L'abbandono dello stato di coscienza

Materie:Tesina
Categoria:Multidisciplinare

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Testo

L'ABBANDONO DELLO STATO DI COSCIENZA
Tesina multidisciplinare
percorso a cura di Elena B.

ABBANDONO STATO DI COSCIENZA

Stati alterati di coscienza :
Definizione ASC (Filosofia);
Freud (filosofia).

Dalla veglia al sonno :
"Die Doppelnovelle" di Schnitzler (tedesco);
"Abendphantasie" (tedesco).

L’abbandono all’incosciente:
Il sogno di Albertine in Proust (francese);
Il flusso di coscienza joyciano (inglese);
La coscienza di Zeno (italiano).

L’abbandono della coscienza nell’arte:
Il manifesto del surrealismo di Breton (francese);
I quadri di Dalì e Magritte (arte).

Stato irrazionale di coscienza:
"Les Illuminations" di Rimbaud (francese);
L’orfismo di Campana (italiano);
Il rito di possessione di Artaud (italiano).

DEFINIZIONE ASC

Lo stato ordinario di base è quello che sperimentiamo durante la veglia, indispensabile per la sopravvivenza nell’ambiente fisico e la coscienza ordinaria nella nostra cultura è caratterizzata da un alto grado di razionalità e da un grado relativamente basso di capacità immaginativa. All’estremo opposto c’è una regione di spazio psicologico nel quale la razionalità è normalmente bassa o diversa; in ciò consiste, ad esempio, il sognare ordinario notturno, durante il quale noi creiamo l’intero mondo del sogno. Gli stati di coscienza ordinari si possono classificare in tre gruppi: gli stati abituali, gli stati di coscienza per i quali ogni essere umano passa automaticamente; gli stati temporanei, o transitori, corrispondenti alle modificazioni della coscienza che accompagnano certi sentimenti o emozioni in modo transitorio; gli stati rari o straordinari, che possono talvolta essere considerati come stati patologici, vissuti solo da alcuni individui in circostanze molto particolari. Uno stato "altro" di coscienza è un nuovo spazio esperienziale dotato di proprietà sue proprie, una nuova strutturazione della coscienza, che possiede una propria coerenza e proprie leggi. Il termine "altro" deve essere inteso in senso puramente descrittivo senza lasciare spazio ad alcun giudizio di valore. Gli stati "altri" di coscienza comprendono essenzialmente questi specifici caratteri:
Percezione del tempo distorta rispetto a quella ordinaria o senso di atemporalità;
Spersonalizzazione e perdita del sé;
Attenuazione delle inibizioni;
Accresciuta empatia seguita da sensazioni come quella di fondersi con altre persone od oggetti;
Distorsioni percettive e allucinazioni;
Maggior importanza e maggior significato vengono attribuiti alle esperienze soggettive, alle idee, alle percezioni.
La ricerca di stati di coscienza alternativi a quello ordinario, presente nella stragrande maggioranza delle tradizioni religiose ed esoteriche, può essere interpretata come il tentativo di afferrare porzioni di realtà diverse o superiori ed è in pratica il sogno millenario di rompere la circolarità della conoscenza umana superando la ricorsività dei processi logico/razionali.
Fra gli stati "altri" di coscienza che in questi anni sono stati studiati vi sono: l’ebbrezza da droga e da alcool, gli stati di trance dei medium, l’esperienza della quasi-morte, il digiuno e la meditazione, i sogni guidati e la deprivazione sensoriale.


SIGMUND FREUD

Sigmund Freud nasce il 6 maggio 1856 a Freiberg, in Moravia. La famiglia, di origine ebraica, si trasferisce a Vienna, dove Freud si laurea in medicina. In seguito ottiene una borsa di studio che gli consente di seguire le ricerche di Charcot, uno dei più noti neurologi francesi. Tornato a Vienna, è costretto dalle cattive condizioni economiche ad abbandonare temporaneamente la ricerca per aprire uno studio medico. Le esperienze che gli derivano vengono presentate nel saggio "Studi sull’isteria", scritto insieme a Joseph Breuer, dal cui metodo catartico Freud deriva l’utilizzazione delle libere associazioni finalizzate alla rievocazione delle esperienze all’origine della nevrosi. Tuttavia la rievocazione avviene solo durante l’ipnosi e non in stato cosciente. Questo induce Freud a formulare la teoria della rimozione, secondo la quale ad alcuni moti pulsionali viene sbarrato l’accesso alla coscienza. Sulla base di questa teoria sorge il metodo psicanalitico, il cui scopo consiste nel rendere il paziente cosciente delle resistenze. Ciò vuol dire che nella psiche si svolgono dinamiche che hanno una vita indipendente dalla volontà e dalla coscienza dell’individuo. Gli ultimi anni della vita di Freud sono segnati dalla forte ostilità del nazismo nei suoi confronti, sia per le idee sostenute che per la sua origine ebraica. Dopo l’annessione nazista dell’Austria, Freud lascia Vienna, rifugiandosi a Londra dove muore nel 1939. Fin dal 1895, con il "Progetto di una psicologia", Freud propone una interpretazione globale della psiche. Freud presenta la descrizione dell’inconscio secondo il modello : Io, Es, Super-io. L’inconscio è definito da Freud con il termine "Es" e indica in modo specifico la parte pulsionale dell’inconscio, che si alimenta dell’energia della libido ed è governato dagli impulsi; per l’Es non valgono le leggi della logica, né le tradizionali nozioni di tempo e di spazio; all’Es è estranea qualsiasi valutazione morale e la morale stessa. L’Es è separato dall’Io e gli scambi tra i due avvengono attraverso il Super-io, che opera un’azione di censura nei confronti del materiale inconscio. Per poter superare questa censura i contenuti inconsci assumono solitamente una forma simbolica che ne impedisce un immediato riconoscimento, come avviene ad esempio nei sogni. Infatti, secondo Freud, la via di accesso alle dinamiche inconsce passa attraverso le idee improvvise e apparentemente illogiche e le amnesie inspiegabili, caratteristiche delle rimozioni, dei sogni, dei lapsus. I sogni hanno una propria logica e un linguaggio per immagini, nel quale ogni elemento deve essere interpretato singolarmente per essere ricondotto alle esperienze coscienti. Attraverso questo linguaggio vengono espressi contenuti inconsci che, se correttamente intesi, dimostrano una logicità delle dinamiche psichiche. Freud ha individuato la caratteristica fondamentale del sogno nei suoi contenuti che vengono preventivamente filtrati da una censura onirica, per cui desideri, emozioni o fobie possono entrare nella rappresentazione solo se mimetizzati sotto forme giudicate non pericolose o sconvenienti. Freud propone quindi un elenco dei simboli onirici scoperti nelle sedute psicanalitiche: il legame più frequente tra simbolo e significato è quello dell’analogia, che può essere fisica, funzionale o d’altro tipo. Freud aveva individuato una nuova scienza che si riferiva a un nuovo oggetto: l’inconscio. Si trattava di spiegare il noto mediante l’ignoto, cioè nel caso della psicanalisi, di spiegare ciò di cui si è consapevoli mediante l’inconscio. In base a tutte queste considerazioni, Freud aspettò molto prima di incontrare colui che considerava un suo sosia, Arthur Schnitzler.

"DIE DOPPELNOVELLE" DI SCHNITZLER
Arthur Schnitzler wurde 1862 in Wien als Sohn eines jüdischen Arztes und Universitätprofessors geboren. Er studierte Medizin und arbeitete mit Sigmund Freud, dem Vater der Psychoanalyse; eröffnete dann eine Privatklinik für Nervenkrankheiten. Er lebte in Wien, wo er sich im gleichen Maße dem Arztberuf und dem Schriftstellertum widmete. Er starb in Wien 1931. Er hat "Die Doppelnovelle" geschrieben. Die Handlung läuft, wie der ursprüngliche Titel besagt, auf einer Doppelebene, die der fehlgeschlagenen Nachterlebnisse Fridolins und die des Traums Albertinens. Man könnte sogar sagen, Albertinens Traum wagt das auszusprechen, fortzusetzen, zu Ende zu erleben, was in Fridolins nächtlichen Abenteuern nicht zu Ende geführt ist. Die Traumnovelle fängt mit einem Märchen an. Fridolin und Albertine verabschieden sich mit einem Kuß von ihrer Tochter, die nun ins Bett gehen muß. Sie wechseln "harmlose und doch lauernde Fragen, doppeldeutige Antworten" über ihre Erlebnisse auf dem Maskenball am Tag davor. Nun erinnern sich beide Eheleute an diese geheimnisvollen Begegnungen, als ob es eine verpaßte Gelegenheit wäre. Die Aufrichtigkeit fehlt, ein Gefühl der Rache steigt. Da kommt die Nachricht, daß Fridolin, der Arzt ist, sofort zum Hofrat gehen muß. Dann hat er keine Lust, sich nach Hause zu begeben. Er tritt in ein Kaffehaus, und dort begegnet ihm Nachtigall, einmal Medizinstudent, der das Studium aufgegeben hat und lange Zeit nichts von sich hat hören lassen. Nachtigall kann sehr gut Klavier spielen und macht das im Kaffehaus aus finanziellen Gründen. Fridolins Neugier wird durch die Nachricht erweckt, daß er in einer geheimen Gesellschaft Klavier spielt. Er muß aber die Eintrittsparole wissen und diese wechselt jedesmal. Es ist Karneval und Fridolin, der an diesem geheimnisvollen Maskenfest teilnehmen will, muß ein Kostüm leihen. Nachtigall fährt mit einer ganz schwarzen "Trauerkutsche" und Fridolin geht in Mönchskutte und schwarzer Larve weg. Er erfährt von Nachtigall die Parole: "Dänemark" und beschließt, sich auf das Abenteuer einzulassen. Fridolin kommt bis zur einem Tor und befindet sich in einer schmalen weißen Vorhalle. Zwei Diener in dunkler Livree fragen ihm die Parole und er erwiderte sogar. Er geht hinein und sieht etwa zwanzig Personen, die alle sich als Mönchen verkleidet sind, während die Mädchen nackte sind. Wenn er endlich spät am Abend nach Hause kommt, findet er seine Maske auf seinem Polster. Er begreift, daß Albertine schon alles weiß. Fridolin erzählt ihr von seinem Abenteuer. Nun liegen sie traumlos nah; sie sind wohl für lange erwacht. Auf Fridolins Frage, was sie jetzt tun sollten, antwortet Albertine, sie sollten dem Schicksal dankbar sein, daß sie aus allen Abenteuern- aus den wirlichen und aus den geträumten- heil davon gekommen sind. Die Begriffe der "wirklichen" Welt werden im Traum zu Bildern, die den Bildern der Dichtersprache ähnlich sind, die ein weit umfangreicheres Ausdrucksvermogen haben als die Begriffe der Rationalität: Fridolin kennt die parole des Eingangs aber nicht die Parole des Hauses; Albertine dagegen ahnt, daß die Wirlichkeit einer Nacht, ja daß nicht einmal die eines ganzen Menschenlebens zugleich auch seine innerste Wahrheit bedeutet.

"ABENDPHANTASIE"
Friedrich Hölderlin wurde in Lauffen am Neckar 1770 geboren. Seine Mutter zwang ihn zum Studium der Theologie. Als er in Tübingen Student war, erlebte er die Allgemeine Aufregung über die Französische Revolution mit Hegel und Schelling, die seine Zimmergenossen waren. Ein Hochverratsprozeß als Jakobiner wurde für seinen Freunden Isaak von Sinclair gemacht, während Hölderlin der Verhaftung entging. Der Dichter wurde zuerst in einer Klinik gepflegt, dann als unheilbar entlassen und verbrachte fast dreißig Jahre in geistiger Umnachtung bei einer einfachen Familie in Tübingen, wo er 1843 starb. Neben der Begegnung mit dem Griechentum und der Liebe zu Suzette Gontard, zwei Erlebnisse, die den Dichter zur tragischen Überzeugung der Unmöglichkeit des Glücks und der Ruhe führten, wurde Hölderlin von der Französischen Revolution stark geprägt. Er hatte sich für die Freiheitsideen begeistert, aber auch dieser Enthusiasmus verwandelte sich in tiefe Enttäuschung vor der Unbeweglichkeit seiner Zeitgenossen. Die Vielfalt der Motive und die Vieldeutigkeit dieses Dichters, der auch als "Seher" und "Verkünder" verehrt wurde und den die Deutsche Jugend im Ersten Weltkrieg, zusammen mit dem Faust und dem Zarathustra als Lieblinglekture ins Feld mitnahm. Hölderlin gelingt es aber nicht, den Ausgleich zu erreichen, der ihn trösten könnte, denn das Schicksal des Menschen ist "lieben und leiden", um das Unerreichbare zu kämpfen. Es zeigt Höhepunkte des Enthusiasmus und stürzt danach jäh in die Verzweiflung oder die Bitterkeit. Einem solchen dramatischen Gefühl entspricht ein höchst dynamischer Stil, der durch kühne Enjambements und Wortverbindungen immer wieder droht, die feste Form zu sprengen, die Hölderlin in der ersten Phase bevorzugt: die die vierzeilige Strophe, die auch visuell die Bewegung, die Unruhe, das Fließen des dichterischen Gedankens darstellt. In dem Gedichte "Abendphantasie" gegenübergestellt einander werden einerseits die Ruhe, die Befriedigung der Bedürfnisse, andererseits die Unruhe, das Streben nach einem Ideal, das unerreichbar bleibt, so daß der Dichter am Ende den Schlummer, ein traumloses Alter wünscht. Aber er kann das Schicksal der Menschen nicht teilen, weil er zwischen Erde und Himmel lebt, zum Himmel strebt.

IL SOGNO DI ALBERTINE IN PROUST
Issu de la haute bourgeoisie, Marcel Proust reçoit une éducation aristocratique. Proust vit ainsi une jeunesse dorée qui le conduit à s’intégrer rapidement aux cercles littéraires de la Belle Époque. Mais la mort de son père puis celle de sa mère affectent fortement cet écrivain. "Suis-je un romancier?" se demande encore Proust en 1908. Il a 37 ans et "À la recherche du temps perdu", son oeuvre unique, n’est effectivement qu’une ébauche, comme si elle était toujours enfouie dans les draps du lit qu’il ne quitte pratiquement jamais, y dormant le jour, y écrivant la nuit. Peu à peu, Proust se replie sur l’universe de son enfance, le faisant ressurgir dans son oeuvre. Il est aidé en cela par le déclenchement de la Première Guerre mondiale qui l’éloigne un peu plus des mondanités. Dès lors, le romancier vit pour son oeuvre, lorsque la maladie le lui permet, sa "cathédrale", comme il se plaît à l’appeler, une oeuvre toujours en chantier, en perpétuel devenir. A ce travail exténuant, Proust s’épuise, jusqu’à la mort; l’essentiel de l’oeuvre paraît ainsi à titre posthume. Il s’agit d’une vaste somme romanesque avec plus de trois mille pages et près de cinq cents personnages. Elle se compose de plusieurs volumes: Du côté de chez Swann, A l’ombre de jeunes filles en fleurs, Le Côté des Guermantes, Sodome et Gomorrhe, La Prisonnière, Albertine disparue, Le temps retrouvé. L’ unité du cycle est assurée par le retour des personnages, comme chez Balzac et par la présence du Narrateur. En effet comme Balzac, Proust se fait l’historien et le sociologue de la société française, agonisante de la fin du XIX siècle. Son attitude est celle d’un observateur attentif et ironique d’une société en voie de disparition: une classe bourgeoise dilettante et souvent grotesque. L’autre important thème est le Temps que rien n’arrête et qui transforme tout. A rien ne sert de choisir des points d’ancrage, des amitiés, des amours, des certitudes: tout passe et avec l’oubli tout se détruit. Les trois femmes qui traversent et dominent la Recherche sont: Gilberte, Albertine et la duchesse de Guermantes, mais à chaque fois le constat est le même, "l’être aimé est successivement le mal, et le remède qui suscite et aggrave le mal." Chaque fois c’est la révélation du caractère illusoire et trompeur de l’amour, consideré comme une maladie, une incapacité à posseder l’autre. Devant cettes inquiétudes, il ne reste alors qu’à partir à la recherche d’un temps passé qui semble perdu, mais qui vit en nous dans un éspace intérieur que la mémoire peut faire resurgir. Le Narrateur a la révélation que seul l’art peut sauver l’homme et les choses de l’oubli et de la mort. La recherche se fait donc travail de remémoration, de reconstruction et le Narrateur ne s’interesse pas à la verité anecdotique, mais seulement à quelques événements majeurs. Son objectif est de laisser les souvenirs surgir à partir de sensations que la mémoire a emmagasinées à son insu. C’est donc de manière involontaire que procède la mémoire dans cette opération de récupération du passé en accord avec les sentiments présents. La Recherche ets une construction où chaque élément est lié à l’ensemble, où chaque circonstance renvoie à d’autres circonstances, ce qui permet de multiplier les points de vue sur les événements et les personnages. La langue de Proust explore dans un mouvement simultané le monde intérieur du narrateur, la société et la culture de son temps. Ce qui caractérise cette langue, c’est la longueur des phrases qui se prolongent avec des paranthèses, des subordonnées, des digressions. Un autre caractère est le recours à la metaphore qui permet d’établir un rapport entre deux réalités différentes et, comme la réminiscence, peut établir un lien entre ce que le temps et l’espace séparent.

IL FLUSSO DI COSCIENZA JOYCIANO
James Joyce was born in Dublin in 1882 and was educated at Jesuit schools. However he left Dublin and Ireland but never wrote about anywhere else. He lived in Rome and Trieste, where began teaching English and made friends with Italo Svevo. He wrote "Dubilners" and in the same year "A Portrait of the Artist as a Young Man". During the War he moved to Zurich and in 1919 he started to publish instalments of "Ulysses", that was found obscene, but was eventually published in book form in Paris. Then Hitler’s advances in Europe obliged the Joyces to flee from France to neutral Switzerland where he died in 1941. Joyce was a modernist writer, so in his works the facts become confused, they are all explored from different points of views simultaneously and are not presented trough the voice of an omniscient narrator, in order to assure that his works carried no messages from himself. The portrait of the character is based on introspection rather than on description. Time is not perceived as objective but as subjective, in fact Joyce, influenced by the French authors Flaubert and Baudelaire, believed in the impersonality of the artist. The central character of Ulysses is Leopold Bloom, Joyce’s Common Man and a parody of the wandering Odysseus. He leaves his home at eight o’clock on a Thursday morning to buy his breakfast and returns finally at two o’clock the following morning. In the hours in-between he endures misadventures and delights, recalls the unfaithfulness of his wife and the death of his little son. During his wanderings, Bloom meets also a contemporary version of Telemachus, Stephen Dedalus, who becomes momentarily his adopted son: the alienated common man rescues the alienated artist from a brothel. There can be no direct relationship between the artist and the common man, but they exist in mutual need: the artist’s aim is to raise the common man from ephemeral life to permanence, and the common man exists as the artist’s inexhaustible material. Ulysses is the climax of Joyce’s creativity. It was designed as a detailed account of ordinary life on an ordinary Dublin day and Joyce made the very air of Dublin, the atmosphere, the feeling, the place, certainly inseparable from his human characters. Consequently Dublin becomes itself a character in this novel. Ulysses, like the Odyssey, is the story of a journey, the return home of the exile after the confrontation with death. It is divided into three parts: "Telemachiad", "Odyssey" and "Nostos", embodying the three main characters and imitating the three parts of the Odyssey. The characters, Stephen Dedalus, Mr Bloom and Mrs Bloom, are more than individuals: they represent two aspects of human nature. Stephen is pure intellect and embodies every young man seeking maturity; Mrs Bloom stands for flesh, since she identifies herself totally with her sensual nature and fecundity; Mr Bloom is everybody, the whole of mankind. The theme of the novel is moral: human life means suffering, failing but also struggling to rise and seek goodness. Joyce shows mastery of a number of methods in the creation of his art: the stream of consciousness technique, that reproduces the flow of thoughts in an individual’s mind; flashbacks, question and answer, dramatic dialogue and the juxtaposition of events. In Ulysses he brought to perfection the interior monologue and he managed to avoid the pitfalls of this technique and the risk of boring readers. The language used is rich in puns, images, contrasts, paradoxes, juxtapositions, interruptions and symbols.

LA COSCIENZA DI ZENO
Aron Hector Schmitz nacque a Trieste, allora territorio dell’Impero asburgico, il 19 dicembre 1861, da un’agiata famiglia borghese. Nel 1895 morì la madre a cui lo scrittore era molto legato e al suo capezzale incontrò una cugina di cui si innamorò. Il loro matrimonio segnò una svolta fondamentale nella vita di Svevo: sul piano psicologico, l’"inetto" poteva arrivare a coincidere con la figura del pater familias, dominatore del suo mondo domestico; inoltre mutava anche radicalmente la condizione sociale. I suoceri erano facoltosi industriali, così Svevo compì un salto di classe sociale. Divenuto uomo d’affari, lasciò l’attività letteraria, ma l’incontro con Joyce e con la psicanalisi lo incoraggiarono a proseguire. Così dopo quasi 20 anni di silenzio pubblicò "La Coscienza di Zeno". Tuttavia l’11 settembre 1928 ebbe un incidente d’auto e due giorni dopo morì in conseguenza delle ferite riportate. Per il suo nuovo romanzo fu fondamentale lo studio di Freud, verso cui lo spingeva l’interesse per le tortuosità e le ambivalenze della psiche profonda. Tuttavia Svevo non apprezzò la psicanalisi come terapia, che pretendeva di portare alla salute il malato di nevrosi, bensì come puro strumento conoscitivo, capace di indagare più a fondo la realtà psichica e, di conseguenza, come strumento narrativo. Nella Coscienza Svevo abbandona il modulo ottocentesco del romanzo narrato da una voce anonima ed esterna e adotta soluzioni più nuove. Per gran parte essa è costituita da una confessione autobiografica che il protagonista Zeno Cosini scrive su invito del suo psicanalista, come preludio che dovrebbe agevolare la cura. Nuovo e originale è anche il trattamento del tempo. Il racconto infatti non presenta gli eventi nella loro successione cronologica lineare, inseriti in un tempo oggettivo, ma in un tempo soggettivo, che mescola piani e distanze. La ricostruzione del proprio passato si raggruppa intorno ad alcuni temi fondamentali: così dopo la prefazione del dottor S. ed un preambolo in cui Zeno racconta i propri tentativi di risalire alla prima infanzia, gli argomenti dei vari capitoli sono: il vizio del fumo e i vani sforzi per liberarsene, la morte del padre, la storia del proprio matrimonio, il rapporto con la moglie e la giovane amante, la storia dell'associazione commerciale con il cognato Guido Speier; alla fine si colloca il capitolo Psico-analisi, in cui Zeno sfoga il proprio livore contro lo psicanalista e racconta la propria presunta guarigione. Il narratore, poi, l’ "inetto", nevrotico, malato immaginario Zeno, è chiaramente un narratore inattendibile. L’autobiografia infatti è tutta un gigantesco tentativo di autogiustificazione di Zeno, che vuole dimostrarsi innocente da ogni colpa nei rapporti col padre, con la moglie, con l’amante, con il rivale Guido: in realtà traspaiono ad ogni pagina i suoi impulsi reali, che sono regolarmente ostili ed aggressivi. Ma non si tratta di menzogne intenzionali: sono autoinganni determinati da processi profondi ed inconsapevoli, con i quali Zeno cerca di tacitare i sensi di colpa che tormentano il suo inconscio. Però il romanzo è anche percorso dal distacco ironico con cui Zeno guarda il mondo che lo circonda. La "diversità" di Zeno, la sua "malattia" porta alla luce l’inconsistenza della pretesa sanità degli altri, che vivono perfettamente soddisfatti e incrollabili nelle loro certezze. Zeno è inquieto e disponibile e disponibile alle trasformazioni, mentre i "sani" sono cristallizzati in una forma rigida, immutabile. Il mutare della fisionomia degli eroi sveviani e dell’atteggiamento dello scrittore verso di essi rivela il passaggio dalla visione del mondo chiusa alla visione aperta propria del Novecento; e l’evoluzione delle tecniche narrative segue l’evoluzione ideologica.

IL MANIFESTO DEL SURREALISMO DI BRETON
"Automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altre maniere, il funzionamento reale del pensiero; è il dettato del pensiero, con assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica e morale…. Poggia sulla fede nella realtà superiore di certe forme di associazione finora trascurate, nell’onnipotenza del sogno, nel gioco disinteressato del pensiero." Così definisce Breton il movimento surrealista, fondato da lui nel 1924. André Breton (1896-1966) rencontre en 1915 Aragon, Soupault et Éluard et ensemble ils adhèrent au mouvement Dada. Ensuite la découverte de l’écriture automatique inaugure une conception radicalement nouvelle de la poésie dont les règles sont définies en 1924 dans le Manifeste du Surréalisme. Ce mouvement rassemble une génération de jeunes poètes hostiles à la tradition. Cependant l’engagement politique de plus en plus radical du groupe crée des heurts. Ensuite la guerre pousse Breton à se réfugier aux États-Unis et la période d’exil dure jusqu’en 1946. Il tente de reconstituer autour de lui le groupe surréaliste d’avant-guerre, mais l’entreprise est illusoire. Le surréalisme prétend découvrir la partie de la personnalité humaine qui échappe à la conscience et que Freud appelle le "subconscient".Pour rendre la vie profonde de l’individu il faut trouver un langage qui puisse exprimer l’inexprimé. Les surréalistes proposent alors deux procédés: le compte-rendu des rêves et l’écriture automatique. Il s’agit de se mettre dans l’état le plus passif possible, comme quand on est entre la veille et le sommeil et de transcrire les phrases ou les mots qui montent à la conscience sans aucune censure. Il brano che segue è tratto dal primo manifesto del surrealismo e vi si possono cogliere elementi caratterizzanti della poetica surrealista, quali la negazione che l’indagine razionale della realtà possa essere per se stessa esauriente e l’inserimento delle scoperte di Sigmund Freud. "Giustamente Freud ha condotto la sua critica sul sogno. È inammissibile infatti che questa considerevole parte dell’attività psichica (poiché la somma dei momenti di sogno non è affatto inferiore alla somma dei momenti di realtà o dei momenti di veglia) abbia ancora richiamato così poco l’attenzione. Infatti perché non attendere dagli indizi del sogno più di quel che ci si attende da un grado di coscienza sempre più elevato? Io credo nel futuro risolversi di due stati, in apparenza così contraddittori, di sogno e realtà, in una specie di realtà assoluta, di surrealtà. Tuttavia io e Soupault chiamammo surrealismo la nuova maniera d’espressione pura in omaggio a Guillaume Apollinaire che da poco era morto e che più volte ci pareva aver obbedito a qualcosa simile alla scrittura automatica."

I QUADRI DI DALI’ E MAGRITTE
Salvador Dalì nacque l’11 maggio 1904 a Figueras.Preso in giro e disorientato, D. cercava una fuga (come fece spesso nel corso della vita) nelle fantasticherie. Cominciò a inventarsi ciò che in seguito avrebbe chiamato i suoi "falsi ricordi", i quali rappresentano un aspetto della sua automitologizzazione. Imparò come usare la fantasia, riuscendo a inserirla a comando fra lui stesso e la realtà che desiderava conoscere, solo quando gli convenisse. Con la pubertà il reuccio si trasformò all’improvviso in anarchico dandy, dichiarandosi contro tutto- tranne, naturalmente la pittura. Ora, con l’affacciarsi della consapevolezza, si ribellava di proposito e a proposito.In seguito si recò a Madrid,per sostenere gli esami di ammissione alla Scuola Speciale di Pittura e il padre per controllarlo lo fece entrare nella Residencia de Estudiantes: così mutò e arricchì inconsapevolmente la sua intera vita. Infatti qui si formarono,oltre a lui due dei più straordinari geni del XX secolo: il poeta Federico García Lorca e il regista Luis Bunuel. Inoltre vi si tennero dibattiti sulle nuove rivoluzionarie teorie di Freud sui sogni; e qui x la prima volta Dalì udì dell’illimitata estensione del subconscio.Nel 1927 Dalì decise che voleva unirsi al gruppo dei surrealisti. Il processo di mutamento era cominciato sotto l’influenza, percepibile nei quadri daliniani del 24-25, dei "metafisici", soprattutto Giorgio De Chirico e Giorgio Morandi. Dalì produsse durevoli immagini che hanno lasciato una traccia profonda nell’inconscio collettivo del XX secolo: in particolare gli orologi molli della "Persistenza della memoria", che sono i simboli di una dimensione fluida e imprendibile, che sfugge agli strumenti di percezione legati alla razionalità. In seguito fornì una spiegazione del suo metodo paranoico-critico, definito come "metodo spontaneo di conoscenza irrazionale, basato sull’associazione critico-interpretativa di fenomeni deliranti". Egli ammise di non comprendere il significato delle proprie opere: "Il fatto che io stesso non comprenda il significato dei miei quadri, mentre li dipingo, non significa che essi non ne abbiano uno….". "La mente subconscia è assorbita in realtà elementari come l’amore, la morte, il tempo e lo spazio"; nello stesso modo, spiegò Dalì, "l’arte surrealista si basa su queste realtà fondamentali, sui loro simboli che emergono alla coscienza, nei sogni e nello stato di veglia".Nella primavera del 1937,all’apice del periodo della doppia immagine,cominciò una delle sue opere maggiori, frutto di un’annosa gestazione: "La metamorfosi di Narciso", accompagnata da una poesia col medesimo titolo che arricchiva e illustrava il dipinto. A prescindere dalla preoccupazione di Dalì per la doppia immagine (la figura di Narciso si tramuta in mano che regge un uovo da cui spunta un narciso), il quadro rivela nella sua iconografia l’influenza delle numerose visite in Italia per studiare i pittori del Rinascimento. L’atteggiarsi delle figure danzanti in secondo piano, ad esempio, ha alcunchè di botticelliano. La frase "Non ci sono quadri, c’è solo "un quadro" che si continua a dipingere per tutta la vita su differenti tele, simili a cornici sul filmato vero dell’immaginazione", è essenziale per comprendere la pittura di Dalì. Egli conferma infatti che l’opera pittorica equivale per lui a girare un film della coscienza e dell’inconscio; e non v’è dubbio che i suoi quadri siano più consapevolmente autobiografici che paranoico-critici. E, come in un film, Dalì non bada alla sequenza cronologica muovendosi bensì liberamente nel tempo e nello spazio. Le sue opere indicano alcuni temi universali e basilari del suo passato cui si sovrappongono soggetti del presente,in una commistione di ansie presenti e di un tema perenne.

René Magritte (1898-1967)
I dipinti di Magritte cercano di rendere visibile il pensiero, ma il pensiero che s’identifica con le immagini,non con le idee. Il loro significato non risiede in nessuna spiegazione o interpretazione letteraria che possa esserne fornita.Essi testimoniano,tuttavia,d’un temperamento filosofico che non cessava di esplorare e analizzare la struttura dei convincimenti del nostro senso comune,e di lottare per conciliare i paradossi dell’esistenza.Si sono sempre cercati significati simbolici nei dipinti di Magritte,e in qualche caso si è riusciti a trovarne.Nulla gli spiaceva di più. "… Riportare la mia pittura al simbolismo,conscio o inconscio,significa ignorarne la vera natura… La gente quando guarda dei dipinti non riesce a trovare alcun uso adeguato… La gente che cerca significati simbolici è incapace di cogliere la poesia e il mistero intrinseci all’ immagine. Ha paura.Chiedendo "che cosa significa?" esprime il desiderio che tutto sia comprensibile.Ma se non si rifiuta il mistero si ha una reazione differente.Si chiedono altre cose".Per Magritte la pittura era un mezzo per evocare una meta-realtà che trascendesse la nostra conoscenza del mondo fenomenico. Magritte usava solo oggetti familiari, accostati o combinati in modo da evocare qualcosa d’ altro, qualcosa di non familiare.I pilastri sono uno dei tanti motivi di fatto inesplicabili ma ricorrenti che compaiono con costanza in tutta l’opera di Magritte; tra gli altri vi sono dei campanellini ingranditi e dei trafori di carta,che rappresentano, sia pure a livello inconscio, un complesso insieme di pensieri connessi tra loro da vincoli affettivi, nessuno dei quali può essere spiegato semplicemente. L’importanza di De Chirico per i surrealisti e per Magritte stava nel fatto che solo lui era riuscito ad abbandonare l’artificiale, prevedibile ordine di idee connesse alla nostra quotidiana percezione degli oggetti, e aveva condotto la sua pittura su più pericolosi pendii di realtà, verso ciò che Baudelaire chiamava "la meravigliosa costruzione dell’impalpabile". Infatti nel suo famoso dipinto "La clef des champs" , riproduzione minuziosa del reale, mondo apparentemente chiaro e razionale, un elemento crea immediatamente la dimensione del mistero, dell’inquietudine: il "déplacement", lo "spostamento"; i costituenti dell’immagine, riprodotti logicamente, sono però rapportati in un modo irrazionale, antirealistico. È proprio da questo contrasto che nasce il senso, angoscioso, di un’incrinatura della realtà, attraverso la quale si fa strada il mondo sconosciuto del mistero. Nei quadri di Magritte tutto è volto a una specifica crisi di coscienza nella quale può essere trascesa la limitata evidenza del mondo del senso comune. Magritte fu il più paradossale di tutti i surrealisti. Mentre gli altri davano deliberatamente scandalo nella vita, lui cercò di non essere appariscente all’esterno. Il suo desiderio di vivere senza storia (nemmeno la sua) e senza stile era una scelta calcolata per rendersi invisibile.

"LES ILLUMINATIONS" DI RIMBAUD (1854-1891)
Arthur Rimbaud a eu une enfance difficile: son père a abandonné trés tôt une femme autoritaire et les heurts avec sa mère étaient nombreuses. Au collège les professeurs s’inquiètent de son désir d’évasion. En effet, après plusieurs tentatives, il gagne enfin Paris. Il rencontre Verlaine, à qu’il montre ses poèmes et qui quitte sa femme pour le suivre à travers l’Europe. Pourtant leur relation passionnée les mène jusqu’au soir où Verlaine blesse Rimbaud de deux coups de feu. Rimbaud termine alors "Une saison en enfer" et les "Illuminations". Désormais il n’écrira plus aucun poème. La vie de Rimbaud devient une longue série de voyages, en particulier en Afrique. Atteint d’un cancer au genou, il est ramené à Marseille où il mourra. Dans sa vie comme dans son oeuvre, Rimbaud ne cesse de surprende par sa volonté de bouleverser les schémas établis et de transgresser les règles. La poésie devient une première échappatoire, une fuite de la réalité. Elle lui permet d’exprimer toute l’aggressivité qu’il a en lui, sa haine et sa révolte contre la niaiserie feminine, les hypocrisies bourgeoises (Les Assis), la guerre (Le Dormeur du val), contre le Christianisme et Dieu (Le Mal). Rimbaud affirme que la poésie doit donner des visions de l’Inconnu. Pour se faire "voyant" et pour devenir "le grand malade, le grand maudit et le suprême Savant", le poète doit chercher son âmeà travers "un long et immense dérèglement de tous les sens et toutes les formes d’amour, de souffrance, de folie." Il pourra ainsi "voir" l’Inconnu. Mais le poète devra renoncer aux formes traditionnels de la poésie, aux règles de la pensée rationnelle et devra créer un nouveau langage qui résume tout, "parfums, sons, couleurs". Les "Illuminations" sont une oeuvre énigmatique, surtout pour le sens et pour l’interrogation générale que véhiculent. Dans Parade, le poète dit: "J’ai seul la clef de cette parade sauvage", dans laquelle il mêle des narrations, des évocations, des hymnes sans unité apparente. Les poèmes heureux sont rares (Matinée d’ivresse, Génie); beaucoup expriment des doutes obsédants, la nostalgie de l’enfance perdue et de la pureté trahie; certaines pièces disent la faillite de tout espoir. Il n’y aurait donc plus qu’à se résigner. Et deçu de n’avoir pu "changer la vie", le poète se consacre tout entier au langage en recréant une esthétique du "voyant" modifiée et epurée qui témoigne d’une grande liberté créatrice. Il compose des poèmes en prose, invente le vers libre, en brisant ainsi toute distinction entre prose et poésie. Le rythme échappe à toute analyse, de vagues assonances remplacent la rime, le compte des syllabes n’est plus respecté. Mais les "Illuminations" révèlent aussi le génie d’un visionnaire, sauvage et intuitif. Ses images puissantes, évocatrices, colorées naissent de rapprochements incongrus, d’associations inattendues. Elles suggèrent des sensations indéfinissables et proposent un nouveau rapport au texte, plus énigmatique, mais plus personnel. Après ce chef-d’oeuvre, point de départ de toute la poésie moderne, Rimbaud ne finit pas de surprende. Il se tait et son silence, à vingt et un an, apparaît, paradoxalement, comme la dénégation du génie dont il est la définition même, comme une mise en garde contre les illusions prophétiques de la poésie. De son vivant, Rimbaud n’a été apprecié que par quelques amis; il faudra attendre la vague surréaliste pour que l’originalité de Rimbaud soit perçue dans toute son ampleur.

L’ORFISMO DI CAMPANA
Gran parte della vita di Campana si è svolta nell’ombra. Nasce a Marradi il 20 agosto del 1885, accusando fin dall’adolescenza diversi turbamenti psichici. Campana si dedica allo studio e alla lettura solitaria tra i monti, rimanendo infatuato dell’ideologia nietzschiana, del suo orfismo e della sua estetica. Dopo un primo internamento nel manicomio di Imola nel 1906, intraprende una serie di vagabondaggi in Italia e in Europa. Nel 1913 consegna a Soffici e a Papini il manoscritto di un volume di liriche, "Il più lungo giorno". Ma Soffici lo perde e Campana è costretto a riscriverlo a memoria e infine a pubblicarlo a sue spese nel 1914 col nuovo titolo di "Canti Orfici". Seguono poi altri viaggi, alternati ad un nuovo ricovero e a una tumuoltosa storia d’amore con la Aleramo che preannuncia, nella sua drammatica evoluzione, l’ultimo e definitivo internamento presso Firenze nel 1918 dove Campana resterà fino alla morte (1932).

La poesia di Campana, che parte dalla lettura di D’Annunzio, tende a bruciare le atmosfere sensuali, orientandosi subito verso un lirismo che assorbe alcuni degli slanci più estremi della poesia ottocentesca (Poe, Baudelaire e soprattutto le "Illuminazioni" di Rimbaud), coniugandoli con il vitalismo esaltato di Nietzsche. La sua estraneità alla società sconvolge l’equilibrio della scrittura con aperture improvvise su fantasie oniriche, che trasfigurano, attraverso folgorazioni e allucinazioni, la superficie della realtà, i luoghi e le persone, per tentare di catturarne, oltre l’ordine e le convenzioni borghesi, l’aspetto più profondo e segreto. Del resto lo stesso titolo- i Canti Orfici- allude ai misteri orfici dell’antichità e intende proporre una concezione della poesia come fatto magico e misterioso. La poesia dei Canti Orfici in particolare è la descrizione della prova che deve compiere il poeta per diventare uomo nuovo, libero, felice, per trasfigurarsi nel viaggio, ossia nel passaggio iniziatico dalla fatica e dall’incubo della vita e dell’amore terreno alla serenità e alla gioia del dominio sulle cose. Il poeta si identifica col viandante, coll’errante, come personaggio iniziatico dell’orfismo nietzschiano. La raccolta non del tutto compiuta è divisa in tre parti: la pena umana, la purificazione del salire e la liberazione orfica; la sofferenza dell’amore e del mistero della vita (la Chimera), il viaggio nella natura; e la nascita dell’uomo nuovo nella nuova città. Il viaggio comincia dal fango della palude e va verso la purezza dell’azzurro, dalla misera esistenza dolorosa dell’uomo alla visione della bellezza e del sogno. Siamo nella visione mitica, nel sogno atemporale, nella fantasia inconscia, involontaria, istintiva, guidata da impulsi primitivi. Le visioni non sono realistiche, ma sono iniziatiche, di chi deve sapere e provare tutto di ciò che è l’uomo, per andare a oltre ciò che è umano. L’identficazione è con un Faust visto come l’uomo a cui nulla è proibito, liberatore del mondo, tutto teso a risolvere il mistero della vita.

IL RITO DI POSSESSIONE DI ARTAUD
Antonin Artaud nacque a Marsiglia nel 1896 e morì a Ivry-sur-Seine nel 1948. Fu scrittore, poeta, attore teatrale e cinematografico. E’ autore di un testo, "Il Teatro e il suo Doppio", che teorizza un ribaltamento completo dei fondamenti dell’arte drammatica. Artaud partecipò inoltre al movimento surrealista, a cui fornì i testi + spregiudicati e radicali. Nel 1936 compì un viaggio in Messico che costituì l’avvenimento decisivo della sua vita. Il ritorno in Francia, un anno più tardi, segnò la rottura con "questo mondo, in cui, a parte il fatto di avere un corpo, di camminare, di coricarsi, di vegliare, di dormire, d’essere nell’ombra o nella luce (e anche la luce è dubbia), tutto è falso". E’ una rottura ma soprattutto una ribellione, un rifiuto sistematico di ogni realtà concreta, che lo condurrà, dopo un breve soggiorno in Irlanda e una serie di avvenimenti rimasti misteriosi, a essere internato per alcuni anni come pazzo. La raccolta "Al paese dei Tarahumara" contiene la testimonianza più sconvolgente che Artaud ci abbia lasciato: gli scritti sul suo soggiorno in Messico, fra le tribù primitive dei Tarahumara. In questi scritti bisogna vedere una ricerca che resta al di fuori della letteratura e la lotta di Artaud per mutare radicalmente la propria esistenza. Per lui patire fino in fondo le proprie debolezze fisiche e psichiche, una "erosione mentale" sentita come malattia, è l’unica strada per tentare di raggiungere quell’arricchimento della coscienza che potrebbe permettergli di intervenire sulla propria vita. La sua perlustrazione diventa una specie di guerra per conquistarsi il diritto di mettere al mondo se stesso, cioè il proprio vero essere.
Artaud si reca nel paese dei Tarahumara ed è subito colpito dai molti segni che la Natura ha inciso nelle rocce e negli alberi. Egli desiderava sperimentare la danza di guarigione del Peyotl, perché da molto tempo soffriva per un conflitto interiore, ma anche per ritrovare una verità che sfugge al mondo europeo e che questo popolo ha conservato. I Tarahumara si considerano una razza Principio. Non credono in Dio ma rendono culto al principio trascendente della Natura, che è maschio e femmina. Essi disprezzano la vita del corpo e vivono solo per le loro idee. Il male non è peccato: per loro il peccato non esiste; il male è la perdita di coscienza. Sono ossessionati dalla filosofia e non compiono mai un gesto perso, un gesto che non abbia un senso filosofico diretto. La caratteristica e misteriosa danza di guarigione ebbe luogo in un grande cerchio e utilizzando dieci croci, sulle quali vennero disposti dieci specchi. Presero parte al rito i sacerdoti, quattro assistenti, il danzatore epilettico e Artaud. Ai piedi di ogni sacerdote venne scavata una buca (il Mondo) nella quale disegnarono il maschio e la femmina della natura. Il Peyotl infatti rappresenta l’immagine di un sesso maschile e femminile uniti insieme. Dopo aver osservato con attenzione e curiosità la preparazione del rito, Artaud ricevette da un sacerdote una dose di Peyotl, un allucinogeno che gli procurò una visione, dichiarata in seguito autentica, e che riguardava ciò che deve essere il Ciguri e cioè Dio. Secondo Artaud, non ci si arriva senza passare attraverso un forte sentimento di lacerazione e di angoscia e dopo questo ci si sente rivoltati e riversati e non si concepisce più il mondo che si ha appena abbandonato. Il Peyotl dunque fissa la coscienza e le impedisce di perdersi e di abbandonarsi alle impressioni false.

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