La luna

Materie:Tesina
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Testo

Tesina multidisciplinare:
La luna
Indice
Italiano: Giacomo Leopardi con Canto notturno di un pastore errante dell’Asia
Luigi Pirandello con Ciaula scopre la luna.
Storia: L’uomo sulla luna.
Letteratura straniera: Jules Verne, con Dalla Terra alla Luna.
Latino: Plutarco con Il volto della luna.
Fisica: Newton e la gravità.
Geografia astronomica: La luna.
Francese: Charles Baudelaire con Tristezze della luna.

Italiano: Giacomo Leopardi con Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
Il canto fu composto a Recanati fra il 22 Ottobre e il 2 Aprile del 1830. L’idea del canto fu suggerita al poeta dalla letteratura di un passo di un articolo riportato sul “Journal des Souvants”, e tradotto nello Zibaldone il 3 ottobre del 1828. Tra le altre cose si legge che “alcuni pastori nomadi dell’Asia Centrale sono soliti trascorrere le notti all’aperto e seduti su una pietra rivolgono delle parole malinconiche alla Luna”. L’articolo era firmato dal barone di Meyendorf, che nel 1820 aveva fatto un viaggio da Orenbourg a Bakara. Ma questa lettura doveva essere soltanto l’idea occasionale per la composizione del canto, perché la notizia già di per sé suggerita, dei pastori che intonano spontaneamente canti malinconici alla luna, veniva a coincidere con convinzioni più profonde ormai radicate nell’anima di Leopardi. Infatti, già qualche anno prima il poeta aveva fatto proprie le concezioni estetiche di Gian Battista Vico, secondo le quali la poesia lirica è nata quando i popoli erano ancora fanciulli e non appesantiti dalla cultura sofisticata dalla civiltà.
Il canto, composto di sei strofe di varia lunghezza, presenta una disposizione metrica di endecasillabi e di settenari. Ciascuna strofa si conclude con una parola che termina in “ale” e che fa rima con uno dei versi precedenti. Il linguaggio, a differenza che in altri canti, è quasi spoglio, sobrio, a volte sembra essere anche modesto, a causa di una forte impronta polemica.
Prima strofa:
Il poeta affascinato, dalla lettura del brano di Meyendorf e dalle concezioni di Vico che assegnavano alla poesia lirica l’origine tra i popoli primitivi, affida ora a un pastore il compito di esporre le proprie concezioni sulla vita. Come mai affida a un rozzo e incolto pastore un compito così difficile e gravoso? Perché il pastore esemplifica mirabilmente le sue concezioni ed è, inoltre, estraneo alla complessa epopea della ragioni. Egli, è dunque un’anima semplice che pone delle domande altrettanto semplici e spontanee alla luna, essere irrazionale. Si tratta di un dialogo tale solo all’apparenza, perché nella sostanza è un monologo. Pertanto il pastore, che può fare solamente domande, non è in grado di esporre alcuna risposta, perché a lui sfuggono le ragioni ultime intorno all’esistenza.
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontanè ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non íspera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a Voi? dimmi; ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Che fai tu luna in ciel! Dimmi che fai o luna amica del silenzio? Spunti la sera e vai illuminando i deserti, quindi tramonti non sei ancora soddisfatta di ripercorrere gli eterni sentieri del cielo?. Non provi affatto noia, sei ancora desiderosa di contemplare la luna ? La vita del pastore è simile alla tua vita . Si alza alle prime luci dell’alba e spinge il gregge oltre il suo campo, per vedere altri greggi, altre fontane, altri prati; infine stanco si ripone il sopraggiungere della sua: non spera di vedere mai cose diverse (monotonia). Dimmi o luna, che significato ha la vita del pastore, e la vostra vita per voi? Dimmi: dove è destinato questo mio breve vagare, il tuo percorso immortale ?.
Seconda strofa:
Nella seconda strofa, il poeta-pastore anziché dare delle risposte, fa un’accurata rappresentazione della vita umana davanti alla luna. Questa strofa, evidenzia l’idea del Leopardi che l’unica realtà sulla terra sia la morte.
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L’ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s’affretta,
Senza posa o ristoro
Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov’ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Terza strofa:
Nella terza strofa, il poeta espone, attraverso ulteriori prove, la miseria della vita umana.
Nasce l’uomo a fatica,
Ed è ríschio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell’esser nato.
Poi che crescendo viene,
L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell’umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse dei mio dir poco ti cale.
Vecchio coi capelli bianchi, malato, mal vestito e scalzo, con un pesantissimo fardello sulle spalle, attraverso le montagne e le valli, attraverso sassi sporgenti, sabbia e cespugli, con il vento con la tempesta, sia d’estate quando fa caldo, sia d’inverno quando tutto è gelo, come senza mai fermarsi,attraversa torrenti e paludi, cade, si rialza, e si rimette poi in cammino senza riposarsi mai, lacero, sanguinoso; fino a quando arriva nel luogo dove tutte le sue fatiche furono indirizzate (morte), orrido abisso, smisurato, nel quale, precipitando, dimentica ogni cosa. Intatta Luna, questa è la vita degli uomini.
Quarta strofa:
Il pastore continua il suo dialogo con la luna, attribuendo ad essa la conoscenza della finalità dell’esistenza umana. Sono presenti numerose domande, alle quali però il semplice pastore non riesce a rispondere. In questo modo, si evidenzia la natura stessa delle concezioni leopardiane che non seppero mai formularsi in un sistema completo di pensieri. Ciò valse al poeta l’accusa della critica contemporanea che negò a Leopardi la capacità di essere un filosofo, proprio perché a lui mandarono le ragioni ultime dell’esistenza.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Dei mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l’ardore, e che procacci
li verno co’ suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand’io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell’innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D’ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell’esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors’altri; a me la vita è male.
L’uomo nasce a fatica, e già alla nascita rischia di morire. Per prima cosa prova angoscia e sofferenza; e già in principio i genitori cercano di consolarlo per essere nato. Poi man mano che cresce , i genitori lo sostengono e cercano, in seguito di incoraggiarlo con azioni e parole, e cercano pure di consolarlo: i genitori non compiono altro compito più gradito di questo. Ma perché far nascere, perché mantenere poi in vita chi bisogna consolare? Se la vita è sventura, perché la facciamo durare? In attingibile Luna, tale è la condizione degli uomini. Ma tu non sei mortale e forse poco ti importa delle mie parole.
Quinta strofa:
Il poeta cambia l’interlocutore del pastore: non è più la Luna, ma il suo gregge. Non cambia però nulla, in sostanza, perché anche in questo caso l’interlocutore al quale si rivolge è un essere irrazionale.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai !
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d’affanno
Quasi libera vai;
Ch’ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
Tu sè queta e contenta;
E gran parte dell’anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
E un fastidio m’ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell’agio,ozioso,
S’appaga ogni animale;
Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?
O gregge mia che riposi, o te beata che, credo non conosci la tua miseria! Quanta invidia ti porto! Non solamente perché sei sgombra di ogni dolore; che ogni fatica, ogni danno, ogni paura dimentichi subito; ma perché non sai che cosa sia la noia. Anche io sto seduto sul prato, all’ombra, e mi angoscia, mi opprime la mente, e uno sprone (ansia)quasi mi spinge, così che, stando seduto, sono molto lontano dal trovare pace e riposo. Eppure non desidero nulla, e non ho fino a qui, alcuna ragione di pianto. Io non so ripetere quanto tu gioisca; ma certamente sei fortunata. Io invece sono poco felice, o gregge mia e non mi lamento solamente di questo. Se tu sapessi parlare, io ti chiederei: “perché riposando nell’ozio ogni animale è contento, invece, se io giaccio in riposo vengo assalito dalla noia?”.
Sesta strofa:
In questa strofa conclusiva, al poeta sembra di intravedere un’altra possibile felicità per l’uomo, ma si tratta solamente di un attimo, perché subito ricade nella realtà conosciuta, e precisamente nella concezione del pessimismo cosmico: è infelice, secondo lui, non solamente l’uomo, ma tutti gli esseri viventi nell’universo, dall’animale al polo d’erba.
Forse s’avess’io l’ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all’altrui sorte, il mio pensiero.
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
Forse, se io avessi le ali e potessi volare sopra le nubi, e contare le stelle ad una ad una, oppure potessi errare come il tuono di colle in colle, sarei più felice, dolce mia greggia, sarei più contento, candida Luna . O forse il mio pensiero si allontana dal vero, quando guarda alla sorte altrui: forse in qualunque forma, in qualunque condizione dentro una tana o una culla , il dì natale è un giorno di lutto per chi nasce.
• Luigi Pirandello con Ciaula scopre la luna.
La novella Ciaula scopre la luna fa parte della raccolta Dal naso al cielo, uscita nel 1925. L’ambiente, analogamente alla novella di Verga, Rosso Malpelo, è quello della zolfatara siciliana, in cui, anche dopo la rivolta popolare dei Fasci Siciliani, tra il 1890 e il 1894, duramente repressa dal governo Crispi, permangono pesanti condizioni di sfruttamento dei lavoratori. Non è comunque questo aspetto sociale a interessare Pirandello, che, a differenza di Verga, si concentra piuttosto sull’analisi interiore degli individui, sui loro drammi intimi e incomunicabili, sulla loro crisi di identità e di coscienza, sul disagio umano di vivere che caratterizza l’uomo e tutta la letteratura europea del primo Novecento.
Come già Rosso Malpelo, anche Ciarla è un diverso, un povero scemo senza età, preso in giro da tutti e sfruttato dai superiori, che si trova perfettamente a suo agio nella cava, non conoscendo altri ambienti, abituato quindi a muoversi nel buio come un animale notturno, estraneo al mondo, di cui forse non sospetta neppure l’esistenza. Ma, una sera viene anche per Ciarla il “momento” decisivo e rivelatore, intenso quanto inaspettato: costretto a lavorare fino a tardi nella cava per trasportare del materiale all’esterno, Ciarla, uscendo timoroso dalla buca sotto un peso esagerato, si trova per la prima volta solo nella notte rischiarata dalla luna, che non aveva mai visto prima. Da questo momento, Ciarla, che aveva vissuto fino ad allora un’esistenza all’insegna della brutalità, sia a livello individuale (egli non parla, emette solo il verso della cornacchia, da cui deriva il suo soprannome) che sociale (gli altri lo deridono perché inferiore e demente), sembra finalmente scoprire la propria umanità, scoppiando in un pianto di commozione, di gioia, di liberazione: un sentimento momentaneo ma finalmente umano, come se, in quell’istante, egli avesse aperto gli occhi per la prima volta.
Struttura della novella: La novella è divisa in tre momenti. Il primo si svolge in piena luce, all’esterno della cava e presenta la ribellione dei lavoratori, che non accettano di prestare lavoro straordinario; la scena è affollata dall’insieme dei picconieri che abbandonano rumorosamente la cava ignorando le minacce del soprastante Cacciagallina. Quest’ultimo costringe l’unico lavoratore rimasto, il vecchio zi’ Scarda, ad effettuare il lavoro, che a sua volta si impone sul caruso Ciarla. In questa prima fase, domina il discorso diretto, che sottolinea momenti di clamore e concitazione; la descrizione dell’ambiente è di tipo verista, sul modello verghiano, con uso preciso di termini tecnici (picconieri), gergali e dialettali (calcara, calcherone, caruso) ed espressioni popolari e sintatticamente vicine al parlato (che neanche un leone; Oggi per noi il Signore non fa notte).
Il secondo momento, una volta usciti di scena i picconieri, si svolge all’interno della cava ed occupato dalla descrizione di zi’ Scarda, del suo vizio della lagrima, del suo rapporto con Ciarla, di cui vengono fornite le notizie essenziali. In questa fase, viene meno il discorso diretto e alla descrizione esterna dei personaggi si affiancano considerazioni di tipo psicologico, con adozione del punto di vista del personaggio.
Nel terzo momento, il più importante, il centro d’interesse è unicamente Ciarla, con la sua paura prima e il suo stupore poi, quando scopre la luna. La descrizione è di tipo interiore, psicologico, attraverso il punto di vista di Ciarla stesso; il movimento del protagonista procede dall’interno della cava, dal buio alla luce, dal basso in alto, sia in senso spaziale che morale. L’impressione iniziale di descrizione verista cede completamente; l’interesse è tutto concentrato sullo stato d’animo del personaggio, solo con se stesso di fronte alla luna.
Linguaggio: Anche il linguaggio della narrazione cambia a seconda del variare e dello spostamento del centro d’interesse: dal parlato iniziale, dalla presenza di termini ed espressioni di colore locale (che caratterizzano anche linguisticamente un determinato ambiente), si passa progressivamente ad un linguaggio più interiorizzato, concentrato prima sui ricordi di zi’ Scarda (il figlio morto) e infine sullo stato d’animo di Ciarla. Abbondano espressioni che sottolineano il passaggio dal basso all’alto (su, giù, lassù, rammontare, vaneggiare in alto, la scala lubrica) e dal buio alla luce (cieco e scuro, cielo, stelle, lumierina, brulichio infinito di stelle, silenzio, occhio chiaro, chiaria, deliziosa chiarità d’argento, vacuità); l’uso degli aggettivi e delle sinestesie contribuiscono a fornire la dimensione psicologica dell’avvenimento cui Ciarla si sta preparando, la visione della Luna (Grande, placida, come in un grande oceano di silenzio), che alla fine lo farà restare, per lo stupore, sbalordito, estatico.
• Storia: L’uomo sulla luna
Fin dall’antichità, l’uomo ha cercato di raggiungere il cielo. Nella mitologia greca, infatti, si narra del volo di Icaro e Dedalo. Volare, a quanto pare, è sempre stato un sogno dell’uomo, cui si dedicarono persone di varie nazioni ed estrazioni sociali: gente come il grande Leonardo Da Vinci, Etienne e Joseph Montgolfier (inventori della mongolfiera), i fratelli Wright e molti altri studiosi di questo tema, in parte ricordati nella storia. I primi progetti di un veicolo volante li abbiamo con Leonardo Da Vinci, anche se i pioneri del volo saranno stati tanti. Ma il primo apparecchio volante, una vera rivelazione per l’epoca, fu il biplano a motore dei fratelli Wright. Da allora, l’uomo ha cercato di arrivare sempre più in alto. Con Auguste Piccard si ha il primo volo nella stratosfera, e da allora i progressi sulle “macchine volanti” non si sono più fermati. Ma per avere i primi voli anche al di fuori dell’atmosfera bisognerà aspettare il secondo dopoguerra e la guerra fredda. I sovietici, infatti, insieme alle ricerche nucleari, fecero partire anche degli studi su delle tecnologie che permettessero all’uomo di viaggiare nello spazio. Il 4 ottobre 1957, la storia ricorda il lancio del satellite Sputnik-1, sovietico, seguito da un secondo con a bordo Laika, una cagnetta spedita nello spazio per vedere se c’era la possibilità di mandare anche l’uomo nello spazio. Il ritorno di Laika, dimostrava che l’uomo nello spazio non era un sogno, bensì una possibilità; così, il 12 aprile 1961 il pilota militare Yuri Alexeievic Gagarin percorse l’orbita della Terra a bordo del Vostok 1, lanciato alle nove e sette minuti della mattina, nel tempo di un’ora e ventinove minuti e tornò al suolo un’ora e quarantotto minuti dopo. Nato a Gzhatsk, attualmente chiamata Gagarin in onor suo, nel 1934, entrò nel 1957 nella scuola d’aviazione sovietica, e si mise in luce per il brillante rendimento scolastico. Non compì altri voli, fu decorato dell’Ordine di Lenin e morì a Mosca nel 1968 durante il collaudo di un velivolo militare da caccia.
Il successo dell’iniziativa sovietica fu un duro colpo per gli americani, che passarono al contrattacco: il mese successivo al volo di Gagarin, il presidente americano John Fitzgerald Kennedy lanciò il più ambizioso progetto per quei tempi, lo sbarco dell’uomo sulla Luna. Il programma fu diretto dal tedesco Werner Von Braun e fu eseguito a Cape Canaveral, in Florida.
Nato a Wirsitz, in Slesia, nel 1912, Werner Von Braun fu inoltre lo scopritore delle V-2 naziste, il principale capo di altri progetti americani e seguì anche le prime sperimentazioni di razzi a combustibile liquido. Mentre gli americani si preparavano allo sbarco dell’uomo sulla Luna, vengono battuti nuovamente sul tempo dai sovietici: nel 1963, Valentina Tereskova è la prima donna ad andare nello spazio.
Accompagnato da insuccessi e gravi tragedie (tre statunitensi persero la vita durante una prova a terra dell’Apollo 1 nel gennaio del 1967), il 20 luglio 1969 (ora americana) il mondo assistette alla prima passeggiata lunare di Neil Armstrong (nato a Wapakoneta nel 1930), ed Edwin Aldrin.
Contemporaneamente al progetto lunare, nel 1962, si apre la corsa a Marte, con il lancio della navicella sovietica Mars 1. Gli americani rispondono con la lunga serie dei Mariner: il Mariner IV nel ‘65, il VI e il VII nel ‘69, fino al Mariner IX nel ‘71. Gli anni ‘70 nascono sotto il segno dei Viking I e II, che decollano nel 1975. Nel 1993 è invece la volta dello sfortunato Mars Observer, il satellite di cui si perde il controllo prima che raggiunga l’orbita marziana. Il tentativo seguente è ancora russo ma i tempi gloriosi del Mars I sono lontani. Mars ‘96, decollata il 16 novembre 1996, ha concluso il suo breve volo con un tuffo nel Pacifico. Solo il 6 novembre precedente gli americani avevano lanciato Mars Global Survayor che trasportava anche strumentazioni francesi e austriache, raggiungendo la sua orbita definita a 378 km dalla Terra dopo dieci mesi di crociera. Il resto è cronaca recente: Mars Pathfinder, ancora targato USA, ammarta il 4 luglio ‘97.
La NASA ha una nuova linea di progetti derivanti dal fatto che Marte e la Terra si trovavano in condizioni favorevoli per un lancio ogni 26 mesi. E quindi l’ente spaziale intende sfruttare ognuna di queste finestre di lancio per mettere in orbita nuove sonde della classe Discovery.
Il principale motivo delle esplorazioni di Marte è la ricerca di altre forme di vita: la NASA aveva rilevato traccie di nanobatteri, cento volte più piccoli dei fossili più antichi rintracciati sulla Terra, su un meteorite di provenienza marziana, sostenendo che ciò costituiva la prove che miliardi di anni fa esistitevano forme di vita su Marte. Queste affermazioni furono respinte da altri studiosi, i quali sostennero che composti del genere si formano attorno alle stelle di carbonio ad alta temperatura e solo in seguito si spargono nello spazio intergalattico, e di conseguenza non hanno nulla a che vedere con l’esistenza di forme viventi.
Ma che n’è stato nel frattempo della Luna? Dopo la missione dell’Apollo 11 si continuano le sperimentazioni di navicelle sempre più sofisticate: il 12 aprile 1981 compare per la prima volta lo Space Shuttle. Con il modello STS Columbia iniziò una nuova fase nella storia dei viaggi spaziali.
Lo shuttle ricordava, e ricorda tutt’oggi, per la sua forma e per le funzioni (decolla ed atterra) un tradizionale aereo. Fu proprio uno shuttle, il Challenger, a essere utilizzato nel 1985 nella missione di messa in orbita del laboratorio europeo Spacelab, grazie al quale vennero condotti importanti studi in fatto di nuovi materiali, fisica solare, astrofisica e geofisica. L’anno seguente anche i sovietici lanciarono in orbita la stazione spaziale MIR, che è ricordata maggiormente per una serie di avarie, fino al suo recente pensionamento. Il programma di voli degli shuttle subì una tragica battuta d’arresto il 28 gennaio 1986, quando il Challenger esplose poco dopo il decollo e morirono i sette componenti dell’equipaggio. Per il resto lo shuttle è normalmente utilizzato per le missioni lunari, e non solo.
Per lo studio invece di Giove, Saturno, Urano e Nettuno furono utilizzate le sonde gemelle Voyager 1 e 2: quest’ultima andò persa nello spazio mentre era nella zona di Nettuno. Di esso si scoprì che possiede un campo magnetico tre volte più potente di quello terrestre e che il suo giorno è di 18 ore e 3 minuti.
Le prossime missioni previste nello spazio sono rivolte soprattutto a Marte, che ha già al suo attivo numerose missioni, tra sovietiche e americane.
• Letteratura straniera: Jules Verne con Dalla Terra alla Luna.
Questo romanzo di Jules Verne è un esempio di narrativa fantastica su base scientifica, ispirato dal racconto The Unparallel Adventure of One Hans Pfaal di Edgar Allan Poe, di cui Verne era un estimatore.
La storia inizia nel 1865: il mondo intero viene colto da profondo entusiasmo di fronte ad un esperimento scientifico mai tentato in precedenza. I membri del Club del Cannone, un circolo di artiglieri formatosi a Baltimora dopo la fine della Guerra di Secessione, vogliono mettersi in contatto con la Luna, spedendoci un enorme missile.
Mentre si stava già costruendo, nello stato americano della Florida, la base di lancio, una novità importantissima viene riportata dalla cronaca mondiale, bloccando il progetto: un intrepido avventuriero francese, Michel Ardan, vuole prendere parte al viaggio lunare in qualità di passeggero del missile. La proposta di Ardan viene colta con entusiasmo dall’opinione pubblica, costringendo i membri del Club ad accettare la sua presenza; Ardan stesso riesce a far riconciliare Barbicane, il promotore dell’impresa, e il suo storico nemico, il capitano Nicholl e li persuade entrambi a partecipare con lui al viaggio verso la Luna. Finalmente tutto è pronto e nel giorno stabilito, all’ora prefissata, alla presenza di una straordinaria folla di spettatori, l’avventura ha inizio: il missile decolla portando per la prima volta nello spazio tre esseri umani. L’enorme detonazione prodotta dal cannone turba però l’atmosfera, dove si accumulano grandi quantità di vapori, velando la Luna agli occhi degli osservatori, fino alla notte dell’11 dicembre quando una tempesta ripulisce l’atmosfera e la Luna risalta nel cielo notturno.
Maston, amico dei tre, si rende conto che il missile non ha raggiunto il suo obiettivo, ma è, invece, stato trascinato in un orbita ellittica, diventato un satellite della luna. Grazie allo scontro con un meteorite, la traiettoria del missile viene deviata: questo dapprima si avvicina alla Luna, permettendo ai passeggeri di osservala in tutte le sue caratteristiche, e poi se ne allontana, fino a raggiungere l’atmosfera terrestre, cadendo nell’Oceano Pacifico. Qui gli astronauti vengono salvati da una nave e la loro impresa viene festeggiata da tutta l’opinione pubblica.
• Latino: Plutarco con De Facie quae in orbis lunae apparet (nella traduzione di Adelphi Il volto della luna).
Plutarco nacque ad Atene nel 46 d.C. e divenne Arconte di Cheronea nel 95 d.C. Lasciò numerosi scritti religiosi, filosofici, morali e letterari, raccolti sotto il titolo di Operette morali, e le notissime Vite Parallele, la sua opera più nota, che rappresenta il tentativo di trovare una mediazione tra le culture greca e romana. Fu molto apprezzato dall'imperatore romano Adriano. Viaggiò molto in Magna Grecia e fu anche sacerdote di Apollo a Delfi, centro spirituale prestigioso; compì notevoli studi sia in Egitto che in Italia.
Ispirato al volto che sembra delinearsi sul disco della Luna, da sempre fonte di speculazioni filosofiche. Nel suo saggio, Plutarco afferma l’importanza del mito, perché “quando i concetti comuni assodati e familiari cessano di convincere, è necessario avere il coraggio di tentar vie fuori mano e di applicare senz'altro a noi stessi gli incantesimi degli antichi, ricorrendo a ogni mezzo per appurare la verità”. Il discorso è comunque più composito: mitologico ma scientifico, geografico e geometrico, letterario e filosofico.
• Fisica: Newton e la gravità.
Prima di Newton non è facile trovare cenni della possibile azione della forza centrifuga dovuta alla rotazione terrestre. L’unico accenno alla forza centrifuga applicata al moto della Luna lo troviamo in Plutarco (46 d.C. – 120 d.C.); il suo argomento è fortemente anticipatore della fisica newtoniana ma non viene applicato alla forma terrestre.
Newton (durante la metà del 1600), si preoccupò di risolvere tutte le perplessità che sussistevano nel mondo della fisica dopo l’applicazione del modello eliocentrico.
Tali domande erano essenzialmente tre:
1. Come fanno i pianeti ad essere vincolati al Sole? Quale forza li lega ad esso?
2. Come può tale forza agire a distanze così ampie, senza alcun elemento mediante?
3. Come possono i corpi rimanere attaccati alla Terra, se essa non è il centro immobile dell’universo?
Newton, quindi, dopo molti anni di studi, giunse a formulare delle leggi che spiegavano il moto dei pianeti e la gravitazione dei corpi, partendo dai principi della meccanica. Egli, giunse così, a definire la forza di gravità (o gravitazionale).
Egli, infatti, partendo dalle leggi della dinamica, tentò di ragionare sui principi filosofici attraverso la matematica, anche se, dopo essere giunto alla scoperta della forza gravitazionale, egli non seppe spiegarsi il perché tale forza agisse a distanza senza mezzi mediatici.
La scoperta resta comunque una delle più grandi scoperte nella storia dell’umanità, in quanto chiarì le ipotesi platoniche, che negavano una connessione tra cielo (astri) e Terra (invece sappiamo che la forza di gravità è valevole in tutto l’universo), e inoltre, introdusse il concetto di locazione dei corpi celesti nell’universo.
La deduzione della legge gravitazionale: La domanda fondamentale che Newton si pose al fine di condurre le propria ricerca era la seguente: “fino a quale altitudine l’accelerazione dei corpi che cadono sulla Terra rimane costante?”. Egli in particolare, si chiese se un corpo lasciato cadere dalla Luna sulla Terra, avesse la stessa accelerazione che un corpo lasciato cadere a poca distanza dalla superficie terrestre.
Vediamo ora come Newton ricavò la legge gravitazionale:
1. La Luna, è oggetto di un’accelerazione centripeta verso la Terra. Secondo le prime ipotesi e le prime teorie, la Luna aveva quindi un’accelerazione pari a quella terrestre (9.8 m/s2 = costante di accelerazione gravitazionale). In realtà, Newton scoprì, mediante calcoli, che la cosa non era assolutamente vera: [accelerazione luna: aL1, distanza Terra Luna (media): dM1 → 3.84 . 1018 m, periodo di rotazione terrestre T1 → 2.36 . 106 s]
In questo modo Newton giunse alla conclusione che la Luna non ha la stessa accelerazione gravitazionale della Terra: quindi egli pensò che l’accelerazione diminuisse con l’allontanarsi dal centro della Terra. Non riuscendo a spiegarsi ciò, Newton, passò all’analisi del moto dei pianeti.
2. I pianeti, secondo le leggi della dinamica, e secondo le leggi di Keplero, potevano avere un’accelerazione descritta dalla formula: [l’accelerazione del pianeta è uguale al rapporto tra k moltiplicato il quadrato di 2∏ e la distanza media tra il pianeta ed il Sole al quadrato]
In questo modo, applicando tale equazione alla legge fondamentale della dinamica (F = m a), si avrà che [forza tra il sole ed il pianeta: Fsp1]:
3. Ciò che è stato ottenuto è esprimibile anche come una grandezza inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra il pianeta ed il Sole. Quindi (mantenendo k come valore variabile per ogni sistema di pianeti e satelliti), possiamo ottenere formule del tipo:
Nota: questa equazione è valevole per tutti i moti di oggetti che orbitano attorno ad altri oggetti.
4. Se restringiamo il campo di ricerca al solo sistema solare, possiamo assumere una costante: la costante solare Cs1 che porremo uguale a 4∏2 k. Dalla quale possiamo desumere un’equazione generale di un pianeta che orbita attorno al Sole:
5. dato che l’obiettivo di Newton era quello di costruire una legge il più generale possibile, l’equazione scritta in precedenza non è conforme agli obiettivi del fisico. Per generalizzare ancor più la legge, Newton introduce il principio di azione reazione: se il Sole esercita una forza sul pianeta, allora anche il pianeta esercita sul Sole una forza uguale e contraria a quella cui è soggetto. In questo modo assumiamo altre variabili che andranno a sostituire quelle presenti nell’equazione precedente [Fps1: forza del pianeta sul Sole, Cp1: costante planetaria, ms1: massa solare].
6. Assunta questa legge, Newton, arrivò alla conclusione che, sempre per il principio di azione/reazione, la forza del Sole sul pianeta (Fsp1) e la forza del pianeta sul Sole (Fps1), dovevano eguagliarsi, e quindi ne ricavò la legge: Fsp1=Fps1. Sostituendo (e semplificando) i termini a questa equazione otteniamo la seguente formula: Cs1 . m pianeta = Cp1 . m sole.
7. Dividiamo ora l’equazione per le masse del pianeta e del sole e otteniamo il seguente risultato:
8. Questa legge è valida per ciascun pianeta del sistema solare. Il rapporto fra la costante planetaria e la massa del pianeta preso in esame, coinciderà con il rapporta tra costante solare e massa del Sole.
9. Da questi calcoli finalizzati al solo sistema solare, si può desumere che il rapporto tra la costante e la massa di qualunque corpo può essere considerato come la costante di accelerazione gravitazionale del corpo stesso:
10. Se applichiamo dunque questa legge alla Fsp1 e alla Fsp2 otterremo due formule perfettamente identiche, riassunte in:
11. questa forza non è quindi altro che frutto di una grande generalizzazione che ci porta ad enunciare che: dati due corpi qualunque con due masse definite, i cui baricentri si trovano ad una distanza R, i due corpi si attraggono secondo la seguente formula:
Viene così dimostrata la forza gravitazionale quale forza fondamentale della natura delle cose che ci circondano.
Applicazioni della legge di gravitazione universale: Newton, con le scarse conoscenze matematiche dell’epoca, non era ancora in grado di calcolare il valore della costante universale di gravità. Tuttavia, egli riuscì ad applicarla in due situazioni:
Costanza della accelerazione gravitazionale sulla superficie terrestre: Secondo le formule ricavate, Newton ricavò che la forza attrattiva dei corpi sulla superficie terrestre dipendeva da tale formula [R T : raggio Terrestre; m T : massa Terra]:
In questo caso, se assumiamo che il rapporto tra forza e massa del corpo sia uguale ad una costante g (costante di accelerazione gravitazionale), possiamo scrivere che:
Quindi, alla luce di ciò, possiamo affermare che ciascun corpo, in prossimità della superficie terrestre possiede una costante di accelerazione gravitazionale fissa di caduta verso la superficie stessa.
L’accelerazione della Luna: Il calcolo di questa costante [aL1] viene effettuato in maniera del tutto identica a quella con la quale si calcola g, con la sola differenza che il raggio terrestre va sostituito con il raggio dell’orbita lunare (circa 60 volte maggiore) [R OL]; avremo quindi che:
Se poi vengono calcolati i rapporti tra accelerazione lunare e accelerazione terrestre e tra raggio dell’orbita lunare e raggio terrestre, otterremo che la Luna possiede una costante di accelerazione gravitazionale di 3600 volte minore a quella terrestre, risultato fedele alle previsioni di Newton.
• Geografia astronomica: La luna.
La Luna è l’unico satellite naturale conosciuto della Terra. Gli altri satelliti del Sistema Solare hanno masse trascurabili rispetto ai loro pianeti, mentre quella del nostro è 1/81 di quella terrestre. Anche i diametri della Terra e della Luna sono confrontabili: rispettivamente 12756 km e 3476 km. Per contro la densità media della Luna è di soli 3.344 g/cm3, da confrontare con i 5.52 g/cm3 della Terra. In ogni caso la Luna è un corpo di taglia planetaria. Capire l’evoluzione lunare significa comprendere –almeno in parte- l’evoluzione degli altri pianeti terrestri come Mercurio e Marte. La Luna, però, presenta ancora parecchi punti oscuri o poco chiari ad esempio la dinamica della sua formazione.
Le Origini
Dell’origine della Luna non si hanno prove inconfutabili, ma sulla base dei dati in possesso sono state sviluppate 4 ipotesi:
- Cattura: Formatasi in un’altra regione del sistema solare sarebbe poi stata deviata dalla sua orbita originaria e catturata dal campo gravitazionale terrestre. Questo spiegherebbe solamente la differente composizione chimica rispetto alla Terra; mentre la “cattura” sembrerebbe un processo dinamico poco probabile; infatti un corpo di massa lunare che passasse nelle vicinanze della Terra subirebbe solamente una deviazione della sua traiettoria, altrimenti perché ciò fosse possibile avrebbe dovuto avere una velocità orbitale bassissima.
- Accrescimento: La Luna sarebbe una compagna della Terra, formatasi insieme ad essa nella stessa parte della nebulosa protoplanetaria, ma nata separatamente e si sarebbe formata a partire dai frammenti che si trovavano in orbita attorno alla Terra. Non è chiaro il motivo per cui i planetesimi più leggeri siano rimasti in orbita attorno alla protoTerra anziché aggregarsi agli altri a formare la Terra. Altro dato a sfavore di questa ipotesi è che in base all’attuale ritmo di allontanamento della Luna , dovuto alle maree, i due corpi celesti avrebbero dovuti essere vicinissimi poco più di 1 Miliardo di anni fa, mentre l’origine comune si colloca 4,6 miliardi di anni fa.Quindi questa ipotesi spiegherebbe solo la differente composizione chimica dei due corpi.
- Fissione: La Luna sarebbe “figlia” della Terra; più di 4,5 Miliardi di anni fa all’interno della nebulosa protoplanetaria che circondava il nostro giovane Sole la Terra ancora in formazione e allo stato semifluido fu soggetta a delle forze mareali indotte da un grosso corpo celeste di passaggio che ne pertubò l’equilibrio dinamico e provocò la fissione di una sua parte, complice forse anche
l’eccessiva velocità rotazionale.In questa ipotesi la differenza di composizione chimica si spiegherebbe col fatto che la Luna sarebbe costituita dal materiale proveniente dal Mantello e dalle regioni superficiali della Terra.
- Collisione: Sarebbe accaduta nei primi milioni di anni della formazione del sistema solare quando nello spazio interplanetario vagavano ancora grossi asteroidi e planetesimi sfuggiti ai momenti iniziali di aggregazione e formazione dei pianeti. Una spaventosa collisione con un planetoide di circa 1/10 della massa terrestre (grosso all’incirca come il pianeta Marte) avrebbe provocato il distaccamento di una parte della Terra. Il catastrofico urto avrebbe sparso il materiale proveniente dalla Terra in orbita; in seguito i frammenti si sarebbero aggregati a formare la protoluna.
I moti lunari
I principali moti della Luna, oltre alla traslazione che essa compie intorno alla terra attorno al Sole, sono la rivoluzione e la rotazione; in realtà essi sono innumerevoli e molto complessi, a causa della sua forma irregolare e del variare della posizione di Terra e Sole nel tempo.
Rivoluzione
L’orbita della Luna ha un raggio medio di 384400 Km e un’eccentricità pari a 0.05; essa giace su un piano inclinato di 5o 8’ sull’eclittica, che interseca in due punti detti “nodi”. La retta che congiunge i nodi si dice “linea dei nodi”; quando Sole, Terra e Luna si trovano allineati lungo la linea dei nodi, si verifica un’eclissi.
Il periodo orbitale della Luna viene detto “mese”. Esso è riferito all’intervallo di tempo necessario perchè essa riprenda la stessa posizione relativamente alla Terra e ad un dato punto dello spazio.
Rispetto ad un punto fisso della sfera celeste, per esempio una stella lontana, la Luna compie una rivoluzione completa in 27 giorni, 7 ore e 43 minuti, intervallo che viene detto “mese siderale”.
Se invece l’orbita lunare viene riferita al Sole, il mese ha una durata di 29 giorni, 12 ore e 44 minuti (“mese sinodico” o “lunazione”). Questo perché nel frattempo, a causa del moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole, esso si è apparentemente spostato di 27 gradi sulla sfera celeste.
Rotazione
Il moto di rotazione della Luna attorno al suo asse ha la stessa durata della rivoluzione: come nel caso di molti altri sistemi pianeta-satellite, i due moti si sono sincronizzati nel tempo. Questo fa si’ che il nostro satellite rivolga alla Terra sempre la stessa faccia. Tuttavia, per la seconda legge di Keplero, la rivoluzione è piu’ lenta all’apogeo e piu’ veloce al perigeo, mentre la rotazione avviene con velocità angolare uniforme. Di conseguenza, per un osservatore terrestre, la Luna ha delle oscillazioni apparenti, dette “librazioni”, per cui è possibile osservare piu’ di metà della sua superficie, circa il 57 % del totale.
Le eclissi
La parola eclissi significa “occultamento” e indica l’oscuramento di un corpo celeste da parte di un altro che vi transita davanti, rispetto ad un osservatore posto sulla Terra. Il fenomeno è legato alla posizione che la Terra e i due corpi assumono nello spazio.
Quando la Terra, il Sole e la Luna sono allineati, cioè quando la linea dei nodi coincide o è molto prossima alla congiungente Terra-Sole, si possono avere i seguenti casi:
eclissi di Luna: in questo caso la Terra è tra Sole e Luna e proietta sulla Luna un cono d’ombra lungo 1.376.000 Km, circondato da un cono di penombra. Se la Luna passa completamente entro il cono d’ombra, si ha un’eclisse totale; se passa solo attraverso il cono di penombra, un’eclisse di penombra; se attraversa solo parzialmente il cono d’ombra, un’eclisse parziale.
Eclissi di Sole: in questo caso, la Luna è tra Sole e Terra e proietta la sua ombra sulla Terra. Poiché il cono d’ombra della Luna ha una lunghezza circa pari alla distanza Terra-Luna, l’ombra che si proietta sulla Terra è piccola. Se il satellite si trova al perigeo, il cono d’ombra raggiunge la Terra e l’ombra proiettata copre completamente il Sole (eclisse totale), se è all’apogeo il suo cono d’ombra non arriva a lambire la superficie terrestre e quindi la Luna non copre tutto il disco solare (eclisse parziale o anulare). Lo studio delle eclissi di Sole ha permesso lo studio della corona solare, altrimenti invisibile.
• Francese: Charles Baudelaire con Tristezze della luna.
Il est né à Paris en 1821, fils d’un homme déjà âgé. Il avait six ans lorsqu’il meurt et sa jeune mère se remarie avec un militaire, le commandant Auspick. Charles ressent de ce mariage comme une trahison, se sent chassé du vert paradis des amours enfantines. Au cours des années, sa rancune croit. Le remariage de Madame Baudelaire a fait de Charles un étranger. Il est mis en pension, d’abord à Lyon, puis au Lycée Louis-le-Grand à Paris d’où il sera renvoyé en 1839, sans que cela l’empêche d’être reçu au baccalauréat. Charles se destine aux études de droit, mais pendant trois ans il connaît surtout les charmes et les dangers de la vie dissipée du Quartier Latin. Il fréquente la bohème romantique Leconte de Lisle ; il se passionne pour Théophile Gautier dont il devient le disciple. En 1841 Auspick décide d’arracher le rebelle à sa vie scandaleuse et le fait embarquer sur un voilier en partance pour les Indes. Mais pris de nostalgie, il n’ira pas au-delà de l’Ile Maurice et sera de retour au bout de dix mois. Le voyage forcé lui apporte l’expérience de la mer et de l’exotisme. A son retour il exige sa part de l’héritage paternel, s’excluant de la société familiale au profit du dandysme : il habite un hôtel luxueux. Il s’éprend d’une actrice, Jeanne Duval, qui inspirera de nombreux poèmes dans lesquels se cristallisent les fantasmes de l’amour fou et satanique. La liaison avec cette Vénus noire sera orageuse mais durera presque jusqu’à la mort du poète. Jusqu’en 1844 Baudelaire connaît la période heureuse de sa vie et écrit déjà quelques poèmes des Fleurs du mal. Mais sa famille réussit à lui imposer un conseil judiciaire : à partir du 1844 son patrimoine est géré par un notaire, qui le condamne à une vie très modeste. Obligé de travailler pour gagner sa vie, il se voue d’abord à la critique d’art et littéraire. Ayant découvert en 1846 l’œuvre de l’écrivain américain Poe il entreprend de traduire ses Contes. En Poe il admire la constructive imagination. Le travail de traduction se poursuivra jusqu’en 1855. A partir de 1852 il voue un amour spiritualisé à Apollonie Sabatier, qui oppose aux appas charnels de Jeanne Duval les grâces éthérées. Elle inspirera des Poèmes tournés vers l’idéal transcendant visé à travers elle. A partir du 1852 Baudelaire lui dédie et envoie les poèmes qu’elle lui inspire. En 1845 il commence à publier ses poèmes dans différentes revues. Le recueil Les Fleurs du mal sera publié en 1857. Cette publication soulèvera l’ indignation du monde bien-pensant. Accusé d’outrager la morale publique il est condamné en correctionnelle et le jugement du tribunal ordonne la suppression de six pièces du recueil. Baudelaire s’empresse de remplacer les poèmes incriminés et publie en 1861 une seconde édition. En 1864 déjà miné par une maladie il s’exile en Belgique. Il avait contracté la syphilis dès années de bohème. Gravement malade déjà en 1850 il connaît à partir de 1860 des troubles douloureux ; pour en dissimuler les graves inconvénients il a recours à l’opium et à l’haschich, dont l’usage ne fait que le diminuer encore. Il meurt en 1867 à Paris.
L’écriture: Au moment où Baudelaire commence à écrire, le romantisme marque la poésie ; il reste l’expression la plus actuelle de la beauté. Pour lui, comme pour les romantiques, être poète c’est accueillir l’impulsion d’une nouvelle manière de sentir le beau, se laisser emporter par l’aspiration vers l’infini. Par son inspiration Baudelaire reste un romantique marqué par l’exaltation de la sensibilité et l’attrait d’un ailleurs idéal. Baudelaire veut prolonger et approfondir le romantisme. Baudelaire a vu que le poète, pour répondre à l’aspiration vers l’idéal, doit préciser quelle est sa mission propre et approfondir le sens de la beauté. La beauté ne sera plus simplement expression lyrique des âmes et de la nature, la poésie devient méditation sur le rôle du poète dans le monde.
Baudelaire rejette toute utilité, qu’elle se présente sous la forme du moralisme ou du philosophisme. Pour lui, la poésie n’a qu’elle même. Si la poésie s’assimilait à la morale ou à la science, elle ne serait bientôt plus qu’une question de propagande. Le refus de toute utilité ne signifie pas que Baudelaire s’engage dans la voie de l’art pour l’art. Il refuse l’hérésie du formalisme et l’absurdité de l’utilité. Il s’élève contre le goût immodéré de la forme qui pousse à des désordres monstrueux et inconnus. Pour lui la littérature exige la passion et la raison. L’intérêt exclusif du formel ne pourrait qu’amener le désespoir : il faudra que les insensés qui ne voient dans la nature que des rythmes et des formes viennent un jour à la philosophie et à la religion pour s’intéresser aux ressorts qui font mouvoir le monde.
Recherchant le sens de la beauté Baudelaire s’inscrit encore dans la ligne du romantisme : pour lui l’art est quelque chose de toujours nouveau. L’art sera essentiellement nouveauté, source d’étonnement ; le bizarre et l’insolite deviennent ainsi des traits fondamentaux de la poésie. Par la bizarrerie le poète retrouve la jeunesse de l’enfant, la naïveté authentique du geste créateur ; cette naïveté est aussi celle de la déviance ou de la transgression ; il s’agit toujours de se dégager des pesanteur du quotidien, pour ouvrir un nouvel espace de vie. La beauté est l’emblème d’une façon d’être et de vivre plus pure, plus libre, plus authentique.
La bizarrerie n’est pas une fin en soi; l’artiste doit avant tout tirer l’éternel du provisoire. L’artiste doit se montrer supérieur à la pesanteur des choses.

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