altare di vulvinio

Materie:Altro
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

L’ALTARE DI VULVINIO

L’altare d’oro è di epoca carolingia e eseguito da Vulvinio nel IX sec. A Milano nella chiesa di Sant’ Ambrogio.
In realtà, questo altare, contiene le reliquie di Sant’ Ambrogio, San Protasio e San Gervaso.

Le lastre di metallo rivestono tutte e quattro le facce dell’opera e sono appoggiate su un’anima di legno che fa da supporto; le lamine, lavorate a sbalzo, nella facciata anteriore Cristo Pantocratore, i simboli degli evangelisti e gli apostoli; nei riquadri laterali della facciata anteriore appaiono le storie della vita di Gesù suddivise in sei formelle per parte.

Al centro della facciata posteriore si hanno due ante che permettono l’accesso alle reliquie sulle quali sono stati lavorati quattro tondi:da una parte si hanno l’Arcangelo Michele in alto e il committente Angilberto II incoronato da Sant’Ambrogio in basso;nell’altro si possono vedere in alto la raffigurazione dell’Arcangelo Gabriele e in basso ancora un’incoronazione:quella di Vuolvinio che,fatto inconsueto per l’epoca,si firma sulla formella come “VUOLVINIUS MAGISTER FABER”;ai lati del pannello dodici formelle raccontano la storia di Sant’Ambrogio. Sui lati minori dell’altare sono sbalzate due croci con i profeti,angeli e santi.
Di notevole finezza gli smalti nei colori bianco,turchese,blu e rosso che nella posteriore disegnano teste di angeli nei punti di tangenza delle formelle in quella anteriore imitano il mosaico.

Anche se generalmente l’opera è attribuita a Vuolvinio,a lui,per ragioni stilistiche,infatti le caratteristiche dell’arte di Vuolvinio sono la narrazione e la notazioni paesaggistiche essenziali,le forme salde e i contorni limpidi,la freschezza nel tratteggiare le figure e nel rendere il movimento,è attribuito solo il pannello posteriore mentre la lavorazione delle lamine sui lati minori viene assegnata ai suoi allievi. Forse per il pannello anteriore è plausibile il nome di un’altra maestranza che comunque doveva essere vicina alla bottega di Vuolvinio.

BASILICA SAN VINCENZO DI GALLIANO

L’edificio sacro dedicato a San Vincenzo di Saragozza sorgerebbe tra il V e il VI secolo con annesso un battistero. Da queste costruzioni deriva anche il pavimento a piastrelle geometriche di marmo bianco e nero,riammesso in uso nel presbiterio sopraelevato della Basilica e nel Battistero,ancora esistente sotto il pavimento in cotto.
La chiesa, così come la vediamo attualmente, si riedificò nel X secolo: risalenti a questo periodo le navate su cui Ariberto d’Intimiano, intorno al mille, fece innestare l’absidw e la cripta. Fu riconsacrata Basilica dedicata a San Vincenzo proprio da Aribeto.

Il complesso architettonico, durante la dominazione francese, fu venduto a privati; e così convertito in casa colonica.
La perdita della navatella meridionale, del campanile e degli affreschi distrutti o deturpati dalla calce furono le più grosse perdite che ancora oggi ci testimoniano lo snaturamento subito dal tempo.

Nel 1909 la Basilica ritornò in possesso del comune di Cantù. I primi restauri (1933-34) permisero di riaprire la chiesa al culto. Nuovi restauri agli affreschi della navata eseguiti a più riprese nel 1955, 1956, 1967, 1981, hanno portato al distacco di alcuni dipinti che sono stati collocati suille pareti originali.

La cripta è uno dei primi esempi conosciuti con pianta ad oratorio. È divisa in tre navate da quattro esili colonne con capitelli risalenti ad un periodo compreso tra la fine dell’VIII e il IX secolo; le campate irregolari sono coperte da crociere su archi traversi. In questo luogo Ariberto mise le spoglie di Sant’ Adeodato.

Le due navate ancora esistenti risalgono alla prima metà del X secolo. Ne sono prova la tecnica edilizia usata e le nicchie a timpano che si trovano all’esterno nella parete settentrionale della navata maggiore, non infrequenti nell’architettura tra il VII e il IX sec.
La parete esterna dell’abside è ricamata da arcate cieche dove le alte lesene hanno un mero valore decorativo. Tra le lesene si aprono le finestre della cripta, a livello del suolo, e sotto le arcate quelle interne dell’abside.

Anticamente si estendeva davanti alla Basilica anche un quadriportico che fu eretto presumibilmente durante l’età aribertica: il modello del sacro edificio che Ariberto tiene sollevato nelle mani presenta una torre campanaria ed un accenno di portico.
Le pareti della navata centrale sono sorrete da tarchiati pilastri su cui poggiano le arcate.

GLI AFFRESCHI

gli affreschi della basilica sono la più alta testimonianza della pittura degli inizi dell’anno mille.
Sulla volta si vede Cristo in piedi con il braccio alzato per chiamare a se i fedeli affiancato dai profeti Ezechiele e Geremia; dietro ad essi vi sono numerosi santi che portano corone imperiali e palme, simboli del martirio. In basso tra le finestre è raffigurato il martirio di san Vincenzo con la storia che si svolge da destra verso sinistra. All’estrema destra è raffigurato il ritratto di Adalberto con in mano la chiesa da lui ristrutturata nel 1007. appena successivi al 1007 sono invece gli affreschi sulle pareti della navata maggiore dove siedono i fedeli durante le cerimonie. In antichità i fedeli si dividevano in due zone: a destra, entrando, stavano gli uomini a sinistra le donne: anche gli affreschi sono divisi con questo schema.

Sulla parete sinistra, rovinate dal tempo e dagli uomini, vi sono storie di donne: Eva con Adamo in alto, Santa Giuditta e Santa Margherita in basso. Sulla parete deastra vi è la storia di Sansone, in alto di San Cristoforo, di cui rimane un enorme immagine al centro della parete.

L’ambone risalente ai primi decenni del XII secolo e affrescato sui due lati, oggi conserva, sul fronte a fianco della scalinata centrale, le figure del Toro e del Leone simboli degli Evangelisti Luca e Marco.

Sotto l’ambone scende la scala di accesso alla cripta. Sull’alto parapetto vi è un affresco della fine del XIII secolo raffigurante da destra a sinistra: l’Arcangelo Michele, San Pietro, la Madonna col Bambino, San Paolo, San Vincenzo, Sant’Ambrogio e Sant’ Adeodato. Nel catino absidale grandeggia il Cristo giudice affiancato dagli Arcangeli Michele e Gabriele.

Esempio