Razzismo in America

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Categoria:Storia

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Testo

Con il termine razzismo si intende una visione dell’umanità divisa in razze "superiori" e razze "inferiori" in rapporto a un’eredità biologica: secondo tale teoria lo sviluppo della storia dell’umanità sarebbe conseguenza del predominio delle razze superiori su quelle inferiori. L’ampio dibattito avviatosi a cavallo fra il XIX e il XX secolo sulla "questione della razza", in particolare sulle conseguenze sociali e politiche delle differenze biologiche fra i gruppi umani, vede tuttavia oggi gli studiosi concordi sul fatto che il vero problema non siano le differenze razziali quanto piuttosto il significato negativo che il razzismo, inteso sia come dottrina sia come pratica di discriminazione, attribuisce loro (Giuseppe Maranini,
Eugenio Capozzi, La Costituzione degli stati uniti d’America, Einaudi, Roma, 2003, pg 237). Il termine "razza", da cui deriva razzismo, è di incerta origine e fu introdotto nelle lingue europee intorno al XVI secolo; venne usato nel Libro dei martiri (1563) di John Fox per indicare la stirpe. Il termine razza tornò a essere impiegato in relazione alla relativa arretratezza tecnologica degli africani, che venne considerata frutto delle loro condizioni di vita malsane (dovute sia al clima sia alla mancanza di istituzioni politiche e sociali che ne promuovessero il progresso) e che furono alla base dei tentavi di legittimazione della discriminazione prima e dello schiavismo poi. Neppure il libro di Charles Darwin L’origine della specie (1859), che documentò come lo sviluppo fosse prodotto dalla selezione naturale e che rivoluzionò in campo scientifico le teorie sulle differenze fra gli esseri umani, poté impedire un uso distorto del termine razza. Ispirò anzi una nuova forma di razzismo, il cosiddetto "razzismo scientifico", basato sull’idea che il pregiudizio razziale svolga addirittura una funzione evolutiva.

La teoria sociologica del razzismo risale ai primi anni Venti del Novecento quando alcuni psicologi cominciarono a sostenere, esibendo un’ampia documentazione, che il pregiudizio razziale non era una caratteristica ereditaria bensì una forma di comportamento appreso durante la socializzazione. Gli psicologi e “in primis” Sigmud Freud e Martin Wangh (Bertani M. - Ranchetti M., Psicoanalisi e antisemitismo, Einaudi, Milano, 1999, pg 35) , dicono che il pregiudizio nasce dallo sviluppo mentale normale e patologico, e che le primissime esperienze e le prime modalità di reazione di un bambino restano il modello per tutte le esperienze successive, e che sussiste la tendenza a restare rigidamente fedeli alle prime reazioni. Ad esempio il bambino turbato teme l’estraneo e si aggrappa alla madre, sebbene presumibilmente egli abbia fatto proprio con lei, a livello soggettivo, la sua prima cattiva esperienza.
E‘ qui che si rinvengono i presupposti per lo sviluppo degli atteggiamenti xenofobi e di quelle concezioni reazionarie che si accompagnano regolarmente al cieco pregiudizio. Ogni frustrazione nel normale processo di crescita produce un’ energia aggressiva che, combinata con gli elementi libidici della fase corrispondente, si manifesta in un rafforzamento della qualità sadica della fase. Dalla proiezione di queste fissazioni sadiche derivano i caratteri paranoici del pregiudizio. La psicodinamica del sentimento d’identità in riferimento ai contesti esterni (istituzioni, partners, ecc.) rende pensabile che esistano problemi alla base della psiche umana, di insicurezza, vulnerabilità, onnipotenza ecc… che portano a fenomeni come la difficoltà di integrazione.
Secondo Silvia Amati (Silvia Amati, Onnipotenza e impotenza, certezza e incertezza, dilemmi della soggettività, saggio), questi sono “dilemmi” della soggettività, poiché appartengono all’ordine dei termini non ben definiti, accavallati, come nel caso di "heimlich-unheimlich", come nel caso del “perturbante” freudiano. L’onnipotenza soggettiva ci fa “credere” fermamente nei nostri desideri e nei nostri pensieri. Il sentimento di certezza nelle nostre percezioni e nel loro significato costituisce un “background of safety” [sfondo di rassicurazione] (Sandler); la loro perdita implica la perdita del sentimento di familiarità col contesto, ossia di quello che è considerato ovvio, sicuro, “scontato”. Simultaneamente appare l’intuizione di quello che è stato lasciato da parte, che è stato ignorato e che pertanto ci risulta sconosciuto, fuori dall'ovvio. Ogni soggetto trova nel mondo esterno concreto circostante, nelle metafore e nei simboli che lo significano, un appoggio alle sue “appartenenze”. Il “perturbante” può essere descritto tanto come un “estraneamento” dell’identità in riferimento a cambiamenti del mondo esterno, quanto come un’ “estraniazione”, un turbamento della percezione di se stessi, come se ci percepissimo distaccati dal contesto, qualcosa di analogo fanno i poeti o i romanzieri quando scrivono di sé in terza persona. L’unheimlich (il perturbante), implica la presa di coscienza dell’effimero, dell’ovvio, nel quale viviamo e porta all’intuizione di quello che è inconsciamente escluso dall'ovvio, comportando un momento di confusione e di indefinizione identitaria.
Il perturbante può essere un utile segnale che porta a nuove discriminazioni. Freud (1919) (Flavia Tricomi, Estetica e Psicoanalisi, Rubettino, 2001, pg. 51), lo spiega come un “ritorno del rimosso”, ossia di quello che è stato respinto nell’inconscio per evitare il conflitto interno. Si considera il razzismo una perturbazione dell’identità, un’“identità contro”, che proviene da una grossolana discriminazione tra valori e qualità di solito arbitrari, apparenti e di superficie. Il razzismo mostra una difficoltà a “integrare” la propria identità e ad elaborare similitudini e differenze con l’altro o con gli altri.
Se “il perturbante” (lo strano) è un momento di perplessità tra quello che è familiare e l’inaudito e impensato (sia esso rimosso o scisso), lo straniero della xenofobia o del razzismo è una “costruzione” mentale proiettiva legata a pregiudizi, propaganda, ecc., in una ricerca onnipotente di certezza di solito condivisa con un gruppo di appartenenza. Ogni società ha una propria cultura e, contestualmente, è soggetta a una serie di pregiudizi culturali: l’etnocentrismo è infatti la tendenza a compiere ragionamenti e formulare giudizi "come se la propria cultura e il proprio gruppo etnico fossero al centro del mondo". Traub Werner (1984) (Bertani M. - Ranchetti M., Psicoanalisi e antisemitismo, Einaudi, Milano, 1999, pg. 82), che ha sviluppato una teoria generale del pregiudizio dice che il contenuto di esso (pregiudizio) rappresenta la sua dimensione sociale,e le sue manifestazioni sono oggetto delle scienze sociali. La dimensione intrapsichica riguarda invece il processo della formazione del pregiudizio, che è diretto da meccanismi proiettivi, e che ha per l’IO una funzione di difesa. L’anello di congiunzione tra la dimensione sociale e quella intrapsichica è la simbolizzazione. Ciò significa che i contenuti consci del pregiudizio sono, l’espressione velata di forze e inclinazioni inconsce della psiche umana. Il fatto che le rappresentazioni inconsce del desiderio possano legarsi così facilmente a ideologie nazionali ed etniche, è reso possibile soprattutto dalle seguenti circostanze:
1. Molti fenomeni sociali sono connessi alle primissime fasi del processo primario dello sviluppo.
2. Accanto alle rappresentanze familiari sono utilizzate anche le metafore del corpo per ancorare profondamente a livello immaginativo l’idea di un’ appartenenza sostanzialistica di comunità etniche o statali.
Le teorie biologiche sulla razza subirono profondi mutamenti negli anni Trenta quando,
con l’affermarsi della genetica che documentò come non la specie ma il gene fosse l’unità di selezione, si poté inferire che esistevano potenzialmente tante razze quanti erano i geni. Nel 1939 Julian Huxley e Alfred Cort Haddon, nel libro Noi europei, (Edizioni di Comunità, 2002) sostennero così che i gruppi solitamente considerati razze non erano fenomeni biologici ma invenzioni politiche e che sarebbe stato più corretto denominarli "gruppi etnici".
Caratteristiche costitutive della schiavitù sono: la coercizione a svolgere un compito o a prestare un servizio; la riduzione di un essere umano a proprietà esclusiva di un altro essere umano, cioè del suo padrone; l’assoggettamento completo di un individuo alla volontà di colui che lo possiede. Il sistema sociale o l’ordinamento politico fondato sull’istituto sociale della schiavitù è detto schiavismo. L’esplorazione dell’Africa, l’invasione delle Americhe da parte degli europei nel XV secolo e la successiva colonizzazione di questi territori nei tre secoli successivi diedero un grande impulso al commercio di schiavi. Il Portogallo, che necessitava di lavoratori agricoli, fu il primo stato europeo a utilizzare fin dal 1444 schiavi
per soddisfare le necessità di manodopera interna: nel 1460 importava già da 700 a 800 schiavi l’anno prelevati sulle coste occidentali africane. La Spagna seguì ben presto l’esempio portoghese senza riuscire però, almeno inizialmente, a intaccare il monopolio portoghese del traffico africano di schiavi. Negli stessi anni il commercio di schiavi africani dall’Africa centrale ai mercati arabi, iraniani e indiani fu intensificato anche dai commercianti arabi. Un fattore di forte aumento nella richiesta di manodopera di schiavi
fu conseguenza della durezza delle condizioni che la colonizzazione spagnola impose in America latina alla popolazione indigena.
Il duro lavoro nei campi, le pessime condizioni igieniche e le malattie portate dall’Europa contribuirono infatti a decimare la popolazione, che fu rimpiazzata con schiavi africani ritenuti in grado di sopportare meglio lavori molto faticosi come la coltivazione della canna da zucchero in climi tropicali. Nel Nord America i primi schiavi africani furono insediati a Jamestown, in Virginia, nel 1619.
Inizialmente non si ritenne necessario procedere a una definizione giuridica del loro status, ma a partire dalla seconda metà del XVII secolo con lo sviluppo delle piantagioni nelle colonie del Sud il numero degli africani importati come schiavi agricoli crebbe enormemente e divenne un elemento fondamentale per l’economia e per il sistema sociale che doveva trovare una formalizzazione.
Le leggi relative al loro status, legale, politico e sociale,
furono così definite già prima della guerra d'Indipendenza americana. Formalmente gli schiavi d’America godettero di alcuni diritti, come nel caso della proprietà privata. Si trattò tuttavia di diritti che il proprietario di schiavi non era obbligato a rispettare e comunque di casi isolati; in generale gli elementari diritti umani furono infatti costantemente violati: gli schiavi potevano ad esempio subire violenze sessuali da parte dei padroni, le
famiglie potevano essere separate perché i loro membri venivano venduti a piantagioni diverse; i trattamenti brutali come mutilazioni e omicidi, in teoria proibiti per legge, rimasero abbastanza comuni fino al XIX secolo. Ai proprietari degli schiavi era poi
vietato di insegnare loro a leggere. Quando la popolazione americana divenne culturalmente meno omogenea, verso gli anni ’40 del XIX secolo, con l'aumento dell'immigrazione dall'Europa meridionale e orientale, negli USA si rese necessario chiarire chi fossero i "bianchi".
Nacque così una suddivisione di quelli che oggi sono chiamati «caucasici» in una gerarchia di diverse razze, stabilite "scientificamente", e al cui vertice erano gli anglosassoni e i popoli nordici.
Venuta meno l'utilità economica dello schiavismo negli stati industrializzati del Nordamerica, il 1 gennaio 1863 il presidente repubblicano Abraham Lincoln abolì la schiavitù con la Proclamazione di Emancipazione.
Gli stati agricoli del Sud si confederarono a difesa della schiavitù dando inizio alla guerra di secessione americana.
La schiavitù terminò nell'intera federazione con la sconfitta del Sud, infine il 18 dicembre 1865 fu ratificato da Abraham Lincoln il tredicesimo emendamento “ Il Proclama di Emancipazione”,ossia l'abolizione della istituzione schiavistica; tuttavia rafforzò e istituzionalizzò l'ideologia razzista, e a partire dagli anni 1870, con l'affermarsi delle teorie del «razzismo scientifico» moltissimi stati americani introdussero leggi discriminatorie, tra cui il reato di mescolanza razziale, a proibizione dei matrimoni e delle unioni interrazziali, ed ebbe inizio il fenomeno della segregazione razziale. Ad ogni modo, coloro che negli Usa le trovavano utili ai loro scopi accolsero e diffusero le teorie scientifiche razziste sfornate, nel XIX secolo, dagli scienziati europei per giustificare l'avventura colonialista, che caratterizzò la maggior parte del XIX secolo. Il razzismo statunitense, fu usato soprattutto ai danni di popolazioni abitanti nello stesso continente.
La mappa dell'eugenista Madison Grant nel 1916, mostra la distribuzione delle presunte "razze europee". Negli Usa ebbe conseguenze storiche durature, negli anni 1920, la massiccia diffusione delle teorie dell'eugenista Madison Grant che saranno più tardi la principale fonte di ispirazione per le campagne di sterilizzazione forzata ed eutanasia forzata operate dal nazionalsocialismo tedesco. In quegli anni la comunità nera d’America aveva, tuttavia, la sua personale eredità di resistenza contro la supremazia bianca.
Il Rinascimento di Harlem durante gli anni Venti era il segno del successo della sua opposizione culturale.Dopo la crisi economica del 1929, con i disordini che ne seguirono e con il diffondersi del «pericolo comunista» la strategia politica cambiò e negli ex stati confederati del Sud, si adottarono teorie meno rigide, ispirate in gran parte da quelle europee.
Così negli anni 1930, quando in quegli stati era ormai divenuto impossibile continuare a mantenere un così alto numero di immigrati europei fuori dalla élite dei bianchi - con il rischio peraltro di pericolose coalizioni coi neri - i segregazionisti estesero i diritti a tutti i «caucasici», gruppo razziale che includeva anche i mediterranei, e che era suddiviso in «White Caucasian» e «Caucasian». Oggi il termine «caucasico» viene esteso ad indicare indistintamente i «bianchi», tuttavia la suddivisione in «white caucasian» e «caucasian» è ancora ufficialmente in vigore nei metodi statistici di catalogazione in uso presso le istituzioni di molti stati americani. Tutte le altre presunte razze non caucasiche invece rimasero escluse dai diritti civili per altri venti anni. Il 17 maggio 1954 la Corte Suprema decretò l’incostituzionalità della segregazione razziale nelle scuole pubbliche americane. La sentenza della Corte Suprema nella causa Brown contro il Provveditorato agli studi di Topeka, che intendeva abbattere le forme più gravi di discriminazione, fu una vera e propria pietra miliare e mise in crisi il principio “Separate but equal”. Con le brillanti strategie giuridiche di alcuni avvocati neri, il risultato migliore della NAACP fu questa sentenza della Corte Suprema. La diplomazia, la quantità di dati sociologici raccolti e la raffinata indagine intellettuale con le quali si presentava la NUL contribuirono a smantellare le disinvolte generalizzazioni sui neri.
Sarà negli anni 1960, a seguito delle numerose battaglie condotte dai moltissimi movimenti per i diritti civili, all'insurrezionalismo di Malcolm X e alla famosa marcia pacifica di Martin Luther King, che le leggi sulla segregazione razziale dei neri negli stati del Sud verranno abolite dal governo federale, a quasi cento anni dalla loro entrata in
vigore. Ciò avverrà nel 1964 con l'approvazione del Civil Rights Act e nel 1965 con il Voting Rights Act.

Organizzazione terroristica segreta, fondata nel 1866 a Pulaski (Tennessee), negli Stati Uniti, dopo la guerra di Secessione. Assertori dell'inferiorità dei neri, e dunque dell'inopportunità di riconoscere loro i diritti civili e politici, i membri del Klan (Klansmen) si impegnarono a ostacolare l'azione dei governi di Ricostruzione costituiti dopo il 1867. Coperti da tuniche bianche e mascherati da lunghi cappucci a punta, i Klansmen presero a terrorizzare gli ufficiali federali per spingerli ad abbandonare le loro cariche, e i neri più intraprendenti perché non esercitassero i diritti politici appena acquisiti né svolgessero attività pubblica; a questo fine, alle minacce seguivano fustigazioni e mutilazioni, sino all'assassinio. L'attività delittuosa spinse il governo a decretare lo scioglimento del Klan; nel 1870 il nome, i rituali e gli atteggiamenti del Klan originale ricomparvero in una nuova organizzazione, l'"Impero Invisibile, Cavalieri del Ku Klux Klan", fondata nel 1915 in Georgia. Questo viene definito il secondo Ku Klux Klan, con caratteristiche moderne. Questo Klan fu organizzato dai suoi dirigenti in maniera da ricavarne degli utili e, allo stesso tempo, vissuto come una confraternita. Differiva dal primo Klan come composizione politica, infatti il primo era essenzialmente formato da appartenenti al Partito Democratico e sudisti, mentre nel secondo confluirono sia membri del Partito Democratico che persone provenienti dai ranghi più bassi del Partito Repubblicano, inoltre ebbe una maggiore influenza da un capo all'altro degli Stati Uniti, con maggiore ascendente sui politici in molti Stati. Oltre agli afroamericani, anche cattolici ed ebrei divennero oggetto delle intimidazioni del Klan.
L'ondata di violenza raggiunse l'apice negli anni Venti, soprattutto negli stati del Sud; esso collassò dopo uno scandalo che coinvolse David Stephenson, il Grande Dragone dell'Indiana e di quattordici altri stati, che fu condannato per il rapimento e assassinio di Madge Oberholtzer in un famoso processo. Il secondo Klan vide scemare la propria popolarità negli anni trenta. Fu poi sciolto nel 1944 ed il nome Ku Klux Klan divenne così di pubblico dominio. Col rafforzarsi del movimento per i diritti civili degli anni Cinquanta e Sessanta, il Klan tentò il rilancio proponendosi come punta avanzata e radicale del fronte di opposizione all'integrazione razziale. Alla fine degli anni Ottanta risultava costituito da una quindicina di organizzazioni, con un seguito complessivo valutato attorno alle 5000 unità. I Membri del Ku Klux Klan utilizzavano per terrorizzare le loro vittime la croce infuocata, simbolo della identità cristiana-protestante da loro rivendicata.

Da allora non esistono più leggi razziali negli Stati Uniti, ma sono comunque frequenti e numerosi gli episodi di razzismo e di discriminazione contro i neri, le cui condizioni per quanto riguarda l'accettazione sociale sono notevolmente migliorate, ma che economicamente continuano a soggiacere a maggiore povertà. La persistenza di un "problema razziale" negli Usa è rivelata anche dai bassissimi tassi di matrimoni misti fra bianchi e neri, che dopo un lieve aumento negli anni sessanta sono nuovamente calati. Fa eccezione la comunità latino-americana che, con i suoi tassi di unioni miste relativamente elevati, dimostra di fare riferimento a un concetto di "razza" diverso da quelli prevalenti nella maggioranza "bianca" della popolazione statunitense. La sproporzione tra il numero di neri detenuti nelle prigioni statunitensi e il loro numero complessivo tra la popolazione, nonché la loro più frequente condanna a morte, è da molti ritenuta un indizio del persistente razzismo nei loro confronti.
BIBLIOGRAFIA:
• Mauro Bertani e Michele Ranchetti, Psicoanalisi e antisemitismo, Einaudi, Milano, 1999.
• N. Abbagnano e G. Fornero, Autori di fare filosofia, vol. 3, Paravia, Torino, 2003.

Esempio



  


  1. Marinella Bianchi

    un episodio di razzismo negli usa promosso da una donna