L'economia italiana tra 1860 e 1896

Materie:Riassunto
Categoria:Storia

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Testo

CAP.37…
1) “L’ECONOMIA ITALIANA TRA 1860 E 1896”
“Una situazione di arretratezza”
Quando raggiunge l’unità, intorno al 1860, l’Italia, economicamente, è un paese arretrato rispetto all’Inghilterra e alla Francia.
L’agricoltura risente della domanda vivace dell’Europa di alimentari e fibre tessili: tipici sono i casi
• Dell’esportazione della seta greggia
• Dell’esportazione dei prodotti dell’agricoltura specializzata (agrumi, vino, olio)
“Poche e stentate industrie”
L’industria è ferma, la produzione è prevalentemente sparsa in piccoli laboratori nelle campagne; le poche eccezioni sono in Lombardia e Piemonte, dove sono in funzione cotonifici che danno lavoro a centinaia di operai.
La stentata siderurgia produce spesso con esiti antieconomici.
“Un’economia povera e liberalista”
Lo sviluppo economico della penisola è ostacolato dalla scarsità di capitali e dalla ristrettezza del mercato, determinata dal bassissimo potere d’acquisto di gran parte della popolazione.
Il Piemonte di Cavour è stato un decisissimo sostenitore del liberalismo
• Scambi aperti e senza vincoli di dogana e dazio con tutti i paesi stranieri
• Largo spazio all’iniziativa privata
• Stato tenuto fuori dall’ambito economico.
Il vasto mercato mondiale delle merci sarà banco di prova delle capacità della giovan imprenditoria italiana.
“L’enorme debito pubblico”
La situazione bancaria è al limite della bancarotta; l’Italia deve:
- pagare i costi delle guerre d’indipendenza
- trovare denaro per far funzionare esercito, marina, lavori pubblici e amministrazione
- trovare denaro per onorare i debiti dei vecchi stati.
Per far questo lo stato italiano sceglie tre vie da seguire:
1. al ricorso ai prestiti è una strada obbligatoria;
2. la vendita delle immense proprietà ecclesiastiche è un’occasione per favorire la piccola e media proprietà e aumentare il numero dei possedenti; è però una speculazione a favore dei più ricchi;
3. l’inasprimento fiscale colpisce le masse della gente povera; vengono introdotte severe tasse, quali quella
- sul sale
- sui tabacchi
- sugli alcolici
- sulla lavorazione della farina (”tassa sul macinato”)
Tutte queste tasse colpiscono le classi più povere e i più elementari consumi popolari.

2) “I PRIMI DECENNI DELL’UNITà (1869-80)
“Le direttrici dello sviluppo”
I due pilastri della politica economica italiana nei primi anni dopo l’Unità sono l’estendere a tutta la penisola la rete ferroviaria e applicare rigorosamente i principi del liberalismo, ma né l’uno né l’altro sono in grado di dare la prima spinta allo sviluppo industriale al paese.
“Inconsistenza dell’offerta interna”
Si inaugura con buoni risultati un piano di costruzione della rete ferroviaria; ci si rivolge prevalentemente all’estero, dove i prodotti sono migliori, più collaudati e a prezzo più ottenuto; le industrie italiane forniscono servizi “facili”.
“L’insostenibile peso della concorrenza”
L’Italia accentua le esportazioni di prodotti agricoli e importa beni industriali;
il risultato è duplice:
- il redito prodotto dall’agricoltura cresce
- rimane stagnante il comparto dell’industria
“Agricoltura”
La produzione agraria sale; si ha un soddisfacente flusso di ricchezze che però ritorna soltanto in minima parte ai contadini, resta ai ceti possidenti e capitalisti o va allo stato, convogliato da una durissima politica fiscale.
Tassando ferocemente l’agricoltura lo stato riesce a
• porre le premesse di un decollo economico
• costruire le basi essenziali e le condizioni preliminare dell’industrializzazione.
“L’alto costo dell’accumulazione”
I benefici economici sono grandi, ma i costi da un punto di vista sociale sono altissimi: vi è povertà diffusa e le campagne meridionali sono in condizioni di spaventosa arretratezza.
“L’alto costo dell’accumulazione” e l’industria e l’importanza del tessile”
I benefici economici sono grandi, ma i costi da un punto di vista sociale sono altissimi: vi è povertà diffusa e le campagne meridionali sono in condizioni di spaventosa arretratezza.
Le regioni meridionali prima in condizioni di forte protezione doganale, ora, con la caduta di ogni barriera e l’adozione del libero scambio, sono travolte dai prodotti inglesi, francesi e americani.
Regge il settore tessile, incentrato sulla filatura della seta, cotone, lana e lino.
Sorgono inoltre i primi lanifici, cotonifici e fabbriche di tessuti stampati a ciclo continuo.
“Le lacune del settore siderurgico”
la siderurgia è ancora legata all’antieconomica produzione di ghisa; questa viene importata dall’estero, di qualità anche migliore e costa la metà di quella prodotta in Italia.
L’acciaio è del tutto assente e il comparto meccanico che lavora per l’esercito e per le ferrovie è stentato.
“Le prime iniziative imprenditoriali”
Si muovono alcuni comparti nuovi, sotto l’iniziativa di imprenditori quali:
◙ Battista Pirelli => fonda a Milano l’industria della gomma
◙ Francesco Cirio => fonda la sua industria delle conserve alimentari
◙ Branca, Carpano e Rossi => aprono distillerie e lavorano su sciroppi e vini tipici
◙ Si avviano i primi esperimenti di produzione dei concimi chimici
◙ Sorge la prima unità di un grosso complesso zuccheriero
“Si delinea il triangolo industriale”
Tra il 1860 e il 1880 vi è un lento avanzamento, ma:
o Questo limitato sviluppo è rigidamente concentrato nelle tre regioni nordoccidentali del paese
o Le 3 città capoluogo di queste regioni (Milano, Genova, Torino) vanno acquistando la fisionomia di centri urbani moderni, in notevole contatto commerciale con paesi industriali, in grado di fare da punto di riferimento e base per l’industrializzazione attraverso le loro officine e i propri istituti di istruzione superiore e media e dando pubblicando informazione specializzata.
3) “ TRA 1880 E 1896. LA SVOLTA PROTEZIONISTICA E IL RIORDINO DEL SISTEMA BANCARIO
“Gli ultimi 20anni del XIX secolo”
Intorno al 1880 due fatti pongono le premesse a una svolta nella politica economica del paese:
1. arriva sul mercato d’Europa il grano americano a prezzi imbattibili
2. salvare l’agricoltura, messa in ginocchio dalla concorrenza straniera e dare maggiore spazio all’industria. Lo scopo è :
- difendere l’indipendenza nazionale
- mettere a riparo la patria dal predominio economico di altri Stati
- favorire alcuni comparti produttivi ad alto investimento di capitale capaci di moltiplicare l’occupazione.
- Si chiede di far crescere un’industria dell’acciaio e delle armi.
“Le misure protezioniste”
nel 1878 sono introdotti i primi dazi; per l’Italia inizia la lunga stagione del protezionismo.
Sulla stessa strada vi sono anche Francia e Germania che introducono alte barriere doganali sulle merci straniere.
Sono tassati molto forte i prodotti agricoli di importazione (il grano americano per es. diviene troppo caro per il mercato italiano) => sono così avvantaggiati
- Agrari
- Coltivatori piemontesi, lombardi, veneti, emiliani
- I grandi latifondisti della Calabria e della Sicilia.
Sono colpiti i filati e i tessuti che giungono dall’estero=> x qsto hanno vantaggio lanieri e cotonieri.
“Gli effetti dell’industria pesante”
Sono gravati dal dazio i prodotti della siderurgia, ghisa e acciaio, di provenienza inglese: si sviluppa una grande industria siderurgica nazionale.
Sono colpite le importazioni dell’industria meccanica; hanno quindi spazio le fabbriche nazionali, in quest’ambito potrà quindi nascere l’industria automobilistica e aeronautica.
Possono essere liberamente importate le materie prime assenti in Italia come carbone, lana e cotone.
“Gli interessi del gioco”
Con l’industria pesante ha un danno il consumatore italiano, costretto ad acquistare prodotti che escono dalle fabbriche nazionali, più cari e meno rifiniti.
I grandi agrari del sud si legano ai gruppi più dinamici dell’industria italiana che ha il controllo su siderurgia, tessile, zuccherifici e cantieri.
➢ GLI AGRARI DEL SUD non hanno alcuno stimolo al miglioramento, non investono, continuano a “regnare” su terre coltivate estensivamente, spesso totalmente improduttive
➢ GLI INDUSTRIALI DEL NORD migliorano i propri prodotti per allinearsi agli standard internazionali, per investire in tecnologie, per aprirsi al nuovo.
“Copiano” i processi produttivi delle grandi industrie straniere e affrontano la concorrenza.
Il distacco tra Nord e sud ora diviene un baratro.
“Il problema finanziario: gli istituti bancari”
oggi, in Italia, il compito di emettere la moneta è demandato a un unico istituto: la Banca d’Italia.
Prima dell’Unità l’Italia era divisa in alcuni Stati, ognuno con una banca centrale, che si occupava dell’emissione della moneta.
Dopo l’unificazione, l’Italia si trova così a ereditare una situazione anomala, frazionata. Esistono 6 banche con facoltà di emettere moneta.
A Unità raggiunta si adotta un’unica moneta, la lira, ma si mantengono le sei banche con quei privilegi.
“I fallimenti nel settore bancario”
Tra 1893 e 1894 due grandi banche falliscono.
La “febbre edilizia” ha un ruolo molto importante nella storia delle banche infatti con
• Processo di urbanizzazione
• Diffusione di servizi pubblici come acquedotti , gas,illuminazione…
• Aumento della popolazione
La “corsa al mattone” è una conseguenza abbastanza logica a questi fatti.
Sorgono cantieri ovunque soprattutto a Roma dove sono state molto alte le somme richieste per costruire edifici pubblici.
A Napoli dopo l’epidemia di colera, è approvata la legge di risanamento della città.
Altre banche o sono in crisi o chiudono perché troppo esposte nel settore edilizio.
La situazione viene risolta nel 1894 da Sonnino che fonde un unico istituto, la Banca d’Italia, tre banche minori; questa ha la responsabilità di emettere la moneta non potrà più raccogliere depositi né fare prestiti.

“Le banche a capitale misto”
Viene favorita la creazione di banche, le cosiddette “banche miste” le quali hanno facoltà di finanziare sia l’industria con crediti a lungo termine, sia il commercio con crediti a breve termine: questa è una soluzione che va incontro alle richieste di finanziamento dei settori più vitali dell’economia italiana, ma per molti versi è piena di rischi..
..per esempio: una persona versa una somma in banca senza vincolo di deposito
la banca presta questa somma a un’impresa
l’impresa potrà ridare quella somma alla banca soltanto dopo 2 anni
dopo un mese la persona che ha versato quella somma richiede di averla indietro
la banca non può però farlo in quanto ha dato quella somma in prestito all’impresa.

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