Benito Mussolini, la vita

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Testo

MUSSOLINI, BREVE SCHEDA

Nel corso del 1911, fra le tante manifestazioni (e scioperi) anche violenti in molte città d'Italia contro la guerra turca a Tripoli e Bengasi, una di queste manifestazioni in particolare assume rilevanza storica, quella di Forlì dove a guidarla è il figlio di un fabbro e di una maestra elementare di Dovia-Predappio: di 27 anni, già con un ricco passato di antimilitarista e di militanza socialista. Da tempo - per come si comportava dentro e fuori la sezione- soprattutto con la sua irruenza nei comizi- aveva già ricevuto dai suoi colleghi socialisti l'appellativo di Duce. Si chiamava MUSSOLINI, di nome BENITO

Il Padre, Alessandro Mussolini ammirato dalle gesta di Benito Juarez, impose questo nome al suo primo figlio quando nacque il 29-7-1883. La moglie, insegnante oltre che madre di questo bambino (in mezzo a molta miseria - dove metà della popolazione di Dovia nell'arco di pochi anni era già emigrata in Brasile), fu anche la maestra di suo figlio. E lui stesso poi prese il diploma di maestro, frequentando la Scuola dei preti Salesiani. In questa scuola fu descritto come: "Giovane irruente, impulsivo, ribelle, ma molto intelligente" anche se una nota del direttore inviata ai genitori puntualizzava che "...la sua natura non é acconcia a un sistema di educazione di un Collegio Salesiano". Di lui come ragazzo, gli amici coetanei dicevano "non discute, picchia". Ma era anche intelligente ed estroso, visto che a scuola in un tema "Il tempo è danaro" fece lo svolgimento in una sola riga; "Il tempo é moneta, perciò vado a casa a studiare geometria, perché sono vicini gli esami, non le pare signor professore la cosa più logica?"
E non studiava solo quella, ma Storia, Politica, Musica, Poesia. Divenne infine Maestro, ma il fascino di arringare la folla era il suo debole, tenne discorsi celebrativi su Verdi, Garibaldi e altri, che entusiasmavano i presenti con le arringhe, dove poi, quasi sempre, lui sconfinava nella politica più accesa, coinvolgendo le masse con i suoi caratteristici atteggiamenti e una passionale oratoria.

Insegnava a Gualtieri (che era il primo comune conquistato in Italia dai Socialisti), ma presto, pur avendolo nominato i socialisti Capo Sezione, gli venne a noia e emigrò in Svizzera. Due anni e mezzo in giro a fare lo sfaccendato, il disoccupato, il poveraccio, l'insegnante di italiano agli immigrati; ma intanto frequentava le lezioni di economia-politica di VILFREDO PARETO il grande economista (borghese) che insegnava a Losanna; e nel frattempo leggeva molto.
Sue letture preferite: Nietzsche, Marx, Schopenhauer. E scrive anche qualcosa, Ma nei suoi primi scritti non esordisce rivoluzionario; usa il gergo socialista che ha assorbito a casa, ma in questo primo periodo svizzero (1902-1904) il suo inizia a essere originale soprattutto quando i dibattiti fra riformisti e rivoluzionari si fecero roventi. Non ha ancora un pensiero politico autonomo, ma è già un dialettico rivoltoso (del resto era a contatto anche con l'ambiente anarchico) e in questi primi interventi (su L'Avvenire del Lavoratore, Il Proletario, Avanguardia Socialista) si permette già di scrivere che "il socialismo è un vasto movimento pietista, non l'avanguardia vigile del proletariato, ma una accolta di malcontenti, con alcuni vanitosi già compromessi con la borghesia che li usano proprio per far naufragare il socialismo". Sono dunque già frasi in libertà, fuori da certi rigidi schemi.
Infatti con le varie scuole, le varie dottrine, le frequentazioni e le letture più diverse nel 1809 lo ritroveremo già autonomo, con la sua ideologia già in embrione.

Dopo 2 anni in Svizzera, fece una breve visita in Italia alla madre malata, ma aveva 21 anni e a casa trovò la cartolina di leva. Per evitare il servizio militare, contraffece la data sul passaporto e riespatriò in Svizzera, ma il documento falsificato fu scoperto alla frontiera.
Fu quindi espulso, mentre nel frattempo in Italia lo condannavano per diserzione. I giornali socialisti enfatizzarono, uno scrisse: "E' stato cacciato dalla Svizzera il socialista Mussolini, il grande duce della "Prima" sezione socialista d'Italia". Era la prima volta che veniva usato il titolo di duce, che ricordavano gli antichi condottieri romani, ed era anche la prima volta che veniva indicato come grande. Mussolini aveva poco più di vent'anni ed entrambi i due titoli non gli dispiacquero proprio per nulla.

In Italia, ci fu proprio quell'anno l'amnistia per i reati anche di diserzione. Provvidenziale perchè gli evitò una condanna, ma il soldato dovette farlo, a Verona nel 10° reggimento bersaglieri. Ci stava apparentemente bene, tanto che si prese perfino le lodi e i gradi di caporale, ma era di idee antimilitariste e predicava la diserzione quando scriveva agli amici. Congedato, fece il maestro a Tolmezzo, poi anche lì divenne insofferente all'ambiente.

Lo andò a fare il maestro a Oneglia, in Liguria, dove si mise a dirigere con impegno anche un piccolo foglio socialista "La Lima". Qui scopre la sua "strada", il giornalismo, quello "rovente" e anticlericale, infatti, negli articoli si firma "il vero eretico", con accuse ai preti di essere "gendarmi neri al servizio del capitalismo". Durante gli scioperi accennati all'inizio, Mussolini entra subito in diverbio con gli interventisti.
A un capo crumiro, con una mazza in mano minaccia di spaccarlo in due, l'altro non sta al gioco, va a denunciarlo, la sera stessa è arrestato, processato per direttissima e condannato a 3 mesi. Conosce il carcere per 15 giorni; uscito, si ributta in politica, ma alla fine emigra nuovamente all'estero, a Trento (allora austriaca) dove passa intere giornate nella biblioteca comunale a leggere storia e saggi politici, e nello stesso tempo a studiare il violino ("se diventerò bravo ho un mestiere di riserva"), infine trova la tanto sospirata occasione di poter dirigere un foglio.

É "L'Avvenire del lavoratore", gli da' impulso, dinamismo, fa raddoppiare le copie del giornale. CESARE BATTISTI il più attivo del socialismo trentino che dirige il "Popolo" lo scopre e lo vuole con se'; lo nomina Redattore Capo. Proprio Battisti nel presentarlo per la prima volta sul giornale, così lo descrive, "é uno scrittore agile, incisivo, polemista, vigoroso, con una buona cultura, multiforme e moderna", ma subito dopo gli diventa scomodo, incontrollabile e perfino pericoloso, perché Mussolini é impulsivo, interviene con rudezza con tutto il peso delle sua presa di posizione estrema e rigida che inaspriscono le polemiche con gli austriaci per l'autonomia del trentino, mentre Battisti sta operando in un modo più diplomatico, pur dicendo velatamente le stesse cose. Inoltre Battisti non voleva inimicarsi il clero locale, molto legato all'Austria. Non rompe del tutto i rapporti, ma dopo un mese Mussolini già non scrive più sul suo giornale.

A Mussolini, Trento, gli sembrò troppo clericale, e aveva anche una profonda avversione per un giovane leader dei cattolici. Era Alcide De Gasperi che dirigeva Il Trentino e dalle sue colonne rimproverava gli insulti che lanciava il suo collega; ma Mussolini con i suoi articoli a sua volta lo attaccava, lo definiva "pennivendolo" "uomo senza coraggio" "un tedesco che parla italiano, protetto dal forcaiolo, cattolico, feudale impero austriaco e quindi un servo di Francesco Giuseppe". L'attacco ai preti intanto continuava. Gli avversari politici lo chiamavano "il cannibale dei preti", e quando in un paesino di Trento si scoprì una storia boccaccesca fra una contadina (in vena di santità) e il parroco locale, che l'aveva messa incinta più volte, Mussolini con la sua vena di scrittore salace, irriguardoso e fantasioso scatenò un putiferio nel raccontarne i retroscena, con il preciso intento di ridicolizzare tutto il clero locale.

In questo clima rovente, come agitatore più che polemista, che metteva a rumore la città, Mussolini non poteva durare, infatti, la gendarmeria austriaca su segnalazione di anonimi, l'accuso' assieme ad altri suoi amici irredentisti del furto in una banca, gli perquisirono l'abitazione, forse trovarono manifestini anti-austriaci, alcune copie del suo giornale che andava spesso sotto sequestro, trovarono insomma la "giusta causa" e una vaga motivazione per l'arresto e per sbatterlo in prigione. Dopo aver odiato gli svizzeri, Mussolini in galera iniziò a odiare i trentini austriaci, quando, pur non provata né trovata nessuna accusa, seguitarono a tenerlo in carcere senza un preciso motivo. Tanto che per protesta, e informando i socialisti con chissà quali mezzo, iniziò a fare un plateale sciopero della fame per attirare l'attenzione.

Per non farlo diventare un pericoloso martire dei socialisti o creare incidenti diplomatici, i gendarmi lo accompagnarono con i soli vestiti sdruciti addosso al confine di Ala, e lo diffidarono a non mettere più piede nella terra del Kaiser. Mussolini raggiunta Verona a piedi, racimolato qualche soldo alla stazione per il viaggio in treno, rientrò a Forlì, dove visibilmente umiliato passò l'inverno ad aiutare il padre vedovo a servire clienti in un osteria gestita assieme a una certa Annina Guidi, una sua vecchia amante, che morta la moglie si era deciso a viverci insieme, gestendo con lei appunto la trattoria. Un antico rapporto questo che alcuni mormoravano che da lei aveva avuto quella bimba cui avevano dato il nome di Rachele, che la donna allevò. Benito aveva conosciuto Rachele bambina prima di andare in Svizzera, ora al suo rientro l'aveva ritrovata donna e piuttosto attraente; le sue attenzioni furono pari a quelle della fanciulla che a sua volta si invaghì presto del fratellastro.
Forlì' gli stava stretta e lo divenne ancora di più quando anche in questa città lo arrestarono e lo misero di nuovo in carcere per quindici giorni per aver fatto un comizio non autorizzato.

Nel comizio, teorizzava la rivolta, e incitava a dare alle fiamme il Codice, ne auspicava un altro con nuove leggi. Il suo attivismo lo portava a porsi al di sopra delle comuni norme, e quindi auspicava la "necessita' della rivolta". Leggendo Nietzsche lo aveva colpito una frase "vivere pericolosamente", e ne fece il proprio motto, tanto che pubblico' un saggio in tre puntate sul giornale "Pensiero Romagnolo", La filosofia della forza, dove troviamo il pensiero del filosofo tedesco (il superuomo nicciano) che indubbiamente lo aveva affascinato e conquistato (altrettanto quello di G. Sorel - La funzione della violenza nell'agire storico).

In carcere in quei pochi giorni dove era stato ospite utilizzò il tempo a scrivere. Dopo l'esperienza fatta a Trento, dove si era documentato storicamente di un certo periodo della vita politica di quel paese, scrisse un breve satirico romanzo proprio sul Trentino. Cesare Battisti lo pubblicò a puntate sul "Popolo", a 15 lire a puntata, e il pubblico lo lesse avidamente. Era un racconto fantapolitico "Claudia Particella, l'Amante del Cardinale", un modo per far la "sua" feroce propaganda politica anticlericale, irridendola.
Ma Forlì dopo le vicende del carcere gli divenne antipatica, anche perchè inutilmente bussò a tutti i giornali; infine pensò di emigrare anche lui in Brasile, come avevano fatto tanti abitanti del suo paese Dovia; infatti aveva tanti vecchi amici di infanzia che appunto in Sud America erano emigrati.

Valutò pure di accettare un posto come messo comunale ad Argenta; "sono stanco di stare in Romagna e sono stanco di stare in Italia", scrive a tutti; ma il 9-1-1910 la federazione socialista di Forlì lo nomina segretario della federazione e gli fa dirigere i quattro fogli di "Lotta di Classe". Mussolini e' entusiasta, vede già il suo successo, ne e' convinto, e' sicuro di sè, si sbilancia anche troppo "alla prossima ventata spazzero' via Giolitti", ed economicamente non teme più il futuro perchè prende 120 lire al mese; infatti dopo 8 giorni torna a casa e presa Rachele sotto braccio, comunicò al padre e alla matrigna che sposava la sorellastra "senza vincoli ufficiali, ne' civili, ne' religiosi", e con una pistola in mano minacciò in caso di diniego il duplice suicidio. La notte stessa prese due lenzuola, quattro piatti con le posate, la rete di un letto e con Rachele si trasferì in una stanza in affitto con cucinino a 15 lire il mese, e "mise su casa". Era il 17 gennaio del 1910.

Mussolini aveva 27 anni e Rachele 17. Dopo 9 mesi, il 1° settembre 1910 nasceva Edda. 27 giorni dopo si svolse lo sciopero di Forli! Con Mussolini attivista in prima fila che gli valse questa volta la condanna a cinque mesi di carcere. Comunque utile per trasformarsi in vittima, martire e quindi diventare ancora più popolare. (Hitler nel '23, a Monaco ottenne la stessa cosa. Quel processo fu il suo trionfo).

Infatti nel 1912 Mussolini lo troviamo a dirigere l'organo del partito socialista L'Avanti. Si fa portavoce del proletariato ed inizia il 7 gennaio 1913 una feroce campagna contro "gli assassinii di Stato". Con indignazione si era scatenato per gli incidenti mortali verificatisi durante gli scioperi dei lavoratori che chiedevano miglioramenti salariali, riduzioni d'orari, previdenze, pane e lavoro. Conflitti dove scopriamo all'interno di queste manifestazioni non solo una forte tensione sociale fra padronato e operai, ma anche la prima forte spaccatura dentro i sindacati socialisti, tra i riformisti e i rivoluzionari. Due correnti di pensiero che divideranno in eterno le sinistre; e non solo quelle italiane.

Poi venne la ferale notizia da Sarajevo. L'inizio di quella che doveva essere per tutti una breve guerra, si trasformò ben presto -dopo le prime battute- in una guerra mondiale che andrà a cambiare il mondo. Crolleranno tre imperi, il Reich tedesco verrà sbriciolato, muterà l'intera politica del vecchio continente, nasceranno due grandi influenze ideologiche, e l'intera economia mondiale inizia a prendere due sole direzioni; che non viaggiano in parallelo, ma inizieranno a correre una contro l'altra fino al grande scontro ideologico. Ognuna durante questo lungo viaggio cercando -con tutti i mezzi- di allargare il proprio regno; che questa volta non è uno Stato, nè un Continente, ma è in gioco l'egemonia sull'intero Pianeta. Una lotta quindi tra due giganti.

MUSSOLINI dallo stesso giornale, il 20 settembre 1914 lo troviamo prima contro l'intervento in guerra dell'Italia, promuovendo perfino un plebiscito pacifista, poi subito dopo il 18 ottobre 1914 (l'articolo é una "bomba") lo troviamo improvvisamente schierarsi a favore; titola "da una neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante" che gli costa la radiazione dal giornale e dal partito, il PSI. Un socialismo neutralista ad oltranza, che già in crisi con la disgregazione dell'Internazionale socialista, messo di fronte alle scelte sull'intervento in guerra, che tutti ormai consideravano imminente, e nelle alte sfere necessaria per biechi motivi, lo troviamo -il partito socialista- schierarsi contro la guerra e a promuoverne il disfattismo e fin dall'inizio il suo fallimento. Mussolini non é disposto ad accettare questo fallimento né le limitate vedute di molti dirigenti del suo partito.
L'idea che si é fatta Mussolini (ed é l'unico ad avere una certa lucidità in anticipo sui tempi) é che la rivoluzione socialista é fallita prima ancora di iniziare, e mai il socialismo potrà uscire dalla guerra, vinta o persa, con nuove prospettive.
Le masse - andava dicendo Mussolini- i milioni di individui, dopo aver combattuto potranno imporre domani, a vittoria ottenuta, la propria pace alla borghesia con tutte le carte in regola, perché avranno una propria forza autonoma per farlo, e non avranno bisogno dei socialisti. A guerra persa invece le colpe ricadrebbero solo sui socialisti, che il conflitto non lo volevano e hanno sempre disprezzato chi era stato chiamato a parteciparvi: (tanti, tantissimi, quattro milioni e mezzo di uomini saranno poi).
Insomma i socialisti erano dentro un vicolo cieco. Questo in sostanza aveva sostenuto Mussolini alla vigilia del conflitto, e il ragionamento era impeccabile; ma il guaio grosso fu che la guerra che doveva essere "lampo" fu invece lunga e quando finì terminò in un modo anomalo, non accontentò proprio nessuno; infatti i vincitori (per come furono trattati a Versailles) si ritrovarono in mano quella che fu poi definita una "vittoria mutilata"; in altre parole, una frustrazione per entrambi, per chi l'aveva sostenuta la guerra e anche combattuta (Mussolini e i 4,5 milioni di Italiani) e chi aveva remato contro e profetizzato il totale fallimento (i socialisti - questi erano convinti di poter fare dopo la guerra la rivoluzione del proletariato).

Il 15 novembre del 1914, dopo l'articolo "bomba" e dopo la radiazione all'Avanti, MUSSOLINI fonda a Milano il Popolo d'Italia (finanziato e non del tutto disinteressatamente dalla Edison, dalla Fiat di Agnelli, dall'Ansaldo dei fratelli Perrone ecc. ecc.) con un indirizzo antisocialista, e con iniziali palesi appoggi all'irredentismo che va predicando D'Annunzio e De Ambreis (Ma poi con la "Vicenda Fiume "Mussolini prenderà le distanze dai due "rossi" - vedi partendo dal 1919).
Infine il 6 maggio del 1915, l'altra "bomba": Mussolini esce con l'articolo "E' l'ora". Poi abbandona non del tutto il giornale (terrà un diario di guerra fino al febbraio 1917) e molto coerentemente con quello che ha scritto, si offre volontario.
Non è il solo, parte D'Annunzio, parte Marinetti, e parte Cesare Battisti che incita "tutti al fronte con la spada e col cuore", poi in agosto parte finalmente anche Mussolini.
C'è in questo slancio forse anche un motivo umano, odia gli Austriaci; il suo é anche un conto personale da regolare! I giorni di carcere a Trento, le accuse infamanti, e le umiliazioni ricevute hanno lasciato il segno!

Al fronte Mussolini non ha la vita molto facile, sia con i soldati che lo ritengono un interventista e sia con lo Stato Maggiore che diffidano di questo ambiguo soggetto fino a ieri a sinistra come oppositore all'intervento. Era nota la sua renitenza, il suo antimilitarismo in piazza del 1911-12, e il suo passato di socialista.
Al Distretto non si fidano proprio. Senza tanti riguardi al suo diploma e al suo mestiere di giornalista lo mandano al fronte, come soldato semplice col grado di caporale. Dopo 16 mesi di guerra, per quaranta giorni Mussolini va anche in trincea, sul Carso, in prima linea sotto le granate austriache; si guadagna perfino il nastrino. Nel febbraio 1917 una sventagliata di schegge, non proprio del nemico, lo colpisce. Resta gravemente ferito. Trascorre in stampelle quattro mesi all'ospedale di Ronchi. Qui nel portare conforto ai feriti troviamo una visita di Re Vittorio Emanuele III. Di certo non immagina nemmeno lontanamente, nel preoccuparsi della salute e nello stringere la mano di questo semplice caporale sulle grucce, di trovarsi di fronte all'uomo che fra soli 5 anni legherà il suo destino a quello di Casa Savoia e a tutta la sua dinastia. Il Destino se era da quelle parti a fare qualche scherzo, quel giorno ne organizzò uno dei più sensazionali.

Dopo la convalescenza, MUSSOLINI rientra al giornale nel luglio 1917. Le cose in Italia sono molto cambiate nel frattempo, l'interventismo, dopo tre anni di guerra, quasi inutili sul piano militare e politico, é in crisi, e sembra - dopo Caporetto- che il disfattismo socialista fra le masse trovi un buon appoggio. Così andava dicendo Cadorna per giustificare i suoi tragici rovesci.

Ma non é così, Mussolini è molto attento, si accorge che le masse hanno avuto uno scollamento dal socialismo e che questo (dopo la disfatta di Caporetto del 24 ottobre) non può certo aspirare alla vittoria di una rivoluzione dopo una guerra persa. Infatti le cose cambiarono, per tanti motivi, interni ed esterni. E anche per tante coincidenze a favore. L'entrata in guerra degli Usa, la Rivoluzione d'Ottobre in Russia, le Germania in difficoltà (più politicamente che militarmente), l'Austria in sfacelo, ecc.

Alla fine, la guerra non fu persa, ma nemmeno vinta, passerà alla storia come la "vittoria mutilata" dopo le liti a Versailles con Wilson. Questo finale andò ancora di più a complicare le cose. Non c'erano politicamente né vinti né potevano rallegrarsi quelli che la guerra l'avevano boicottata con il disfattismo. Con troppo accanimento, questo esito negativo (nonostante tanta retorica e i proclami) dai socialisti fu fatto pesare molto ai reduci; "che cosa vi dicevamo, ecco il risultato!" e giù il resto. Non era certo il modo per fare proseliti nel chiamarli grulli. E chi era ritornato dal fronte non voleva certo sentirselo dire, dagli "imboscati" poi.

Quello che temeva Mussolini accadde, come aveva previsto e profetizzato. I socialisti riformisti (con Treves e Turati) sono in difficoltà più di prima della guerra, e nemmeno parlarne di poter avviare un dialogo con i padroni; invece di concertare hanno preferito la linea dura con il risultato che gli industriali si sono uniti e hanno adottato la strategia delle serrate.
Mentre i massimalisti dichiaratamente rivoluzionari (con Gramsci e Bordiga), hanno guardato con molta attenzione i fatti russi che avrebbero potuto far aprire delle nuove prospettive; la prossima fine del capitalismo con la tanto attesa rivoluzione. Ma non hanno i seguaci, hanno solo i pochi (e difendono solo questi) che ancora lavorano e che sono poi quelli che non hanno fatto la guerra. Non hanno nemmeno le masse contadine (che per la maggior parte non sono salariati ma sono milioni di piccoli proprietari di "fazzoletti" di terra) timorosi di perdere con l'avvento del bolscevismo il loro podere, quindi sordi a tutte le sirene comuniste.
Insomma nelle due correnti, e tra queste e le masse si è creata una barriera di totale incomunicabilità. Non esiste più spazio per i socialisti. Mussolini è lapidario, caustico ma anche realista "Vogliono fare la rivoluzione, ma se li contiamo i conti proprio non tornano"
Mussolini se ne convince ancora di più quando inizia a vedere i pessimi risultati della Rivoluzione Russa. "Bello i soldati uniti al popolo! Bello il collettivismo! Bello la distribuzione delle terre! Male invece i nuovi dittatori statali nelle fabbriche e nelle campagne". Non era questo il socialismo che Mussolini sognava da giovane. In Russia il "padrone" autoritario e il grasso borghese zarista, usciva dalla porta e rientrava dalla finestra con la nascente "borghesia" statale di partito, ancora più autoritaria e peggio di prima perchè non possedeva capacità tecniche e organizzative. Gli esaltati operai credevano di poter mettere in riga i cervelli del vecchio management o impunemente insultare i vecchi padroni. Lenin dimostrando subito i propri limiti e le incapacità a organizzare uno Stato così vasto e burocraticamente così complesso, ha dovuto richiamare in fretta e furia ai loro posti nei vari apparati gli stessi funzionari zaristi, e nelle grandi aziende i vecchi padroni, per riuscire a sopravvivere ed evitare il totale fallimento della rivoluzione che si stava avviando nell'anarchia. Gli altri non si fecero pregare; soltanto che borghesi erano e borghesi rimasero. Non al soldo del padrone ma del Partito, che in quanto a zarismo poteva competere.
Mussolini lo troviamo quindi a guardare in altre direzioni; é il momento della sua "conversione" totale. Finita la guerra, se già aveva quelle idee gia descritte sopra, ma non ancora applicate, dopo una cocente sconfitta elettorale, profondamente mutato, lo ritroviamo nel 1920 a guidare quel movimento politico che presto lo porterà al potere.
(VEDI A PARTIRE DAL 1920 IN POI)
C'erano tutte le condizioni a favore: buona parte del proletariato senza lavoro, il ceto medio deluso, la rabbia degli ex combattenti e la rottura dentro le file dei cattolici. Ma c'era soprattutto la nuova borghesia industriale che iniziava a combattere le feudali energie latifondiste che si opponevano con forza a tutti cambiamenti di una nuova società. Non a caso il fascismo nasce in via San Sepolcro in una saletta messa a disposizione dal Circolo industriale (l'Associazione Industriale (Confindustria) nasce proprio in quel 1920). E ovviamente ad ascoltarlo non ci sono solo i "camerati" o solo gli "arditi" , ma ci sono soprattutto gli industriali (con addosso la tremarella, causata dal bolscevismo - nel fare le serrate non è che avevano risolto il problema. Lo avevano solo rimandato).
Mussolini quasi più convinto di molti industriali, non credeva alla fine del capitalismo. Perchè non credeva alla forza disordinata delle masse. E soprattutto non credeva negli ottusi capi.
Lo aveva scritto infatti su Utopia ancora nel 1915: "I socialisti commettono un gravissimo errore, credono che il capitalismo ha compiuto il suo ciclo. Invece il capitalismo è ancora capace di ulteriori svolgimenti. Non è ancora esaurita la serie delle sue trasformazioni. Il capitalismo ci presenta una realtà a facce diverse: economica, prima di tutto".
Poi nel 1917 frenando gli entusiasmi dei primi confusi progetti russi: "....La rivoluzione non è il caos, non è il disordine, non è lo sfasciamento di ogni attività, di ogni vincolo della vita sociale, come opinano gli estremisti idioti di certi paesi; (il riferimento alla Russia è chiaro. Ndr) la rivoluzione ha un senso e una portata storica soltanto quando rappresenta un ordine superiore, un sistema politico, economico, morale di una sfera più elevata; altrimenti è la reazione, è la Vandea. La rivoluzione è una disciplina che si sostituisce a un'altra disciplina, è una gerarchia che prende il posto di un'altra gerarchia" (1917, 26 luglio, Il Popolo d'Italia)
Agli operai poi, nel 1921, quando la svolta fu decisamente tutta a destra (e i primi fallimenti in Russia di Lenin erano ormai risaputi), MUSSOLINI così affrontò il proletariato: "La parola socialista nel 1914 aveva un senso, ma ora è anacronistica..... bisogna esaltare i produttori perché da loro dipende la ricostruzione.... e ci sono proletari che comprendono benissimo l'ineluttabilità di questo processo capitalistico....produrre per essere forti e liberi...." - "le dottrine socialiste sono crollate, i miti internazionalistici caduti, la lotta di classe è una favola". Voi non siete tutto, siete soltanto una parte, nelle società' moderne. Voi rappresentate il lavoro, ma non tutto il lavoro e il vostro lavoro é soltanto un elemento, nel gioco economico. Finché gli uomini nasceranno diversamente "dotati", ci sarà sempre una gerarchia delle capacita'". - "Non basta essere in tanti, ma si deve essere preparati".
Poi Mussolini rincarò la dose "Se per gli interessi nazionali bisogna lottare contro il socialismo e se
occorre sostenere i proprietari terrieri e i produttori per non causare lo sfascio della società in una
rivoluzione o in una guerra civile, allora il fascismo si schiererà con la borghesia".
Il 1° agosto dell'anno precedente al suo giornale -Il Popolo d'Italia- aveva già cambiato il sottotitolo. Da Quotidiano Socialista -dopo aver ricevuto ulteriori finanziamenti dagli industriali- lo aveva abilmente sottotitolato: Quotidiano dei combattenti e dei produttori. Poi il 1° gennaio del '21, sarà ancora più esplicito (arrivano i finanziamenti dei "siderurgici"), e metterà il motto di Blanqui "Chi ha del "ferro" ha del pane". Il patto con gli industriali era ormai senza più sottintesi (e quando andrà al governo alla fine del 22, suo primo pensiero fu quello di abrogare la legge sulla nominatività dei titoli. Gli industriali tirarono un sospiro di sollievo. Molti capitali erano nel frattempo emigrati all'estero.
ALBERTINI il direttore del Corriere della Sera così salutò la "svolta": "il fascismo ora interpretato é l'aspirazione più intensa di tutti i veri italiani" (ovviamente si riferiva a una piccola minoranza di italiani, quelli che avevano i titoli al sicuro).
La Stampa di Torino "Il governo Mussolini é l'unica strada da percorrere per ridare agli italiani quell'"ordine" che tutti ormai reclamano intensamente".
(Ci fermiamo ai due maggiori giornali. Tutti gli altri si unirono al coro)
Tutto questo accade nel 1921. L'anno della grande crisi dovuta proprio al critico dopoguerra che si trascina da più di due anni nell'immobilismo politico più intollerabile. La disoccupazione è aumentata di sei volte rispetto l'anno precedente, già molto alta (4.593.000 gli scioperanti in due anni).
La riconversione dell'economia di guerra verso una produzione di pace, nella sua lentezza e senza una avveduta guida governativa, provoca una disoccupazione che sembra avere imboccato una strada senza ritorno. A renderla drammatica sono poi i debiti di guerra, con le banche in sofferenza, anche se sono piene di soldi degli speculatori, che però non hanno certo la "vocazione" di puntare sulle nuove "scommesse" dei piccoli imprenditori. Le piccole industrie quindi sono senza capitali e con un mercato dei consumi che precipita sempre di più a picco per la poca liquidità circolante nella popolazione che ha nelle sue file 4.500.000 di ex combattenti senza lavoro (cui si sono aggiunti quelli che finita la intensissima (14 ore al giorno) produzione di guerra, sono stati mandati a casa). Infine, a forte rischio, perfino il rimborso dei prestiti di guerra (Buoni del Tesoro) sottoscritti dai risparmiatori. Sono tanti questi malcapitati, tutti appartenenti alla classe media. Tutti in preda alla più nera disperazione: una mina vagante questa categoria che vede davanti ai suoi occhi la grande industria e le banche rifiutarsi di accollarsi i debiti nonostante gli ingenti profitti fatti con la guerra; e ha -anche questa categoria- la netta impressione di essere stata tradita, come i reduci. (da notare che tutto questo sta accadendo contemporaneamente anche in Germania)
Poi arrivò anche il colpo di grazia con la "caduta" (prevedibile da mesi - ed era già iniziata la fuga dei grandi capitali fatti dagli "squali") della Banca di sconto. La disperazione della piccola industria, degli artigiani dei coltivatori e dei risparmiatori fu comune, divenne una cosa sola. Quando il Tesoro farà i conti dei debiti, i propri più quelli contratti con gli alleati, con le cifre che sono di dominio pubblico, le speranze dei risparmiatori di riavere indietro i soldi furono quasi nulle. Forse i pronipoti nel 1984! Questa é la data degli impegni assunti con l'Inghilterra e l'America per i rimborsi. Altro che guerra vinta! Ogni nato si portava dietro fino a sessantacinque anni la "follia" della Grande Guerra, che era più coerente averla chiamata "La Grande Obbligazione a futura memoria".
La soluzione che ha adottato il governo per far fronte ai debiti e alle spese sostenute in guerra è stata quella di aumentare le tasse; con la conseguenza di far aumentare il costo della vita e ha bloccato ulteriormente gli investimenti produttivi. Ma quello che indignava i 4.500.000 reduci, era che il denaro ricavato dal maggior prelievo fiscale serviva buona parte solo per pagare gli interessi dei Buoni del Tesoro (90 miliardi che erano stati emessi per finanziare la guerra) posseduti da chi la guerra non l'aveva fatta, e che ora con il paese dissanguato da uno stillicidio di tasse, ci guadagnava pure!
Una realistica analisi la fece De Ambris (l'amico di D'Annunzio nell'avventura di Fiume) ed allarmò ancora di più: lo Stato tassando in questo sciagurato modo, causava la paralisi della produzione e gli investimenti, facendo salire l'inflazione e la disoccupazione. Inoltre essendo il debito troppo grande, "non lo avrebbe mai annullato questo debito". Occorrevano decine di anni. Tanto valeva correre il rischio di fare una rivoluzione, e anche se era una oscura "avventura", non c'erano altri sbocchi in questo quadro globale confuso, contraddittorio, ma anche piuttosto drammatico.
La guerra ha provocato dunque due fenomeni. 1) L'industria pesante ha registrato un enorme sviluppo con la produzione bellica; che però é andata a drenare e a convogliare tutte le risorse disponibili nel modo più selvaggio, favorendo solo su un ristretto gruppo di industriali (si pensi alla Ansaldo e alla Fiat, entrambe dall'inizio alla fine della guerra, passarono da 5.000 a 50.000 operai); scarsa -per non dire nessuna- considerazione sulla media e piccola impresa che, rimasta senza risorse (prima, durante e ancora peggio dopo la guerra), in pochi anni era quasi scomparsa. Il conflitto ha accelerato così il processo di concentrazione sia industriale sia bancario. Negli anni di guerra il legame grande industria-banca si é fatto sempre più stretto. A guerra finita -finite le commesse militari- entrata in crisi la prima, l'altra seguì la stessa sorte ma senza tanti traumi, anzi si prese il lusso con i capitali accumulati e le quote di azioni e gli immobili fagocitati in cambio di crediti inesigibili, di riuscire a traghettare il potere dello Stato a questa nuova emergente forte borghesia, non aristocratica, ma altamente produttiva, persino da proteggere (Come l'invio dell'esercito ai cancelli della Fiat per far entrare i "crumiri" disponibili a sostituire i "ribelli").
E' il primo passo di un patto scellerato dell' impotenza politica, che (servilmente) ipocritamente si giustifica (chi ha messo in bocca queste frasi lo possiamo solo immaginare) con quello che sarà d'ora in poi un ritornello: "lo facciamo per salvaguardare il patrimonio produttivo del Paese, per salvare l'occupazione, per dare lavoro a tutti". In nome di questa "evangelica missione", le altre armi ricattatorie dei poteri forti saranno in seguito anche le innumerevoli sollecitazioni a svalutare la moneta, con tutte le conseguenze negative sulle importazioni di beni di prima necessità; perfino alimentari. Poi questo durerà fino alla fine degli anni Novanta, con Mussolini prima e senza Mussolini dopo. O con il fascismo o con la repubblica, i ricatti sempre gli stessi erano.
Avviene poi il secondo fenomeno che è l'effetto del primo: questa nuova classe, ora chiamata dei "grandi produttori", moderna e spregiudicata, divenuta forte, progressivamente esautora non solo i sindacati ma anche la classe politica, ormai logora, antiquata, anacronistica, fatta di conservatori, di aristocratici, e di borghesia liberale ma con il Dna feudale, avversi ad ogni mutamento. La grande industria é costretta (e fa di tutto) a scaricarla se vuole andare avanti con certe ambizioni per imitare il modello americano.
La nuova classe, poche famiglie, sono ora i padroni dell'Italia. D'ora in avanti qualsiasi politico dovrà fare prima i conti con loro, perchè sono in grado di crearli e anche di distruggerli i politici. Di condizionarne le scelte economiche e gli indirizzi. Divenuti potenti, la grande industria e le grandi banche sono una forza sola. Inoltre entrando la prima di prepotenza dentro i giornali fornisce i mezzi propagandistici ai politici graditi, che ora sono gli industriali a scegliersi; la seconda forza (le banche - dove i padroni sono gli stessi grandi industriali) con i suoi nodi scorsoi sul credito, domina il resto della produzione nella media e piccola impresa, e spesso quest'ultima è asservita, è clientelare, utile solo per allargare il "nuovo regno" di quella grande. Il potere forte fa insomma quello che vuole, quando vuole, con chi vuole, dove vuole. I politici che ora si scelgono d'ora in avanti saranno solo dei soggetti manovrabili. Burattini che a loro volta muoveranno altri fili: con la propaganda ideologica, il patriottismo, la retorica risorgimentale (una parola che useranno socialisti, i fascisti poi anche gli antifascisti) e l'oratoria autoritaria. Droghe utili e necessarie che servono per avere la massa a servizio e ottenerne il consenso. Come e con cosa? Ma con l'informazione, con i giornali degli stessi industriali subito messi a disposizione del regime. ("Vuole un giornale sig. Mussolini?, non si preoccupi, ci pensiamo noi, in 24 ore lei avrà un giornale, la sede, la tipografia, la redazione, i giornalisti e tutto il resto". Questa è la potenza del grande capitale!).
La cartina d'Italia, col "nuovo regno", se la prendiamo e iniziamo a tracciare l'organigramma di questo nuovo potere e ad annotare una ad una le nuove società industriali e finanziarie che orbitano come satelliti attorno a quelle "forti" (queste non arrivano a una decina), la rete che ne viene fuori é tale che vi troviamo imbrigliata nelle maglie tutta l'economia nazionale. Quando se ne occuperà Beneduce, sarà lui a stendere una complicata rete. Una rete che non termina con la fine del fascismo, ma ha una sua continuità per quasi tutta la seconda metà del secolo. Quando una paio di grandi aziende, e un paio di finanziarie riusciranno a condizionarne altre 20.000/30.000.
Con il fascismo assisteremo alla grande concentrazione fra società e banche: "Serve ed é necessario- dicono gli economisti legati al carro dei "Signori del Triangolo" - a trasformare l'apparato produttivo del Paese in un modo razionale, a produttività e competitività molto forte".
E' una logica imprenditoriale ineccepibile, ma ha il rovescio della medaglia: perchè diventa forte anche politicamente. L'avvento del fascismo viene a costoro utile e permette di fare i primi passi. Li autorizza il regime a fare anche le prime "prove d'orchestra" dietro lo quinte. Poi cinicamente sbarazzatosi del teatrante di turno, dal '45 in avanti il "grande capitale" sale prepotentemente sul "palco" a dirigere l'orchestra intera e a mettere altri insignificanti attori a recitare; chiamata "razza padrona" oppure "uomini di governo". Poi con un liberismo senza più nessuna etica, si permetteranno arrogantemente di uscire anche allo scoperto e riusciranno anche ad essere l'uno e l'altro. E se qualcuno farà notare che ci sono i conflitti di interessi, si metteranno a ridere, anche perchè sono coscienti di potersi permettere di "comperare" chi ha il coraggio di contestare; impiegano poco tempo e denari per legarlo al proprio carro.
BENEDUCE in questo 1921 è già amministratore delegato dell'INA, poi guiderà la Bastogi, creerà lui e gestirà lui quasi in forma privata il colosso IRI, l'IMI, e mille altre imprese, banche, enti e finanziarie, pubbliche e private (il 25% dell'intera industria italiana, quella che conta e domina l'altro 75%) poi lascerà tutti i segreti degli intrecci (dare e avere oscuri) e tutta l'"autorità occulta" a suo genero ENRICO CUCCIA, che ha sposato la sua IDEA SOCIALISTA (che era il nome della figlia di Beneduce, non confondiamo con le "idee socialiste"! Siamo invece nel grande capitalismo; quello molto "forte")
Per anni nel bene e nel male, Mussolini riempirà molte pagine di storia del nostro secolo. Ci saranno intuizioni politiche da grande statista; diventerà per gli industriali l'uomo qualificato a ristabilire l'ordine; "della provvidenza" per il clero nel dare la soluzione a problemi secolari (il concordato); e varerà ottime istituzioni sociali ed economiche che sono giunte integre fino a noi (che vedremo in questi anni e in altre pagine ). Fu tutto il centro motore del suo movimento, il fascismo, ma con gli anni sempre più distaccato da un contatto più diretto con i suoi collaboratori; sarà il promotore di un regime totalitario che poggiò per qualche tempo sul consenso di massa, che demagogicamente fu abile a sollecitare attraverso coreografiche manifestazioni, con i mezzi di comunicazione e gli slogan.
Non mancò il prestigio internazionale di un certo periodo del '29 e dintorni. In questi anni, preso dal miraggio di mutare a vantaggio dell'Italia lo statu quo internazionale (che era in crisi- compresi gli Usa), lui antitedesco (Stresa 1935) abbandonò le cautele e, con un atteggiamento di grande e palese insofferenza, entrò in urto con le potenze occidentali (veramente poco sensibili ai problemi di alcuni stati europei - e perfino tra di loro) e iniziò a rafforzare legami proprio con una Germania dove c'era un Hitler con gli stessi suoi problemi, figura ancora modesta ma grande suo ammiratore e con ambizioni più grandi delle sue. L'accordo formale che ne seguì (il patto d'acciaio) fu un grave errore di valutazione, che dopo pochi mesi non si poteva più riparare.
L'errore fu ancora più grande quando ebbe la convinzione che Hitler dopo i suoi blitz vittoriosi soprattutto in Francia, conquistasse e mutasse l'intera cartina d'Europa. Nel timore di essere escluso da questa spartizione, pur al corrente dello stato di impreparazione militare del proprio paese (è lui stesso a informare Hitler in una famosa lettera del '39; a dirgli che non è pronto) decise, cercò, tentò, s'illuse, si sentì forse obbligato (una parte non indifferente del Paese lo sollecitava) ad intervenire militarmente al suo fianco per potersi ritagliare a guerra finita, i migliori vantaggi possibili per l'Italia.
Ma altro non poteva fare. Aveva le armate tedesche al Brennero e a Tarvisio dopo il disimpegno a est. E se si appoggiava alla Francia e all'Inghilterra, visto poi come si squagliarono i loro eserciti e le loro difese (non capaci neppure di difendersi in casa propria, figuriamoci se accorrevano in Italia!) l'invasione dell'Italia da ovest, dal nord, e da est sarebbe avvenuta in 24 ore.
(Vi rimandiamo ai vari fatti narrati nei singoli anni di Cronologia a partire dal 1939)
Venne poi l'esito disastroso tedesco in Russia, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro, contro l'Italia c'erano tutte le potenze (che Mussolini sottovalutava) che avevano deciso di fermare l'egemonia nazista, quando quella fascista era già naufragata molto prima del 25 luglio 1943, cioè quando il Paese si sentì estraneo nella guerra e finalmente capì che Mussolini era un uomo senza piu' consensi, perdente, e soprattutto solo, non essendosi circondato da persone capaci e intelligenti, ma solo di consiglieri che non operavano con realismo nelle situazioni che invece stavano maturando ed evolvendosi. Anzi si boicottavano l'un l'altro. Vedi le tre Armi.
Momenti drammatici, dove si rispondeva per coprire questi guasti interni, con solo grandi bluff militari, politici, culturali e di costume, sempre guidati da operatori e propagandisti di bassa levatura. Ma soprattutto c'erano dentro dirigenti e generali, nobili e gerarchi che volevano fare i "Generali". Ma che ritroveremo subito -dopo l'8 settembre- a guidare l'antifascismo per ritornare a fare i dirigenti e i generali.
Questo significa che era solo, ma Mussolini non se ne era reso conto.
Nel discorso del 25 ottobre 1938, analizzando bene le parole di Mussolini, appare già questa solitudine. E' uno statista perdente! La situazione precipitava davanti a una realtà oggettiva del Paese che dimostra subito quanto effimeri, artificiali, e come erano sempre suonati falsi, gli accenti eroici, i toni di sfida di una certa propaganda. Era quello già il discorso della sconfitta, soltanto che lui non se ne era reso ancora conto, anche se lo aveva intuito: gli italiani che "contavano" invece sì; non per nulla questa intuizione la esternò con amarezza proprio in questo discorso: "....quel mezzo milione di vigliacchi borghesi che si annidano nel paese". Infatti, quelli che proprio lui aveva fatto diventare ricchi, gli avevano già voltato le spalle. Un "25 luglio" infatti fu già cospirato il 19 ottobre del 1939 e quasi dagli stessi uomini del successivo '43: Grandi, il Re, il principe Umberto, Balbo.
Quello che avvenne in seguito fu una tragedia. La sua e insieme quella del popolo e di una nazione, dove alcuni vecchi antiquati generali presero i migliori uomini per mandarli allo sbaraglio, in Grecia, in Africa, (e scelleratamente a piedi) in Russia. Inquietanti personaggi che poi caduti nella polvere, e molti nel disonore, caduto lui, Mussolini, li abbandonarono, scapparono, aggiungendo tragedia a tragedia (8 settembre '43). Scapparono, ma poi li ritroveremo tutti, ma proprio tutti, dopo pochi giorni dentro i meandri degli stessi Palazzi a guidare il Paese, mentre i più disgraziati, iniziarono a darsi la caccia l'un l'altro.

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