Mutamenti dei rapporti economici

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Testo

Evoluzione delle strutture dell'economia capitalistica.

Nel corso della seconda rivoluzione industriale si verificò un fondamentale mutamento da un sistema di rapporti economici internazionali basato sul libero scambio ad uno gravitante su un orientamento di tipo protezionistico.
Gli apparati statali s'impegnarono in prima istanza a sostenere la crescita economica attraverso la conversione delle strutture tecnico-amministrative, mediante la creazione di un efficiente impianto burocratico e l’adeguazione del diritto economico e della legislazione sociale alle esigenze di un capitalismo industriale di cui si avvertivano in maniera sconvolgente ed incredibilmente repentina gli effetti sulla società.
Un intervento governativo più diretto ed incisivo si verificò in quegli stati che non avevano conosciuto un graduale processo di crescita industriale e di meccanizzazione degli impianti produttivi ( la Russia), cosa di cui erano stati beneficiati invece l’Inghilterra e la Francia nella prima rivoluzione industriale, o che si erano formati come entità nazionali solo in tempi recenti( il Regno d’Italia e la Germania di Bismark).
Il sostegno diretto all’economia nazionale si concretizzò con il coinvolgimento di una parte rilevante del prodotto interno nelle attività industriali, con le numerose commesse inoltrate all’industria( in particolar modo quella pesante come testimonia la politica statale tedesca post-unitaria , volte a sostenere la produzione interna) e tramite l’inasprimento delle tariffe doganali, procedimento che mirava a limitare le importazioni e a proteggere così l’economia nazionale.
Gran parte delle nazioni industrializzate europee ( anche gli U.S.A) seguirono questa impostazione economico-politica; chi invece come la Gran Bretagna mantenne un’economia di tipo liberistico, nella quale quindi si dava più spazio alla libera iniziativa e si promuoveva in particolare la crescita e la proliferazione della piccola e media industria, che costituiva il settore trainante dell’economia, vide le proprie esportazioni frenate dall’esosità fiscale delle tariffe doganali internazionali, e la propria economia cadere in una fase di crisi a favore di economie emergenti come quella tedesca e statunitense. Le statistiche parlano, in merito a questo caso, di una diminuzione della partecipazione da parte della Gran Bretagna al commercio mondiale dal 25% al 12% nel periodo compreso fra il 1880 e il 1914.
Lo sviluppo industriale generalizzato portò ad un aumento dell’offerta, fattore che unito all’inaccessibilità di molti mercati esteri, a causa del protezionismo imperante, portò alla necessità di cercare altri mercati per la vendita dei prodotti, per l’investimento di capitali e per il rifornimento di materie prime.
Si determinò quindi una internazionalizzazione dell’economia capitalistica che raggiunse dimensioni macroscopiche, che trovò nell’apparato statale un contributo essenziale in campo diplomatico ma soprattutto in quello militare, per la propria crescita: si noti quindi come alla base dell’imperialismo sottostiano cause di natura essenzialmente economica.
Nel campo della politica sociale, in concomitanza con il graduale processo di industrializzazione, l’intervento statale fu teso ad una duplice finalità: da una parte ad agevolare il funzionamento dell’economia di mercato tramite la promozione dell’istruzione, e dall’altra ad arginare gli effetti negativi di un industrializzazione rampante attraverso la creazione di una legislazione sulle fabbriche che tutelasse la sicurezza degli impianti, la salute dei lavoratori e la loro retribuzione.
Attraverso massicci finanziamenti statali, l’istruzione divenne così gratuita ed obbligatoria, e ciò determinò un parziale allontanamento dei giovani dal mercato del lavoro, e la formazione di una classe d'esperti, specializzati in campo tecnico e scientifico, che potevano agevolmente inserirsi nel mercato e nelle fabbriche.
Al contempo, grazie anche alle pressioni delle organizzazioni sindacali, i maggiori stati europei vararono una serie di riforme che prevedevano: l'istituzione di sistemi di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, sistemi di previdenza per la vecchiaia, sussidi di disoccupazione. Si stabilirono inoltre controlli, spesso poco efficaci sulla sicurezza, e sulle condizioni igienico-sanitarie delle fabbriche, e furono introdotte delle limitazioni agli orari di lavoro e fu assicurato il diritto al riposo settimanale.
Percentuale della diffusione della manodopera nel mondo
1870 and 1913
1870
1913
USA
23.3
35.8
Germania
13.2
15.7
U.K.
31.8
14.0
Francia
10.3
6.4
Russia
3.7
5.5
Italia
2.4
2.7
Canada
1.0
2.3
Belgio
2.9
2.1
Svezia
0.4
1.0
Jappone
1.2
India
11.0
1.1
Altri paesi
12.2
Il Capitalismo finanziario e la spinta alla concentrazione.
Il ruolo delle Banche.

Di fondamentale importanza nello sviluppo economico di fine XIX sec. e dell’inizio del XX sec., si rivelò il ruolo delle banche, cresciute come risposta alle esigenze dell’industrializzazione e al contempo motore di questa.
Dopo essersi caratterizzate nel corso della prima rivoluzione industriale come banche commerciali, impegnate in una prudente politica economica di investimenti a breve termine, con lo sviluppo industriale e l’apertura dei mercati gli istituti creditizi più potenti iniziarono a finanziare con quote consistenti di capitali le attività industriali operanti in settori emergenti del mercato, adottando una strategia di investimenti a lungo termine, che sebbene più rischiosa si rivelò più produttiva.
Così facendo le grandi banche centralizzate, le uniche in grado di sostenere attraverso imponenti afflussi di denaro il finanziamento delle imprese, finirono per forzare il sistema economico verso nuove soluzioni produttive e per esercitare un reale controllo sulle scelte strategiche delle aziende, attraverso le operazioni di drenaggio di capitali volti al sostegno creditizio di queste.
La stretta compenetrazione fra capitale finanziario e capitale industriale, fu studiata dal marxista Hilferding e fu da lui denominata con il nome di "capitalismo finanziario", e produsse fondamentali effetti sull’economia internazionale.
Da una parte, le istituzioni finanziarie, cointeressate nel finanziamento di più industrie operanti nello stesso campo, favorirono una politica di fusione o di alleanza fra imprese, che si unirono in consociazioni controllate finanziariamente (Holdings), cioè dalle sedi di amministrazione delle grandi banche centrali.
La spinta fornita dalle banche, il nuovo assetto economico internazionale, che vedeva la genesi di una concorrenza feroce, che conosceva in seguito alla crescita dell’offerta, un vertiginoso calo dei prezzi, favorirono una spinta decisiva alla concentrazione industriale che si concretizzò oltre che nella costituzione delle Holdings, nella formazione di Pools (o cartelli), consociazioni di imprese che si accordavano sulla produzione e sui prezzi, e di patti fiduciari fra aziende che si concentrano sotto il controllo di un unico soggetto economico(Trusts).
Molti settori dell’industria videro l’avvento di un regime monopolistico guidato da una ristretta oligarchia finanziario capitalista, detentrice di un potere assoluto su una fetta di mercato e quindi indirettamente sulla società
Nuovi bisogni della produzione: meccanizzazione e razionalizzazione del lavoro in fabbrica.

A cavallo fra i due secoli occorse un aumento generalizzato della produzione in tutta Europa.
Questa fase d'espansione del mercato affonda le sue radici in un rapporto di causa-effetto di tipo circolare:
Produzione Massificata
Aumento dei Prezzi
Massificazione della Domanda e Allargamento dei Mercati
Aumento dei Salari
Aumento del Reddito pro-capite
Il crescente aumento dei prezzi che conobbe un’evoluzione costante dal 1873 circa, lievitò parallelamente con l’aumento dei salari e ciò determinò un innalzamento del reddito pro-capite nei paesi industrializzati, e quindi un benessere ed una ricchezza diffusa oltre che nelle piccole e medie classi, anche nel proletariato urbano.
La crescita dei redditi innescò una reazione economica di dimensioni macroscopiche, crescita che vide un allargamento dei mercati, e la massificazione della domanda, che oltre a crescere quantitativamente, conobbe anche un’espansione in settori produttivi marginali.
Fu così che beni di consumo, la cui produzione era riservata all’artigianato (calzature, vestiario, articoli per la casa ecc..) iniziarono ad essere prodotti in serie e venduti attraverso una rete commerciale che nel frattempo si era potenziata e diffusa.
Lo sviluppo dell’industria leggera aprì la strada ad un miglioramento del benessere economico, quindi delle condizioni di vita e della salute, e gettò le basi per la nascita di quel fenomeno che meglio si definirà pochi decenni dopo, negli anni ’20 e negli Stati Uniti, e che prenderà il nome di consumismo.
L’aumento della domanda, comunque, fu significativo nel determinare, da parte della produzione industriale, l’esigenza di un’accelerazione produttiva, che sarà soddisfatta dai processi di meccanizzazione e di razionalizzazione del lavoro in fabbrica.
Fondamentale a questo proposito fu l’opera di Frederick W. Taylor "Principi di organizzazione scientifica del lavoro". Lo studio scientifico e sistematico del lavoro in fabbrica condotto da Taylor, portò alla creazione di un innovativo metodo di produzione basato sulla riduzione del lavoro dell’operaio ad operazioni semplici, misurabili e programmabili. La meccanizzazione del lavoro portò a tangibili progressi nel campo della produzione per quanto riguarda l’efficienza, la produttività e la velocità.
Frederick Winslow Taylor nacque a Philadelphia in una famiglia dell'alta borghesia liberale, il 20 marzo 1865. Il padre era un avvocato, la madre un'accesa abolizionista e femminista. Taylor fu un adolescente dalla volontà ferrea. A dodici anni inventò un'imbracatura che gli impediva di dormire supino, per evitare gli incubi. Si laureò in Ingegneria a 25 anni, pur lavorando a tempo pieno. Nonostante i brillanti studi, decise di seguire una carriera dal basso, e cominciò a lavorare come commesso, per diventare, dopo sei anni, ingegnere capo, studiando nel frattempo i meccanismi di misurazione della produttività industriale.
Sviluppò così un'insieme di sistemi dettagliati per ricavare il massimo profitto sia dalle macchine che dai lavoratori.Nel 1898 scoprì, in collaborazione con White, l'omonimo metodo di temperamento dell'acciaio. Fornì consulenze alle maggiori compagnie industriali e illustrò i suoi metodi nell'opera "The Principles of Management"
La dottrina Taylor fu adottata per la prima volta a Detroit, nel 1913, quando la fabbrica Ford produttrice di automobili installò la prima catena di montaggio: secondo questo nuovo metodo di lavoro, il processo produttivo era frammentato in una serie di operazioni che venivano assegnate ai singoli operai, che si ritrovavano così a dover ripetere la stessa operazione per tutto l’orario di lavoro.
Lo sviluppo dell’industria automobilistica si ebbe nel momento in cui si passò dalla costruzione dei veicoli su ordinazione, alla produzione di questi in larga scala. Ford intuì per primo il potenziale di diffusione di un autoveicolo funzionale, robusto, semplice ed economico.
La Ford "T" fu concepita appunto per una drastica riduzione dei costi di produzione, che andò di pari passo con l’abbassamento dei prezzi, fattore che permise la diffusione di questo modello in un mercato che stava conoscendo proprio in quel periodo una straordinaria e benefica (per l'intera economia) crescita del potere d’acquisto. Con l’introduzione della catena di montaggio, che consentiva l'allestimento di una singola vettura in 90 minuti, rispetto alle 12 ore che occorrevano prima, la produzione salì alle stelle (come testimonia il grafico) e i prezzi scesero nuovamente.
Agli albori della motorizzazione, la domanda non si curava certo della standardizzazione del prodotto, e la Ford "T" divenne l’automobile della famiglia medio-borghese americana, fino a che negli anni ’20 la General Motors non offrì al mercato una gamma di prodotti più varia ed altrettanto accessibile.

L’esempio di Detroit fu seguito non molto tempo dopo dall’industria automobilistica di Torino, e sarà la base delle esperienze future di Togliattigrad e di Tokyo.
Il Taylorismo, se da una parte portò alla riduzione dei tempi e ad un incremento della produzione, e quindi ad un conseguente aumento dei salari, contribuì d'altro canto alla sostituzione dell’operaio di mestiere specializzato con l’operaio di massa dequalificato ed intercambiabile, e alla perdita di autonomia da parte del lavoratore, che si vide divenire un suddito dell’automatismo delle macchine. Un testo economico di fondamentale importanza nella comprensione di questo processo si rivelerà “Il capitale", dato alle stampe mezzo secolo prima, che già anticipava la denuncia dei costi umani che srebbero seguiti alla meccanizzazione del lavoro.
Sviluppo delle reti di comunicazione e globalizzazione dei commerci.
In seguito allo sviluppo delle reti di comunicazione, si giunse all’unificazione del mercato mondiale.
I nuovi sistemi ferroviari e di trasporto marittimo, le innovative apparecchiature telefoniche e telegrafiche e i nuovi sistemi di comunicazione, resero possibile un elevato afflusso di merci ed informazioni attraverso le economie nazionali ed internazionali.
Industrie e commercianti ebbero così la capacità di effettuare e ricevere consegne di merci in tempi più brevi, e su un’area geografica estremamente più ampia.
Il risultato fu una crescente internazionalizzazione dei commerci.
Sviluppo tecnologico e ricerca scientifica.
Il fattore più importante che differenzia la seconda rivoluzione industriale dalla prima,è sicuramente il nuovo ruolo del progresso scientifico-tecnologico, che operò, grazie ai suoi rapidissimi e dirompenti effetti, una rivoluzionaria trasformazione nella vita e nelle prospettive dell'uomo.
Nell'ultimo trentennio del XIX sec., si denota quindi una sempre più larga applicazione delle scoperte scientifiche ai vari rami dell’industria: si viene così a creare una strettissima compenetrazione fra il progresso tecnologico e il mondo della produzione industriale.
Interessanti a proposito sono gli studi condotti dal Landes, che evidenziano come il mondo dell’industria investa somme sempre più crescenti nella ricerca scientifica, commissionando ai laboratori tecnologici, la scoperta delle invenzioni di cui abbisogna per la produzione.
Gli sviluppi della ricerca scientifica nel campo della chimica, furono determinanti per dare il via ad una produzione industriale estremamente variegata: nel 1875 Alfred Nobel brevettò la dinamite, mentre nel 1888 l’invenzione del pneumatico, da parte di Robert Dunlop, aprì vasti orizzonti all’industria delle gomma. Oltre alle applicazioni dirette nell'industria chimica( la cui ricchissima produzione andava dai coloranti ai fertilizzanti chimici, dal cemento ai medicinali), non di minore importanza si rivelarono gli effetti indotti dalla ricerca su settori industriali complementari, e in modo particolare su quello metallurgico, che conobbe una fase di grossa espansione nella produzione dell’acciaio.
Grazie alle numerose scoperte nelle tecniche di fabbricazione- il metodo Bessemer, il forno Martin Siemens- fu possibile limitare i costi di produzione di questa lega metallica, e farne affluire quantitativi ingenti e a basso costo su di un mercato sempre più in espansione.
Conobbe quindi un periodo di notevole sviluppo l’ingegneria civile, che grazie anche all’incremento della produzione del cemento armato, generò una vera e propria esplosione edilizia, che riempì le metropoli dei paesi industrializzati, di porti, grattacieli ed edifici imponenti( la Torre Eiffel a Parigi e il Tower building a New York).
Un impatto ancor più dirompente nella società, fu quello provocato dall’invenzione del motore a scoppio, e dal sempre più diffuso utilizzo dell’elettricità.
L’invenzione del motore a combustione interna fu decisiva per l’impulso dato all’estrazione del petrolio, che comunque rimarrà ,per molti anni ancora, secondo al combustibile per eccellenza della prima rivoluzione industriale, e vale a dire il carbone, più accessibile economicamente visti i basti costi e l’abbondante offerta.
L’elettricità è stata oggetto di studio per tutto il XIX sec. I primi apparecchi elettrici realizzati da Volta con la omonima pila, e da Faraday con il suo "motore sperimentale", furono presto soppiantati da nuovi congegni, che, applicando le scoperte fatte in materia da scienziati del calibro di Siemens, Edison e Pacinotti, permettevano di trasformare il movimento di un corpo in corrente elettrica( dinamo e generatori), di immagazzinarla( accumulatori), di riconvertirla in movimento( motori elettrici) e di trasportarla e distribuirla a grandi distanze.
Decisivo per il decollo dell’industria elettrica fu l’invenzione della lampadina da parte di T.A. Edison: nella illuminazione pubblica, infatti, ed in quella privata, l’uso della corrente elettrica si sostituì presto a quello del petrolio.
E sempre legati alle innovazioni nel campo dell’elettricità, furono l’invenzione del telefono da parte di Antonio Meucci, del Grammofono da parte di Edison e del Cinematografo dei fratelli Lumiere.
Molti degli oggetti come quelli sopraindicati, che a tutt’oggi si configurano come indispensabili alla nostra vita quotidiana, fecero la loro comparsa nel quindicennio compreso fra il 1867 e il 1881: la macchina da scrivere, la bicicletta, le fibre sintetiche, la plastica, il microfono ecc..
Il Positivismo e la filosofia della moderna civiltà industriale. August Comte.
Il decollo del sistema industriale, i progressi verificatisi nel campo della ricerca scientifica e tecnica, l’estensione della cultura, sono fattori che generano un clima di fiducia entusiastica nelle potenzialità della scienza e nelle forze dell’uomo. Nasce quindi nella prima metà del XIX sec., il Positivismo, una corrente filosofica e culturale, caratterizzata da un’esaltazione della scienza, che si svilupperà nella seconda metà del secolo, come la filosofia della moderna società industriale, abbagliata dal benessere sociale e dai miti della pace e del progresso. Fondatore della filosofia positivista è August Comte.
Elemento centrale della filosofia di Comte come di tutto il positivismo, è il progetto di compiere grazie al rinnovamento e alla diffusione della cultura, una rigenerazione universale, politica sociale e filosofica.
L’unica conoscenza in grado di produrre una trasformazione strutturale della realtà, è per Comte quella che è in grado di raccogliere tutte le conoscenze scientifiche fatte nella storia dell’uomo, in un sistema di idee generali, in modo da creare una conoscenza unificata e generalissima.
Punto di partenza della filosofia di Comte è la legge dei tre stadi, da lui elaborata dopo un’attenta osservazione dello sviluppo dell’uomo nella storia, secondo la quale ciascuna branca della conoscenza umana passa attraverso 3 stadi teorici differenti: il teologico, il metafisico e il positivo.
Nel primo, l’uomo ricercando le cause iniziali e i fini ultimi della sua esistenza, guarda ai fenomeni naturali come al prodotto di forze soprannaturali.
Nello stadio metafisico le forze soprannaturali sono sostituite da forze astratte, entità capaci di generare la realtà contingente.
Nello stadio positivo infine, l’uomo, rinunciando alla conquista della conoscenza assoluta del mondo e dell’universo, si applica unicamente a scoprire le leggi che regolano i fenomeni.
Compito della filosofia è quello di adattare la totalità della cultura intellettuale umana allo spirito positivo, in modo da fondare su di esso un ordine sociale politicamente e moralmente stabile, ponendo termine alla crisi filosofica e quindi sociale della società umana (poiché l’ordine sociale è subordinato a quello culturale). "L’enciclopedia delle scienze" si presenta quindi come un prospetto generale di tutte le conoscenze che derivano dalle scienze fisiche e naturali. Attraverso una classificazione sistematica che segue il criterio della semplicità decrescente e della difficoltà decrescente, il sistema individua l’ordine di successione con il quale le scienze sono entrate nella fase positiva: matematica, l’astronomia, la fisica, la chimica, la biologia ed infine la sociologia.
Quest’ultima, la sociologia, chiamata anche fisica sociale, è la scienza suprema e ha il compito di determinare le leggi che regolano i fenomeni sociali, e in base ad esse fare delle previsioni.
La sociologia si divide in due branche: la statica sociale e la dinamica sociale.
La statica sociale studia l’ordine della società, cercando di individuare le caratteristiche dei fenomeni sociali che stanno alla base della cooperazione, dell’aggregazione umana e della divisione del lavoro. Attraverso l’analisi della connessione fra i diversi aspetti, organismi, e istituzioni della vita sociale, la statica sociale considera e studia la società come un organismo unico.
La dinamica sociale si fonda sull’idea del progresso, in altre parole sullo sviluppo continua e graduale dell’umanità. Proprio in questo studio si applica la fondamentale legge dei tre stadi, che vede, attraverso lo studio della storia, l’umanità gravitare nello stadio teologico, quando nel feudalesimo è sottoposta ad un dominio militare, passare nello stadio metafisico con la riforma protestante e la rivoluzione francese, ed infine giungere allo stadio positivo con la genesi della moderna società industriale.
La moderna società industriale, vista perciò come punto di realizzazione della positività, sarà celebrata e proposta come modello universale, al quale inevitabilmente anche le altre civiltà arretrate dovranno conformarsi.
In conclusione la sociologia di Comte è uno strumento d'indagine della storia e quindi della società, che attraverso l’individuazione delle leggi oggettive della natura, consente all’uomo di prevedere il sistema generale delle operazioni successive, che porteranno la società a ricostituirsi sotto un rigenerato ordine politico e filosofico, e a conquistare il dominio sulla natura, il quale consentirà all’uomo di modificare il mondo secondo un progetto realizzato dalla sua volontà.
Il Motore a scoppio.
Se l’industria automobilistica si sviluppò solo agli inizi del XX sec. negli Stati Uniti, la ricerca scientifica sul motore a scoppio si estese per tutto il corso del XIX sec. nel vecchio continente ed affonda le sue radici nel 1777, quando Alessandro Volta costruì una pistola che non funzionava mediante l’utilizzo di polvere da sparo, bensì tramite l’esplosione di una miscela di aria e gas, opportunamente incendiata da una scintilla.
Questo motore (in quanto macchina che produce un lavoro meccanico utilizzando energia) ben presto fu applicato come fonte di energia meccanica ad un carro, e fu in questa direzione che si indirizzò la ricerca scientifica.
Nel 1856, due italiani Barsanti e Matteucci, realizzarono il primo motore a scoppio a tre tempi (mancava la fase di compressione) alimentato da una miscela di aria e gas illuminante; ma la vera svolta fu data dal motore a quattro tempi, brevettato dal francese Alphonse Beau de Rochas nel 1862. Fondandosi, infatti, su questo ciclo termico, le invenzioni compiute in seguito saranno mirate a migliorare la velocità, la praticità e la leggerezza dei veicoli, che con le invenzioni di Benz e poi di Daimler nel 1886, assumono un assetto unitario composto da un equilibrato rapporto di telaio e motore. Con le vetture realizzate dai due ingegneri tedeschi si conclude convenzionalmente la fase di invenzione dell’automobile.

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