Italia 1860, prima dell'unificazione

Materie:Tema
Categoria:Storia
Download:996
Data:30.12.2005
Numero di pagine:7
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
italia-1860-prima-unificazione_1.zip (Dimensione: 7.14 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_italia-1860,-prima-dell-unificazione.doc     29.5 Kb


Testo

1860: UN’ITALIA QUASI UNITA MA ANCORA ALL’ALBA DELLO SVILUPPO
All’inizio del 1860, conclusasi da poco la seconda guerra d’indipendenza con la Pace di Zurigo che sancì l’annessione della Lombardia al territorio dei Savoia, la penisola italiana si presentava ancora come una realtà molto frammentata, costituita da diversi regni con forte autonomia.
Il 1860 può essere definito l’anno dell’unificazione ufficiosa dell’Italia, ovvero l’anno in cui i diversi regni presenti sulla penisola furono annessi al Regno di Sardegna per formare, sotto la guida di casa Savoia, uno stato finalmente unitario sotto l’aspetto territoriale. Precedentemente tale obiettivo non era mai stato raggiunto, da una parte a causa della sempre profonda frammentazione dei territori della penisola e dall’altra perché, nei tentativi di unificazione, il Piemonte aveva adottato strategie eccessivamente mirate a curare soltanto i propri interessi.
Un primo passo verso l’unificazione fu compiuto dalle popolazioni di Emilia-Romagna e Toscana che, nel marzo 1860, con insurrezioni dal basso, espressero il desiderio di unirsi al Piemonte; Cavour seppe cogliere abilmente quest’occasione e riprese le trattative con il sovrano francese Napoleone III, con il quale aveva avuto screzi precedentemente, concedendo a quest’ultimo Nizza e Savoia in cambio del riconoscimento dell’annessione di Emilia-Romagna e Toscana al Regno di Sardegna. La conquista del sud Italia, territorio non particolarmente ambito da Cavour poiché arretrato rispetto al nord, avvenne grazie all’azione autonoma del gruppo democratico con la famosa spedizione dei mille guidata dall’abile comandante Giuseppe Garibaldi. Garibaldi, facendo leva sulle forze di quei gruppi desiderosi di ribellarsi presenti nel sud Italia, riuscì a conquistare il regno delle due Sicilie.
Cavour, anche se preoccupato dal fatto che il gruppo democratico potesse instaurare un governo repubblicano autonomo nel Mezzogiorno, decise di non intervenire in alcun modo nei confronti di tale spedizione; ma, quando Garibaldi prese come obiettivo lo stato pontificio, Cavour dovette necessariamente mobilitare l’esercito regio per poter fermare la spedizione dei Mille, che altrimenti avrebbe compromesso l’alleanza tra il Piemonte e il re di Francia Napoleone III, in buoni rapporti con il Papa e anche suo difensore. In quel momento, insomma, come afferma lo storico Mack Smith, “per Cavour combattere l’influenza di Garibaldi era più importante che combattere contro l’Austria”.
Cavour, quindi, mobilitato l’esercito, fermò Garibaldi, il quale accettò la richiesta e riconobbe Vittorio Emanuele come re di tutti i territori conquistati; dopodiché, in seguito a movimenti dal basso in Umbria e nelle Marche, Cavour, sempre grazie all’esercito regio, riuscì a ‘liberare’ anche tali regioni che accettarono di essere annesse al Piemonte.
Alla fine del 1860, quando Garibaldi “incoronò” Vittorio Emanuele come re d’Italia e Cavour conquistò parte del centro Italia, tutti i territori della penisola, tranne il Veneto, ancora proprietà asburgica, e lo stato della Chiesa, si trovavano per la prima volta sotto un unico dominio, sotto un’unica corona. Proprio in tale anno, quindi, si può per la prima volta parlare, anche se non ancora ufficialmente, di Stato Italiano.
Se è vero che nel 1860 l’Italia si avviò con decisione verso il grande passo dell’unificazione, tuttavia bisogna anche sottolineare che la penisola italiana, a differenza di diversi altri Paesi europei come, ad esempio, Inghilterra, Francia e Belgio, alla metà del XIX secolo, risultava ancora arretrata sul piano economico e sociale.
L’economia italiana aveva ancora, in buona parte del paese, l’agricoltura come settore portante, agricoltura che, se nelle zone settentrionali della penisola era giunta ad un livello di capitalismo agrario, nel centro e nel sud presentava ancora sistemi come la mezzadria o il latifondismo, ormai superati da tempo e altamente improduttivi. La produzione del settore primario “italiano” era costituita principalmente da grano, che nell’800 risultava di scarso valore, e, in minori quantità, da vite e ulivo.
Per quanto riguarda l’industria, intorno alla metà del secolo le regioni settentrionali della penisola conobbero un discreto sviluppo soprattutto nel settore tessile, sviluppo favorito principalmente da un mercato interno in espansione, dalla possibilità di commerciare con i paesi europei d’oltralpe e dalla ripresa degli investimenti da parte di imprenditori stranieri. Nel centro e nel sud della penisola italiana l’industria non riuscì nemmeno ad avviarsi e, sino alla metà dell’800, l’unica produzione degna di nota risultava essere l’industria di guanti presente nel territorio napoletano. Una cifra esemplificativa dell’arretratezza industriale italiana, specialmente nel settore siderurgico, può essere quella delle tonnellate di ferro e ghisa prodotte intorno alla metà del secolo: 60 mila tonnellate prodotte complessivamente da tutti gli Stati italiani rispetto ai 3 milioni di tonnellate prodotte dalla Gran Bretagna.
Neppure nel settore terziario vi furono investimenti tali da favorirne un buon sviluppo, infatti, anche a causa delle difficoltà presentate dalla morfologia del territorio italiano, furono costruite poche vie di comunicazione nuove, preferendo il commercio via mare; un’eccezione è rappresentata dal Regno di Sardegna dove, nel corso degli anni Cinquanta, grazie all’avvento di capitali e tecnici stranieri, fu costruita una discreta rete ferroviaria che, da sola, risultava più lunga di quelle di tutti gli altri stati presi insieme.
Nel 1860, quindi, l’economia italiana si presentava arretrata rispetto agli altri stati europei; non era avvenuta la rivoluzione agricola, che in altri paesi aveva permesso di accumulare capitali e incentivato la produzione meccanica; la carenza di capitali era messa in luce dalla presenza di un basso numero di istituti bancari, oltretutto spesso non in grado di assumere un ruolo propulsivo, e fu proprio questa la principale causa che impedì uno sviluppo industriale e, quindi, uno slancio dell’economia.
La società italiana alla metà del XIX secolo appariva ancora simile ad una società di ordini e risultava, quindi, essere statica e poco flessibile. La maggior parte dei lavoratori erano ancora contadini che, solitamente, vivevano in condizioni di grande arretratezza economica e culturale; la borghesia era presente ma in numero piuttosto ristretto e per lo più assimilabile, come stile di vita, all’aristocrazia. I borghesi presenti in Italia, inoltre, raramente erano burocrati o funzionari di stato, ma ricoprivano i ruoli, tra l’altro poco diffusi, di finanzieri, banchieri e intellettuali autonomi. Naturalmente in un paese ancora così poco industrializzato non poteva essersi formata una vera classe operaia e, quindi, nel 1860, troviamo rappresentanti di essa quasi esclusivamente nelle città del nord e in alcune zone del sud caratterizzate dalla produzione di guanti. Anche gli artigiani rappresentavano un gruppo non particolarmente esteso, infatti, sebbene l’Italia avesse una buona tradizione nell’artigianato di qualità, tali attività risultarono spesso travolte dall’avvento, in diverse zone d’Europa, dell’industria, in grado di mettere sul mercato prodotti naturalmente di minor qualità ma in grandi quantità e, soprattutto, a basso prezzo.
Anche la società, quindi, così come l’economia, nella penisola italiana risultava più arretrata rispetto ai modelli che si stavano ormai consolidando in alcune zone d’Europa. La società italiana, infatti, anche a causa di una scarsa presenza della borghesia, non risultava ancora in grado di muoversi autonomamente e rivendicare diritti, ma spesso si limitava a far sentire la propria voce con movimenti di massa e sommosse popolari.
Un problema sociale presente nella penisola italiana e relazionabile alle cattive condizioni di vita era quello del brigantaggio. Tale fenomeno, che poi diventerà sempre più diffuso quando, avvenuta l’unità, non si saranno verificati i cambiamenti sperati dalla popolazione delle zone liberate, era già in parte presente soprattutto nelle regioni meridionali ed era chiara espressione di un paese in cui gran parte della popolazione non aveva ancora raggiunto uno stato di soddisfacente benessere.
Nei vari stati italiani, proprio per la lentezza dello sviluppo economico e di un conseguente non eccezionale miglioramento delle condizioni di vita di gran parte della popolazione, non si verificò alcun boom demografico, ma ci fu una crescita graduale. Fino alla fine del secolo non si ebbe nemmeno il fenomeno dell’urbanizzazione su vasta scala, ma soltanto limitate zone del nord Italia dove, per prime in tutta la penisola, iniziarono a presentarsi industrie e ferrovie, ne furono interessate.
Senza dubbio, nel tentativo di motivare l’arretratezza economico-sociale dell’Italia rispetto ad altri paesi europei, si può mettere in relazione questo problema con lo stato di frammentazione in cui si trovava la penisola prima del 1860. Diversi intellettuali si dimostrarono convinti che un’Italia non unita non sarebbe mai riuscita ad affermarsi in campo europeo e sarebbe sempre stata oggetto di conquista da parte delle potenze straniere. Tra i grandi sostenitori dell’unità troviamo, tra gli altri, Giuseppe La Farina il quale, nel 1857, in un manifesto del partito ‘Società nazionale italiana’, affermò la necessità di costituire con qualsiasi mezzo (accettando pure la supremazia di casa Savoia) uno stato unitario al fine di far rifiorire l’Italia sotto l’aspetto della dinamicità economica. La Farina fece notare come la presenza di troppi staterelli non causasse soltanto l’assenza di uno spirito nazionale, quantomeno necessario per fondare grandi e funzionanti imprese, ma anche una debolezza economica che si esplicava nella continua perdita di primati in diverse produzioni, nell’arretratezza delle tecniche utilizzate e nell’assenza di un solido apparato commerciale. A causa di tutto ciò le potenzialità economiche e culturali dell’Italia rimasero inevitabilmente inespresse poiché prodotti e testi scritti, bloccati continuamente da dazi e dogane e da un’insufficiente rete viaria, faticavano a circolare tra i diversi stati della penisola. L’intento di La Farina fu, quindi, quello di mettere in luce quanto fosse fondamentale un’unificazione che desse la solidità e la stabilità necessarie per una rinascita economica dell’intero paese.
Insomma, osservando l’Italia nel 1860 si ha di fronte un paese che, dopo anni e anni di assoluta frammentazione, tra regni, repubbliche autonome e invasioni straniere, finalmente approda alla realtà dello Stato unitario, e proprio da questa unità dovrà trovare la forza per rifiorire sotto l’aspetto economico e sociale, dove risulta ancora di gran lunga arretrata rispetto a molte nazioni europee.

Silvio Albani 5^I

Esempio