I ponti

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Testo

Il 4 giugno del 1944 gli alleati occuparono Roma e tra la capitale e Firenze la via si
presentava libera, perché è noto , come i tedeschi avessero predisposto la resistenza
lungo la “linea Gotica” , la quale correva lungo il crinale dell' Appennino , quindi tra
Firenze e Bologna. Gli alleati stavano escogitando il modo di oltrepassare l'Amo ,
dove i Tedeschi avevano delle esigue truppe .
Tutti si aspettavano una manovra a tenaglia , sfondando a monte a Pontassieve e a
valle, verso Signa .
Con una tale manovra, i Tedeschi, per paura di una sacca, avrebbero abbandonato
Firenze; in tal modo la città sarebbe stata risparmiata da un inutile devastazione , perché
anche gli stessi Tedeschi avevano sempre affermato di amare la città, ricca di storia e
opere d'arte e di non volerla minimamente danneggiare.
Se gli alleati avessero attuato la famosa manovra a tenaglia si sarebbe risolto il
problema di Firenze , ma la manovra non venne attuata .
Il 6 luglio , il generale Kesselring scriveva al cardinale Ella Dalla Costa (il cardinale ,
coadiuvato da alcuni diplomatici stranieri , cercava di salvare la città) , dicendogli di
trovare una valida dichiarazione , da parte degli alleati , affinché non sfruttassero la
città e il suo territorio al fine militare ,in questo modo le truppe avrebbero
lasciato indenne la città.
Il cardinale fece un inutile tentativo al comando alleato , il quale non se la sentiva di
fare il primo passo .
I tedeschi che avevano fresco il ricordo di Roma, dove gli alleati avevano
attraversato rapidamente la città, non volevano che accadesse lo stesso per Firenze , la
quale doveva divenire una barriera di macerie , tramite la distruzione dei suoi ponti.
Invano le autorità cittadine cercarono di evitare il peggio. Quando il 29 luglio
riuscirono ad incontrarsi con il colonnello Tedesco Fuchs , per tutta risposta egli
mostrarono loro un volantino lanciato dagli aerei alleati sulla città, il quale dava istruzioni
di lasciare libere tutte le strade per un più rapido passaggio dei mezzi alleati.
E fu così che i ponti Fiorentini furono condannati da un foglio di carta .
Nello stesso giorno il colonnello Fuchs fece affiggere un manifesto il quale diceva che
entro le ore 12 del 30 luglio , tutte le abitazioni dei quartieri lungo l'Amo dovevano
essere sgombrate .
Nelle ore successive allo sgombero , gli artificieri Tedeschi iniziarono indisturbati il
proprio lavoro , piazzando le cariche esplosive nei piloni e nelle volte .
Tutti i ponti furono minati ad eccezione del Ponte Vecchio il quale fu risparmiato ,
però furono rasi al suolo tutti i quartieri situati alle due estremità del ponte . Tra la
notte del 3 e il 4 agosto fu dichiarato lo stato di emergenza e le micce furono accese.
Dalle 21 alle 5 del giorno dopo , il buio della notte fu squarciato dalle vampe di
fuoco e dal rombo delle arcate che cadevano nelle acque dell'Amo , nelle quali si
erano specchiate fino a quel momento.
In successione caddero : ponte alle Grazie , ponte Santa Trinità , ponte alla Carraia e
ponte alla Vittoria.
Alle prime luci del giorno i Fiorentini videro le macerie di via de'Bardi , del Borgo San
lacopo , di via Guicciardini (compresa la casa del Machiavelli) .
Dalla parte destra del fiume caddero la via di Por Santa Maria e i palazzi degli
Acciaioli .
Le prime comunicazioni furono riprese attraverso il corridoio Vasariano il quale era
stato risparmiato insieme al Ponte Vecchio.
Si dice ponte l’opera d’arte costruita per riunire due tratti di strada o canale, interrotti da un avvallamento del suolo o da un corso d’acqua. Se nell’avvallamento che si attraversa, il corso d’acqua ha piccola importanza, in rapporto all’ampiezza del manufatto, o se questo corso d’acqua manca del tutto, l’opera d’arte si chiama viadotto.
Se poi il viadotto serve a sorpassare una strada, esso viene chiamato cavalcavia o sovrapassaggio.
Tra le grandi costruzioni di utilità pubblica dell’architettura romana, nessuna forse è più tipica dei ponti innumerevoli gettati lungo le strade attraverso tutte le regioni dell’impero.
Comunque già nell’antico Oriente si costruirono ponti di pietra specialmente entro le grandi città.
Anche nella Grecia si conobbe l’arte di costruire ponti di pietra oltre naturalmente a quella dei ponti lignei e dei ponti militare di barche, benché talora dove mancava il legname le armate si valessero, per attraversare i fiumi, dello stesso sistema degli Assiri, cioè di otri fatti con le pelli delle tende e riempiti di paglia.
Ma sia per l’assenza di una vera e propria rete stradale, sia per la mancanza di corsi d’acqua, sia infine per il carattere essenzialmente rettilineo dell’architettura greca, pochi furono i ponti costruiti nei paesi ellenici e questi per lo più piccoli ed a un'unica arcata.
I veri maestri dei Romani nell’arte di costruire ponti furono gli Etruschi, anche se pochi esempi ci restano in questo campo delle costruzioni etrusche.
I primi ponti romani furono di legno: tale era il più antico fra i ponti di Roma, il Sublicio, e tale esso rimase sempre nella sua parte superiore, per ragioni di indole religiosa e rituale, anche quando le pile furono rifatte in pietra.
I ponti di legno si possono classificare rispetto alla loro struttura nei seguenti principali tipi:
1. Ponti a travatura:
• a travature semplici;
• a travature rinforzate da mensole;
• a travatura composta.
2. Ponti ad arco:
• con carreggiata in piano;
• con carreggiata seguente l’estradosso dell’arco.
I ponti in legno possono essere ancora impiegati per coprire luci modeste e quando si debbano costruire opere provvisorie o di scarso impegno, come passerelle pedonali e ponticelli in strade con ridotto traffico veicolare. Ciò perché il materiale legno, esposto all’intemperie deperisce rapidamente e necessita di continue manutenzioni.
In taluni casi viene di proposito progettato il ponte di legno, purché modesto, quando particolari condizioni ambientali lo richiedono, perché meglio di altri riesce ad accordarsi con l’ambiente naturale. Basti pensare che i primi ponti costruiti dall’uomo furono di legno; nella forma più primitiva erano costituiti da semplici tronchi d’albero adagiati sulle rive opposte dei torrenti per consentire un passaggio pedonale sebbene precario. Accostando più tronchi, collegati trasversalmente si perveniva ben presto agli archetipi di impalcature. Precursori del più moderno ponte a trave armata da saettoni sono gli antichissimi ponti spingenti a cavalletto.
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La struttura principale del ponte in muratura è l’arco (o la volta) il quale è il canale statico atto a trasferire a terra i pesi che lo sovrastano ed il peso proprio mediante una linea di forze di compressione; la quale, nelle migliori condizioni, deve essere compresa nella zona di nocciolo dell’arco, affinché il materiale sia sollecitato esclusivamente a compressione. Il ponte in muratura è stato per millenni l’unica alternativa al più precario ponte in legno. Le prime volte in conci di pietra di luce molto modesta si ritiene che risalgano a 3000 anni a.C. e furono applicate in lavori di architettura sotterranea.
I Romani furono però i primi ad applicare la volta per la costruzione di ponti utilizzando la tecnica costruttiva della volta etrusca: ancora oggi rimangono vive testimonianze di ponti romani come il ponte sul Lys a Pont-Saint-Martin lungo la strada consolare della Valle d’Aosta, ancora oggi aperto al traffico.
Notissimi sono pure i ponti-acquedotto romani, tra i quali e possibile citare il ponte del Gard, che portava le acque a Nimes costruito all’epoca di Augusto in tre ordini di arcate sovrapposte di larghezza decrescente verso l’alto.
Nell’Alto Medioevo il ponte acquista poca importanza per lo scarso traffico, tant’è vero che spesso i ponti esistenti vengono usati come cave di pietra per altre costruzioni; tuttavia non mancano esempi di nuove opere anche tecnicamente progredite.
Nel Rinascimento la tecnica costruttiva dei ponti si perfezionò nei tipi e nei procedimenti costruttivi: ciò dipese dal grande spirito di progresso che animava i costruttori dell’epoca, i quali, occorre riconoscerlo, sia avvalsero molto degli insegnamenti dei Romani.
L’esempio più significativo e più classico di ponte rinascimentale è il ponte Santa Trinità sull’Arno a Firenze finito di costruire nel 1570. La forma dell’arco rispondeva soprattutto a criteri estetici piuttosto che statici.
Nel 600 e nel 700 non si registrano particolari progressi nella costruzione di ponti in muratura.
Solo sul finire del 18 secolo si verifica un deciso rinnovamento della tecnica del ponte in muratura per merito di Perronet e della famosa Scuola di Ponti e Strade di Parigi. In questa scuola si indagava sulle proprietà dei materiali e sul loro impiego più appropriato; si usavano malte più buone, si lavoravano meglio le murature, si distribuivano più uniformemente i carichi sulle palafitte e si poneva particolare cura nella preparazione delle centine d’armatura che venivano appositamente caricate in chiave per evitare possibili sfiancamenti durante il carico delle reni.
Erano ormai poste le prime basi scientifiche e tecniche del ponte murario: all’empirismo subentrava la teoria suffragata da pratiche sperimentazioni.
Verso la metà dell’800 si registrano conoscenze più perfezionate nella costruzione di ponti murari, dovute ai contributi delle ricerche sulle azioni esterne sulle volte sull’impiego di materiali conglomerati ad alta resistenza, e di macchinari e attrezzature di cantiere sempre più perfezionati e potenti.
Il problema di calcolo più incerto risiedeva sulla risoluzione dell’indeterminazione dell’arco incastrato; dopo i primi incerti tentativi un primo sostanziale contributo alla risoluzione di detto problema è dovuto all’inglese Moseley e al francese Méry che ricorsero al principio della minima spinta tuttora applicato per luci modeste.
Culmann propose il principio del valor minimo della tensione massima ovvero del più favorevole percorso della curva delle pressioni.
Il Castigliano estese alla volta muraria il calcolo dell’arco elastico secondo metodi dedotti dal principio del minimo lavoro di deformazione, mediante i quali furono possibili verifiche rigorose delle dimensioni di grandi volte e più razionali tracciamenti d’asse degli archi; per cui fu possibile studiare ed applicare in pratica più ardite forme d’arco.
L’asse dell’arco seguiva la funicolare del peso proprio ed in taluni casi al peso proprio si aggiungeva metà del carico accidentale supposto ripartito su tutta la luce.
Nel corso del nostro secolo furono impiegati conglomerati cementizi per la costruzione delle volte dei ponti; spesso infatti sostituiscono la volta in mattoni mantenendone inalterate la forma e la grossezza senza tenere conto delle diverse caratteristiche resistenti.
Le arcate dei ponti in muratura possono essere:
• in pietra da taglio;
• in mattoni;
• in muratura di pietrame;
• in conglomerato cementizio.
In realtà non esistono ponti completamente in acciaio, essendo alcune loro parti fondamentali costituite da materiali e tecniche diverse da quelle della carpenteria metallica.
Col crescere delle luci si tende ad aumentare l’impiego percentuale di elementi strutturali metallici a fronte di altri materiali che concorrono a formare l’intera struttura. Per ponti di piccola e media luce l’impiego dell’acciaio è in genere limitato alle sole travi principali ed ai collegamenti traversali di controventatura; mentre per luci maggiori risulta più conveniente realizzare l’intero impalcato in acciaio, e, per grandi luci (quelle superiori a 300 metri) l’impiego dell’acciaio è convenientemente esteso a tutta la sovrastruttura.
I grandi progressi conseguiti negli ultimi decenni nella costruzione del ponte metallico sono stati resi possibili soprattutto per l’adozione di acciai speciali ad alta resistenza, ovvero ad elevati valori del carico di snervamento e di rottura.
Tipologicamente i ponti in acciaio possono essere:
• a travata;
• ad arco;
• sospesi a cavi parabolici;
• sospesi a cavi rettilinei o stralli.
La scelta del tipo di ponte dipende oltre che da criteri soggettivi del progettista anche dai vincoli naturali e no imposti dal problema. Occorre infatti tener conto sia della migliore rispondenza statica in relazione ai costi di costruzione in officina e quelli di montaggio in cantiere, sia dei limiti imposti dalle luci da coprire, nonché delle esigenze estetiche suggerite dall’ambiente nel quale deve essere inserito.
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A) Ponti a travata
Generalmente lo schema statico più conveniente sotto l’aspetto tecnico ed economico quando il ponte è a più campate di luci maggiori a 30 metri, è la trave continua. I vantaggi consistono nella riduzione dei costosi apparecchi di appoggio a fronte della soluzione a travi singole semplicemente appoggiate sulle pile, le quali richiedono per ogni testata un apparecchio di appoggio; una migliore distribuzione dei momenti flettenti lungo la travata e, di conseguenza, si ottiene una sensibile riduzione del peso proprio della struttura.
Per contro la travata continua presenta alcuni svantaggi: nel caso dovesse interrompersi la continuità in una campata, si altera gravemente il regime statico su tutta la travata con il conseguente dissesto generale dell’opera; l’eventuale cedimento di una pila, genera un forte aggravio delle sollecitazioni nella travata e le conseguenze possono essere disastrose.
Spesso nella progettazione di ponti si ricorre vantaggiosamente all’impiego della trave Gerber, al posto della trave continua. La trave Gerber è una trave su più appoggi la cui continuità è interrotta da cerniere in numero uguale a quello degli appoggi intermedi e collocate in modo tale che ogni elemento di trave compreso tra due cerniere consecutive sia staticamente determinato; per tanto in una campata non vi possono essere più di due cerniere. La trave Gerber adatta per campate di forte luce, ha la prerogativa di eliminare gli svantaggi della trave continua conservandone i vantaggi se si ha l’accorgimento di prevedere le campate estreme di luce minore di quelle intermedie e se si dislocano le cerniere nei punti che sarebbero a momento nullo nell’ipotesi della trave continua.
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B) Ponti ad arco
Il loro impiego può essere conveniente per luci da 100 a 300 metri. L’economia in peso che essi consentono non corrisponde ad una e uguale diminuzione del costo totale della costruzione, sia a causa della lavorazione più complessa e quindi più costosa, sia per l’ingenti opere murarie (spalle, pile) necessarie per resistere alla spinta orizzontale dell’arco, e per le maggiori difficoltà di montaggio.
I ponti ad arco metallico possono essere a via inferiore, a via superiore o a via intermedia.
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PAG 330 3 FIGURE
LASCIARE UNA PAGINA
Nei ponti a via superiore gli archi portanti sono situati al di sotto del piano stradale e possono essere collegati rigidamente con membrature di controvento.
Nei ponti a via inferiore in cui l’arco si innalza al di sopra del piano stradale gli archi portanti sono necessariamente due disposti ai bordi, ad essi “sospese” la membrature dell’impalcato mediante tiranti.
In rapporto allo schema statico gli archi possono essere:
• a 3 cerniere, ossia isostatici;
• a due cerniere alle imposte, ossia una volta iperstatici;
• incastrati, ossia tre volte iperstatici.
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PAG 331
C) Ponti in acciaio sospesi
Si definiscono così i ponti il cui impalcato è “sospeso” mediante cavi tesi parabolici o rettilinei ancorati a piloni.
I ponti sospesi sono classificati in relazione alla disposizione dei cavi di sospensione come segue:
• ponti sospesi a cavi parabolici continui sui piloni e ancorati a blocchi di fondazioni esterni alle strutture.
PAG 332 FIG 7.20
• ponti sospesi a cavi rettilinei, ovvero ponti STRALLATI.
I PONTI STRALLATI
Lo schema strutturale del ponte strallato ha avuto una grande ascesa come impiego
dalla seconda metà di questo secolo allargandosi anche al di fuori dell' Europa ( Libia
1967-70, Argentina 1971-76, U.S.A. 1976-1979, ecc ... ); soprattutto per il suo
comportamento strutturale nel superamento di grandi luci.
Infatti chiunque può percepire I'alto costo di un ponte strallato ed è appunto per
questo che questo viene usato solo nel superamento di grandi luci; in quanto per luci
oltre i 600-800 m è difficile per un'altra tipologia di ponte ammortizzare il costo di
realizzazione a causa della resistenza più alta che il ponte strallato offre.
In passato il superamento di grandi luci veniva fatto con opere notevoli la cui tipologia
costruttiva si inseriva in quelle correnti dell'epoca, ma una volta scoperto il sistema
degli stralli è cambiato completamente lo schema strutturale dei grandi ponti.
Il ponte strallato non fu creato dal nulla bensì è stata una modernizzazione tecnico-
economica dei ponti a travata; tali ponti ( già apparsi nel XVII secolo) presentavano un
costo elevato poiché lo schema statico era di un doppio appoggio alle estremità;
mentre nel XVIII secolo si pensò di creare nei ponti a travata dei punti intermedi di
sostegno in modo che ci fossero più luci ma più ristrette e ciò fu realizzato mediante
una serie di tiranti inclinati e ormeggiati a dei piloni che sostengono la struttura.
Le prime applicazioni si ebbero in Italia, Germania, e Inghilterra; ma fu solamente
negli anni '50 del 1900 che si capì come veramente realizzare tali ponti in quanto Fritz
Dischinger dimostrò con una serie di formule matematiche la possibilità di ottenere una
elevata rigidezza della struttura e successivamente una maggiore economia di materiali
e una maggiore semplicità di costruzione.
Però tale metodo non poteva essere ancora applicato per luci maggiori di 400-500
m, in quanto si sarebbe deformato troppo.
Il problema della deformabilità fu risolto dall'introduzione di nuovi generi di calcestruzzo armato e di nuovi e perfezionati stralli in acciaio che consentivano così di poter realizzare pile ed impalcati molto più robusti ed economici di prima.
Inoltre si capì che infittendo gli stralli non solo si semplifica il particolare costruttivo
degli attacchi ma si irrigidisce notevolmente la struttura.
I ponti strallati si classificano in: ad arpa e a ventaglio; i primi si presentano con uno
schema statico che richiede una pesante trave irrigidente dell'impalcato ( altrimenti la
struttura sarebbe labile) e che implica forti momenti nelle antenne.
Invece i ponti a ventaglio assicurano una più alta compatibilità fra la deformazione ed i
carichi in quanto gli stralli così disposti sono molto più efficaci sia a irrigidire I'impalcato che a tener ferme le antenne.
Un ponte sollecitato sia dai carichi permanenti che dai carichi mobili subisce una
notevole deformazione, ed è qui che entrano in gioco gli stralli perché sono questi che
devono opporsi alla deformazione; per cui per verificare la resistenza di un ponte
strallato è importante che ogni singolo strallo sia verificato, ma non scordiamoci dell'
impalcato che deve reggere tutti i pesi nella parte centrale del ponte da solo.
Si può definitivamente concludere precisando che non è necessaria una analisi molto
complicata in quanto per i ponti strallati le condizioni di stabilità possono essere
facilmente soddisfatte con notevoli margini di sicurezza.
Per quanto riguarda, invece, I' analisi dinamica bisogna stare attenti a due fatti di
notevole importanza:
• spostamento verticale della travata;
• spostamento orizzontale delle cime dei piloni.
Poiché sul ponte vengono prodotte delle vibrazioni dai vari carichi agenti, è stato
necessario uno studio che dimostrasse che tali vibrazioni possono essere trascurate.
Tale studio fu condotto con successo da V. Karman e in seguito da Giulio Krall che
dimostrarono che le differenze fra un ponte scarico e carico erano massimo del 5% per
cui sia un pilone che I' impalcato si potevano spostare orizzontalmente di 1 o 2 cm al
massimo, spostamento che non influiscono sulla struttura.
I ponti strallati presentano alcuni problemi caratteristici in quanto in essi è fondamentale la rigidezza degli stralli (detti cavi a fatica) la quale dipende soprattutto
dall'area della sezione dei cavi stessi che reggono i carichi e dalla lunghezza degli
stessi.
Gli stralli in genere hanno lunghezze diverse, e quindi diverse rigidezze, però la
rigidezza degli stralli dovrebbe essere piuttosto simile per evitare che la sproporzione
possa aumentare la deformabilità del ponte.
Tali problemi si sono risolti con I' utilizzo di cavi di più larga sezione, con iniezioni di
malta cementizia e successiva precompressione mediante un cavo addizionale; per cui
I' area dei cavi aumenta ma diminuisce I' elasticità del cavo (soprattutto grazie alla
presenza di malta cementizia).
Da sottolineare che anche la presenza di controstralli, cioè altri cavi che collegano I'
impalcato agli stralli aumenta moltissimo la rigidezza soprattutto nei ponti con impalcato a struttura mista acciaio-cls, che sono notevolmente pesanti in quanto tali
cavi alleggeriscono I' impalcato, ed inoltre in questo modo si possono superare
tranquillamente luci di 1500 m.
Ora però sorge un problema, in quanto, per ponti molto lunghi gli stralli si possono
deformare a causa del peso proprio per cui si avrebbe una perdita di resistenza.
E qui intervengono le antenne in quanto devono essere progettate per tenere i
cavi rigidi.
Ricapitolando più la luce è grande più aumentano le deformazioni e quindi bisogna
fare più attenzione nel progettare ogni parte del ponte; comunque un ponte strallato
non ha problemi fino a 1 000 m di luce e teoricamente si sono progettati ponti fino a
4000 m di lunghezza utilizzando alcuni nuovi accorgimenti tecnici pur tuttavia sempre
teorici.
Di solito un ponte viene progettato anche in base agli aspetti economici ed estetici
oltre che quelli tecnici; per cui si può dire che il sistema più usato per la costruzione di
un ponte strallato è un sistema "autoancorato", cioè facendo un modo che le varie
forze si equilibrino fra: "antenne", "impalcato" e "stralli"; chiudendo così il poligono
delle forze.
Inoltre si deve stare attenti (in fase di montaggio) alla dilatazione tecnica per effetto
della temperatura magari utilizzando dei giunti, ed al modo in cui gli stralli vengono
uniti all' impalcato o alle antenne poichè i collegamenti sono i più sollecitati dal vento
e dalle azioni sismiche.
A volte per assorbire le azioni sismiche vengono posti degli "apparecchi di appoggio"
fra la torre e I' impalcato.
Importanti sono anche le tipologie degli stralli in quanto in commercio si trovano cavi
di tipo: spiroidale, a fili paralleli, a trefoli, ognuno con una diversa resistenza a fatica.
Le sottostrutture, invece, sono quelle che si sviluppano al di sotto dell'impalcato cioè
fondazioni e pile fino all' impalcato; di solito sono strutture in C.A. soprattutto perchè
anche le sovrastrutture sono quasi sempre in cemento armato.
Le antenne partono direttamente dalle fondazioni e sono di solito in C.A. anche per
motivi economici, però possono essere anche in acciaio per ridurre i pesi.
Per quanto riguarda I' impalcato esso deve essere in grado di assorbire gli sforzi di
pressoflessione dei carichi permanenti ma anche gli sforzi del vento ed inoltre bisogna
stare attenti all' aerodinamicità.
Da sottolineare che è molto difficile attaccare gli stralli all' impalcato a causa del
grande peso degli stralli stessi.
Di solito si costruisce I' impalcato a sbalzo simmetricamente da ogni parte avendo
cura di distribuire accuratamente gli attacchi degli stralli per cui i cavi devono andare
automaticamente in tensione durante la costruzione.
Inoltre in questo modo è solo il peso proprio delle strutture avanzanti che può turbare
I' equilibrio costruttivo anche se vengono calcolati con cura tali sforzi in modo che la
struttura in fase di costruzione possa reggerli con un buon margine di sicurezza.
Più importante è la determinazione della lunghezza dei cavi per evitare di sollecitare I'
impalcato con sforzi superiori a quelli di esercizio; per cui bisogna stare attenti alla
deformata di tali cavi.
Importanti sono gli incastri fra impalcato e torre soprattutto in fase di costruzione in
quanto variano gli sforzi sull' impalcato.
Per costruire questi ponti di solito vengono utilizzati dei "Derriks" cioè delle
attrezzature disposte su rotaie simmetricamente su ognuno dei due conci avanzanti.
Essi prendono dal basso gli elementi ( soprattutto nel caso di conci prefabbricati) e li
sollevano per poi incastrarli negli elementi già esistenti.
FIG.
Tipologicamente possono essere:
• ad arco;
• a travata;
• sospesi.
++++++++

PAG 384-385 3 FIG
I ponti ad arco sono simili normalmente a quelli in muratura con timpani alleggeriti, ma data la maggiore arditezza e la maggiore snellezza delle strutture hanno un architettura più bella esteticamente. Ma il cemento armato ha fatto perdere agli archetti di sostegno dell’impalcato la loro ragione statica d’essere, sicché la travatura con la sua linea diritta viene sostituendogli completamente nelle ultime opere di questo tipo; l’estetica ne guadagna risaltando maggiormente l’eleganza dell’arco principale.
I ponti di cemento armato del tipo ad arco superiore sostenente l’impalcato sottostante per mezzo di tiranti sono spesso antiestetici; sia perché le strutture vengono ad essere tutte di simile spessore, ciò che fa perdere il predominio della curva sulla travatura, sia perché il materiale che non si addice a questo tipo di costruzione, fa si che i tiranti non vengano dimensionati come la sola estetica detterebbe.
I ponti di cemento armato a travatura vanno spesso assurgendo a valore d’opera d’arte; essi si inquadrano perfettamente nel movimento architettonico moderno.
Finora si sono costruiti pochi esemplari di ponti sospesi a struttura completa in cemento armato. le principali realizzazioni sono dovute all’ingegnere-architetto Riccardo Morandi, la cui fama è di risonanza mondiale.
Gli esempi più interessanti dal punto di vista strutturale si possono osservare usando il cemento armato precompresso.
CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO
Il calcestruzzo possiede una resistenza a trazione molto minore di quella a
compressione. Per sopperire a tale deficienza si introducono barre metalliche, che però
non riescono ad impedire la formazione di fessure capillari, facendo si che I' acciaio
delle armature sia esposto all'aggressione degli agenti atmosferici. Da qui, si rende
inevitabile che per studiare lo stato tensionale per il calcestruzzo armato la sezione
resistente deve essere considerata parzializzata, con l'inconveniente di non poter
utilizzare una parte di materiale che però contribuisce nell'aumentare il peso della
struttura. Da queste considerazioni trasse spunto I' idea di fornire alla struttura di
calcestruzzo un preventivo stato di precompressione atto ad evitare, dopo aver
sovrapposte le sollecitazioni dei carichi, la parzializzazione delle sezioni. A partire dal
1930 alcuni ingegneri, tra i quali Freyssinet e Colonnetti iniziarono e perfezionarono
gli studi sulla precompressione. La precompressione diede origine a un modo nuovo di
progettare, e come definì Freyssinet, la tendenza a creare in modo artificiale, prima
dell'applicazione dei carichi o contemporaneamente ad essi, uno stato di tensione che,
sovrapposto a quello dovuto ai carichi stessi, dia luogo a tensioni sopportabili dal
materiale. Pertanto si usa la precompressione per attenuare o neutralizzare azioni
flettenti e sforzi taglianti. Ebbe subito un rapido diffondersi questa nuovo metodo
costruttivo in quanto con I’impiego del cemento armato precompresso, oltre che ad
eliminare il problema delle fessurazioni potevano essere eliminati o in parte superati
problemi legati al cemento armato i quali sono:
• l’impossibilita, per non compromettere l'aderenza tra calcestruzzo e armature, di
utilizzare completamente gli acciai ad alta resistenza (acciaio armonico Rak=18000
Kg/cm2 , amm = 10000 Kg/cm2 );
• l'elevato valore del peso proprio, a confronto di quello “utile”, che diviene
proibitivo per travi di grandi luci;
• la difficoltà della sistemazione delle armature, con il loro coprimento di
calcestruzzo, per momenti flettenti elevati;
• la scarsa resistenza del calcestruzzo alle tensioni tangenziali e l’impossibilità di
oltrepassare per queste valori limitati;
• la difficoltà di effettuare il disarmo per travi di notevole luce.
Le tecniche costruttive sono più complesse e delicate nel cemento armato
precompresso che inoltre si addice malamente in genere alle strutture iperstatiche.
SISTEMI DI PRECOMPRESSIONE:
Lo stato di presollecitazione (precompressione) di un elemento strutturale può essere
realizzato con diverse tecnologie, che per le travi possono ricondursi ai due seguenti
tipi:
• Sistema ad armatura pre-tesa o a cavi aderenti;
• Sistema ad armatura post-tesa o a cavi scorrevoli.
SISTEMA AD ARMATURA PRE-TESA
E' utilizzato prevalentemente nelle strutture prefabbricate in stabilimento, si opera
disponendo all' interno del cassero della trave, nelle posizioni e nel numero prefissati,
le armature di precompressione (fili, trecce o trefoli )e tesando le stesse con martinetti
idraulici contrastanti sul blocchi di ancoraggio solidali con il terreno e con lo stesso
cassero; raggiunta la tensione voluta nell' acciaio, e predisposte all'interno delle casseforme le staffe e i ferri longitudinali non pre-tesi (armatura lenta) viene effettuato il getto del calcestruzzo che congloba le armature di precompressione.
Si attende che il conglomerato raggiunga le volute caratteristiche di resistenza; quindi
disarmata la cassaforma, si allenta il tiro e si tagliano i fili tra le travi e i blocchi di
ancoraggio ottenendo così la precompressione della trave.
Infatti i fili tenderebbero ad accorciarsi, ma sono trattenuti dal calcestruzzo che, per
aderenza, impedisce all'acciaio di riassumere la propria configurazione indeformata.
Questo sistema è particolarmente indicato per la produzione in serie di elementi
prefabbricati uguali, essendo infatti possibile costruire contemporaneamente numerose
travi procedendo ad un'unica tesatura dei cavi.
Si utilizzano, quindi, piste di ancoraggio distanti anche un centinaio di metri.
Per accelerare la presa e l'indurimento del conglomerato, la maturazione del
calcestruzzo viene effettuata a vapore o con aggiunta di acceleranti per la presa (ciclo
non più di ventiquattro ore ).
Le armature sono costruite da fili aderenti al calcestruzzo, aventi diametro variabile da
1 a 4 mm, spesso riunite in trecce (a 2 o 3 fili ) o trefoli (sei o più fili avvolti intorno a
un cavetto centrale).
SISTEMI DI ARMATURA POST-TESA
Nel cassero della trave da precomprimere vengono disposte, nelle posizioni previste
per i "cavi" di precompressione, guaine metalliche del diametro di 4-8 cm, aventi
andamento in genere curvo, nel cui interno trovano sede fasci di fili di acciaio
armonico, tenuti distanziati in genere da un'elica centrale; effettuato il getto di calcestruzzo, che per la presenza della guaina (in genere di lamierino metallico) non viene a contatto con l'armatura di precompressione, e raggiunta la necessaria resistenza caratteristica del conglomerato, si procede alla tesatura dei fili agendo per contrasto su piastre di ripartizione, predisposte sulle testate.
I cavi per effetto dello sforzo di trazione applicato, si allungano scorrendo all'interno della guaina, e quindi il calcestruzzo ne risulta compresso.
L’entità dello sforzo indotto deve essere valutata oltre che tramite la lettura della
pressione applicata dal martinetto (con manometro ), misurando l'allungamento dei fili.
Raggiunto il livello di tensione voluto per l'acciaio, si provvede a bloccare i cavi sulle
testate della trave, per poter conservare lo stato di tensione, mediante opportuni
ancoraggi.
Tra i numerosi tipi di ancoraggio ricordiamo, per motivi storici, quello di Freyssinet, il
primo ad essere stato utilizzato. I fili vengono bloccati per mezzo di cunei. L'apparecchio di ancoraggio è costituito da un cilindro cavo (in acciaio) annegato nelle testate della trave in corrispondenza della fuoriuscita del cavo; raggiunto per l'acciaio il livello di tensione voluto, prima di scaricare i martinetti viene introdotto a forza un elemento troncoconico (cuneo) che impedisce per aderenza il ritiro dei fili . Questi hanno diametro variabile tra 5 e 7 mm.
Eseguita la precompressione, si deve iniettare in pressione all' interno delle guaine
malta di cemento, usufruendo dei fori presenti in tutti i tipi di ancoraggio. Questa
operazione ha un duplice scopo e cioè di preservare i fili dalla corrosione e di
realizzare l'aderenza fra acciaio e calcestruzzo al fine di un miglior comportamento
statico.
CAUSE DELLE VARIAZIONI DELLO SFORZO NORMALE DI PRECOMPRESSIONE
VALUTAZIONE DELLE PERDITE
Lo stato di presollecitazione di una struttura è destinato ad attenuarsi, in seguito sia a
"perdite di tensione" che si manifestano durante la presollecitazione, sia a "cadute
di tensione", che si manifestano, con maggiore o minore lentezza, nel tempo.
PERDITE DI TENSIONE
Una prima causa è dovuta per le strutture a cavi scorrevoli, cioè all'attrito fra il cavo e
La guaina entro la quale esso scorre; ne segue che lo stato di tensione in sezione
generica è minore di quello misurato dal martinetto. Tale perdita è maggiore nel caso
di cavo curvo e comunque tale perdita viene calcolata con la vigente normativa, e cioè
con i coefficienti di attrito.
Altra causa di perdita istantanea di tensione è lo slittamento delle armature negli
apparecchi di ancoraggio al momento del loro bloccaggio quando questo è ottenuto per
mezzo di cunei; può essere stimata con 1-5% della tensione impressa. Nel caso in cui
i cavi siano pre-tesi si ha una perdita istantanea all'atto del taglio dei fili.
CADUTE DI TENSIONE:
Le cadute di tensione, sono dovute al "rilassamento" dell'acciaio, fluage del calcestruzzo, e ritiro del calcestruzzo.
• Rilassamento dell’acciaio:
Per rilassamento si intende la caduta di tensione conseguente al comportamento
viscoso del materiale. Il fenomeno dipende oltre che dalle caratteristiche del
materiale, dalla temperatura, dal tempo e dal livello della tensione iniziale pari al 75% di
quella caratteristica di rottura.
• Viscosità del calcestruzzo (fluage):
Il fluage del conglomerato è assai più elevato di quello dello acciaio. Se la precompressione viene effettuata con cavi pre-tesi, l'accorciamento dei fili è uguale a
quello del conglomerato. Se invece i cavi sono post-tesi, l'accorciamento dei fili è
dovuto, finché non è iniettata la malta, all'avvicinamento dei punti di ancoraggio;
mentre con malta sufficientemente indurita avviene per aderenza come nel caso
precedente.
• Ritiro del calcestruzzo:
Il ritiro del calcestruzzo, analogamente al fluage, determinando un accorciamento delle fibre del calcestruzzo, comporta una caduta di tensione.

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