Umanesimo

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Testo

L'UMANESIMO

Affrontando un'analisi dell'Umanesimo, e quindi degli ideali rivoluzionari che esso presentò nella prima metà del Quattrocento che poi vennero adottati definitivamente nella civiltà rinascimentale nel corso del Cinquecento, si deve anzitutto tenere bene a mente che essi riguardarono soltanto una parte minima, un'élite privilegiata della società del tempo. La stragrande maggioranza della popolazione, in primo luogo italiana e successivamente europea, non risentì minimamente del cambiamento di mentalità che caratterizzò l'età umanistica, e che la contrappose al Medio Evo. Furono infatti gli stessi umanisti a intravedere per primi la lontananza della loro civiltà da quella di una media aetas che essi stessi definiscono ''barbara''. Non si deve comunque pensare a una frattura improvvisa tra le due età ma, come d’altronde avviene in ogni cambiamento storico, a un lento processo che vede già nei secoli precedenti l'affacciarsi dei primi concetti dell'Umanesimo, che fa parlare di un cosiddetto pre-umanesimo. Infatti, se ascoltiamo la testimonianza degli stessi umanisti, è il nome di Francesco Petrarca (1304-1374) che ci viene più insistentemente suggerito come quello di padre dell'Umanesimo.

I CONCETTI
I concetti che caratterizzano l'Umanesimo sono comunque in forte contrapposizione con quelli tipici della cultura medievale. Nel Medio Evo era accetta universalmente una visione del mondo teocentrica, dove Dio centro dell'universo ne era anche il motore tramite la divina provvidenza. A questa gli umanisti preferiscono una visione antropocentra, che pone lo stesso uomo al centro e come protagonista della realtà (homo faber suae fortunae); l'Umanesimo promuove la celebrazione dell'uomo nella sua libera attività creatrice in cui si definisce il potere umano sul mondo. Ciò contrasta chiaramente con l'uomo medievale e in particolare con la sua umiltà e limitatezza di fronte a Dio. Non bisogna però pensare a questa visione laicizzata come a una mancanza irriverenziale nei confronti della religione, una sorta di rifiuto della potenza divina; piuttosto in questo atteggiamento si riscontra la volontà di assegnare al comportamento umano dignità e gratificazioni non trascendenti, e bensì legittimati e validi nell'ambito stesso della realtà mortale. Ed è proprio in questa visione che si spiega la vicinanza della società umanista con quella classica con cui gli umanisti hanno un rapporto ben più complesso di una semplice ispirazione. L'epoca classica è vista infatti come il raggiungimento della perfezione a cui l'uomo può aspirare, e soltanto attraverso una imitazione eclettica che rivesta ogni aspetto della vita (mimesis) può sperare di avvicinarsi a quel limite che la media aetas aveva allontanato dall'uomo. A questa visione bene si accosta la filosofia di Platone secondo la quale il mondo fisico altro non è che un'imitazione di un ideale mondo metafisico perfetto ed eterno; la filosofia neoplatonica viene accolta soprattutto nella Firenze di Lorenzo de' Medici che fonda l'Accademia fiorentina. Altro punto di contatto con la cultura classica è sicuramente l'atteggiamento edonistico e naturalistico dei cortigiani quattrocenteschi: il senso di perdizione e peccato dell'uomo medievale si affievolisce lasciando spazio a una joie de vivre e spensieratezza che porta gli umanisti a rivalutare i piaceri della vita terrena.

I LUOGHI
L'evoluzione della cultura umanista nasce in un panorama sociale ben definito e differente dalla precedente cultura due-trecentesca. La società comunale, tipica dell'Italia settentrionale, lascia spazio alle realtà signorili; il potere democratico del comune è soppiantato da ricche famiglie nobili, che impongono il loro dominio il loro personale alle istituzioni politiche. Il signore a capo della famiglia gestisce la legislazione, la giustizia, i rapporti con le altre signorie e il suo potere e assoluto e ereditario; solo in poche eccezioni la famiglia egemone soccombe, ma solo per lasciare spazio a una famiglia più prestigiosa (esempio è la signoria di Milano prima sotto l'influenza degli Visconti poi, dal 1450, degli Sforza).
In questo quadro il signore si circonda di letterati, artisti, studiosi, focalizzando attorno alla sua figura ogni manifestazione culturale. Non senza motivo nasce questo interesse: le celebrazioni encomiastiche garantiscono al signore prestigio presso i sudditi e, in una prospettiva imperialistica, presso le altre signorie; non si deve dimenticare poi il compito degli intellettuali di accreditare al signore una piena giustificazione storica e legale del suo potere. Gli umanisti, a loro volta, devono alla protezione signorile, esercitata nelle tipiche forme del mecenatismo (a riguardo di quest’ultimo termine, Mecenate era il collaboratore di Augusto che protesse letterati ed artisti e sviluppò un'attività culturale a sostegno del principato augusteo) la relativa sicurezza del proprio stato, giacchè al loro ruolo nella vita culturale, non sempre si accompagna una stabile collocazione sociale e profesionale che assicuri loro l'indipendenza economica. Le signorie diventano così splendidi palazzi all'interno dei quali i signori gareggiano per ostentare affreschi o statue. La corte però, se da una parte tende a stimolare e valorizzare il lavoro degli umanisti, d'altro canto limita il campo d'azione degli stessi, la cui produzione corre il pericolo di rimanere un'opaca opera di servilismo e adulazione.
Fa eccezione nella situazione politica quattrocentesca Firenze. Essa continua a manenere un'organizzazione comunale per tutta la prima metà del Quattrocento, che avrà termine solo con l'instaurarsi della signoria di Cosimo de' Medici. Qui la figura dell'intellettuale umanista è attiva nella cancelleria della repubblica dove, oltre alla produzione culturale, si occupa anche dell'amministrazione e della diplomazia. Questa situazione chiamata florentina libertas, secondo un'accezione che la vuole erede della repubblica di Roma, è l'esempio più lampante della fase più politicamente attiva dell'Umanesimo, chiamata appunto umanesimo civile. Fase che però avrà un breve corso e che già a metà Quattrocento lascera definitivamente spazio all'umanesimo cortigiano, durante il quale l'umanista si isolerà dalla società per chiudersi nella realtà idilliaca della corte.
Di fianco all'università che mantiene il ruolo di formazione professionale dei giovani, sorge una nuova istituzione, l'accademia; più che una vera scuola essa è un luogo di incontro mondano dove gli intellettuali si incontrano per uno scambio di idee, senza una precisa distinzione tra docenti e allievi. Ad ogni modo spicca sempre una personalità egregia per conoscenza e saggezza alla quale gli altri si rivolgono con maggiore attenzione.
Un ruolo simile a quello dell'accademia è svolto dalle botteghe degli artisti e degli stampatori, quest'utilme sviluppatesi enormemente con l'introduzione in Europa della stampa a caratterri mobili.
Altro luogo di incontro ancora inizia a essere la biblioteca pubblica. I libri, tenuti gelosamente al buio dei monasteri per tutto il Medio Evo, iniziano a circolare più facilmente grazie anche al ruolo della stampa, e diversi signori, seguendo l'esempio di Petrarca, aprono al pubblico le loro biblioteche.

I PROTAGONISTI
Come è stato già detto, i grandi cambiamenti introdotti dall'Umanesimo non convolsero affatto gran parte della popolazione italiana. I protagonisti piuttosto furono in primo luogo gli intellettuali produttori stessi delle opere umaniste. Tra questi si possono distinguere due figure, caratterizzanti delle omonime fasi dell'Umanesimo: l'intellettuale civile e l'intellettuale cortigiano. Il primo ha ancora tratti del vecchio dotto medievale; è impegnato politicamente e spesso la sua stessa funzione civile gli garantisce l'indipendenza economica (si ricordano tra questi in particolare Coluccio Salutati e Leonardo Bruni attivi nella cancelleria di Firenze). Questa prima figura viene presto sostituita dall'intellettuale cortigiano; il suo ruolo politico svanisce totalmente e, collocandosi nella corte del signore, si occupa esclusivamente di promulgarne il prestigio. Non bisogna però pensare a questi come dei fiduciari del signore o consiglieri personali, tant'è che lo stesso umanista passava facilmente da una corte all'altra, spesso per ricompense più gratificanti.
La laicità degli ideali umanisti potrebbe farci pensare a un'esclusione delle figure ecclesiastiche dal movimento. Al contrario gli intellettuali non disdegnavano affatto la condizione clericale. Questa prometteva un ottimo compenso economico e una prestigiosa carriera ecclesiastica che poteva giungere fino al soglio pontificio. La mondanità e liberalità della Chiesa quattrocentesca concedeva inoltre una relativa liberalità di pensiero, esclusa dalle corti signorili.
Il pubblico a cui la produzione umanistica si rivolge non va troppo oltre gli stessi intellettuali autori delle opere. Tra questi infatti si intreccia una fitta rete di scambi culturali che avvengono sia nei luoghi sopra citati sia attraverso l'utilizzo della lettera, espediente tipicamente classico. Al di fuori degli stessi dotti il pubblico è unicamente rappresentato dal signore e dai cortigiani, ospiti mondani del palazzo signorile.

LA RISCOPERTA DEI CLASSICI E LA FILOLOGIA
Il legame stretto che gli umanisti sentivano verso la cultura antica comportò una sete di testimonianze classiche che li spinse alla ricerca e alla raccolta di manoscritti, iscrizioni e opere d'arte del suddetto periodo. Questo nasceva anche dal fatto che il principio di imitazione necessitava di una conoscenza profonda della tradizione classica. La curiosità non si limitò agli autori la cui fama era ormai consolidata da tempo, ma interessò anche quegli autori non certo minori che, l'atteggiamento tipicamente medievale volto a cercare ovunque significati allegorici, aveva dimenticati. Seguendo poi l'esempio di Petrarca, si iniziò a guardare con interesse anche la filosofia e la letteratura greca, di fondamentale importanza per la formazione della cultura latina ma completamente estranea a quella medievale; in realtà tutto ciò che gli umanisti hanno apprezzato della letteratura romana altro non sono che riflessi della cultura ellenistica; lo stesso verso di Terenzio: ''Homo sum, humani nil a me alieno puto'', tanto caro all'Umanesimo, tramanda parole di Menandro. La difficoltà degli umanisti di far rinascere la cultura classica (proprio da questo concetto verra elaborato il termine Rinascimento) non era comunque dovuta tanto ai problemi quantitativi ma piuttosto a quelli qualitativi; alcune biblioteche mediolatine e bizantine infatti possedettero patrimoni librari che in numeri gareggiano con ottime raccolte umanistiche, o preziosità che gli umanisti non conobbero o conobbero assai tardi (un esempio è la cosiddetta Anthologia Palatina di epigrammi greci, ''riscoperta'' nel 1607). Quando il numero dei libri tornati alla luce permise di avere a disposizione più copie dello stesso manoscritto si passò ad analizzare i contenuti. Grande colpa dei dotti del Medio Evo era stata quella di leggere i testi antichi con una mentalità sicuramente diversa da quella in cui erano stati prodotti e contaminarli con le loro interpretazioni religiose in visione allegorica; alle semplici note a fine testo spesso si accompagnava una vera e propria rielaborazione dell'opera stessa. Il metodo innovativo della collazione o del confronto assume così un'importanza essenziale, prima per ricucire ''strappi'' causati dal tempo, poi per riportare la genuinità dell'opera (a questo fine il ritrovamento di un nuovo codice di un'opera pur notissima fu presto giudicato importante quanto la scoperta di un'opera ignorata). Requisito fondamentale per operare in questa direzione era un'ottima conoscenza del latino classico. Sotto questo aspetto si guardò al latino di Cicerone e Virgilio come l'espressione più alta della lingua romana e fu univocamente accettato anche nella produzione delle opere dell'Umanesimo stesso. Altro punto di distacco dal Medio Evo nell'atteggiamento degli umanisti nei confronti dei classici fu l'analisi critica che essi seppero dare. Gli intellettuali del Medio Evo pensavano di fare ancora parte dell'età antica; gli umanisti invece, proprio cercando di riproporre la cultura classica, avvertirono per primi la distanza che separava le due epoche. Grazie al senso della storia i filologi umanisti riescono a scoprire la veridicità o meno di un testo (scontato il riferimento alla ''Donazione di Costantino'' smentita da Lorenzo Valla). Decade così il concetto medievale di auctoritas e viene meno l'accettazione del carattere definitivo di una verità. Nelle stesse opere umanistiche si avvertono sfumature caute e soggettive; l'uso frequente di incisi come puto, ut arbitror non rivela incertezza o disimpegno, bensì è indizio di una tendenza a personalizzare le affermazioni.

LE ''HUMANAE LITTERAE''
Nel Medio Evo il ruolo della cultura gravitava soprattutto attorno alla sfera religiosa; somma disciplina era considerata la teologia, unica chiave per accedere alla salvezza eterna. Nel Quattrocento la funzione della cultura si laicizza enormemente: ridimensionata la visione della vita terrena che come abbiamo visto riacquista una propria dignità, la cultura assume un ruolo meramente istruttivo di formazione completa dell'uomo, scopo raggiungibile soltanto attraverso lo studio delle humanae litterae ovvero quelle discipline collegate direttamente con l'esistenza dell'uomo. Si può facilmente intuire il motivo per il quale troviamo accanto alla filosofia, alla letteratura, all'arte una spiccata attenzione anche per l'attività fisica e per la bellezza del corpo, atteggiamento che si rifà al concetto greco della kalokaghatìa secondo il quale la bellezza esteriore è lo specchio e al tempo stesso il presupposto della bellezza interiore.
Per quanto riguarda la produzione letteraria anch'essa fu colpita dall'influenza classicista. Nella prima metà del Quattrocento la lingua latina tornò ad essere protagonista delle opere scritte. Essa però era ben diversa da quel mediolatino che il Medio Evo aveva affidato alle produzioni letterali di maggiore importanza spesso con tematiche religiose (si pensi ai numerosi trattati teologici); la lingua usata dagli umanisti è, come abbiamo già detto, per la prosa il latino di Cicerone, non solo maestro di raffinatezza e armoniosità, ma anche primo promulgatore dei principi dell'humanitas, e per la poesia quello di Virgilio. Il volgare rimane invece per l'uso quotidiano e per le funzioni pubbliche (nei tribunali, nelle cancellerie...). Nel frattempo si va ad affermare così l'uso del fiorentino, la lingua dei tre grandi Dante, Boccaccio e Petrarca, come lingua nazionale. Questo fenomeno riguarda la solita cerchia ristretta di intellettuali, mentre i dialetti restano ben radicati nella popolazione comune, favoriti dalla frammentazione della penisola. Quando invece nella seconda metà del Quattrocento il volgare si sostituisce nuovamente al latino, l'uso del fiorentino non è ancora così definito, e anzi si assiste a una grande libertà linguistica caratterizzata da sperimentazioni di generi e di forme, che nel Cinquecento si codificheranno in regole precise. Il volgare tende a latinizzarsi; la sintassi con prevalenza di subordinate, il lessico ricco di latinismi, i costrutti tipici della classicità (ablativi assoluti).
La produzione letteraria Quattrocentesca può essere così riassunta:
La prosa
Il genere letterario caratteristico della cultura umanistica è senza dubbio il trattato. Spesso sotto forma di discorsi (ad imitazione delle opere di Platone, ma anche dello stesso Cicerone) sono opere di riflessione sui temi più vari. Le vari tesi formulate non sono esposte nell'accezzione dell'auctoritas medievale, ma hanno il valore del tutto personale dell'autore che può raggiungere la verità solo attraverso un civile confronto di idee. Le tematiche più care all'Umanesimo sono le stesse della filosofia umanista: la dignità dell'uomo, la rivalutazione delle opere terrene, la virtù umana che si oppone alla Fortuna (questa vista come combinazione di casi fortuiti, non più diretti da una volontà divina). Rispettivamente ai temi, esempi famosi sono il De dignitate et eccellentia hominis di Giannozzo Manetti e il De hominis dignitate di Giovanni Pico della Mirandola, il De voluptate di Lorenzo Valla, il De fato, fortuna et casu di Coluccio Salutati. Altre temi di minore importanza ma oggetto della discussione di molte opere sono riferiti ai problemi pedagogici e a quelli politici. In riguardo ai primi che nel Quattrocento assumono una grande importanza per la formazione dei giovani, ricordiamo il De studiis et litteris liber di Leonardo Bruni, mentre per quanto riguarda le opere politiche sono interessanti i due contrastanti trattati a condanna e a difesa della florentina libertas, rispettivamente l'Invectiva in Florentinos di Antonio Loschi e l'Invectiva in Luschum di Coluccio Salutati. Il compito dei trattati di fornire una semplice tesi dell'autore esponibile alla critica degli altri intellettuali, può essere meglio spiegata dal largo uso nell'Umanesimo della lettera che nella classicità rappresentava addirittura un genere a se' stante; essendo il trattato infatti una forma letteraria destinata ad un'èlite molto ristretta di dotti, esso si addattava bene alla discrezione della lettera personale.
Una destinazione più ampia hanno invece i le novelle e i romanzi. Le prime nascono certamente su imitazione del Decameron boccacciano, che già nel Trecento anticipava gli ideali umanisti presentando la nuova figura dell'uomo cortese ma esperto della masserizia, e assegnando alla virtù umana una propria dignità. Tra le raccolte più importanti ricordiamo il Paradiso degli Alberti di Giovanni Gherardi e il Novellino di Masuccio Salernitano.
Un genere a parte, seppur molto simile alle novelle, è costituito dalle facezie, opere prive di un nucleo narrativo ben distinto, ma finalizzate soprattutto al riso sincero. In questo senso inquadriamo il Liber facetiarum di Poggio Bracciolini.
Nell'ambito della produzione romanzesca invece il tema principale è quello di tipo pastorale. Anche in questo caso si può notare l'impronta classicistica che proviene questa volta dalle Bucoliche virgiliane. Il tema pastorale propone paesaggi idilliaci dove l'uomo, a diretto contatto con la natura, si diletta tra amori, canti e gare di poesia; le atmosfere piacevoli e oziose presentate in queste opere possono forse essere spiegate attraverso la ricerca di una corte ideale, isolata e lontana dalla realtà volgare. Un esempio doveroso è l'Arcadia di Iacopo Sannazzaro, nel quale l'autore immagina di vivere tra pastori idealizzati dell'Arcadia (regione del Peloponneso dove la civiltà greca aveva immaginato il sorgerre di una nuova età dell'oro) che conducono una vita di tranquilli piaceri.
La poesia
Nell'Umanesimo la poesia riveste un ruolo meno importante della prosa. Se in quest'ultima oggetto di imitazione era Boccaccio, nella poesia è certamente Petrarca la maggiore fonte di ispirazione degli autori umanisti, senza però dimenticare l'influenza dello stesso Dante. Nella prima metà del Quattrocento l'imitazione riguarda le tematiche e i topoi petrarcheschi, non tanto le forme stilistiche e l'unilinguismo che lo hanno contraddistinto; solo nella seconda metà invece l'imitazione riguarderà gli artifici formali, con un largo uso dei giochi di parole. Su ispirazione del Canzoniere nascono gli Amorum libri di Matteo Maria Boiardo e le Rime di Lorenzo de' Medici.
Nel clima di sperimentazione dell'Umanesimo vengono riprese tematiche già trattate in passato, che hanno poco a che fare con la realtà di corte, ma che si rifanno al mondo popolare; sono i sonetti e le canzoni di tipo carnascialesco, che propongono il rovesciamento dei valori sacri spudoratamente a favore di quelli materiali. Il più grande sperimentatore di questo filone è sicuramente Burchiello autore di diversi sonetti strampalati e spesso senza senso, tant'è che questo modo di rimare, che in futuro acquisterà tanto successo, sarà detto ''alla burchia''.
Tornando invece alla realtà di corte si possono menzionare i poemetti mitologici nei quali è ben chiaro il gusto classicistico degli umanisti. Con questo genere inquadriamo l'Ambra e il Corinto di Lorenzo de' Medici; non del tutto estraneo a questo filone sono anche le Stanze per la giostra di Angelo Poliziano.
Di fianco a questi poemi encomiastici e idilliaci, continua per la prima metà del Quattrocento la produzione dei cantari cavallereschi. Essi sono componimenti che si rifanno al ciclo letterale bretone e carolingio e sono destinati a un pubblico basso, che ama le vicende avventurose e fantastiche; la lingua usata è un volgare incolto e popolare. Nella seconda metà del secolo questo filone narrativo viene ripreso dai poeti colti che ne fanno opere destinate al pubblico cortigiano. Il volgare usato è quindi molto diverso da quello popolare; è quel volgare umanizzato e latinizzato di cui abbiamo già parlato in precedenza. A questa produzione appartiene l'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, in cui il poeta sembra rimpiangere il mondo cavalleresco, i cui ideali di magnanimità e di cortesia sono vivacemente conservati nella corte ferrarese in cui l'autore opera. Sotto questo aspetto appare differente il Morgante di Luigi Pulci che tratta il mondo cavalleresco con spirito burlesco e caricaturale. La stessa lingua usata, rifacendosi a questo atteggiamento scherzoso, è il volgare popolaresco, ricco di elementi dialettali.

LE SCIENZE NATURALI
L'influenza che l'Umanesimo esercitò sulle scienze umane (humanae litterae) revisionò totalmente l'impatto con la letteratura, le arti, alcune branche della filosofia come l'etica e l'estetica dai precedenti medievali. Eppure una simile innovazione non convolse altrettanto tempestivamente le scienze naturali. Fisica, biologia, cosmologia e medicina sembrano risentire in minor misura la curiosità dei dotti. Il rapporto con la natura è prevalentemente cercato non con l'obbiettività dell'indagine scientifica, ma in una prospettiva secondo la quale i fenomeni sono degni di attenzione solo se funzionali al destino dell'uomo; sotto questo aspetto si può intuire il maggiore interesse per la magia e per l'astrologia, o perchè la ricerca anatomica fosse sottovalutata a fini meramente scentifici ma accettata e ammirata in rapporto alla scultura e pittura. A causa di questo atteggiamento si può forse addurre il comportamento in primo luogo di Petrarca, autore di diverse invettive contro medici e studiosi di scenze naturali. Imitando il padre dell'Umanesimo si venne radicando il convincimento che la sola cultura degna sia quella retorico-letteraria e in seconda istanza quella delle arti figurative. Solo geni ''controcorrente'' come Leonardo da Vinci o Cristoforo Colombo nutrirono un vivo interesse per queste discipline, che solo in pieno Rinascimento cinquecentesco, quando le attenzioni si sposteranno dai fini alle cause di eventi e fenomeni, avranno uno straordinario sviluppo.

BIBLIOGRAFIA
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terza edizione 1973 (ristampa 1976)
Unione Tipografico-Editrice Torinese
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Dal Testo Alla Storia Dalla Storia Al Testo
diretto da Gigi Livio
prima edizione 1993 (ristampa 1994)
Paravia, Torino
volume primo, pagine 960/992 (Guido Baldi)

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