La crisi del primo dopoguerra

Materie:Appunti
Categoria:Storia

Voto:

1.5 (2)
Download:639
Data:23.05.2007
Numero di pagine:12
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
crisi-primo-dopoguerra_1.zip (Dimensione: 11.45 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_la-crisi-del-primo-dopoguerra.doc     40.5 Kb


Testo

LA GRANDE CRISI DEL DOPOGUERRA
La fine della prima guerra mondiale ebbe una serie di gravi ripercussioni sugli equilibri internazionali e sulla struttura dei singoli stati. Dal punto di vista economico il problema più importante fu certamente determinato dalla crisi industriale europea, dalla quale scaturì un’altissima disoccupazione. Inoltre vi erano gli enormi debiti di guerra che erano stati contratti da molte nazioni soprattutto nei confronti degli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti, vittoriosi alla fine della Prima guerra mondiale, conobbero una crescita economica tra il 1919 e il 1929. Il benessere sembrava alla portata di tutti, il mondo degli affari fu lasciato completamente libero dal governo ed anche per l’economia fu lo stesso, essa era nelle mani di finanzieri e imprenditori, gli Stati Uniti avevano adottato il sistema tayleristico, cioè la riduzione dei tempi morti sul lavoro e il tener bassi i costi di produzione (catena di montaggio).
Intanto nel 1919 venne approvata una legge che proibiva la produzione, il commercio ed il consumo di qualunque bevanda alcolica (proibizionismo), essa però portò soltanto ad un aumento della delinquenza e della corruzione, così nel 1933 venne abolita.
Dal punto di vista politico, l’era della prosperità fu dominata dal Partito Repubblicano, che espresse tre presidenti: Harding (1921-23), Coolidge (1923-29) e Hoover (1929-32). Tutti sostenevano una politica isolazionista (interesse solo per le questioni economiche all’interno del Paese).
Harding fece immediatamente pagare i debiti contratti con gli Usa agli altri stati, limitò l’ingresso degli immigrati (xenofobia = paura degli immigrati), ridusse le tasse e controllò maggiormente le organizzazioni operaie. La conseguenza di ciò fu un vero e proprio boom economico che durò fino al 1929 con gli altri due presidenti.
Lo sviluppo dell’economia era però insidiato dal rischio della sovrapproduzione, inizialmente questo problema colpì l’agricoltura, poi colpì anche l’industria tessile e quella edilizia.
Il mondo delle banche e della finanza non sembrava avere questo problema, in particola re la borsa conobbe una straordinaria crescita; il miraggio di facili guadagni convinse anche i piccoli risparmiatori ad investire i loro soldi. Ma era evidente che una crescita così rapida non poteva durare. Nel 1929 cominciarono i primi segnali della crisi, le industrie si ritrovarono con una quantità crescente di merce invenduta. Le azioni fermarono bruscamente la loro salita, le banche cominciarono a chiedere la restituzione del denaro prestato ai privati o industrie. Tutti corsero a vendere le loro azioni, tra il 24 e il 28 ottobre 1929, migliaia di americani videro i loro risparmi andare in fumo (Big crash).
Al crollo della borsa seguì presto una grande depressione economica, le banche non concessero più prestiti, le industrie furono costrette a chiudere e a licenziare. I prezzi agricoli si abbassarono più di quelli industriali. I piccoli proprietari persero la terra, fame e povertà si diffusero ovunque e milioni di lavoratori si ritrovarono disoccupati e allo sbando. La crisi durò fino al 1932 e, dopo un breve rialzo nel quinquennio 33-37, crollarono di nuovo 1938. Così crollò la credibilità dei repubblicani e perciò nelle elezioni del novembre 1932trionfò il candidato democratico Roosevelt (1882-1945).
Egli propose al paese un piano di risanamento, cioè un programma per risollevare l’economia americana e uscire dal buio della crisi. Questo piano, chiamato New Deal, cioè nuovo corso aveva tra i suoi obiettivi il superamento della disoccupazione ed il miglioramento delle condizioni di vita.
Intervento di Roosevelt nel New Deal:
1- riformò il sistema creditizio e sganciò il dollaro dalla parità con l’oro (svalutazione del dollaro del 60%).
2- Limitò la sovrapproduzione agricola.
3- Impose alle aziende un codice di disciplina produttiva.
4- Varò una riforma fiscale con criteri di tassazione progressivi che penalizzava i redditi più alti.
5- Tutelò le organizzazioni sindacali.
6- Creò vari enti che diedero lavoro a milioni di disoccupati, impegnandoli nella realizzazione di opere pubbliche (la Tennessee Valley Authority e la costruzione di bacini idroelettrici nel Colorado e nel parco di Yellowstone). Fece inoltre costruire ponti, strade e ferrovie.
7- Varò un moderno sistema previdenziale e pensionistico (nasce l’idea di Welfare State cioè lo stato del benessere). Lo stato si assunse il compito di tutelare i diritti sociali dei cittadini (salute, assistenza, istruzione); la creazione del Welfare portò ad un aumento degli addetti impiegati nell’amministrazione pubblica.
Il provvedimento più significativo fu certamente la legge varata il 16 giugno 1933: la National Industrial Recovery Act che stabilì significative limitazioni alla concorrenzialità tra le imprese, un sostegno deciso ai salari minimi e un piano straordinario di lavori pubblici.
Nell’azione di Roosevelt non mancarono incertezze, l’economia mostrò segni di ripresa ma assunse un andamento oscillante. Si dovette perciò attendere il 1936 perché si ritornasse ai livelli produttivi del 1929. Fu invece più netta la crescita del settore agricolo e del regime dei prezzi. A partire dal 1937-38 di fronte ad una nuova recessione economica, sia pure meno intensa, egli avviò un secondo New Deal, meno radicale rispetto al primo, ma ispirato agli stessi principi.
DALLA REPUBBLICA DI WEIMAR AL NAZISMO
La sconfitta subita nel corso del primo conflitto mondiale aveva lasciato la Germania in uno stato di profonda umiliazione, eppure l’esercito nono aveva subito sconfitte decisive, né il territorio era stato invaso da truppe nemiche. I ceti conservatori individuarono nella repubblica di Weimar la principale colpevole del crollo.
La repubblica di Weimar venne proclamata il 9 novembre 1918 dal partito socialdemocratico. Si temeva un’esplosione rivoluzionaria come quella russa, invece il 31 luglio 1919 un’assemblea costituente promulgò la nuova costituzione ed elesse Presidente Ebert e cancelliere Scheidemann. Il Presidente sarebbe stato eletto ogni sette anni direttamente dal popolo: a lui spettava il compito di scegliere il Cancelliere e di sciogliere in ogni caso di necessità il Parlamento. Si trattava di un notevole passo avanti, tuttavia con l’articolo 48 il Presidente poteva sospendere provvisoriamente i diritti fondamentali, qualora l’ordine e la sicurezza pubblica fossero notevolmente turbati o minacciati.
Ad opporsi al governo vi era l’estrema destra, nazionalista e autoritaria, ma anche l’estrema sinistra che premeva per una soluzione rivoluzionaria della crisi postbellica e per l’instaurazione di un regime comunista. Perciò nei primi di gennaio del 1919 organizzarono a Berlino un’insurrezione armata. La risposta del governo fu durissima: in sei giorni (settimana di sangue) centinaia di militanti comunisti vennero fucilati in piazza. Per attuare la repressione, le autorità fecero ricorso ai corpi franchi, composti da gruppi di volontari di estrema destra, spesso ex soldati.
A far precipitare la situazione di fragile equilibrio, creatosi con la formazione della repubblica, fu certamente la grave crisi economica del dopoguerra. Il segno più evidente del precipitare della crisi fu rappresentato dall’inflazione incontrollabile. L’economia tedesca doveva, d’altra parte, fare i conti con i giganteschi debiti di guerra, per il pagamento dei quali lo Stato dovette indebitarsi, dilatando il debito pubblico tramite l’emissione di una quantità spropositata di banconote.
Un altro punto di crisi è rappresentato dai rapporti con la Francia: l’11 gennaio del 1923, le truppe francesi occuparono la regione della Ruhr, ricca di miniere di carbone. Era l’ennesima umiliazione inflitta alla Germania, che rinfocolò ancora di più i risentimenti tedeschi contro la comunità internazionale.
I risultati sul piano politico furono altrettanto devastanti. L’8 novembre del 1923 Adolf Hitler tentò un’azione violenta a Monaco a capo del Partito nazionalsocialista dei lavoratori (1920).
Comunque tra il 1923 ed il 1925 si riuscì a stabilizzare la moneta attraverso la creazione del “marco di rendita” (sostituire all’oro i beni dello Stato); a ciò si aggiunsero i prestiti internazionali concessi alla Germania grazie al piano Dawes. Le relazioni internazionali si normalizzarono e nel 1926 con il trattato di Berlino si instaurò un clima di collaborazione con l’URSS. Le rate delle riparazioni vennero pagate ormai con i prestiti americani e non intaccarono la crescita economica tedesca. La politica estera di Stresemann è improntata ad un solido pacifismo ma mira ad estendere l’influenza politica della Germania con ampliamenti territoriali, limitando i propri interessi a quei territori a maggioranza tedesca dell’Europa centro-orientale.
La crisi del 1929 accentuò i caratteri di debolezza della Repubblica di Weimar; l’ultimo governo fu quello del socialdemocratico Muller dal 1928 al 1930. Il governo non fu in grado di trovare una soluzione, di dare risposte alle necessità della popolazione così Muller fu costretto a dimettersi. Hindenburg nominò cancelliere Bruning che rimase al potere fino al 1932 quando gli subentrò Franz von Papen. La crisi della repubblica ebbe il suo sbocco conclusivo nell’ascesa al potere di Adolf Hitler. Egli iniziò nel 1919 formando0 il Partito operaio tedesco e l’anno seguente con il Partito nazionalsocialista tedesco. Hitler proclamava la necessità di ripristinare il prestigio internazionale della Germania attraverso una politica di riarmo. Nel 1921 costituì un’organizzazione paramilitare le SA (truppe d'assalto) per contrastare con violenza gli oppositori. In seguito Hitler venne arrestato, eppure egli si rimise all’opera e dal 1930 in poi cominciò l’ascesa del suo movimento. Hitler monopolizzò il voto giovanile e catalizzò la protesta di quei cittadini che abitualmente non votavano. Così il governo di von Papen ebbe vita brevissima e con le elezioni del luglio 1932 Hitler diventò cancelliere. Il 30 gennaio 1933 costituì un nuovo governo di coalizione ed il 5 marzo indisse nuove e lezioni con l’intento di sbarazzarsi degli ingombranti alleati per dare vita ad uno Stato totalitario, instaurando una dittatura personale.
Il clima in cui si svolsero le elezioni fu caratterizzato da continue violenze ed intimidazioni contro gli avversari da parte delle SA. Avendo ottenuto il 43,9% dei voti, a cui si aggiungeva l’8% del Fronte di battaglia, Hitler poté subito porre mano allo smantellamento delle istituzioni democratiche. Il Partito comunista venne messo fuori legge, le sedi sindacali vennero chiuse e anche tutti i partiti furono messi fuori legge. A questo punto la dittatura era di fatto operante. Nel 1933 venne fondata la GESTAPO, la polizia segreta del regime nazista che doveva indagare sugli oppositori. Il 2 agosto Hitler assunse la carica di Fuhrer del terzo Reich (il primo=ottoni del medioevo, il secondo=Bismark). Tutti i ministeri più importanti vennero affidati ad alte persone del partito. Hitler stanziò un miliardo di marchi per la realizzazione di gigantesche opere pubbliche, attuò una colossale politica di riarmo ed annullò la disoccupazione, in questo modo però creò un gravoso debito pubblico.
Nel settembre del 1935 furono promulgate le leggi di Norimberga. Esse privavano gli ebrei della nazionalità tedesca e dunque di tutti i diritti politici. Le leggi furono applicate anche in tutti i territori conquistati. L’episodio più grave si verificò tra il 9 ed il 10 novembre: i n seguito all’uccisione di un diplomatico tedesco da parte di uno studente ebreo, si scatenò infatti una gigantesca repressione (la notte dei cristalli). Hitler aveva pensato di costringere tutti gli Ebrei a lasciare la Germania, ma lo scoppio della seconda guerra mondiale lo spinse alla soluzione finale: l’eliminazione fisica del popolo ebraico nei campi di concentramento.

L’ITALIA DALLO STATO LIBERALE AL FASCISMO
Alla fine della prima guerra mondiale, il Paese era in preda ad una grave crisi economica. L’inflazione impoveriva operai e contadini ma anche la piccola borghesia. Molti si convinsero che quella italiana era una vittoria mutilata. Nel settembre 1919, Gabriele D’Annunzio si pose alla guida di un gruppo di legionari , occupò Fiume e ne proclamò l’annessione all’Italia. Il capo del governo italiano non fece nulla, si rafforzò così l’idea che i liberali non fossero in grado di affrontare la nuova situazione. La loro posizione fu indebolita inoltre dalla nascita del partito popolare italiano.
Francesco Saverio Nitti voleva riconsolidare le basi dello Stato ed attuò quindi due modifiche legislative:
-il 15 agosto 1919 approvò la legge elettorale che introdusse il sistema proporzionale con il voto alle liste di partito e l’assegnazione dei deputati in proporzione ai voti di partito;
-l’anno prima era stata allargata la base elettorale con l’estensione del diritto di voto a tutti i cittadini maschi maggiorenni (21 anni).
Comunque Nitti non riuscì a governare le urne perciò rassegnò le dimissioni.
Intanto in tutta Italia si diffondevano scioperi e proteste popolari. Le agitazioni si concentrarono nel periodo compreso tra il 1919 e il 1920: il biennio rosso. Gli operai chiedevano aumenti salariali e garanzie contro i licenziamenti, i contadini volevano la riforma agraria.
Per contrastare la forza dei lavoratori, anche i padroni si riunirono in sindacato. Così nel 1920 nacque la confederazione generale dell’industria. I contadini intanto occupavano le terre. I proprietari volevano che la polizia e l’esercito intervenissero, ma Giolitti (che era tornato la potere il 23 giugno del 1920) era convinto che gli industriali ed i proprietari terrieri dovessero trattare con i lavoratori, ed ebbe ragione. Egli si presentò come mediatore e promise di limitare il controllo sindacale sulle aziende, così i sindacati accettarono ed il 27 settembre anche le ultime fabbriche furono sgomberate.
Il biennio 1920-22 fu anche decisivo dal punto di vista politico perché si verificò una vera e propria paralisi del sistema liberale italiano. Sia le elezioni del 1919 che quelle del 1921 non risolsero questa instabilità. Non potevano formarsi coalizioni solide e compatte e nessuno poteva governare.
Nel 1919 Mussolini fondò il movimento dei fasci di combattimento (nazionalisti ed ex combattenti), caratterizzato da posizioni nazionaliste repubblicane ed anticlericali.
Nel 1920 egli organizzò le squadracce fasciste per contrastare le iniziative sindacali con spedizioni punitive contro gli oppositori (partiti di sinistra e sedi dei giornali di ispirazione democratica).
Nel 1921 decise di accelerare i tempi per scalzare i vecchi governanti e fondato il partito nazionale fascista, in maggio entrò in parlamento ed il suo fallimento lo convinse che era giunto il momento decisivo: il 16 ottobre si stabilirono i piani dell’insurrezione. Il 24 ottobre Mussolini concentrò a Napoli migliaia di camice nere e si decise a prendere il potere con la forza. Il capo del governo Luigi Facta chiese al re Vittorio Emanuele III di firmare il decreto che avrebbe fatto intervenire l’esercito, ma il re si rifiutò ed il 30 ottobre 1922 affidò a Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo.
Mussolini era sostenuto dai fascisti, dai liberali e fino al 1923 dai popolari, per i primi due anni rispettò la legge e l’assetto costituzionale del Paese rimase inalterato (fase legalitaria del fascismo). In realtà lo Stato liberale non esisteva più perché il governo era nato in seguito ad un colpo di Stato, realizzato con la complicità del sovrano. Egli avviò la costruzione di un regime totalitario e varò la legge Acerbo (1923) con la quale si realizzò la riforma uninominale del sistema elettorale avvantaggiando i fascisti (cospicuo premio di maggioranza per il partito che fosse riuscito a raccogliere più voti).
Furono convocate nuove elezioni il 6 aprile 1924, la campagna elettorale si svolse in un clima di violenze e forte intimidazioni ed i fascisti vinsero. Il 24 maggio 1924 Giacomo Matteotti denunciò i brogli elettorali e le violenze fasciste così venne rapito ed assassinato dagli squadristi.
I rappresentati dei partiti antifascisti per protesta si ritirarono nell’Aventino. Essi speravano di convincere il re ad intervenire ma questo nono accadde. Il 3 gennaio 1925 Mussolini si assunse la responsabilità di quanto era accaduto e trasformò quello che era rimasto dello Stato liberale in una dittatura, dove un uomo solo aveva tutti i poteri. Il fascismo costruì uno Stato totalitario (controllava in modo totale la società); esso fu realizzato a partire dalle leggi fascistissime del 1925. Lo stato totalitario venne poi completato con la nuova legge elettorale (1928) cioè di preparare una lista unica di candidati (affidata al gran consiglio del fascismo). Il posto di sindaco venne occupato da un podestà, l’OVRA reprimeva gli antifascisti ed un tribunale li condannava e li giudicava.
Il fascismo però cercò di ottenere il consenso degli italiani, perciò tentò di controllare ogni aspetto della vita collettiva. Tutti dovevano conoscere la dottrina ed i valori fascisti. L’operazione nazionale Balilla si occupava di istruire i bambini, ed a partire dal 1937 il Minculpop controllò le attività culturali. Inoltre Mussolini era convinto che superare il conflitto tra stato e chiesa avrebbe garantito una grande popolarità agli italiani. Così l’11 febbraio 1929 firmò i Patti lateranensi con il cardinale Gasparri. Essi prevedevano tre documenti: un trattato con il quale lo Stato riconosceva al Papa piena sovranità sulla città del vaticano e la chiesa riconosceva la sovranità dello Stato italiano; la convenzione finanziaria con la quale lo Stato versava al vaticano una somma a titolo di indennità; ed un concordato che sosteneva il cattolicesimo come unica religione di stato ed il matrimonio religioso uguale a quello civile.
Durante il fascismo lo stato intervenne anche sulle banche e sulle industrie soprattutto dopo il 1929. nel 1931 venne creato l’IMI che doveva sostituire le banche in crisi per finanziare le industrie. Nel 1933 venne fondato l’IRI che poteva utilizzare le risorse dello stato per acquistare azioni delle industrie in crisi.
La politica estera fu nazionalista e colonialista. Nazionalista perché voleva imporre la supremazia dell’Italia e colonialista perché impegnò il paese nella conquista di nuove colonie.
Per Mussolini l’espansione era necessaria per due motivi:
-dare prestigio all’Italia;
-risollevare il grave problema della disoccupazione.
Il primo obiettivo fu l’Etiopia, l’invasione iniziò nel 1935. essa era un paese indipendente, membro della società delle nazioni, ma Francia e d’Inghilterra fecero soltanto approvare delle sanzioni per vietare l’esportazione in Italia delle materie prime necessarie per l’industria bellica. Così il 5 maggio 1936 venne conquistata Addis Abeba. La conquista fu un grande successo politico infatti nel 1936 le sanzioni vennero ritirate. Inoltre questi anni furono di massimo consenso per il regime fascista.
L’Italia si avvicinò alla Germania di Hitler, questa amicizia si rafforzò ancora di più con lo scoppio della guerra civile in Spagna. Successivamente nel 1938 vennero introdotte anche in Italia le leggi razziali contro gli ebrei, vietando matrimoni misti, la frequentazione di scuole pubbliche agli ebrei, il servizio militare e determinate professioni.
La Spagna fu dominata negli anni venti dal regime autoritario del generale Primo De Rivera. Il suo governo però non riuscì ad affrontare efficacemente la crisi del 1929, alla crisi economica ne seguì una politica che si concluse nel 1931 con la proclamazione della repubblica. In vista delle elezioni del 1936 i partiti di sinistra si riunirono (fronte popolare) e vinsero le elezioni scoppiò così una rivolta contro la repubblica. Questa si trasformò in una vera e propria guerra civile (1936-1939) e divenne uno scontro europeo tra fascisti ed antifascisti. La guerra si concluse nel 1939 con la vittoria del generale Francisco Franco e la formazione di un nuovo regime fascista, destinato a durare fino agli anni Settanta.

Esempio