Vincenzo Monti

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

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Testo

VINCENZO MONTI

BIOGRAFIA

Poeta italiano. Dopo il compimento degli studi si trasferì dalla Romagna a Roma. Qui lavorò e visse negli ambienti di Curia, assumendone gli orientamenti politici clerical-reazionari. Il soggiorno romano, che dura dal 1778 al 1797, è molto importante per la formazione culturale e artistica del M., che venne così liberata da ogni provincialismo. Passa quindi a Bologna e a Milano: qui l'ammirazione per la trionfale avanzata di Napoleone in Europa lo induce a rinnegare gli ideali monarchici e religiosi. L'adesione ai principi democratici della Rivoluzione francese gli procurò fortissime avversioni e pochi vantaggi. Rifugiatosi a Parigi nel 1799, dopo la caduta della Repubblica Cisalpina, il M. affievolì sensibilmente il suo rivoluzionarismo. Quando nel 1801, con la vittoria di Napoleone a Marengo, il poeta torna in patria, gli viene assegnata la cattedra di eloquenza all'Università di Pavia e gli sono conferiti incarichi governativi. M. è il poeta ufficiale del governo napoleonico in Italia e lo rimane fino alla caduta del Regno Italico (1814). A questo punto avviene l'ultima "conversione" politica del poeta, che si schiera con gli austriaci vincitori e giunge fino a infamare la figura di Napoleone. Travagliato dalle sfortune familiari e da una cattiva salute, il M. scompare dalla scena pubblica trascorrendo appartato i suoi ultimi anni di vita. Le più importanti opere poetiche del M. riflettono nel modo più immediato l'itinerario politico che abbiamo ricostruito. La celebre Basvilliana, scritta nel 1793 dopo l'uccisione del segretario della legazione francese a Roma, esprime il periodo dell'ostilità contro la Rivoluzione francese. L'Inno per l'anniversario del supplizio di Luigi XVI, composto nel 1799, rappresenta il periodo giacobino. Le odi Per la liberazione d'Italia (1801) e Il Bardo della selva nera (1806) vennero composte in onore di Napoleone. In ultimo, il Mistico omaggio del 1815 è una professione di fede austriacante. Tuttavia la poesia di Vincenzo M. è politica, quando lo è, esclusivamente per ciò che riguarda i contenuti occasionali, gli argomenti esterni e non lo è invece nell'ispirazione. Questa è rivolta essenzialmente alla creazione di rappresentazioni armoniose, alla trasfigurazione mitologica della vita reale, alla nostalgia per la classicità. Così la poesia del M. rivela un'ispirazione anche lirica e sentimentale. Si tratta di una componente molto importante, perché caratterizza anche la grandissima impresa compiuta dal M. con la sua traduzione dell'Iliade, alla quale si dedicò per ben 44 anni, fino alla morte. Criticata dal Foscolo per la larga utilizzazione che vi si faceva delle più importanti traduzioni precedenti, in realtà su questa base il M. aveva creato un'opera originale e autonoma. Fra le opere incompiute va ancora ricordato il poemetto incompiuto Feroniade. Fra le opere critiche sono importanti le Proposte di alcune correzioni e aggiunte al vocabolario della Crusca, in cui - contro i puristi - propugna l'unità linguistica (1817) e il sermone in versi Su la mitologia, scritto quale intervento a favore dei classicisti nella polemica contro i romantici (1825). Per lungo tempo la vicenda umana e artistica di Vincenzo M. è stata ritenuta esemplare della sottomissione degli intellettuali al potere politico. In effetti in essa si deve più fondatamente riconoscere il segno di un'incostanza e di un'incapacità a confrontarsi autonomamente con gli eventi collettivi, piuttosto che quello di un'ambizione corrottamente opportunistica. In un'epoca di grandi sconvolgimenti sociali come fu quella compresa fra la Rivoluzione francese e la Restaurazione, il M. volle rappresentare nella propria opera una nuova identificazione della vita con la letteratura: di qui la sua inconsapevolezza e irresponsabilità nelle sue scelte politiche (Alfonsine, Ravenna 1754 - Milano 1828).

CULTURA - LETTERATURA - LA NUOVA LETTERATURA

L'abate Monti, nato fra tanto fermento d'idee, ne ricevè l'impressione, come tutti gli uomini colti. Ma furono in lui più il portato della moda che il frutto di ardente convinzione. Fu liberale sempre. E come non esser liberale a quel tempo quando anche i retrivi gridavano libertà, bene inteso la vera libertà, come la chiamavano? E in nome della libertà glorificò tutt'i governi. Quando era moda innocente declamare contro il tiranno, gittò sul teatro l'Aristodemo, che fece furore sotto gli occhi del papa. Quando la rivoluzione francese s'insanguinò, in nome della libertà combatté la licenza, e scrisse la Baswilliana. Ma il canto gli fu troncato nella gola dalle vittorie di Napoleone, e allora in nome della libertà cantò Napoleone; e in nome anche della libertà cantò poi il governo austriaco. Le massime eran sempre quelle, applicate a tutt'i casi dal duttile ingegno. Il poeta faceva quello che i diplomatici. Erano le idee del tempo e si torcevano a tutti gli avvenimenti. I suoi versi suonavano sempre libertà, giustizia, patria, virtù, Italia. E non è tutto ipocrisia. Dotato di una ricca immaginazione, ivi le idee pigliano calore e forma, sì che facciano illusione a lui stesso e simulino realtà. Non aveva l'indipendenza sociale di Alfieri e non la virile moralità di Parini: era un buon uomo che avrebbe voluto conciliare insieme idee vecchie e nuove, tutte le opinioni, e, dovendo pur scegliere, si tenea stretto alla maggioranza, e non gli piacea di fare il martire. Fu dunque segretario dell'opinione dominante, il poeta del buon successo. Benefico, tollerante, sincero, buono amico, cortigiano più per bisogno e per fiacchezza di animo che per malignità o perversità d'indole, se si fosse ritratto nella verità della sua natura, potea da lui uscire un poeta. Orazio è interessante, perché si dipinge qual è scettico, cinico, poltrone, patriota senza pericolo, epicureo. Monti raffredda, perché sotto la magnificenza di Achille sentì la meschinità di Tersite, e più alza la voce e più piglia aria dantesca, più ti lascia freddo. Ci è quel falso eroico, tutto di frase e d'immagine, qualità tradizionale della letteratura e caro ad un popolo fiacco e immaginoso, che aveva grandi le idee e piccolo il carattere. Monti era la sua personificazione, e nessuno fu più applaudito. La natura gli aveva largito le più alte qualità dell'artista: forza, grazia, affetto, armonia, facilità e brio di produzione. Aggiungi la più consumata abilità tecnica, un'assoluta padronanza della lingua e dell'elocuzione poetica. Ma erano forze vuote, macchine potenti prive d'impulso. Mancava la serietà di un contenuto profondamente meditato e sentito mancava il carattere che è l'impulso morale. Pure i suoi lavori, massime l'Iliade, saranno sempre utili a studiarvi i misteri dell'arte e le finezze dell'elocuzione. E la conclusione dello studio sarà: che non basta l'artista, quando manchi il poeta.
Monti, come Metastasio, fu divinizzato in vita. Ebbe onori, titoli, forza, molto seguito. Un popolo così artistico come l'italiano ammirava quel suo magistero a freddo, quella felicità di armonie. Dopo la sua morte ebbe gli elogi di Alessandro Manzoni e di Pietro Giordani. E l'esagerazione delle accuse rese cari quegli elogi, quasi pio ufficio alla memoria di un uomo, in cui era più da compatire che da biasimare.
Fondata la repubblica cisalpina, in quel primo fervore di libertà, Monti fu censurato per la sua Basvilliana con lo stesso furore che l'avevano applaudito. Un giovane scrisse la sua apologia. L'atto ardito piacque. E il giovane entrava nella vita tra la stima e la benevolenza pubblica. Parlo di UGO FOSCOLO, formatosi alla scuola di Plutarco, di Dante e di Alfieri.

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