Piazza Fontana

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Testo

COS’E STATO IL “12 DICEMBRE 1969”
Il 12 dicembre 1969, alle 16:30, la Banca Nazionale dell’ Agricoltura sita in Piazza Fontana a Milano, è lacerata dallo scoppio di un ordigno che causa la morte di 16 persone e il ferimento di altre 88. Un’ altra bomba rimane inesplosa nella sede della vicina Banca Commerciale; due altri congegni esplodono a Roma, sotto l’altare della patria (4 feriti) e nella sede della BNL (14 feriti). Questi attentati sono il culmine della campagna terroristica attuata durante tutto il 1969 da un gruppo neofascista di Padova, guidato da Franco Freda, cui partecipano uomini collegati ai servizi segreti.
L'interno della Banca Nazionale dell'Agricoltura dopo l'attentato.

La montatura poliziesca e i processi- Governo di centro -sinistra DC- PSI, partiti parlamentari e magistratura, prendendo a pretesto la strage di Piazza Fontana, scatenano la macchina repressiva dello Stato contro i raggruppamenti anarchici e di estrema sinistra; infatti nelle ore successive agli attentati sono state perquisite le sedi di tutte le organizzazioni “colpevoli”, tra le quali porteranno agli arresti dei militanti del gruppo anarchico “22 marzo” tra le cui fila compaiono Mario Merlino, Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda. Pinelli, il 16 dicembre viene ucciso durante un interrogatorio nella questura di Milano,dove gli uomini del commissario Calabresi lo stavano interrogando, cadendo dalla finestra. La sua morte verrà archiviata come un suicidio. Valpreda sarà invece riconosciuto come l’esecutore materiale della strage di Piazza Fontana sulla testimonianza di Mario Merlino e di un tassista semi alcolizzato che affermava di aver condotto personalmente Valpreda sul luogo della strage. Nel frattempo a Padova un commerciante dichiara ai Carabinieri che le borse degli attentati,alcune delle quali ritrovate ancora con le etichette del negozio, erano state vendute presso il suo esercizio la sera del 10 dicembre; il verbale della sua testimonianza è datato 15 dicembre 1969 ed è inviato il giorno stesso alla questura di Milano, di Roma e al Ministero degli Interni, ma qualcuno si è occupato di farli sparire immediatamente. Alcuni anni più tardi viene accusato di “intralcio alla giustizia” il vice capo della polizia di Milano Elvio Catenacci.
La sera del 15 dicembre 1969, Guido Lorenzon, segretario di una sezione del DC di Treviso si presenta ad un magistrato della città dichiarando di essere a conoscenza di fatti che sono in relazione con gli attentati. Lorenzon conosce l’ editore Giovanni Ventura e l’avvocato Franco Freda, entrambi militanti nel gruppo neofascista di Ordine Nuovo, ex esponenti del FUAN (l’organizzazione degli studenti dell0 estrema destra).
Lorenzon lascia un resoconto dettagliato di una discussione che ebbe alcuni giorni prima della strage di Piazza Fontana dall’ amico Ventura il quale gli confida di appartenere ad un’ organizzazione clandestina responsabile di numerosi attentati compiuti nell’ agosto del ’69 con l’obiettivo di creare il terreno favorevole ad un colpo di stato mirante ad instaurare un regime ispirato alla Repubblica di Salò.
I magistrati di Treviso ritengono di avere sufficienti informazioni per aprire un’ inchiesta che segua la cosiddetta pista nera. Nel frattempo Valpresa sconta la propria condanna in carcere. L’inchiesta dei magistrati di Treviso compie una svolta decisiva nel novembre 1971, quando si scopre per caso un arsenale di munizioni NATO presso l’abitazione di un esponente veneto di Ordine Nuovo. Tra le armi ritrovate sono presenti anche delle casse metalliche di marca Jewell: le stesse utilizzate per contenere gli ordigni deposti in Piazza Fontana. Quell’ arsenale era stato nascosto da Giovanni Ventura dopo gli attentati del 12 dicembre ’69. I magistrati scoprono inoltre un gruppo neofascista che teneva le sue riunioni presso una sala dell’ Università di Padova messa a disposizione dal custode Marco Pozzan, anche lui esponente di O.N. Pozzan riferisce che il piano per gli attentati ai treni dell’ agosto ’69 e quello contro il rettore ebreo dell’ Università di Padova effettuato nello stesso periodo, aveva ricevuto il via libera in una riunione notturna tenutasi nell’ aprile ’69 con la partecipazione di un personaggio importante che avrebbe dovuto concedere il suo benestare; quel personaggio era il capo di Ordine Nuovo, nonché dirigente del Movimento Sociale Italiano, Pino Rauti. Il 3 marzo 1972 Freda, Ventura e Rauti verranno arrestati con l’accusa di essere responsabili di numerosi attentati commessi tra l’aprile e l’agosto del ’69. Solo alcuni giorni più tardi si aggiungono ai capi d’imputazione gli attentati del 12 dicembre. I magistrati milanesi battono con grande sollecitudine la pista nera cominciando a cogliere elementi che provano i rapporti tra i gruppi dell’ estrema destra e apparati dello Stato; l’istruttoria però viene congelata nel ’74 con la decisione dalle corte di cassazione di sottrarre l’inchiesta ai magistrati milanesi.
Il fascicolo verrà riaperto nel 1990 dal Pubblico Ministero Salvini. Nel frattempo Valpreda è rilasciato e la strage di Piazza Fontana rimane senza mandanti né esecutori; Freda e Ventura sono condannati con sentenza definitiva per il reato di associazione sovversiva e per gli attentati dell’ agosto 1969, mentre vengono assolti per insufficienza di prove per i cinque attentati del 12 dicembre.
Ribattendo nuovamente sulla pista nera, Salvini torna a dare un nome ai responsabili della strage: l’uomo che il 12 dicembre 1969 depose la bomba presso la Banca Nazionale dell’ Agricoltura è Delfo Zorzi, militante nella cellula veneziana di Ordine nuovo ai comandi di Carlo Maria Maggi.
Zorzi dopo l’attentato si riparò in Giappone dove tuttora vive protetto dal governo nipponico che ha sempre rifiutato di concedere l’estradazione del neofascista.
Zorzi nonostante ancora nel 1987 fosse segnalato come “persona pericolosa per la sicurezza dello stato” , ebbe modo di rifugiarsi oltre oceano grazie a un passaporto diplomatico concessogli dal Ministero degli Esteri Italiano, per la sua attività svolta in favore del Giappone.
Alcuni anni più tardi, la fuga di Zorzi, così come quella di altri neofascisti implicati nella stage di Piazza Fontana, fu scoperto essere stata progettata del generale Maletti e dal suo vice, il capitano La Bruna; questi ultimi furono poi arrestati ed accusati non solo di aver favorito la fuga dei terroristi, ma di aver per anni intessuto una rete di rapporti continuativi con gli stessi, rifugiati all’ estero.
Inoltre, Zorzi era stato già precedentemente arruolato dal questore Elvio Catenacci, nell’ ambito dell’ attività anticomunista svolta dell’ ufficio affari riservati del Ministero degli Interni. D’altro canto fu proprio il Ministero dell’ interno con la supervisione di James Angleton, ufficiale della NATO in Italia, che organizzò l’operazione di infiltrazione di esponenti dell’ estrema destra nei principali gruppi politici della sinistra, con il chiaro obiettivo di far ricedere su questi ultimi la responsabilità degli attentati dinamitardi effettuati in quegli anni. In questo senso è significativo il ruolo di Mario Merlino militante di Avanguardia Nazionale che tornato in Italia dopo un viaggio nella Grecia dei generali fascisti. Condotto insieme a Pino Rauti, si converte all’ anarchismo, fondando il circolo del 22 marzo, nelle cui fila andranno a militare proprio quegli elementi che Merlino indicherà come responsabili della strage di Piazza Fontana.
Il programma di infiltrazione nei movimenti dell’ estrema sinistra rientra in una strategia più ampia, che fu definita con grande precisione in un documento elaborato da Ordine Nuovo nel maggio 1965 ad un convegno presso l’Hotel Parco dei Principi, presieduto da un generale dei paracadutisti e dal presidente della Corte d’Appello di Milano a cui partecipò il fior fiore dell’estrema destra italiana. Questo documento fu rinvenuto a Lisbona nel 1974. Il documento in questione esprime con grande precisione i termini di quella che anni dopo sarà ricordata come la “strategia della tensione”. SI fa riferimento in particolare alla necessità di favorire lo stabilirsi del caos, minando l’economia dello stato affinché si determini confusione in tutto l’apparato legale. Questo produrrebbe una situazione di forte tensione politica, di avversione verso il governo e tutti i partiti; la prima azione da scatenare consisterebbe nella distribuzione delle strutture dello stato, attraverso i gruppi comunisti e filo-cinesi guidati da appositi elementi infiltrati. Ciò crea un sentimento di avversione nei confronti di coloro che saranno ritenuti responsabili di questo clima di tensione. A partire da questo stato di fatto si dovrà rientrare in azione nel quadro dell’ esercito, della chiesa e della magistratura per agire sull’opinione pubblica indicando una soluzione politico economica adeguata al momento. Il nuovo organismo politico dovrà quindi apparire come difensore dei cittadini e unica alternativa al terrorismo comunista dilagante.
Le conclusioni-Il processo, anzi i processi, per la strage di Milano durano da più di trent’anni e non si sono ancora conclusi. Questo è avvenuto perché è mutata la situazione politica ed economica mondiale; perché il sistema mondiale dell’imperialismo è in crisi e si è diviso in centri rivali; perché la borghesia imperialista italiana (con i suoi uomini di governo di "destra" o "centro-sinistra", capi dei servizi segreti e capi militari, giudici) conduce una politica di espansione, dominio, aggressione e guerra verso i paesi più deboli, in concorrenza ed in conflitto con le altre potenze imperialiste.
Il 12 dicembre del 1969 rappresenta il punto cruciale della “strategia della tensione”, il detonatore che dovrebbe far saltare definitivamente le Istituzioni Repubblicane, attraverso la proclamazione dello stato d’emergenza. I promotori politici e gli esecutori di questo fallito colpo di stato vanno dai fanatici neonazisti come Valerio Borghese, ai socialisti moderati come Saragat, tutti quanti accomunati da un forte sentimento anticomunista. La sera dell’ 11 dicembre si riuniscono a Milano quadri dei servizi segreti, alti ufficiali dell’ esercito e supervisori della NATO, allo scopo di definire i termini ultimi dell’ intervento militare dopo la proclamazione dello stato d’ emergenza; la mattina del 12 dicembre si segnalano attorno alla capitale movimenti di truppe e carri armati. Dopo la notizia degli attentati di Milano e Roma il piano prosegue secondo copione e il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat invoca lo stato d’emergenza ma trova un ostacolo inaspettato nell’ ostilità del Presidente del Consiglio Rumor e del Ministro del Lavoro Donat Cattin, entrambi spaventati dalla reazione suscitata e dall’ enormità dell’ evento. Gli uomini politici della strategia golpista avevano d’altro campo l’idea di un colpo di stato ceh fosse più simile a quello che in Francia, nel 1958, portò al potere il Generale De Grulle, mentre ben presto si resero conto d’essere sopraffatti dall’estrema destra, che si muoveva invece seguendo il modello del colpo militare con cui i colonnelli Greci si impadronirono del potere nel 1967. Aldo Moro si incontro con Saragat il 23 dicembre e si impegnò a coprire tutto in cambio della rinuncia a posizioni oltranziste sullo stato d’emergenza. Il fallito colpo di stato lasciò comunque sulla Piazza 16 morti e centinaia di feriti nella sola giornata del 12 dicembre 1969.

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