Usi e costumi degli antichi romani

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Testo

Usi e costumi dei romani
I personaggi ricchi e influenti spesso vivevano in sontuosi palazzi sui colli, accuditi da un gran numero di servitori e schiavi, a volte centinaia. Giù nelle valli il popolo comune era ammassato in enormi insulae o case popolari di parecchi piani, la cui altezza fu limitata da Augusto a 21 m. Questi isolati di case popolari erano separati da viuzze sudice e tortuose che erano teatro delle normali attività e della corruzione tipiche delle grandi città.
Pochissimi a Roma appartenevano al cosiddetto ceto medio; i ricchi erano una piccola minoranza, forse metà della popolazione era costituita da schiavi — prigionieri di guerra, criminali condannati o ragazzi venduti dai genitori — privi di diritti legali. La maggior parte della metà della popolazione libera era costituita da poveri che praticamente vivevano di sussidi statali.
Per impedire che gli strati poveri della popolazione provocassero tumulti, lo stato provvedeva due cose: viveri e divertimenti, da cui l’espressione ironica panem et circenses (pane e giochi del circo), per dire che bastava questo a soddisfare i poveri di Roma. Dal 58 a.E.V. in poi, il grano veniva in genere distribuito gratuitamente, come pure l’acqua, portata in città mediante acquedotti lunghi parecchi chilometri. Il vino era a buon mercato. Per coloro a cui piaceva leggere c’erano biblioteche. Per lo svago della popolazione in generale c’erano terme, palestre, teatri e circhi. Gli spettacoli teatrali includevano commedie greche e romane, danze e pantomime. Nei grandi anfiteatri e nei circhi si svolgevano gare emozionanti, per lo più spettacolari corse di bighe e violenti incontri gladiatori nei quali uomini e bestie combattevano fino all’ultimo sangue.
I giochi romani erano molto diversi da quelli greci: vi primeggiavano i combattimenti di gladiatori e altre esibizioni di estrema brutalità. I ludi gladiatori ebbero origine nel III secolo a.E.V. come cerimonie religiose che accompagnavano i funerali, e forse avevano stretta relazione con antichi riti pagani nei quali gli adoratori si producevano lacerazioni da cui facevano sgorgare il sangue in onore degli dèi o dei loro morti. I giochi romani furono in seguito dedicati al dio Saturno.
La pratica di combattimenti mortali fra uomini armati ebbe origine in Etruria, nell'Italia centrale, probabilmente come rituale durante i funerali di guerrieri morti. La prima esibizione a Roma ebbe luogo nel 264 a.C. durante una cerimonia funebre. Spettacoli su vasta scala vennero promossi da Giulio Cesare, che in un'occasione fece esibire 300 coppie di combattenti; la più grandiosa competizione gladiatoria fu offerta da Traiano (107 d.C.) con 5000 coppie e la più curiosa fu quella di Domiziano (90 d.C.) tra donne e nani. Reclutati fra schiavi, criminali, prigionieri di guerra e più tardi cristiani, i gladiatori erano allenati in scuole chiamate ludi, e venivano sottoposti a una disciplina e a un addestramento rigidissimi. Un gladiatore di successo era cantato dai poeti, viziato dalle dame dell'aristocrazia e a volte sollevato dall'obbligo di combattere ancora. Talora scendevano nell'arena uomini liberi e cittadini, come accadde sotto l'imperatore Commodo. Quando un gladiatore aveva sopraffatto l'avversario, si volgeva verso gli spettatori: questi, agitando un fazzoletto risparmiavano il perdente, voltando il pollice all'ingiù lo condannavano a morte.
L'imperatore Costantino vietò i combattimenti di gladiatori nel 325 d.C., ma essi continuarono fino al 500.
Queste cose non avvenivano per caso, né sotto l’influenza di qualche strano accesso di frenesia popolare. Avvenivano di proposito, in maniera sistematica, e con calma; costituivano il divertimento principale, direi quasi l’occupazione normale, di un intero popolo, il cui unico udibile grido era per ‘panem et circenses’, ‘pane e sangue.
A chi non aveva gusti tanto sanguinari, Roma offriva una vasta scelta di spettacoli teatrali. Nelle pantomime — brevi spettacoli sulla vita quotidiana — i temi più frequenti erano quelli che versavano intorno a relazioni amorose, a scene di adulterio. Il dialogo era pieno di espressioni, di frasi in uso fra la gente più volgare, i frizzi grossolani e comuni; la declamazione caricata, e comica in sommo grado; le danze scurrili, e queste, eseguite al suono del flauto, formavano una parte principale di quel divertimento. Ci sono prove che durante l’impero romano atti di adulterio venivano compiuti per davvero sul palcoscenico delle pantomime.

Combattimento di gladiatori
In questo mosaico romano del IV secolo a.C., conservato al Museo archeologico di Madrid, due momenti successivi di un munus gladiatorium, spettacolo di lotta che si teneva negli anfiteatri e nei circhi dell’antica Roma: il combattimento tra un murmullio, armato di scudo e pugnale, e un retiarius fornito di un tridente e una rete con cui cerca di avviluppare l’avversario. La dicitura del mosaico ci informa che dei due contendenti, Astyanax e Kalendio, il primo ha vinto (vicit) e il secondo è rimasto ucciso (la O sbarrata accanto al nome è un’abbreviazione per obiit).

Per quel che riguarda la vita coniugale era frequente che le mogli avessero le loro relazioni extraconiugali e i mariti le loro amanti. Anche i ragazzi adolescenti frequentavano i bordelli e avevano relazioni con donne e uomini. Il divorzio si poteva ottenere con facilità. La persona non doveva far altro che dire al suo coniuge dinanzi a testimoni: “Porta via la tua proprietà!” Non era insolito che una coppia si separasse, si sposasse altrove, si separasse di nuovo e riprendesse il vecchio matrimonio. Alcune donne, secondo quanto è commemorato sulla loro tomba, si vantavano di aver avuto otto mariti in cinque autunni.
C’era posto per molte virtù nella vita privata, per la devozione di marito e moglie, per solide lealtà familiari. Ma c’era molto per giustificare la protesta cristiana. Le norme erano troppo basse; l’immoralità era insegnata dal teatro e dai pubblici spettacoli, e i matrimoni erano contratti e sciolti con troppa facilita.
Quando si trattava di bere e mangiare, i Romani manifestavano anche lì mancanza di padronanza di sé. I loro banchetti si trasformavano molto spesso in orge. Agli ospiti erano serviti emetici così che potevano vomitare in un luogo specialmente destinato a questo scopo e quindi tornare alla tavola del banchetto per continuare ad abbandonarsi al sensuale piacere di bere e mangiare.
Un’effettiva iscrizione tombale esprime l’intemperante attitudine dei Romani dicendo: “Bagni, vino, e relazioni amorose, queste cose feriscono il nostro corpo, ma rendono la vita degna d’esser vissuta. Ho vissuto i miei giorni. Ho gozzovigliato e ho bevuto quanto ho voluto. Una volta non ero; poi fui; ora non sono più, ma non me ne importa”.
Le eccellenti qualità di compassione, misericordia, benignità ed empatia non erano comuni fra i Romani. Essi erano moralmente così corrotti da essere insensibili al benessere e alle sofferenze altrui. Nell’esercizio della giurisdizione domestica i nobili di Roma esprimevano acuta sensibilità per qualsiasi personale danno, e sprezzante indifferenza per il resto della specie umana. Quando hanno chiesto acqua calda, se lo schiavo ha tardato a ubbidire, è istantaneamente castigato con trecento frustate; ma se lo stesso schiavo commettesse un omicidio volontario, il padrone dirà con indulgenza che è un uomo buono a nulla, ma se commette di nuovo l’infrazione non sfuggirà alla punizione.

Esempio



  


  1. alyssia

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  2. Fausto

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