La bomba atomica

Materie:Appunti
Categoria:Storia

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Testo

SCIENZE:
CONTAMINAZIONE RADIOATTIVA(BOMBA ATOMICA)
Un tipo particolare di agenti inquinanti è quello radioattivo. Un tasso di radioattività è già presente in natura, più o meno elevato secondo le diverse zone: per esempio, le regioni interessate da attività vulcanica o costituite da rocce magmatiche recenti presentano una radioattività naturale decisamente superiore alla media. Quello che però preoccupa nell’attuale utilizzo dell’energia nucleare è l’enorme radioattività che potrebbe essere disperso accidentalmente nell’ambiente. In alcuni casi, infatti, nonostante le precauzioni, una serie di coincidenze ha prodotto incidenti gravi, come l’esplosione delle 2 bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, o l’esplosione della centrale di Cernobyl (Ucraina) avvenuta nel 1986, che ha disperso nell’atmosfera diversi prodotti di fissione, con una loro successiva ricaduta (fall out) su un larghissimo raggio, che ha interessato quasi l’intera Europa.
Gli aspetti più preoccupanti dell’inquinamento radioattivo sono la durata nel tempo e il fatto che, quando una persona è stata contaminata, non esistono metodi per neutralizzare gli effetti nocivi prodotti sull’organismo; in realtà non si conoscono ancora bene tutte le reazioni che nel tempo questi elementi producono. Un altro motivo di preoccupazione viene dalla necessità di un periodico trattamento delle scorie che devono essere eliminate con opportune protezioni.
LA STORIA DELLA BOMBA ATOMICA
Il progetto
Al tragico epilogo si giunse dopo anni di ricerche e di studi internazionali sulla fissione nucleare. Il neutrone, una piccola particella capace di scindere ciò che fino ad allora era stato ritenuto indivisibile, cioè l’atomo, era stato scoperto fin dai primi anni Trenta. L’energia che si poteva liberare attraverso il bombardamento e la scissione dell’atomo era potenzialmente grandissima. Tuttavia, in quell’epoca ancora nessuno, neanche i più affermati studiosi, era ben consapevole di ciò che stava venendo alla luce. Lo stesso Rutherford, uno dei primi scienziati atomici, era erroneamente convinto che l’uomo non sarebbe mai riuscito ad utilizzare l’energia racchiusa nell’atomo. Ma nuove schiere di giovani studiosi si stavano cimentando anima e corpo nella ricerca atomica. Leo Szilard, fisico teorico di origini ungheresi e allievo di Einstein all’università di Berlino, fu il primo a intuire che la liberazione di energia dall’atomo era solo questione di tempo. E che la scoperta avrebbe potuto creare non pochi problemi all’umanità: come sarebbe stata utilizzata questa potenza, ancora difficile da quantificare, ma certo grandissima? Gli uomini politici e i militari che ne avrebbero fatto? Non sarebbe stato opportuno rendere pubbliche le ricerche sull’energia atomica per evitare che qualcuno se ne impossessasse usandole a danno di altri? I tempi non erano ancora maturi. Oltretutto la scienza sperimentale vedeva come fumo negli occhi qualsiasi tentativo di limitare le ricerche facendo appello a questioni di ordine morale. L’assoluta libertà nella ricerca scientifica era considerata una grande conquista dell’età moderna. Così in Europa, da Gottinga a Roma, da Cambridge a Copenaghen era tutto un fiorire di ricerche.
FERMI "SPACCA" L’ATOMO DELL’URANIO Tra gli apprendisti stregoni nella scienza dell’infinitamente piccolo c’era anche Enrico Fermi, enfant prodige della fisica italiana. Venticinquenne, nel 1926 aveva ottenuto la cattedra di fisica teorica all’Università di Roma e a partire dal 1934 aveva iniziato gli esperimenti di bombardamento con i neutroni per indurre la radioattività negli elementi. Con lui lavorava a stretto contatto di gomito un team composto da Edoardo Amaldi, Emilio Segrè, Oscar D’Agostino e Bruno Pontecorvo. Nell’istituto di fisica di via Panisperna, Fermi e il suo gruppo furono i primi a scindere l’atomo dell’uranio, l’elemento che sarebbe entrato come ingrediente base nella bomba atomica. L’avvento del nazismo segnò una accelerazione negli studi. L’antisemitismo e il militarismo della dittatura hitleriana misero infatti subito in subbuglio la comunità scientifica. E i migliori ingegni, tra i quali molti di origine ebraica, abbandonarono i posti che occupavano nelle università tedesche per raggiungere la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Appariva loro sempre più evidente che i progetti tedeschi per l’uranio, cui avevano fino ad poco prima lavorato, se messi a disposizione di Hitler avrebbero potuto rivelarsi un pericolo mortale per l’umanità intera.
A partire dal 1939 – il Terzo Reich aveva già occupato l’Austria e la Cecoslovacchia e si apprestava a inghiottire in un solo boccone la Polonia – nel mondo scientifico occidentale si scatenò la psicosi della bomba atomica hitleriana. E la corsa alla bomba prese ufficialmente il via.
I fisici rifugiatisi negli Stati Uniti, con Szilard e Fermi in testa, decisero di autocensurarsi per impedire che i frutti delle loro ricerche sulle reazioni nucleari cadessero in mano agli scienziati di Hitler. Ma fecero anche di più. Prima ancora che il Dipartimento di Stato americano avesse messo a fuoco il problema, Szilard e il suo maestro Albert Einstein nell’ottobre del 1939 si fecero promotori presso la Casa Bianca di una lettera con la quale chiedevano al governo di impedire la vendita alla Germania dell’uranio e di appoggiare in modo massiccio gli studi sull’energia nucleare.
I NAZISTI NON CAPIRONO - In realtà, le potenzialità della Germania di creare ordigni dalla scissione nucleare vennero ampiamente sopravvalutate: i vertici militari nazisti non avevano compreso l’uso dell’energia atomica a fini bellici – al massimo ipotizzarono l’uso dell’energia nucleare a fini propulsivi – e, cosa ben più importante, gli scienziati tedeschi che continuarono da allora e per tutto il periodo della guerra gli studi in questo settore boicottarono volontariamente le loro stesse ricerche per impedire all’industria bellica di capire il nesso tra scissione dell’atomo e bomba atomica. L’ostruzionismo degli scienziati tedeschi fu forse una delle migliori prove della "resistenza" interna al nazismo. Ma pochi allora lo sapevano. E la gara per la bomba partì. Il progetto americano, dopo l’avallo di Roosevelt e Churchill, prese il via nel 1942 con il nome di Progetto Manhattan. Nella cittadella-laboratorio di Los Alamos, nel New Mexico, scienziati e militari si misero al lavoro febbrilmente per giungere al più presto alla costruzione di una bomba atomica. Un grande contributo lo diede ancora Fermi. A Chicago nel dicembre 1942 riuscì ad ottenere una reazione a catena controllata nella sua pila all’uranio. Ormai la bomba era inevitabile. L’unico mistero era rappresentato dalla potenza che un simile ordigno avrebbe potuto sprigionare. Una forza pari a 600 tonnellate di esplosivo era l’ipotesi più accreditata. Altri, ma sembrava esagerassero, parlarono di potenze superiori alle 2000 tonnellate. Non restava che provare... Finalmente, la prima esplosione nucleare sperimentale, avvenuta nel deserto del New Mexico nel luglio 1945, risolse il dubbio. La potenza distruttiva era ancora più impressionante del previsto, pari a circa 18 000 tonnellate di TNT (18 kiloton)! Era nato l’ordigno finale, quello che poteva segnare definitivamente non solo la fine del conflitto in corso ma anche quella della civiltà. I dubbi degli scienziati di Los Alamos non erano però solo di ordine tecnico. Investivano anche le coscienze. Nel 1944 il fisico danese Niels Bohr aveva preparato un memorandum per il presidente degli Stati Uniti per metterlo in guardia sulla inevitabile rincorsa nucleare che si sarebbe scatenata tra le potenze alla fine del conflitto se non si fossero predisposti dei piani di distensione.
Scrisse Bohr a Roosevelt che "la terrificante prospettiva di una competizione futura fra nazioni intorno a un’arma così formidabile potrà essere evitata solo attraverso un accordo universale basato su una vera fiducia". Una fiducia reciproca che USA e URSS non avevano alcuna intenzione di concedere. Altri scrupoli sorsero con la resa della Germania nazista. Gli scienziati avevano promosso gli studi per la costruzione della bomba in funzione antihitleriana, ma ora che il principale nemico era sconfitto a che serviva continuare? La guerra nel teatro del Pacifico era ormai agli sgoccioli. Con la marina e l’aviazione al collasso, solo l’esercito garantiva all’impero del Sol Levante il controllo del territorio nazionale e della Manciuria. I vertici militari USA erano convinti che per la metà del 1946, con un serrato blocco navale ed un eventuale sbarco sul suo territorio metropolitano, il Giappone sarebbe stato sconfitto. Ma la bomba c’era.
L’ipotesi di farla scoppiare in un luogo deserto, al cospetto di osservatori internazionali, per dimostrare al Giappone la terribile arma di cui gli alleati erano dotati, fu scartata. Così pure quella di comunicare in anticipo alle autorità nemiche il nome della città che sarebbe stata bombardata per consentire un suo sgombero. A fare indirettamente pressioni per il suo uso era l’opinione pubblica statunitense che, esasperata da quattro anni di guerra (nel giugno 1945 per conquistare Okinawa caddero 13 000 marines e 100 000 giapponesi), chiedeva una vittoria immediata e definitiva.
Anche le considerazioni politiche sugli assetti mondiali immediati e futuri ebbero il loro peso. La guerra nel Pacifico doveva essere una completa vittoria americana e bisognava evitare che Stalin si ritagliasse anche lì un fetta di gloria attaccando in extremis le truppe giapponesi in Cina. La determinazione nell’uso della bomba era poi un chiaro messaggio all’URSS su quale dovesse essere la potenza dominante del secondo dopoguerra. Necessità tattiche e prospettive strategiche convinsero Truman alla decisione finale.
Tutti loro erano legati in modo indissolubile all’ordigno che avevano scoperto e perfezionato. Come scienziati avevano voluto scoprire i segreti del mondo fisico, le possibilità di manipolarlo e di controllarlo. E ora che ci erano riusciti qualcosa non funzionava. La realtà che stava dietro l’angolo era venuta alla luce: la bomba atomica poteva essere il primo passo verso la distruzione completa dell’umanità. Hiroshima stava poco a poco prendendo piede nella mentalità collettiva come la manifestazione dell’onnipotenza dell’uomo: un onnipotenza negativa, alla quale si erano sacrificati i migliori ingegni e le migliori facoltà umane. Leo Szilard, il fisico che forse per primo aveva intuito la portata militare e politica della scoperta del neutrone, disse, poche ore dopo il bombardamento di Hiroshima, che l’uso "delle bombe atomiche contro il Giappone è una delle più grandi bestialità della storia", perché così si sarebbe dato il via a una sfrenata corsa agli armamenti atomici. Lui che nell’estate del 1939 si era recato da Einstein per chiedergli di convincere il governo statunitense a costruire una bomba atomica in funzione antinazista, era infine diventato uno degli uomini più preveggenti sul nuovo corso della storia che di lì a poco sarebbe scaturito. L’idea che d’ora in poi fosse necessario attuare un ripensamento in chiave politica nell’uso del deterrente atomico iniziò rapidamente a prendere piede un po’ tra tutti gli scienziati responsabili del progetto Manhattan. In modi più o meno evidenti, e talvolta anche in circostanze ufficiali, Oppenheimer, direttore del laboratorio di Los Alamos, Fermi e altri loro colleghi si espressero a favore di una politica di accordi internazionali in grado di evitare guerre future. Si parlò ripetutamente, come aveva già fatto a suo tempo Bohr, di incoraggiare il libero scambio della scienza e degli scienziati, di ispezioni reciproche tra USA e URSS.
VERSO L’EQUILIBRIO DEL TERRORE Nelle università americane, a pochi mesi dalla fine della guerra, si organizzarono convegni scientifici sul controllo dell’energia atomica. In uno di questi, tenuto a Chicago nel settembre del 1945 al cospetto di autorevoli studiosi ed economisti, vennero sviscerate un gran numero di ipotesi futuribili. Tra catastrofisti e irriducibili sostenitori dell’armamento atomico, furono anche formulate delle previsioni a dir poco sorprendenti per la loro precisione: "Non ci sarà nessuna guerra preventiva – disse un relatore che mise d’accordo tutti gli scienziati – e non ci sarà un accordo internazionale che comporti delle ispezioni. L’America avrà il possesso esclusivo per un certo numero di anni e la bomba eserciterà una certa influenza sottile; sarà presente ad ogni incontro diplomatico nella coscienza dei partecipanti ed eserciterà il suo effetto. Poi, presto o tardi, anche la Russia avrà la bomba e allora si instaurerà un nuovo equilibrio". L’equilibrio della deterrenza e della minaccia nucleare".
Cosa che puntualmente si verificò nel settembre del 1949, quando il presidente americano Truman annunciò al mondo intero l’esplosione della prima bomba atomica russa. La corsa a due iniziò così. Gli scrupoli di coscienza degli scienziati del progetto Manhatthan non riuscirono a deviare di un solo passo gli eventi. Anzi, la strategia nucleare e lo sviluppo della sua tecnologia bellica diverranno la vera e unica ossessione delle due superpotenze. Nei primi anni Cinquanta la bomba all’idrogeno, o termonucleare, sostituirà la vetusta bomba atomica. La potenza degli ordigni aumenterà a dismisura (fino a 3000 volte quella di Hiroshima) e si realizzeranno vettori (missili) sempre più precisi e capaci di portare distruzione su tutto il territorio della potenza avversaria.

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Scienze: bomba atomica

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