tenace; il suo punto di fusione è di 1.510° C. Scaldato al rosso ed a contatto dell'aria esso si ossida rapidamente : sul bagno di saldatura tende quindi a formarsi uno strato superficiale di ossido di ferro. Gli acciai dolci ed extra dolci in commercio si possono saldare a perfezione; gli acciai semiduri sono meno facilmente saldabili; gli acciai duri ed extra duri non sono praticamente saldabili con il cannello.
Saldatura ossiacetilenica della ghisa
La ghisa è una lega di ferro e carbonio ed il suo punto di fusione varia da 1.050 a 1.200° C secondo la proporzione di carbonio e di altri elementi che la compongono. La ghisa non avendo alcuna tenacità a caldo nè allungamento, è suscettibile di rottura, ciò che rende difficile la preparazione e l'esecuzione della saldatura. In pratica la saldatura della ghisa si limita a lavori di riparazione.
Saldatura ossiacetilenica dell'ottone
L'ottone è una lega di rame e zinco; esso può anche contenere piccole quantità di stagno, piombo e alluminio. La saldatura dell'ottone dà luogo ai seguenti fenomeni che rendono difficile la sua esecuzione : ossidazione viva del metallo specie a spese dello zinco che volatizza; assorbimento da parte del metallo in fusione di gas, con produzione di soffiature.
Saldatura ossiacetilenica dell'alluminio
L'alluminio quando è puro è un metallo di colore bianco argenteo; è molto malleabile, pieghevole e tenace. La sua conduttività calorifica è assai elevata, la sua tenacità a caldo è debole; la sua temperatura di fusione è di 657° C. L'alluminio si ossida con grande facilità producendo un ossido di alluminio (allumina) che fonde a 2.200° C circa e che, durante la saldatura ostacola fortemente l'unione delle molecole in fusione.
Saldatura ossiacetilenica del rame
Il rame è un metallo di colore rossastro, tenace, malleabile e duttile ed il suo punto di fusione è di 1.083° C. E' un buon conduttore di calore, molto fragile a caldo. A 500° C la sua tenacità è ridotta del 60%. Il rame si salda benissimo quando è puro, ma quando contiene dell'ossido questo per l'azione del calore si trasforma e rende il rame inadatto a qualsiasi lavoro meccanico.
BREVE STORIA DEL RAME
I primi metalli devono essere stati rinvenuti sotto forma di pepite. Deve essersi trattato di pezzi di rame o di oro, dato che questi rientrano nel numero limitato dei metalli che si incontrano talvolta in natura allo stato libero. Il colore rossastro del rame o quello giallastro dell'oro avranno certamente colpito l'attenzione dell'uomo primitivo, e la lucentezza metallica, tanto più bella e interessante del colore piatto e indefinito di quasi tutte le pietre, sarà stato motivo di ulteriore interessamento. È indubbio che i metalli vennero utilizzati in primo luogo come ornamento, indipendentemente dalla forma dei frammenti rinvenuti, così come venivano probabilmente usati i ciottoli o le conchiglie di madreperla.
Il vantaggio dei metalli, rispetto ai vari pezzetti di qualsiasi altra sostanza di bell'aspetto, deriva tuttavia dal fatto che il rame e l'oro sono malleabili; ciò significa che è possibile batterli fino a ridurli in lamine sottili senza che si rompano. Questa proprietà fu senza dubbio scoperta per caso, ma non dovette passare molto tempo dalla sua scoperta prima che il senso artistico dell'uomo lo spingesse a battere i frammenti di metallo, dando loro forme intricate che ne accrescessero la bellezza.
Era inevitabile che chi lavorava il rame si accorgesse che questo metallo era in grado di ricevere facilmente, con la battitura, un bordo più tagliente di quello che si poteva ricavare sugli utensili di pietra. Inoltre, le lame di rame, una volta smussate, potevano venire affilate di nuovo molto più facilmente che non i bordi taglienti degli strumenti di pietra. Soltanto la rarità del rame ne impediva l'utilizzazione su vasta scala negli utensili, oltre che negli ornamenti.
Il rame divenne meno raro, tuttavia, quando si scoprì che non occorreva trovarlo necessariamente sotto forma di rame: era possibile ottenerlo partendo dalla pietra. Non si sa esattamente come, dove, o quando fu fatta questa scoperta, e forse non si saprà mai.
Si può supporre che la scoperta abbia avuto origine in un fuoco di legna, acceso sopra uno strato di sassi comprendenti alcune pietre di colore azzurrognolo. Può darsi che poi, nella cenere, si siano trovate delle pallottolline lucenti di rame. Forse la cosa si ripeté molte volte prima che, alla fine, a qualcuno venisse in mente che, se si trovavano le pietre azzurre adatte, riscaldandole in un fuoco di legna si sarebbe ottenuto ogni volta del rame. La scoperta definitiva può aver avuto luogo verso il 4000 a.C. e può darsi che si sia verificata nella penisola del Sinai, ai confini orientali dell'Egitto, oppure nella zona montagnosa a est della Sumeria, nell'attuale Iran o forse la scoperta si verificò indipendentemente in entrambe le località.
In ogni caso il rame divenne abbastanza comune da venire impiegato negli utensili, almeno nei centri di civiltà più progredita. Una padella di rame trovata in una tomba egiziana viene fatta risalire al 3200 a.C. Nel 3000 a.C. era già stata scoperta una qualità di rame particolarmente dura, prodotta (in principio per caso senza dubbio) riscaldando insieme minerale di rame e minerale di stagno. Questa lega di rame e stagno prende il nome di bronzo. Nel 2000 a.C. il bronzo era già abbastanza comune da venire utilizzato nella fabbricazione di armi e di armature. Sono stati rinvenuti utensili egiziani di bronzo nella tomba di Iteri, che regnò verso il 3000 a.C.
L'avvenimento più famoso dell'età del bronzo fu la guerra di Troia, combattuta da guerrieri muniti di armature e scudi di bronzo, che si scagliavano addosso lance dalla punta di bronzo. Un esercito privo di armi di metallo non sarebbe stato assolutamente in grado di resistere ai guerrieri armati di bronzo, e chi lavorava il metallo, in quei tempi, godeva di un prestigio paragonabile a quello degli ingegneri dei materiali moderni. Il fabbro era un uomo veramente potente e aveva perfino un posto tra gli dei. Efesto, il dio zoppo della fucina, era il fabbro divino della mitologia greca.

IL RAME NELLA TECNOLOGIA MODERNA
Il rame è un materiale rossastro con un punto di fusione di 1083 °C e una densità di 8900 Kg/m3. In natura si trova sotto forma di pirite (CuFeS2) nei giacimenti. La pirite viene macinata ed avviata ad un processo termico di fusione dal quale si estrae ilo rame grezzo.
In questo stato il rame non è utilizzabile in quanto contiene molte impurità come zolfo e ossigeno. Quindi è necessario un processo di raffinamento condotto in appositi forni con atmosfere controllate in modo da ossidare lo zolfo e l'ossigeno, oppure, per una purificazione più accurata, si adottano processi elettrochimici come la deposizione elettrolitica. Nei processi di fusione, tuttavia, il rame tende ad ossidarsi e questo fenomeno può essere evitato controllando le condizioni chimiche del fuso.
Le proprietà meccaniche del rame dipendono sensibilmente dalle sue caratteristiche microstrutturali e dai processi meccanici ai quali è stato sottoposto come rullatura, pressatura, forgiatura e lavorazioni a freddo. La resistenza a trazione del rame così come esce dalla fonderia è di circa 160 N/mm2. La rullatura a caldo e la forgiatura, seguite da ricottura, modificano la microstruttura del rame ed accrescono la sua resistenza a trazione fino a 220 N/mm2. La lavorazione a freddo, come la martellatura e la pressatura, indurisce il rame e ne aumenta ulteriormente la resistenza ma allo stesso tempo ne riduce la duttilità. Lavorazioni a freddo molto pesanti possono portare il rame ad una resistenza paragonabile a quella dell'acciaio dolce, ma a questo punto la duttilità è drasticamente ridotta.
OSSIGENO NEL RAME: Nel rame da fusione il contenuto di ossigeno varia tra il 0.025% e il 0.080% e si trova sotto forma di minuscole particelle di ossido (CuO2). La quantità di ossigeno nel rame è molto importante sotto l'aspetto della saldatura, in quanto la saldabilità del rame è resa estremamente difficile dall'ossido. Durante la fusione l'ossido di rame forma un eutettico con il rame e tende a depositarsi lungo i bordi grano. Questo fenomeno riduce la duttilità del metallo e ne aumenta drasticamente la tendenza a frattura. Se inoltre è presente dell'idrogeno H2, come nel caso di una fiamma riducente nei processi di saldatura a gas, questo reagisce con l'ossido di rame liberando acqua. Quest'ultima, che ovviamente si trova in fase vapore, crea porosità nel rame aumentando la tendenza a frattura. Per i processi di saldatura, tuttavia, è preferibile usare rame quasi completamente privo di ossigeno. A questo scopo si impiegano elementi disossidanti che vengono aggiunti al bagno di fusione come fosforo, silicio, litio, magnesio, ecc...che si combinano con l'ossigeno presente nel rame.
ARSENICO NEL RAME: Una quantità superiore allo 0.05% di arsenico nel rame ha gli effetti di migliorare le proprietà di tenacità e resistenza del metallo. Inoltre viene migliorata la resistenza a fatica e incrementata di circa 100 °C la temperatura di rilassamento degli sforzi in modo da rendere il rame resistente a temperature più alte. Tuttavia, nei processi di saldatura, l'arsenico è un elemento indesiderato perché rende più difficile la saldatura stessa e richiede una maggior competenza dell'operatore.
INDURIMENTO: L'indurimento del rame si ottiene, come si è visto, con la lavorazione a freddo la quale viene preceduta da una leggera ricottura. La sua durezza viene così portata da 50 Brinell fino a 100 Brinell per lavorazioni pesanti.
RICOTTURA: A seguito delle lavorazioni a freddo la microstruttura del rame viene alterata dal gran numero di dislocazioni generatesi. Per recuperare una sufficiente malleabilità si deve effettuare una ricottura sopra i 500 °C. Il raffreddamento dopo la ricottura può essere più o meno drastico, visto che questo non cambia in modo sensibile le proprietà del rame puro. Una rapido raffreddamento, tuttavia, rimuove le impurità e le incrostazioni superficiali. Per ottenere superfici più pulite il rame può essere immerso in acido solforico diluito con 70% di acqua. Una aggiunta di acido nitrico alla soluzione accelera tale processo. La ricottura, ovviamente, viene condotta in atmosfera non ossidante.
CRESCITA DEI GRANI: Con l'analisi al microscopio, il rame lavorato a freddo, mostra una distorsione subita dai grani. Durante la ricottura, come per gli acciai, avviene la ricristallizzazione, e nuovi grani cominciano a formarsi. Questo fenomeno è attivato dall'energia distorsionale immagazzinata dal rame. Se la temperatura di ricottura è troppo alta, o il processo viene eccessivamente prolungato, i grani tendono a crescere troppo. Nel rame, tuttavia, a differenza dell'acciaio, la crescita dei grani è molto lenta. Questo spiega perché, per il rame, la velocità di raffreddamento non cambia di molto le sue caratteristiche microstrutturali.
LE LEGHE DEL RAME
Le leghe del rame più comunemente utilizzate nella saldatura sono:
rame-zinco (ottone); rame-stagno (bronzo); rame-silicio; rame-alluminio; rame-nichel e altre leghe per trattamenti termici come rame-cromo e rame-berillio.
L'OTTONE
Nel rame fuso lo zinco si scioglie con qualsiasi concentrazione formando una soluzione omogenea. In fase solida invece l'omogeneità è garantita solo per contenuti in rame non inferiori al 60% circa. La fase solida omogenea dell'ottone con 70% rame e 30% zinco è denominata fase alfa (a). Se la percentuale di zinco viene incrementata fino al 40% circa, si forma un secondo costituente microstrutturale denominato fase beta (ß) che appare più rossastro del primo. La fase beta è dura e innalza la resistenza a trazione dell'ottone diminuendone però la duttilità.
L'ottone è un metallo dorato che può essere facilmente fuso, forgiato, rullato, pressato e lavorato con utensile. Possiede inoltre una buona resistenza ad ambienti corrosivi come l'acqua marina e trova quindi applicazioni in parti esposte a queste condizioni. La densità dell'ottone varia tra 8200 e 8600 Kg/m3 a seconda della composizione. Anche la sua conducibilità termica ed elettrica è sensibile alla composizione in quanto diminuisce con l'aumentare del contenuto di zinco. I processi di ricottura, idurimento e ricristallizzazione dell'ottone non sono molto differenti da quelli adottati per il rame con la differenza che le durezze raggiungibili lavorando a freddo l'ottone sono di 170-180 Brinell.
IL BRONZO (allo stagno)
Il bronzo è una lega rame-stagno con caratteristiche simili a quelle dell'ottone. Molte armi, soprattutto le pistole, sono fatte di bronzo con una piccola percentuale di zinco (88% rame, 10% stagno, 2% zinco). Questo tipo di bronzo è usato quando si richiedono contemporaneamente resistenza meccanica e resistenza alla corrosione. Nel bronzo fuso viene largamente impiegato il fosforo per le sue spiccate proprietà riducenti, e quindi, per rendere il metallo più puro. Il bronzo allo stagno è anche impiegato come materiale d'apporto nelle saldature. Con questa lega si può saldare acciaio, ottone, bronzo e rame. Questo utilizzo offre il vantaggio di un ridotto impiego di calore grazie al basso punto di fusione del bronzo stesso.
Principio dell’ ossitaglio
Consideriamo una lamiera di acciaio comune mantenuta in forno sopra i 1350 °C. Soffiando contro detta lamiera un veloce e sottile getto di Ossigeno e facendolo traslare, si ottiene un sezionamento per combustione progressiva.
Si può evitare il forno riscaldando sopra i 1350 °C le sole zone di metallo che via via vengono raggiunte dal getto di Ossigeno. Basta adoperare una fiamma ossiacetilenica e farla avanzare sul percorso di taglio, immediatamente inseguita dal getto di Ossigeno.
Ancor più semplicemente l'operazione si compie col cannello per ossitaglio

La cui punta attiva presenta un foro centrale per il getto di Ossigeno (getto di taglio) ed una serie di fori disposti circolarmente attorno, dai quali escono altrettante fiamme ossiacetileniche dette fiamme di riscaldo. Qualunque sia la direzione di spostamento del cannello, si ha così sempre una fiamma che precede il getto dì taglio.

Tecniche di ossitaglio
L'operatore inizia il lavoro di ossitaglio partendo da un lembo della lamiera. Accende le fiamme di riscaldo lasciando chiuso il getto di taglio fino a che, nel punto di partenza, il metallo non ha raggiunta la temperatura di innesco, denunciata dalla incipiente formazione di ossidi fusi.
A questo punto sblocca il getto ed inizia l'avanzamento. Una corretta tecnica di ossitaglio richiede che la velocità di taglio deve essere ben dosata ed infatti: un avanzamento troppo lento non offre al getto di Ossigeno sufficiente Ferro da bruciare mentre un avanzamento troppo veloce non dà tempo alle fiamme di portare la superficie metallica alla temperatura di innesco. In entrambi i casi il taglio si spegne.
L'altezza della punta del cannello deve essere tale da lasciare circa 1 mm fra l'estremità dei dardi e la lamiera.
Nell’ ossitaglio la potenza delle fiamme di riscaldo, espressa in litri/ora di acetilene, dovrà naturalmente crescere in funzione dello spessore da tagliare per compensare le dispersioni di calore. È sufficiente che le fiamme portino il materiale alla temperatura di innesco, per una profondità di 2 ÷ 3 mm. Al riscaldamento del rimanente spessore provvedono le calorie di combustione del Ferro.
L'ossigeno deve essere particolarmente puro dato che la velocità di taglio ne è fortemente influenzata. In prima approssimazione possiamo ritenere che, per ogni 0,1% di purezza in meno, la velocità si riduce di circa il 10%. Così, un Ossigeno con purezza 99,7% taglia 10% più lento rispetto ad un Ossigeno con purezza 99,8%. Anche la portata dell'Ossigeno deve essere proporzionata allo spessore. La portata dipende sia dalla pressione quanto dal diametro dell'orifizio di uscita secondo la relazione:
Q = 0,55 (P + 1) d2 ove:
Q = portata in mc/h
P = pressione Ossigeno in kg/cm2
d = diametro dell'ugello in mm.
La larghezza del sentiero di taglio risulta circa doppia rispetto al diametro del getto di Ossigeno.
Per aumentare la velocità di taglio si può aumentare la pressione dell'Ossigeno ma, al di là di certi valori, le pareti del sentiero di taglio diventano scabre con solchi profondi di erosione. Conviene ovviamente operare nelle condizioni di velocità massima compatibili con un taglio di qualità.
La più corretta velocità di avanzamento è riconoscibile in base alla modalità di evacuazione degli ossidi che debbono abbandonare inferiormente la lamiera sotto forma di pioggia vivace di scintille. Quando gli ossidi cadono a goccioloni, la velocità di avanzamento non è corretta ed anche la qualità del taglio risulta compromessa.

Esempio