Francia, Inghilterra e Russia

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Testo

ZORZI ALESSANDRO
IV A LICEO SCIENTIFICO
RELAZIONE DI STORIA
- LA STORIA DELLA FRANCIA DAL 1500 AL 1715
- L’INGHILTERRA DAL 1500 AL 1700
- LA RUSSIA DAGLI INIZI ALLA MORTE DI PIETRO IL GRANDE
- LA POLITICA DI CARLO V
-.
LA FRANCIA
Nel corso del rinascimento due episodi di natura politica particolarmente significativi (assieme ad altri di natura economica e sociale) decretarono il definitivo tracollo del sistema feudale: le riforme religiose che logorarono profondamente il potere temporale della Chiesa e il disfacimento dell’impero germanico.
In entrambi i casi, una delle cause scatenanti fu la spinta decentratrice di alcune nazioni che tesero a distaccarsi dai poteri centrali per dare vita a monarchie di carattere nazionale: nacquero così la Francia e l’Inghilterra.
POLITICA
La Francia del XV secolo era ormai da molto tempo uno stato indipendente ma i grandi latifondisti tendevano a non riconoscere il potere centrale.
Nel sec 16° il rifiorire del diritto romano ispirò una nuova dottrina monarchico-assolutista a partire dal sovrano Francesco I.
Il re si circondò di un ampia schiera di collaboratori alle sue dirette dipendenze che tese a contrapporre alle assemblee dei principi.
Organo fondamentale della monarchia centralizzata furono il Consiglio del re, che assisteva il sovrano e gli stati generali.
Questi furono convocati per la prima volta nel 1302 ma a cominciare dal 1484 gli “Stati” ottennero di essere convocati periodicamente e di intervenire nella deliberazione e nella ripartizione delle imposte, un po’ come il parlamento inglese.
Così come il re d’Inghilterra Enrico VIII, dal punto di vista religioso Francesco preferì una chiesa di carattere nazionale alla potente “ecclesia” di Roma.
Le tendenze decentratrici della chiesa francese cominciarono nel ‘300 ma solo due secoli dopo fu decisa la nascita della Chiesa gallicana esente del pagamento delle tasse e dall’autorità della curia romana.
Il pontefice aveva su quest’ultima un potere limitato sia dai canoni antichi che dal potere del sovrano francese.
Il Papa, essendo in piena riforma, dovette accettare suo malgrado le condizioni impostegli; comunque così come lo scisma Anglicano, sul piano teologico non vi furono sostanziali cambiamenti (tanto che il sovrano francese continuò ad essere chiamato con l’appellativo “il cattolicissimo” ): si trattò solamente di una operazione politica.
Francesco I fu spesso coinvolto in estenuanti guerre all’estero, soprattutto in Italia, fino a quando la pace di Chateau-Chambreis consacrò il definitivo predominio spagnolo sulla penisola.
All’indomani della pace del 1559, la Francia venne a trovarsi in una difficile situazione.
A complicare tutto si mise di mezzo una crisi dinastica cominciata dopo la morte del successore di Francesco I, Enrico II di Valois, nel 1559, quando la corona passò al figlioletto Francesco di appena quindici anni e le funzioni di governo furono assunte dalla madre, la fiorentina Caterina de Medici, figlia del signore fiorentino Lorenzo, che era politicamente molto abile ma invisa all’aristocrazia perché straniera.
L’anno 1559 sembrò segnare una cesura nella storia francese del XVI secolo, separando un periodo di pace interna e di spedizioni militari all’estero, da un periodo di guerre civili e di crescente perdita di peso del regno.
Durante la metà del XVI secolo la vita quotidiana in Francia era stata più serena di quella di molti altri paesi d’Europa, anche se ciò non significa che la calma vi regnasse totale.
Tuttavia nè il regno di Francesco I né quello di Enrico II conobbero una rivolta, né la Francia fu teatro di una guerra intestina o calpestata continuamente da soldati stranieri come l’Italia.
E’ per questo che più genericamente il 1559 sembrò contrassegnare il passaggio dalla gioia di vivere propria del rinascimento al clima di terrore e odio generato dagli antagonismi religiosi.
Infatti, a partire dalla metà del secolo, il calvinismo dilagò anche in Francia.
Si formarono due schieramenti che facevano capo rispettivamente ai Guisa (duchi di Lorena) protettori dei cattolici, e ai Borboni (signori della Navarra), punto di riferimento dei protestanti ugonotti.
Con sottili giochi diplomatici la reggente Caterina de Medici, di fede cattolica, tentò di salvaguardare la casa regnante appoggiandosi ora all’ uno, ora all’altro dei partiti rivali: concesse una limitata libertà di culto agli ugonotti e la persecuzione contro di loro cessò di fatto; poi promosse una conferenza tra teologi romani e calvinisti per cercare di trovare delle soluzioni di pacifica convivenza.
Ma i Guisa incalzarono per recuperare l’antica supremazia alla corte di Francia e l’anno dopo si compì l’evento fatale: una banda di seguaci dei Guisa attaccò e massacrò a Vassy una piccola comunità ugonotta (1562).
La notizia della strage incendiò gli animi dei protestanti che corsero alle armi temendo di essere già alla vigilia della carneficina.
In poco tempo la Francia fu travolta dalla guerra civile.
La reggente fu così costretta ad affrontare la guerra tra i cattolici, che chiesero aiuti a tutto il mondo fedele al Papa di Roma e i calvinisti che godevano dell’aiuto della regina Elisabetta d’Inghilterra.
Caterina tentò di liquidare alla meglio la guerra , concedendo agli Ugonotti un editto di tolleranza e allo stesso tempo cercando di respingere gli Inglesi giunti in aiuto dei protestanti.
Ciò però non fu sufficiente a fermare i combattimenti.
La guerra si acuì quando gli ugonotti guidati dall’ammiraglio Coligny, riuscirono a far promettere in sposa la sorella del sovrano, Margherita, al capo ugonotto Enrico di Borbone, il futuro sovrano Enrico IV.
A questo punto lo scontro interno si trasformò in internazionale, poiché da una parte gli ugonotti ricevettero l’appoggio dei protestanti olandesi, inglesi e dei principi tedeschi, dall’altra il partito cattolico francese strinse un’ intesa con gli spagnoli e con la chiesa di Roma.
Intanto i cattolici sottoposero il paese ad un bagno di sangue e nella notte del 23 agosto 1572 migliaia di Ugonotti vennero massacrati.
Poi la repressione si estese a tutto il paese, facendo decine di migliaia di vittime.
Gli Ugonotti reagirono e il nuovo sovrano Enrico III di Valois non sembrò in grado di controllare la situazione.
La Francia era diventata un campo di battaglia dove si scontravano i due schieramenti organizzati come Unione Protestante e Santa Unione.
Questa fu la fase culminante di quella che è detta guerra dei tre Enrichi che vide confrontarsi l’uno contro l’altro i tre partiti in lotta: da una parte i cattolici guidati da Enrico di Guisa, dall’altra gli ugonotti guidati da Enrico di Borbone e infine i monarchici guidati da Enrico di Valois.
L’assassinio di Enrico di Guisa e la morte senza eredi del re Enrico III con conseguente passaggio della corona (1589) all’Ugonotto Enrico di Borbone, col nome di Enrico IV parve aprire la via a possibili soluzioni.
Enrico IV, ancora protestante, si ritrovò alla morte del suo predecessore quasi solo, senza sudditi, senza parlamento, senza denaro.
La promessa da lui fatta di “mantenere e conservare la religione cattolica, apostolica e romana, e di farsi istruire da un legittimo e libero consiglio gli valse l’adesione esitante solo di una piccola parte della nobiltà, mentre la maggior parte delle città, compresa Parigi, si ribellò al nuovo monarca schierandosi al fianco del duca di Mayenne e del cattolicesimo.
Il nuovo re di Francia aveva dalla sua in fin dei conti null’altro che un piccolo esercito di 20.000 uomini ma subito intraprese la conquista del regno e il 14 marzo dell’anno successivo Parigi venne riconquistata. A questo punto, complici le divisioni del regno e i progetti dinastici del monarca spagnolo Filippo II, si fece avanti la Spagna che ufficialmente combatteva il nemico protestante.
Ma da abile politico, Enrico IV fece annunciare la sua prossima conversione dall’arcivescovo di Bourges e di lì a pochi mesi la sacra unzione e l’incoronazione a Chartres fecero effettivamente di Enrico IV il cristianissimo re di Francia. Celebre rimase la frase, che si dice pronunciata da Enrico, “Parigi val bene una messa”.
Nella capitale il parlamento si dichiarò decisamente a favore del sovrano manifestando la propria ostilità agli spagnoli. A quel punto l’intervento straniero non aveva più dalla sua alcun pretesto.
La guerra straniera aveva avuto fine, ma restavano da togliere di mezzo quei rischi di guerra civile e religiosa che erano stati il pretesto degli interventi venuti da oltre frontiera.
Enrico tentò di risolvere l’essenziale problema di convivenza religiosa con l’editto di Nantes contente la carta dei diritti e dei privilegi dei protestanti francesi: i riformati avrebbero goduto ormai degli stessi diritti civili degli altri sudditi del re, avrebbero avuto accesso alle università, agli ospedali, alle corporazioni, a tutti gli incarichi di alta dignità e garanzia di imparzialità grazie ad un sistema giuridico bi-confessionale.
Per un decennio e più dopo la fine della guerra dei tre Enrichi il sovrano fu troppo occupato nella ricostruzione interna della Francia.
Quantunque l’opera attenta di Enrico IV avesse salvaguardato il potere monarchico, che aveva rischiato la distruzione durante le guerre di religione, quando egli fu ucciso (1610) riaffiorarono in Francia gravi problemi economici e sociali.
Dopo un breve periodo di reggenza della madre, sul trono di Francia salì Luigi XIII di appena nove anni.
La madre, la cattolicissima e ispanofila Maria de Medici fece subito sposare il figlio con la figlia di Filippo III.
All’ingresso della Francia nell’orbita della politica ispano-cattolica, si accompagnò ben presto il suo slittamento dall’assolutismo rinascimentale al neo-feudalismo di tipo spagnolo.
Lo stato assoluto rovinava da ogni parte e la minaccia di una nuova guerra civile costrinse il sovrano alla convocazione degli Stati Generali.
Ma anche gli Stati Generali, anziché ad uno sforzo concorde per rialzare le sorti del paese, mirarono solo allo scontro e nulla venne risolto.
Una volta diventato adolescente il re si dedicò con grande energia ad attuare un programma assolutistico tendente a soffocare tutti i centri di potere in grado di contrastare la corona e nominò come suo primo ministro il cardinale Richelieu.
La Francia trovò nel cardinale un uomo capace di governarla.
Dopo essere divenuto duca e pari, il cardinale fu ormai padrone incontrastato della Francia.
Con lui tornò ad imperare lo stato assoluto, accentratore, rinascimentale, cioè lo stato che da tutti esige obbedienza illimitata e a tutti garantisce sicurezza materiale e pace interna.
Poi, alla morte quasi contemporanea di Luigi XIII e di Richelieu il ruolo di quest’ultimo passò in mano al cardinale Mazarino che divenne il braccio destro del nuovo sovrano Luigi XIV.
Ma l’impegno del nuovo ministro di proseguire l’opera iniziata dal suo predecessore si scontrò all’interno con una durissima opposizione dell’aristocrazia che si espresse in ribellioni molto gravi sedate solo cinque anni più tardi.
Luigi XIV procedette ad una radicale ristrutturazione del potere esecutivo attraverso uno stato-macchina completamente asservito alla sua volontà. Non più un ministro onnipotente, ma tre ministri nei settori chiave: le finanze, la guerra, gli affari esteri.
Tre consigli di stato, puramente consultivi, facevano da tramite tra il re e l’amministrazione locale.
Compito principale di questo apparato era la tempestiva informazione sulla realtà economica e sociale del paese.
Tuttavia l’amministrazione pubblica divenne elefantiaca e creò vari problemi che furono risolti con la creazione della figura dell’intendente, veri e propri mediatori e revisori del meccanismo burocratico ove questo si fosse inceppato.
Per frenare il potere dell’aristocrazia, la monarchia aveva operato in due direzioni, affidando la macchina dello stato alla classe borghese e trasformando la nobiltà in una corte fastosa, ma priva di potere a livello di governo.
A tal scopo il re volle la costruzione della spettacolare Versailles, dove la corte si trasferì nel 1682.
Non v’era un solo angolo di Europa in cui i regnanti non considerassero sommo vanto l’essere riusciti ad avvicinarsi alla corte del Re Sole.
La pace religiosa fu uno degli obbiettivi fondamentali della politica interna di Luigi XIV.
Nel 1682 un’assemblea dei vescovi firmò la dichiarazione dei quattro articoli.
Il primo articolo affermava il principio della derivazione diretta da Dio del potere dei sovrani e quindi negava l’autorità del pontefice di dichiararli decaduti; il secondo riprese le tesi del concilio di Costanza affermando la superiorità del re sul papa; il terzo dichiarò intangibili le libertà gallicane; il quarto limitò il potere del papa di decidere in materia di fede.
Drastico fu anche l’intervento contro gli ugonotti ai quali era stata riconosciuta la libertà di culto, ma che ormai rappresentavano un ostacolo incompatibile per l’assolutismo monarchico.
Poiché le missioni dei predicatori non bastavano a fare breccia sugli animi degli eretici, si ricorse a metodi più subdoli e sbrigativi, come per esempio l’interdizione delle cariche pubbliche ai protestanti.
Così il sovrano “favorì” un esodo graduale dei protestanti che divenne poi fuga dopo la revoca dell’editto di Nantes nel 1685.
Fu condotta anche una poderosa fatica di riordinamento legislativo redigendo dei codici scritti che non di molto si discostano dai nostri codici civile, penale ed amministrativo.
Fu inoltre attuato il riordinamento dell’esercito tanto da trasformare la Francia in una grande potenza marittima.
ECONOMIA
Appena conquistata l’autonomia, la Francia appariva stremata finanziariamente dal lungo confronto con l’impero, attraversata dalla ripresa delle rivolte popolari suscitate dall’aumento generale dei prezzi e quindi dal peggioramento delle condizioni di vita dei salariati e delle masse contadine, e profondamente divisa anche dal punto di vista economico.
Enrico IV si trovò a dover gestire una situazione difficile, non solo a causa della difficile situazione politica ma anche a causa di una crisi economica dilagante.
In aggiunta le guerre di religione avevano inferto un duro colpo alla prosperità del regno.
Come se non bastasse una serie di estati piovose e di inverni rigidi compromisero in quegli anni i raccolti dei cereali.
Infine anche in Francia come negli altri stati europei i prezzi subirono una decisa impennata a causa dell’argento proveniente dalle colonie americane: il prezzo del frumento crebbe in meno di cent’anni di 27 volte.
Le carenze alimentari, le pestilenze e le guerre avevano decimato la popolazione.
Il ristabilimento dell’ordine presupponeva dunque la ripresa dell’attività economica.
Fu così che giovandosi dell’apporto di capaci collaboratori, come il duca di Sully, il nuovo sovrano pose mano al riordinamento amministrativo e fiscale del regno.
L’ugonotto Maximilien de Bèthune che seguì Enrico alla conquista del regno divenne il capo effettivo del Consiglio delle finanze.
Nonostante i suoi numerosi e audaci provvedimenti di riordino delle finanze incontrassero forti opposizioni e rimanessero di fatto quasi inoperanti, l’azione del Sully influì fortemente sulla vita economica e finanziaria dello stato francese: innanzitutto egli mirò a pareggiare il bilancio statale profondamente gravato dalle guerre e dalla crisi economica e a questo scopo favorì la vendita degli uffici pubblici.
Promosse inoltre la riduzione del carico fiscale e favorì la creazione di nuove infrastrutture.
Fu contrario alle nuove industrie nascenti ma seppe favorire l’agricoltura; ostacolò le importazioni perché considerava l’investimento di denaro all’estero come uno spreco ma fece anche l’errore di trovare i fondi per le numerose imprese belliche con una mazzata sui ceti mercantili, artigianali, capitalistici, cioè facendo pagare loro le spese con una manovra di svalutazione della moneta e di corso forzoso.
Le conseguenze negative del rialzo dei prezzi dovuto alla svalutazione della moneta ed alle guerre stavano colpendo tutte le classi sociali.
Erede di Sully fu il braccio destro di Luigi XIII, il cardinale Richelieu.
Il Richelieu avrebbe voluto fare nascere uno spirito capitalistico a forza di editti reali e quando si accorse che suoi sforzi ancora non bastavano cercò il rimedio estremo sostituendo l’azione del governo all’iniziativa privata deficiente.
Sotto questa energica cura di interventi statali, l’organismo economico della Francia si fece più robusto e moderno.
Tuttavia i capitali che il cardinale volle attirare in Francia non servivano tanto per fini economici ,quanto per fini militari di potenza dinastica.
Perciò quando si trovò a scegliere fra prosperità economica e fini militari, non esitò a sacrificare l’una per gli altri.
Egli non aveva niente di quel puritano rispetto del denaro che aveva il vecchio Sully.
Ministro delle finanze all’epoca di Luigi XIV fu il Colbert.
La sua politica economica aveva l’obbiettivo di massimizzare le esportazioni e di comprimere quanto più possibile le importazioni.
A tale scopo potenziò la flotta commerciale francese e creò cinque compagnie commerciali monopolistiche.
Furono protette le industrie nazionali con sgravi fiscali, create manifatture di stato in settori di lusso, fu stimolato lo sviluppo coloniale e quello della marina mercantile, furono costruite strade e canali per facilitare le comunicazioni interne.
Allo stesso tempo lanciò una tariffa doganale a carattere protezionistico per cui le merci straniere venivano ad essere escluse dal mercato.
Ma questa politica economica prevedeva anche la compressione del tenore di vita dei salariati, al fine di rendere bassi e competitivi i costi di produzione.
Tuttavia, anche se una parte cospicua dello sviluppo industriale sopravvisse alle numerose guerre del Re Sole, l’abbandono della tariffa doganale rappresentò un significativo arretramento.
L’agricoltura, già deliberatamente sacrificata allo sviluppo industriale, boccheggiò sotto l’aggravarsi del carico fiscale, mentre il crollo dei prezzi rese sempre meno remunerativo coltivare i campi.
Ai tumulti contro il fisco caratteristici dell’età precedente si sostituirono le rivolte degli affamati.
Colbert tentò inoltre di eliminare le disparità ma il tentativo fallì. Continuarono ad esistere dei privilegi fiscali, inoltre i finanzieri privati avevano il privilegio di anticipare allo stato l’ammontare delle imposte e di provvedere a riscuoterle, il che dava luogo a corruzione e soprusi.
SOCIETA’ E CULTURA
Nella Francia del ‘500 le classi sociali erano quattro: innanzitutto l’aristocrazia detentrice del potere e priva di etica del lavoro, così come il clero.
Il clero e la nobiltà erano detti ordini privilegiati ed esentati dal pagamento delle tasse
Veniva poi la nuova classe borghese costituita principalmente da commercianti, imprenditori e piccoli proprietari terrieri; infine il popolo costituito per la maggior parte da contadini liberi e artigiani.
Le classi erano sostanzialmente chiuse, ed evidentemente le più alte avevano tutto l’interesse che rimanessero tali.
Questo fu dimostrato dall’ascesa della nobiltà di Toga (l’alta borghesia gratificata dal sovrano con titoli nobiliari e incaricata di uffici pubblici) che fu certo il fenomeno sociale più significativo della Francia nel primo seicento soprattutto quando si generalizzò il sistema della vendita degli uffici e dei titoli.
L’aristocrazia di sangue si sentì sminuita e costrinse la reggente a sospendere questa pratica.
Tuttavia, fin da Luigi XIII, fu la borghesia a fornire al sovrano i ministri e consiglieri, mentre la nobiltà veniva tenuta buona nell’ozio di Versailles.
Nel regno di Francia si chiamava “Stati Generali” l’assemblea delle prime tre classi o stati.
Durante la convocazione i tre ordini si riunivano separatamente e un solo rappresentante parlava e votava nell’assemblea generale.
Poi gli stati generali si scioglievano senza aspettare la risposta del re.
Con il dilagare della riforma protestante e delle nuove idee religiose, anche in Francia si diffusero le idee calviniste e le conversioni.
Ugonotti era la denominazione dei protestanti francesi ispirati al calvinismo di Ginevra; organizzati in comunità e confederate si diffusero in tutte le classi sociali diventando un corpo relativamente autonomo.
Ma morto il sovrano ugonotto Enrico IV si trovarono davvero in una situazione quanto mai patetica e contraddittoria. Erano una minoranza, che da trenta anni resisteva alle lusinghe ed alle pressioni esercitate su di lei perché scomparisse e ritornasse al cattolicesimo.
Ma è minoranza ormai chiusa e senza possibilità di espandersi.
Gli ugonotti non poterono illudersi di avere un re di Francia non cattolico e quindi loro possibile alleato, e così dovettero spesso levarsi in rivolte armate per minacciare la corona.
Ma così facendo paralizzavano la Francia e facevano il gioco della cattolica Spagna.
Perno della rivolta Ugonotta fu una cittadina sul mare, imprendibile da parte di terra ma aperta verso l’oceano dal quale ogni giorno gli abitanti speravano di veder comparire navi inglesi in lo soccorso, fino a quando la cittadina venne definitivamente espugnata dai francesi e si mise fine alla questione ugonotta rendendoli gli sudditi a tutti gli effetti.
L’INGHILTERRA
Alla fine del XV secolo l'Inghilterra occupava una posizione importante sullo scenario politico europeo, ma niente lasciava intravedere il suo futuro destino imperiale: non possedeva flotta, nè militare nè mercantile, ma solo flottiglie di battelli da pesca e inoltre sembrò rimanere estranea, almeno in un primo momento, al grande movimento socio-culturale che stava attraversando l'Europa.
POLITICA
All' inizio del ‘500 l'Inghilterra era una "monarchia assoluta nazionale". Ciò significa che il sovrano rappresentava un solo popolo (quello inglese), ed deteneva tutti i tre poteri (legislativo, giudiziario e esecutivo).
La monarchia fu fondata da Enrico VIII, della dinastia dei Tudor che salì al trono nel 1509.
Egli ha il merito di aver superato le resistenze anarcoidi dei lord assommando sulla sua persona tutti i poteri nonché di essere riuscito a farsi rispettare dai feudatari come Re. Ma per poter veramente essere un monarca assoluto egli si rese conto della necessità di controllare anche il fenomeno religioso. Nel ‘500, infatti, la dipendenza nei confronti del papa di Roma non era soltanto religiosa ma anche politica e soprattutto economica. Enrico VIII fu l’ideatore della riforma anglicana con la quale si staccò da Roma; anche se dal punto di vista teologico, eccezion fatta per il rituale delle celebrazioni, non vi furono i radicali cambiamenti tipici della riforma protestante.
In un primo tempo Enrico VIII si era schierato con la chiesa di Roma, a tal punto di pubblicare delle dottrine luterane falsate, ricevendo così il titolo di “difensore della fede” da Leone X. La conversione che lo portò a scontrarsi con il papato fu di carattere profano.
Enrico VIII aveva sposato Caterina d’Aragona (parente di Carlo V) avendone una figlia femmina, ma non un erede maschio; allora aveva chiesto al papa di annullare il matrimonio; ma il papa, premuto dall’imperatore, aveva risolto la questione a favore di Carlo V, così iniziò una rottura tra il papato e il re d’Inghilterra. I preparativi per una riforma furono creati da due erasmiani, che avevano denunciato la corruzione del papato; il re intuì l’opportunità di convocare il Parlamento perché lo appoggiasse nella lotta contro il papato. Il Parlamento approvò una legislazione (Atto di Supremazia), che attribuiva al sovrano la suprema autorità in campo religioso. Il re eliminò il culto dei Santi, le offerte, e tutta la pratica religiosa condannata da Lutero, sostituì l’inglese al latino nelle cerimonie religiose. La chiesa anglicana fu caratterizzata da un forte potere riconosciuto ai vescovi. Il re poi confiscò i beni del papato, soppresse i monasteri e fece vendere il resto a bassi costi.
Sorse così la chiesa anglicana alle dirette dipendenze del sovrano. La monarchia divenne assoluta sotto tutti i punti di vista perchè gli anglicani riconobbero il sovrano anche come guida spituale e i ministri della chiesa furono costretti a giurare nelle mani del sovrano.
Enrico VIII muore nel 1557.
Interprete della politica inglese nel corso della seconda metà del XVI secolo fu la regina Elisabetta I, figlia di Enrico VIII Tudor e chiamata a succedere nel 1558 al breve regno della sorellastra Maria Stuart.
Maria, figlia di Giacomo di Scozia e considerata dal papato la vera erede al trono aveva tentato di ripristinare in Inghilterra il cattolicesimo approfittando di una delle tante congiure promosse dai fedeli di Roma.
Il tentativo fallì e Maria fu presto giustiziata da Elisabetta che salì al trono.
La nuova sovrana respinse il cattolicesimo offrendo la sua protezione alla Chiesa anglicana.
La persecuzione contro i cattolici culminò in uno spietato editto del 1592, con cui si ordinava loro di allontanarsi di qualche miglio da ogni città, come appestati.
Anche nei confronti del moto puritano o dei congregazionalisti, la Chiesa inglese assunse un atteggiamento sempre più intollerante.
Inoltre volle utilizzare ogni prerogativa consentitale per tutelare la stabilità del suo potere e per favorire le tendenze più moderne che agivano all'interno della società inglese.
Seguendo la linea del padre Elisabetta fu decisa a rafforzare l’assolutismo monarchico e per fare ciò lasciò il minimo spazio ai diritti del parlamento e non esitò a potenziare tribunali speciali, tra cui la Camera Stellata, un'alta corte di giustizia posta alle sue dirette dipendenze.
Elisabetta fondò il suo regno sul compromesso politico, sul compromesso religioso e sul compromesso sociale.
Fornì allo stato inglese un apparato burocratico : se nel medioevo l’amministrazione del paese si basava sul controllo del territorio da parte di vassalli, valvassori, valvassini strettamente legati al feudatario, dal ‘500 il re pagò uno stipendio a dei cittadini che svolgevano funzioni pubblica. Elisabetta affidò i vari settori dello stato (fiscali e amministrativi) ai ministri, alti funzionari competenti per il loro incarico.
La sovrana riorganizzò anche il sistema fiscale regolando le tasse, mentre nel medioevo era il vassallo che doveva fornire direttamente al sovrano determinati beni, come ad esempio le truppe. Redisse inoltre il bilancio dello stato, nel quale venivano confrontate le entrate con le spese (infrastrutture, guerre etc…).
Per alimentare la propria espansione economica e commerciale, L'Inghilterra dovette per forza scontrarsi con la pretesa spagnola dell'assoluto monopolio dei traffici con le colonie americane.
Lo scontro culminò nel 1588 quando la Invincibile Armada spagnola lanciata da Filippo II fu battuta dalla flotta Inglese nel Canale della Manica.
Comunque la guerra tra le due potenze potè concludersi solo nel 1603, quando Filippo III riconobbe numerosi privilegi commerciali agli Inglesi.
La regina aveva deciso di rimanere vergine e così alla sua morte la dinastia dei sovrani cambiò, non più Tudor ma Stewart. Il primo sovrano fu Giacomo I.
La dinastia dei Tudor è riuscita a consolidare in maniera definitiva l'unita di questo paese.
L'unità nazionale dell'Inghilterra era fondata, anziché sulla potenza militare, sulle capacità della dinastia ad incarnare il bisogno di pace del paese, voglioso di sanare le ferite della guerra delle Due Rose e di evitare il ripetersi di quelle avventure militari che, sul cadere del Medioevo, ne avevano consumate le forze dietro alla chimera della conquista della Francia.
Restando fuori delle guerre, inoltre, il regno inglese non aveva avuto bisogno di crearsi un imponente e costoso apparato militare, come quello della Francia ed era venuto a mancare in Inghilterra un ceto di professionisti della guerra.
Quantunque asservito alla corona, il Parlamento inglese (assemblea consultiva con i rappresentanti della borghesia riuniti nella Camera dei Comuni e dei nobili riuniti nella Camera dei Lord con funzione di controllo nei confronti del sovrano in virtù della costituzione -Magna Charta del 1215- di cui gli inglesi godevano) non aveva fatto la stessa fine degli Stati Generali di Francia a continuava a fissare col proprio voto, all'atto dell'avvento al trono del re, la misura dei contributi che questi poteva esigere dai propri sudditi e venne consultato ogni volta che il sovrano aveva bisogno di ulteriori mezzi finanziari.
Nonostante la Star Chamber, il temuto tribunale speciale alle dirette dipendenze del re con il quale egli poteva stroncare ogni resistenza al suo potere, la legalità che la corona costituì, fondata su giurie popolari e auto-governo, non aveva pari nell'Europa dell'epoca.
Sotto il regno di Elisabetta la monarchia era riuscita a mantenere unita il paese senza penalizzare le forze progressiste, pur salvaguardando nel contempo il proprio prestigio.
Ciò invece non fu possibile al successore Giacomo la cui politica di accentramento del potere non corrispondeva alle esigenze dei ceti borghesi e mercantili.
Non andava in tal senso neppure la sua pratica di aumentare le entrate fiscali ricorrendo sempre più alla vendita delle investiture nobiliari e alla concessione di monopoli che determinavano il peggioramento della qualità dei prodotti e la lievitazione dei prezzi.
Nè infine appariva accettabile il suo comportamento accomodante nei confronti della Spagna e privo di aggressività espansionistica in America.
C'è da aggiungere che l'unificazione nelle mani di Giacomo I delle tre corone di Scozia, Inghilterra e Irlanda introdusse nelle mani del sovrano un ulteriore motivo di contrasto di carattere religioso: l'Irlanda cattolica infatti si opponeva all'Anglicanesimo e a sua volta la Scozia calvinista non accettava la rigida struttura gerarchica della Chiesa di stato inglese, posta sotto il controllo dei vescovi (episcopalismo).
Nella stessa Inghilterra la richiesta di rendere più pura in senso calvinista la riforma anglicana (puritanesimo) acquistò connotati maggiormente radicali, con la rivendicazione della libertà per tutte le confessioni religiose dell'ala protestante.
Un'altra ala più moderata si limitava invece a propugnare l'abolizione dei vescovi e la loro sostituzione con il consiglio degli anziani.
Alla morte del sovrano gli successe il figlio Carlo I che riprese con decisione la politica assolutistica del padre, imponendo d'autorità ministri sgraditi al parlamento, aumentando le imposte, facendo arrestare i magistrati che si rifiutavano di dare applicazioni ai suoi editti.
Così, appena si apprestò a richiedere ulteriori tasse per far fronte all'impegno inglese nella guerra dei trent'anni, la camera dei comuni colse l'occasione per invitare il re a ratificare "la petizione dei diritti" (1628)
La carta si può riassumere in 5 punti:
1) controllo da parte del parlamento del potere esecutivo del re;
2) gradimento (non approvazione) dei ministri del re da parte del parlamento;
3) riduzione dell’episcopalismo monarchico, ossia di una eccessiva anglicalizzazione dello stato;
4) ribellione agli arresti arbitrari ordinati del sovrano senza autorizzazione giudiziaria;
5) approvazione delle tasse da parte del parlamento.
Pur accettando formalmente la Petizione dei diritti, Carlo I tentò di riprendere con la forza il controllo della situazione: sciolse la Camera dei Comuni (1629), imprigionò i suoi capi e per un decennio fronteggiò le necessità finanziarie dello stato mediante nuovi dazi doganali, vendita di monopoli regi e di cariche nobiliari.
Tuttavia, quando scoppiò una rivolta in Scozia contro l'imposizione dell'anglicanesimo (1638) Carlo I non poté fare a meno di riconvocare il parlamento (1640) per provvedere al reclutamento dell'esercito. Scontratosi ancora una volta con l'opposizione, lo sciolse dopo 3 settimane (corto Parlamento).
La rivoluzione inglese iniziò con una rivolta dei nobili. Persino la classe dirigente era insoddisfatta del modo in cui Carlo I dominava il paese.
Nel settembre del 1640 un'assemblea di pari costrinse Carlo I a convocare un altro parlamento (lungo Parlamento). Questo significava per il re arrendersi, dopo che solo in maggio aveva sciolto il Corto P. perchè avanzava delle richieste per lui intollerabili.
A novembre , quando finalmente autorizzò il parlamento a riunirsi il re sperava ancora di potersi opporre all'assemblea.
Le forze parlamentari invece, decise più che mai a far valere le loro prerogative, misero sotto accusa alcuni dei più stretti collaboratori del re scatenando una inevitabile guerra civile.
All'esercito regio si contrappose prontamente quello parlamentare, sostenuto dai ceti economicamente più attivi, dai puritani e dagli scozzesi loro alleati. e basato su adesioni volontarie. Le truppe parlamentari passarono al comando del puritano Oliver Cromwell e presto riuscirono a sopraffare le forze monarchiche.
Catturato Carlo I nel 1648 dopo la sua fuga in Scozia, si aprì un'intensa fase legislativa nel corso della quale si procedette allo smantellamento delle istituzioni feudali su cui si fondava il potere monarchico e dentro e fuori dal parlamento si sviluppò un dibattito sul destino della monarchia.
L'anno dopo Cromwell fece processare e condannare a morte il re sotto l'accusa di alto tradimento proclamando la libera repubblica (free commonwealth).
Sintesi degli ideali politico-morali del calvinismo ed espressione degli interessi dei piccoli e medi imprenditori terrieri, dei ceti mercantili e della finanza, il nuovo stato inglese si pose sotto la tutela militare di Cromwell.
Fu cancellato ogni residuo del feudalesimo, soppressa la Camera dei Lords, annullate le decime destinate al clero e avviato uno sviluppo economico senza precedenti.
Cromwell inoltre sconfisse l'Olanda che si sentiva minacciata dalla politica marinara dell'Inghilterra
Intervenne con decisione anche contro l'autonomismo scozzese e ancor più duramente contro l'Irlanda cattolica che fu trattata alla stregua di una colonia.
Favorì tra l'altro l'espansione coloniale in Giamaica e in America settentrionale dove furono fondate nuove colonie.
Infine si alleò col re francese e si fece dare la città di Dunkerk sulla Manica, avamposto che però verrà venduto poco tempo dopo da Carlo II privando così l' Inghilterra della sua unica testa di ponte in suolo continentale.
Alla morte di Cromwell si fece avanti il generale Geroge Monk, il quale con la forza delle armi e il consenso del parlamento operò la restaurazione della monarchia nella persona di Carlo II, figlio del re decapitato
Gli anni 1640-60 segnarono la fine dell'Inghilterra del Medioevo.
Il parlamento controllava la tassazione e in ultima analisi anche tutte le iniziative politiche venivano controllate dal parlamento.
Anche se in Inghilterra tornerà ad esserci un re, sarà ben lungi da essere una monarchi così come veniva intesa in quel periodo
Carlo II dimostra di non aver compreso la rivoluzione e riprese il programma assolutistico contro il programma liberale della borghesia. La più importante caratteristica della restaurazione fu il suo carattere antidemocratico.
I lord tornarono a rafforzare lo snobbismo sociale, i vescovi a consolidare l'ineguaglianza religiosa, la Chiesa Anglicana fu di nuovo considerata con tutti i benefici "Chiesa di Stato", la Camera dei Lords venne ripristinata e l'esercito rivoluzionario sciolto
Nel 1673 il parlamento lo costrinse a firmare l' "Atto di Prova", ossia il giuramento di tutti i funzionari pubblici all'Inghilterra e del re alla chiesa Anglicana, perchè si temeva che questo sovrano tentasse un ritorno al cattolicesimo.
Nel 1679 il Parlamento lo costrinse a firmare l' "Abeas Corpus" che impediva l'arbitrio del re nel campo della giustizia.
Morì nel 1685 e gli successe Giacomo II
Quando costui salì al trono, entrambi i partiti (Tories e Weights) del parlamento accomunati dalle preoccupazioni per le simpatie cattoliche del nuovo sovrano offrirono la corona a Guglielmo III d'Orange, protestante sovrano d'Olanda e marito della figlia di Maria Stuart.
Giacomo II fuggì in Francia, mentre Guglielmo III diventò re d'Inghilterra senza combattere, presentandosi come difensore della libertà religiosa e come garante di una centralizzazione del potere nelle mani del Parlamento.
La nuova rivoluzione ebbe la sua ratifica nel 1689 con la dichiarazione dei diritti che confermava l'autorità del Parlamento nel decidere sui tributi, difendeva la libertà di parola e negava al sovrano la possibilità di avere una propria forza armata.
Tuttavia sebbene la monarchia fosse tutt'altro che assoluta, era ancora impensabile una completa e autentica democrazia.
Dal 1688 in poi l'Inghilterra fu, per le classi ricche, una società eccezionalmente libera rispetto agli standard europei contemporanei.
ECONOMIA
Carlo VIII, a differenza del predecessore, nutrì speranze di entrare con un ruolo di primo piano nella grande politica europea.
I mezzi per sostenere queste aspirazioni gliele fornì il tumultuoso sviluppo della società inglese: la necessità di risorse economiche era sempre maggiore e l'erario era perennemente affamato.
Solo una veloce crescita economica avrebbe potuto garantire le risorse economiche per una politica all'altezza dei suoi progetti ambiziosi.
La corona allora continuò la sua politica di riduzione di ciò che rischiava di ostacolare l'espansione economico-commerciale del paese.
Gli anni di Elisabetta I furono per l'Inghilterra quelli in cui si registrò un considerevole passo avanti dell'economia nazionale in senso borghese.
Caratteristica peculiare di questo periodo furono le cosiddette recinzioni (enclosures).
Infatti i proprietari terrieri, attratti dai grandi profitti che si ricavano dalla vendita della lana, decisero di recintare le proprie proprietà per adibirle a pascolo. Sia le terre coltivate (una volta proprietà comuni del villaggio, ora proprietà private) che le case, vennero distrutte per lasciare spazio ai pascoli.
Tuttavia la confisca delle proprietà latifondistiche semi incolte possedute dai monasteri si tradusse in una valorizzazione della terra.
A farne le spese furono le masse dei contadini che rese nullatenenti diventarono una folla miserabile costretta al vagabondaggio.
Proprio utilizzando tali forze lavoro a basso costo poterono essere valorizzate le notevoli risorse minerarie del paese e contemporaneamente ricevettero un forte impulso le attività artigianali e manifatturiere.
L'intraprendenza del nascente capitalismo si accompagnò con l'opera dello Stato, intesa a stimolare e proteggere dalla concorrenza straniera la produzione nazionale.
Inoltre con la riforma monetaria del 1561 volta a combattere l'inflazione, l'Inghilterra potè godere di una moneta stabile.
Si riconobbe inoltre a chi era inabile al lavoro il diritto di essere mantenuto a spese del pubblico, e si sancì che il povero abile al lavoro ricevesse i mezzi per sostentarsi con l'opera delle sue mani.
L'ozio era in Inghilterra considerato il massimo delle colpe.
Contemporaneamente si assistette allo sviluppo di un ceto di marinai avventurieri, talvolta pescatori, talvolta mercanti, fondatori di grandi compagnie commerciali come la "Compagnia delle Indie orientali" fondata nel 1600
Le compagnie erano costituite da imprenditori, mercanti, banchieri e nobili che si assumevano le spese e i rischi dell'impresa in cambio della possibilità di promuovere e dirigere i commerci nelle terre d'oltremare.
Nel giro di pochi decenni i trafficanti inglesi, che assicuravano sui mercati d'acquisto condizioni più favorevoli, si sostituirono a quelli lusitani.
Inoltre gli inglesi furono avvantaggiati dal sultano di Costantinopoli che preferiva trattare con gli eretici inglesi piuttosto che con altri paesi cattolici.
Un altro importante ruolo fu ricoperto dai corsari che, godendo dell'appoggio della regina Elisabetta, saccheggiavano le grandi navi commerciali spagnole cariche d'oro.
Senza nulla togliere alle sovrana che seppe interpretare le esigenze profonde del proprio popolo, furono gli artigiani, i mercanti e i banchieri i veri protagonisti di quella stagione così economicamente florida che fu il regno di Elisabetta.
L'Inghilterra si avviò a diventare il primo paese europeo per la manifattura delle stoffe di ottima lana e per lo sfruttamento delle risorse minerarie.
Secondo alcuni storici, non sarebbe illegittimo parlare di una prima rivoluzione industriale inglese in questo periodo.
Importante è però considerare che decisivo ai fini dell'espansione economica fu proprio il fatto che nel tollerante regno inglese trovarono rifugio operai ed artigiani, commercianti e industriali perseguitati in Francia e nei Paesi Bassi per la loro fede religiosa.
Con la fine della dinastia dei Tudor e l'avvento della guerra civile la monarchia non ebbe più la possibilità di proteggere le compagnie, e ne seguì un periodo di relativo libero commercio.
SOCIETA' E CULTURA
L'Inghilterra del XV secolo era caratterizzata da una cultura insulare, fondamentalmente autoctona e xenofila.
Durante il regno di Enrico VIII la società inglese era sostanzialmente divisa in tre classi : aristocrazia (Lord), borghesia e popolo.
L'aristocrazia inglese possedeva un'etica del lavoro e non era parassita come quella europea, la borghesia era molto produttiva e il popolo fungeva da forza lavoro.
Il clero era stato ricondotto all'autorità e si riduceva a svolgere un servizio statale.
Durante il regno di Elisabetta I la società si modificò parzialmente grazie alla nuova economia che si era venuta a delineare.
In particolar modo la borghesia era composta da tre sotto-classi: i medi proprietari fondiari (gentry), i piccoli proprietari agrari che pur lavorando con le loro mani erano anche in un certo senso imprenditori (yeomanry), i commercianti e i proprietari e comandanti di vascelli corsari (privateer) che erano provvisti di una concessione del governo che li autorizzava ad assalire i navigli dei paesi avversari.
Il popolo non era più formato prevalentemente di agricoltori dediti ad un economia di sussistenza ma da braccianti dipendenti.
Sussisteva ancora anche in Parlamento una suddivisione tra aristocrazia e borghesia ma se i pari spirituali erano stati decimati dalla scomparsa delle abbazie anche i pari temporali erano stati ridotti di numero e incatenati dalla politica livellatrice dei Tudor.
L'Inghilterra instaurò l'eguaglianza dei cittadini davanti al fisco ed alla legge ed il privilegio ecclesiastico fu abolito.
Sparita o quasi la servitù della gleba non esisteva l'esercito permanente nè di conseguenza una casta di guerrieri.
La sola forza armata di cui si disponeva all'interno del paese è la milizia locale di cui la "yeomanry" forniva la truppa e "la gentry" i comandanti.
Se il cattolicesimo costituì sempre una minaccia per la stabilità del regime elisabettiano, anche il calvinismo diede filo da torcere al governo.
Fin dal primo momento infatti si rivelò nel paese una corrente di più intransigente protestantesimo, ugualmente insoddisfatta del compromesso col passato cattolico e dello spirito moderno e paganeggiante, prevalente nella società elisabettiana.
Questi puritani, dunque, che avrebbero voluto purificare la Chiesa d'Inghilterra da ogni residuo cattolico ed imporre alla nazione un'intransigente disciplina morale, aborrivano ogni ritualismo cattolicheggiante ed insorsero contro l'episcopato, in nome di una rigida aderenza alla Bibbia, come unica fonte di autorità.
Quando, durante il governo di Cromwell, questa corrente politica divenne quella dominante, si fece avanti lo scontento per il rigorismo morale impresso dalla repubblica puritana alla vita del paese con la proibizione delle feste e la chiusura dei luoghi di divertimento.
I decenni rivoluzionari completarono l'unificazione dell'Inghilterra. La politica dei Tudor volta all'eliminazione delle franchigie locali venne completata.
La camera dei Lord venne abolita e i privilegi dei pari vennero sospesi, essi divennero passibili di normali condanne legali.
Nel 1653 la Camera dei Comuni divenne finalmente rappresentativa di tutta l'Inghilterra.
Restaurata la monarchia, la subordinazione di Carlo II alla politica francese innescò nuove tensioni tra Tories e Wights.
I primi erano sostenitori del re, della Chiesa anglicana e dell'aristocrazia terriera, e dunque di orientamento conservatore; i secondi erano invece espressione dei ceti mercantili urbani, favorevoli alla tolleranza religiosa e fondamentalmente progressisti.

LA RUSSIA
La storia della Russia cominciò nei secoli VI e VII A. c. quando gli Slavi si stabilirono nella pianura russa, anche se probabilmente essi non furono i primi abitanti di quella regione.
POLITICA
Questa popolazione era inizialmente organizzata in tribù auto-governate.
A questa situazione di estremo decentramento si oppose nel secolo IX un processo di consolidamento dovuto al fatto che ciascuna città cercò di impadronirsi del territorio contiguo.
A poco a poco nacque la Rus’, con capitale Kiev, formata dal territorio conquistato alle tribù slave del sud dalle più evolute popolazioni del nord aiutate da mercanti avventurieri e da principi Vichinghi.
I 150 anni che seguirono videro una fioritura culturale e l’affermarsi della Russia di Kiev come potenza europea.
Sotto il regno di Vladimiro questo processo fu considerevolmente aiutato dall’adozione del cristianesimo, nella sua forma bizantina, nel 988.
Poi, non più di 100 anni dopo, lo stato di Kiev cominciò a decadere principalmente a causa di due motivi: il primo, di natura politica, era il fatto che nonostante ufficialmente si trattasse di uno stato unitario, nella Russia c’erano almeno dodici principati separati, tutti virtualmente autonomi; l’altro, di natura economica, fu il rude colpo subito dal commercio a causa della presa di Costantinopoli da parte dei veneziani che così si conquistarono il monopolio commerciale.
Ad uno stato così indebolito e privo di un’ organizzazione centrale fu impossibile resistere all’invasione dei Mongoli.
La loro conquista, avvenuta negli anni 1237-40, interruppe in modo decisivo il contatto slavo con l’Europa.
I nuovi dominatori non si imposero però come tiranni nei territori conquistati.
I Chan governarono indirettamente e mai tentarono d’interferire negli affari interni degli Slavi, eccetto quando vedevano minacciata la propria supremazia.
Essi esercitavano il potere non colonizzando i territori occupati o applicando il proprio sistema di governo, ma imponendo tributi agli Slavi e riservandosi il diritto di eleggere ogni nuovo governante.
Tuttavia fu proprio sotto l’egida dei mongoli che il piccolo principato di Mosca affermò la propria posizione di nucleo della Russia futura.
Occorsero circa due secoli (metà XIII – metà XV) prima che la Moscova (il principato di Mosca) conquistasse un’indiscussa supremazia sugli altri stati slavi affermandosi come principale successore del dominio mongolo.
Il lento sorgere della Moscova fu dovuto alle buone relazioni che intercorsero tra Slavi e Mongoli: nessun principe infatti fu più assiduo nel corteggiare il chan regnante, o più umile nella sua diplomazia, di quanto lo furono i principi della Moscova.
Fu grazie a simili tortuosi metodi che la Moscova conquistò il poco onorevole ma importante diritto di esigere i tributi imposti dai Mongoli agli Slavi.
Questo da un lato incrementò le risorse economiche della Moscova, dall’altro fece conquistare al suo principe autorità sugli altri.
Così, nel 1380 la Moscova tentò per la prima volta di liberarsi della dominazione Mongola, e verso la metà del secolo XV la supremazia del principato si affermò definitivamente.
Il primo sovrano a regnare su Mosca indipendente fu Ivan III, conosciuto anche come Ivan il Grande, dal 1462 al 1503.
Il suo regno costituì senza dubbio un momento cruciale nello sviluppo del futuro stato russo.
In politica e in questioni militari Ivan evitò le lotte frontali. Preferì raggiungere i suoi scopi facendo ricorso alla diplomazia e si servì della forza solo come ultima risorsa.
Tuttavia i suoi sforzi furono principalmente mirati all’espansione territoriale, prima nei territori limitrofi e poi contro i suoi due più temibili nemici: i Lituani e i Mongoli sui quali però non riuscì ad avere la meglio.
Dal secolo XIV in poi, il legame tra chiesa e stato, intimo come nessun altro del genere avutosi nell’Europa occidentale, si strinse sempre più, finchè agli inizi del secolo lo zar (il sovrano) arrivò ad essere considerato come una persona quasi sacra dotata di poteri illimitati e rappresentante di Dio in terra.
La monarchia divenne, oltre che assoluta, di carattere divino. L’autorità dello zar era economica, militare, religiosa oltre che politica. Ciò lo portò però a scontrarsi con i boiari che si erano visti privati del loro potere politico e vedevano minacciati i loro diritti di proprietari terrieri.
Ma quello che costituisce la grande gloria di Ivan, cioè il suo successo nella politica estera e l’instaurazione della monarchia assoluta fu solo un preludio agli sconvolgimenti verificatisi durante il regno di suo nipote, Ivan il Terribile.
Il figlio di Ivan il Grande, Basilio III, ereditò sia il trono che i problemi.
La Moscovita continuava a essere uno stato che non trovava una stabile forma sociale e attraversava ancora un problema di transizione verso la monarchia assoluta.
Il regno di Basilio durò molto poco e alcuni anni dopo la sua morte venne incoronato zar suo figlio diciassettenne Ivan il Terribile.
Si manifestò subito uno dei temi dominanti del suo regno: la lotta dello zar contro i boiari che fremevano per un ritorno al feudalesimo che avrebbe favorito i loro interessi.
Ormai il ducato si estendeva su tutto il corso del Volga.
In politica interna venne compiuto un primo passo verso la democrazia, con la firma da parte di Ivan di un documento che limitava il suo potere e che diede il via alla formazione nel paese di una organizzazione giurisdizionale indipendente.
Da parte sua Ivan procedette alla riforma del sistema militare, obbligando ogni proprietario terriero a fornire dei soldati.
Dal 1556 in poi i boiari furono costretti a servire lo zar della Moscovia sotto pena di essere privati delle proprie terre, mettendo fine al potere politico di questa classe.
Tutta la prima decade del regno di Ivan fu contrassegnata dal definitivo assoggettamento delle province mongole.
Il nuovo stato era diventato insostenibilmente vasto e Ivan, conscio del fatto che era impossibile governarlo da solo, divise la Moscova in due stati indipendenti: “Opricina” e “Zemscina”, il primo sotto il suo personale governo, il secondo sotto l’amministrazione dei boiari (riservandosi comunque un’autorità formale).
La dinastia dei sovrani si estinse nella persona del figlio più giovane di Ivan, Teodoro.
Il suo regno coincise con l’esplodere dei problemi sollevati dalla politica del padre.
Per la prima volta nella storia moscovita, al principio del secolo XVII, si ebbero rivolte contadine su larga scala, non più locali o regionali, tanto che il periodo che va dal 1598 al 1613 fu chiamata “l’epoca dei disordini”.
Teodoro era così palesemente inadatto a governare che si ricorse alla reggenza, che venne assunta da Godunov.
Sotto molti aspetti egli seguì, all’interno e all’esterno, l’esempio dato da Ivan il Terribile.
Nel 1597 emanò un decreto che autorizzava i padroni di terre a riprendersi con la forza ogni contadino che fosse fuggito.
Alla morte dello zar Teodoro, avvenuta nel 1598, il potere passò alla zarina Irina che però ben presto abdicò e prese il velo.
Non vi era altra scelta che eleggere uno zar.
Gudonov sembrò il candidato più accreditato ma volle che ad eleggerlo fosse l’assemblea della terra che era più o meno l’equivalente degli Stati Generali di Francia.
Anche questo zar dovette fare i conti con l’avversione delle famiglie boiare che non avevano partecipato all’elezione.
Divenuto zar, si occupò innanzitutto dell’istruzione.
Cercò anche di eliminare gli abusi più appariscenti nell’amministrazione della giustizia.
Nell’aprile del 1605 Gudonov morì.
Demetrio, figlio dell’ultima moglie di Ivan il Terribile, fu incoronato zar e divenne uno dei più strani governanti saliti sul trono.
Si accollò con disinvoltura le sue responsabilità e trattò tutti con grande liberalità e giustizia.
Si manifestò nel Cremlino un nuovo clima di tolleranza religiosa; i forestieri furono i benvenuti.
Lo zar si rifiutò di usare il terrore come arma politica.
Ma la sua politica gli valse ancora una volta l’avversione dei boiari che riuscirono a spodestarlo e a far salire al torno un nuovo zar tratto dalle loro file.
Per la prima volta nella storia russa il potere del sovrano era limitato da una specie di documento costituzionale che lo obbligò a:
- non dar corso a denunce senza compiere prima una debita inchiesta;
- non ordinare esecuzioni capitali;
- non punire parenti innocenti di colpevoli;
- non confiscare proprietà senza autorizzazione dei boiari.
Queste limitazioni favorivano una sola classe e non avevano beneficio per coloro che non erano boiari. In questo modo si passò da un regime monarchico ad uno oligarchico.
Nel 1613, giunta l’epoca di sostituire lo zar, fu necessario scegliere una persona che potesse mettere d’accordo tutte le classi sociali. La scelta cadde su Michele Romanov.
L’elezione del primo monarca Romanov non segnò la fine dei disordini. Le casse dello stato erano vuote. In vaste zone del paese scorrazzavano bande di saccheggiatori, mentre la fuga della popolazione agricola aveva causato un netto declino della produttività agricola; tuttavia il paese stava già dimostrando una notevole capacità di ripresa di fronte al pericolo di una crisi generale.
Lo zar, resosi conto che la condizione essenziale per questa ripresa era che vi fosse un paese unito e che le classi dominanti e dei mercanti non fossero unite e non controllassero lo stato, ordinò la fine del sistema in base al quale la nascita e la condizione familiare determinavano le nomine dei vari funzionari, ambasciatori e ufficiali dell’esercito.
Inoltre promosse una statalizzazione sia nel campo economico che in campo organizzativo.
Lo zar ebbe anche fortuna nella sua opera di riorganizzazione dell’esercito che d’ora in avanti fu permanente e composti da soldati russi e ufficiali mercenari.
Furono anche aumentati gli stipendi dei reggimenti formati dagli strel’cy, una sorta di forza di pronto intervento.
Michele morì nel 1676 e ancora per alcuni anni dopo la sua morte Mosca fu tormentata da una crisi dinastica che si risolse nel 1682, quando Pietro il Grande fu proclamato zar all’età di dieci anni.
Pietro fu certamente il più fortunato e vigoroso di tutti gli zar nei suoi sforzi rivolti a creare una Russia capace di stare su un piano di parità con l’Occidente.
Innanzitutto sentì il bisogno di compiere un viaggio ad ovest, cominciato nel 1697, durante il quale apprese i modelli più recenti adottati nelle costruzioni navali e reclutò specialisti militari.
Tornato dall’Europa dedicò i successivi anni allo sviluppo e alla creazione di un nuovo esercito.
La politica estera di Pietro poco differì da quella degli zar dei secoli XVI e XVII. Si trattava sempre di una lotta per raggiungere gli sbocchi al mare. Alla fine del secolo XVII, alla tradizionale e perenne lotta per il Baltico si aggiunse quella per il Mare d’Azov, il Mar Nero e le sponde del Caspio.
In politica interna invece il suo lavoro fu prevalentemente basato sulla riforma degli organi centrali e provinciali del governo.
In un primo tempo seguì la via della decentralizzazione: creò otto governi provinciali dotati di poteri assai ampi. In questo modo venne a crearsi un vuoto al centro perciò qualche anno più tardi istituì un senato di nove membri che dovevano controllare il lavoro dei governi provinciali, funzionare come suprema corte di giustizia e, soprattutto, fare in modo che le tasse venissero riscosse in modo efficiente.
Anche per quanto riguarda l’amministrazione della Chiesa le cose cambiarono.
Il vecchio “ufficio dei monasteri” che fino ad allora aveva avuto determinati ristretti poteri nell’amministrazione della Chiesa fu trasformato nel “Sacro Sinodo”, organo dotato di potere più ampio che inglobò anche le proprietà del clero.
Lo stesso principio che ognuno dovesse servire lo stato convinse Pietro ad avviare i monaci ad attività produttive.
Pietro il Grande morì nel 1725
ECONOMIA
Fin da quando si stabilirono nella regione russa, gli slavi si trovarono assorbiti entro la rete di relazioni commerciali che legavano l’Asia minore alle regioni dell’Europa occidentale; perciò si posero come mediatori di questi commerci e in poco tempo le loro attività fecero sorgere un gran numero di città.
Con l’unificazione sotto un'unica bandiera delle varie tribù, i russi cominciarono a far sentire la loro presenza nello scenario internazionale.
Nel 907 il sovrano Oleg guidò una flotta di duemila navi contro Bisanzio riuscendo a imporre ai Greci un trattato di commercio vantaggioso per Kiev.
Tuttavia, base dell’economia della Rus’ di Kiev era l’agricoltura.
Durante la dominazione mongola il livello del lavoro si abbassò; peggiorò la situazione dell’artigianato e ne risentì persino il livello artistico.
Le cose cambiarono quando il granducato della Moscovita conquistò l’indipendenza: da quel momento la Moscova non fu più tenuta a versare tributi ai Mongoli.
L’economia, sotto il regno di Ivan il Grande si evolse, passando da un sistema caratterizzato da una proprietà fondiaria e un potere suddiviso, a un altro sistema implicante una concentrazione delle terre e del potere nelle mani di un autocrate sostenuto da una classe sottomessa di proprietari terrieri tenuti a prestare servizio.
L’agricoltura infatti, anche sotto il regno di Ivan il Terribile, costituiva il settore predominante dell’economia nazionale.
Ma all’interno di questa nuova struttura erano al lavoro forze che col tempo mutarono il circoscritto sistema agricolo Moscovita: fra queste la principale era data dallo sviluppo del capitale commerciale.
Gran parte di questa attività commerciale non veniva svolta da privati perché lo stato esercitava quasi un monopolio.
Le grandi proprietà dei magnati continuavano a costituire l’unità produttiva e la moneta era ancora scarsamente usata, ma fu allora che cominciò ad aversi una graduale suddivisone del lavoro. Contadini specializzati venivano allontanati dall’aratro e impiegati nell’artigianato e si cominciò a vedere un lento passaggio ad un’economia basata sul denaro.
Il susseguirsi dal 1601 al 1603 di una serie di rapporti disastrosi mise in ginocchio l’economia russa.
Gli abitanti di interi villaggi morirono di fame e molti proprietari di terre incapaci di nutrire i propri contadini li scaricarono, rendendoli nullatenenti.
Si calcola che in quel periodo vi fosse solo un terzo della ricchezza necessaria a vivere.
Fu lo zar Michele Romanov che tentò di mettere fine a questo stato di stallo, promovendo la statalizzazione del sistema economico: il commercio, l’industria, e ogni nuovo processo economico, come ad esempio nel campo delle miniere e della fabbricazione di prodotti industriali, veniva automaticamente a trovarsi sotto l’egida dello stato.
Il commercio ne fu subito avvantaggiato tanto che il secolo XVII vide un considerevole aumento delle esportazioni russe.
Tuttavia non esisteva ancora una marina mercantile degna di tale nome, ed è per questo che gli zar della nuova dinastia si preoccuparono della istituzione di nuove compagnie commerciali.
Nel commercio interno invece l’iniziativa era lasciata ai privati imprenditori., i cui capi erano conosciuti come “ospiti”.
Un nuova svolta si ebbe durante l’età di Pietro il Grande.
Per finanziare i suoi sforzi bellici sequestrò tutte le rendite della chiesa; tutto sommato circa l’ottanta per cento del reddito nazionale fu impiegato a sopperire ai bisogni della guerra.
Svalutò la moneta; introdusse ogni tipo di tasse indirette che venivano spesso suggerite da uno speciale corpo di persone che ne traevano profitto.
Entro il 1710 queste misure si erano già dimostrate inefficaci, il che portò a una variazione dell’incidenza della tassazione diretta aumentando le imposte.
I contadini dovettero coltivare maggiori quantità di terra per pagare le tasse e ciò fece aumentare di più del 50% la superfice dell’area coltivata.
Il sovrano incoraggiò inoltre l’industrializzazione del paese anche se prevalentemente a scopo militare applicando tariffe protettive, fornendo l’aiuto statale, stabilendo il lavoro forzato per i disoccupati e abolendo le tasse doganali.
Alla fine del suo regno la Russia contava circa duecento fabbriche, alcune delle quali impiegavano più di mille soldati.
Anche le industrie mineraria e metallurgica migliorarono, tanto che nel giro di vent’anni la Russia era riuscita a diventare la maggiore produttrice di ferro al mondo.
CULTURA E SOCIETA’
Fin dalla sua nascita la Russia si presentò come uno stato socialmente organizzato.
Nella Rus’ di Kiev, alla sommità della gerarchia sociale stava il principe, le cui funzioni erano soprattutto militari e giuridiche.
Egli doveva difendere il suo principato e sovrintendere all’amministrazione della giustizia.
In entrambe queste funzioni era consigliato e assistito da un consiglio di boiari, cioè di proprietari terrieri indipendenti, che costituivano una nascente aristocrazia terriera.
L’amministrazione urbana era controllata dalla Vece, un’assemblea popolare composta da tutti i maschi adulti e liberi mentre un consiglio di Boiari, la Duma, aveva il compito di consigliare il re nelle sue decisioni.
Anche dopo la conquista Mongola, le cose rimasero pressoché invariate, perché i nuovi sovrani non interferirono nella vita interna del paese.
Dopo la conquista dell’indipendenza e della supremazia del principato della Moscova cominciò a sorgere una classe di proprietari terrieri che servivano nell’esercito.
Soprattutto questo fu un periodo caratterizzato dal passaggio di una società fatta di principati indipendenti organizzata principalmente secondo il modello feudale a una monarchia assolutistica.
La fine del potere politico dei boiari inoltre fece della Moscovia uno stato in cui il servizio era obbligatorio e in cui ciascuna classe sociale era legata da obblighi, anche se talvolta indiretti, nei confronti dello zar.
L’ideale era quello di una forte monarchia e di uno stato centralizzato, basati su una classe di servitori devoti operanti come soldati o funzionari dello stato.
La nuova organizzazione politica decretò la nascita di una nuova classe: i “pomesciki”.
Il nucleo centrale era formato da quei boiari e principi, assieme ai soldati che ne dipendevano, i quali avevano perduto la loro funzione originaria; vi erano anche i mercanti, i funzionari di palazzo, privati cittadini e anche schiavi ancora legati ai vecchi padroni.
Costoro divennero la spina dorsale della nuova Moscovita di Ivan il Terribile.
Più tardi, a causa della crisi agricola, si affermò la servitù della gleba e il proprietario divenne il padrone assoluto dei propri contadini.
Al tempo di Michele Romanov, grazie all’apertura dei confini, a Mosca si sviluppò un quartiere abbastanza ampio riservato agli stranieri. Questo quartiere era destinato a diventare una grossa sorgente di attività intellettuale.
Gli stranieri portavano inoltre la loro abilità tecnica e iniziavano l’istruzione degli apprendisti russi, mentre lo stato forniva la manodopera.
Grazie alle riforme nel campo dell’esercito e del commercio si crearono all’interno del ceto medio due nuove figure: gli Strel’cy e gli Ospiti.
I primi erano una sorta di forza d’intervento dell’esercito.
Gli sterl’cy ricevevano un salario fisso, e data la loro vicinanza al trono e la loro caratteristica di casta a parte erano a volte politicamente importanti, specialmente se il salario tardava.
Gli altri invece erano legati al settore commerciale.
Gli “ospiti” infatti godevano di alcuni privilegi: acquistavano merci per lo zar e le commerciavano di proprio conto; sfruttavano le concessioni e curavano il commercio interno dello zar.
A seguito della politica estera, e sulla scia dei tecnici stranieri, si ebbe una lenta infiltrazione di idee occidentali in Russia.
Finora, rinascimento, riforma e controriforma non avevano avuto la minima influenza all’interno del paese, perché ogni penetrazione intellettuale veniva repressa fin dall’inizio.
Accettare dall’Occidente idee che non riguardassero le varie tecniche sapeva ancora di tradimento, perché le aggressioni alla Russia, fin dal tempo dei cavalieri teutonici, erano sempre arrivate da ovest.
Fu durante il regno di Pietro il Grande che si verificarono i più radicali cambiamenti.
La politica sociale di Pietro fu intenzionalmente volta a causare profondi mutamenti negli obblighi a cui le varie classi erano tenute e nelle relazioni che intercorrevano fra loro.
Come sempre, l’obbiettivo più importante di tutti fu quello di organizzare la popolazione in modo tale che essa adempisse ai suoi obblighi verso lo stato.
Per esempio, già a quindici anni un nobile padrone di terra doveva scegliere fra il servizio nell’esercito, nella marina, o nella burocrazia.
Più tardi lo zar introdusse la cosiddetta “tabella dei gradi” in base alla quale la classe di un cittadino veniva determinato in base ai meriti (al grado) che aveva conseguito nel suo servizio nei confronti dello stato.
La vera importanza della “democratizzazione” della nobiltà consistette nell’aver creato per la società una struttura eminentemente burocratica.
I contadini di proprietà dello stato, i dipendenti dei monasteri e in genere coloro che svolgevano un lavoro subordinato, furono assoggettati a condizioni pressoché servili.
Pietro il Grande divise la popolazione urbana in tre classi principali: la prima associazione di mestiere, che comprendeva la borghesia elevata con i ricchi mercanti e professionisti, la seconda associazione che comprendeva i piccoli mercanti e artigiani, e infine la plebe composta da lavoratori dipendenti e dai poveri in genere.
Continuò la sua opera di occidentalizzazione tentando di ingentilire i costumi, di promuovere l’istruzione e l’arte (inaugurò tra l’altro il primo teatro pubblico), pose fine alla discriminazione legata al sesso.
Malgrado tutto però gli sforzi di Pietro di creare una Russia moderna andarono per gran parte a vuoto.
Questo tentativo di occidentalizzare l’aspetto interiore dei sudditi di Pietro ebbe poco successo al di fuori degli ambienti di corte e militari
In Russia infatti vi erano due mondi in contrasto: una minoranza educata alle idee occidentali ma poco permeata da esse, e una maggioranza ancora assai lontana dall’Europa.
La massa, attanagliata dalla povertà e dall’ analfabetismo, era radicalmente conservatrice.
La classe superiore parlava un linguaggio differente, pensava in modo differente e aspirava a differenti ideali.
Questa divisione fu un dato fatale dell’eredità lasciata da Pietro alla Russia del futuro che ebbe bisogno di un’altra e più completa rivoluzione per sanare la frattura: quella Bolscevica.

CARLO V
Carlo, figlio dell’arciduca d’Austria Filippo d’Asburgo e di Giovanna la pazza (figlia dei re cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Pastiglia) naqque il 24 febbraio del 1500 a Gand, città che gli rimase sempre nel cuore.
L’educazione che gli fu impartita dalla zia Margherita d’Austria fu fiamminga: si preoccupò infatti di circondarlo di una grande atmosfera meditativa, con grande presenza di maestri spirituali e dotti umanisti di cui era ricca la terra di Fiandra.
Ciò infuse al giovane una forte religiosità e diede vita ad un personaggio di buon spessore culturale.
A sei anni Carlo, dopo la morte di Filippo il Bello (1056), divenne il presuntivo dei beni spagnoli e di quelli asburgici.
A sedici anni venne proclamato re di Spagna, succedendo al nonno materno Ferdinando. Tre anni dopo morì anche il nonno paterno, l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, in conseguenza di ciò Carlo pose la sua candidatura al titolo imperiale, che ottenne grazie al denaro dei banchieri tedeschi Fugger.
I domini di Carlo di Gand (che poi divenne imperatore con il nome di Carlo V) erano quindi un complesso blocco eterogeneo frutto di quattro eredità distinte: i domini degli Asburgo nella Germania sud-orientale, i territori borbonici di sua nonna paterna Maria Bianca nei Paesi Bassi, dalla nonna Isabella ereditò la Castiglia e le conquiste casigliane; dal nonno paterno i domini aragonesi.
Furono in particolare questi due ultimi territori che provocarono problemi al sovrano perchè gli abitanti lo consideravano un oppressore straniero.
Ma già nel 1521 Carlo riuscì a sedare le rivolte dell’opposizione.
IL SISTEMA AMMINISTRATIVO
Per tutta la durata del suo regno, l’imperatore considerò fondamentale il tentativo di unificazione politico religioso del suo impero, sentendosi signore politico e morale dell’intero mondo cristiano.
Egli voleva realizzare l’ambizioso progetto di dare pace e ordine a tutto il mondo cristiano, guidandolo contro i suoi nemici così come aveva fatto Carlo Magno.
Dal punto di vista politico cercò di dotare il suo impero di una struttura burocratica che per quanto essenzialmente, portò all’avvio della fondazione dello stato nazionale spagnolo ed alla creazione del primo vero impero coloniale moderno.
Infatti progettò un’amministrazione unitaria e un unico sistema monetario. Lasciò inoltre ai singoli stati il proprio precedente ordinamento per non lenire la loro autonomia e prevenire attriti.
Preferì invece governare attraverso i consigli territoriali, che facevano capo ai suoi più stretti collaboratori, in particolare ai due segretari di stato, l’uno per gli affari spagnoli (comprese Italia e America) e l’altro per gli affari borgognoni (compresa la Germania).
IL PROBLEMA FRANCESE
Durante il suo regno Carlo V, ebbe tre grandi ostacoli da affrontare: la Francia che aspirava all’egemonia europea, lo scoppio in Germania della riforma protestante proprio quando Carlo stava cercando di fondare il suo impero sulla religione Cattolica ed infine l’impero Ottomano che minacciava di danneggiare i traffici e i commerci cristiani.
Nel 1521 scoppierà il primo dei quattro conflitti che opposero per più di un ventennio Carlo V al re francese Francesco I. La posta in gioco era un territorio piccolo ma molto importante dal punto di vista strategico: il ducato di Milano.
Esso si risolse quattro anni più tardi a Pavia con al sconfitta di Francesco I, che verrà imprigionato, costretto a firmare il trattato di pace con il quale si impegnava a rinunciare ad ogni pretesa sull’Italia e infine a subire l’onta di lasciare i suoi figli in ostaggio in cambio della sua liberazione.
Francesco tramò subito vendetta cercando diversi alleati tra cui il Papa ma Carlo V reagì duramente sconfiggendo la lega e saccheggiando Roma barbaramente (1527), un episodio che rimarrà indelebili nella memoria collettiva dell’epoca.
Ma Carlo si rese conto che i suoi soldati stavano compiendo uno scempio e lui, profondamente cattolico, non poteva accettarlo.
Così in fretta e furia mandò un presidio in difesa del Papa, guadagnandosi così il suo appoggio.
Subito dopo si preoccupò del riordinamento politico-amministrativo dell’Italia.
Nei primi di Febbraio del 1526, Carlo si unì in matrimonio con la principessa Isabella di Portogallo.
Nel frattempo l’oro e l’argento del Nuovo Mondo cominciò ad affluire nelle casse spagnole e da quel momento in poi Carlo V potè vantare una superiorità finanziaria nei confronti dei suoi nemici, in particolare i francesi.
LA MINACCIA TURCA
Debellato il primo dei suoi problemi, Carlo dovette presto fare i conti con i Turchi, che già nel 1526 inflissero una grandissima sconfitta alla cristianità.
A questo punto il fratello di Carlo, Ferdinando che aveva il controllo della parte orientale dell’Impero, passò al contrattacco innescando lo scontro con il sultano.
Quest’ultimo arrivò persino ad assediare Vienna e, se non fosse giunto l’inverno che obbligò ad interrompere la campagna, probabilmente la avrebbe anche conquistata.
Carlo allora decise di scendere in campo di prima persona inviando contro i turchi una flotta di navi da guerra (1530) perché l’impero ottomano, che da tempo stava espandendosi nel Mediterraneo e nei Balcani, minacciava e danneggiava i commerci cristiani.
La spedizione contro Celcel, il più importante nido di pirati Turchi ad occidente, fu vittoriosa.
La minaccia del Turco rimase però molto forte ma Carlo nel 1535 lo affrontò ancora liberando il Mediterraneo dai pericoli, almeno per il momento.
LA QUESTIONE PROTESTANTE
Nello stesso periodo l’imperatore cominciò ad esercitare pressioni per l’apertura di un concilio atto ad affrontare il problema religioso.
Ma i protestanti non vollero venire a compromessi e si unirono in una lega detta di Samarcanda pronti a mettere la questione su un piano militare.
Carlo, che da un lato nutriva odio verso le idee luterane e voleva tenersi stretto il papa, dall’altro non poteva non considerare il fatto che molti Principi tedeschi nutrivano una forte simpatia verso le idee della Riforma, cercò in tutti i modi un compromesso pacifico.
L’imperatore incontrò Lutero alla dieta di Worms chiedendogli di rinnegare le proprie idee ma non riuscì a convincerlo.
Carlo V, già impegnato militarmente su due fronti, tentò in tutti i modi di favorire una soluzione che non prevedesse l’uso della forza. Non si riuscì però a trovare un accordo e Carlo si vide costretto alla ferma condanna al luteranesimo e alla minaccia di un intervento militare.
Intervento militare che giunse nel 1547 quando l’esercito imperiale sconfisse la lega di Samarcanda. I sudditi che non si fossero voluti uniformare al credo del principe avrebbero dovuto emigrare.
Nel frattempo sia Lutero che Francesco I, i suoi più ostinati nemici, morirono.
Il grande sovrano era ormai esausto e desideroso di pace.
Nel 1556 Carlo cedette le corone a favore del figlio Filippo e si ritirò in un convento spagnolo dedicandosi alla vita contemplativa in attesa della morte che giunse nel 1558.
L’anno successivo la pace si Chateau-Chambreis avrebbe consacrato il predominio spagnolo in Italia.
Ciononostante il sogno di Carlo era ormai definitivamente infranto, l’unità politica e religiosa del suo impero era spezzata. E in seguito non ci sarà alcuna possibilità di ricostruirla.

Esempio



  


  1. Eligio Usai

    Ho trovato la relazioine di storia "Francia Inghilterra e Russia", superficiale nel contesto storico e colma di errori; chiedo scusa ma è da rivedere a fondo per essere considerabile. Eligio