Trachinie

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Testo

SOFOCLE

TRACHINIE
ERACLE

VITA
La notizia antica che vuole far coincidere momenti significativi della vita dei tre grandi tragici con il giorno decisivo per la libertà dei Greci dalle mire persiane, quello della battaglia di Salamina, vuole che Sofocle, giovane efebo, guidasse la danza per la vittoria. Con ciò concorda l’accurata educazione, con particolare riguardo per la ginnastica e la musica, che egli ricevette grazie anche alla ricchezza del padre Sobillo, appartenente al ceto agiato, per via di un’officina di armaiolo con parecchi schiavi.
L’indicazione del Marmor Parium, che dà il 497/6 come anno della nascita di Sofocle, appare la più probabile e, con una certa esattezza, si può stabilire anche l’anno della morte del longevo poeta: la Vita di Euripide narra, infatti, che, alla morte di questi, nel 406, Sofocle impose al coro e agli attori che recitavano le sue tragedie nelle Dionisie di vestire gli abiti di lutto e non portare la corona. Già l’anno dopo, nel 405, quando Aristofane presentò le Rane alle Lenee, a lui si accenna come nel regno dei morti.
Nel corso dei novant’anni della sua vita Sofocle, nato nel demo cittadino di Colono Agoraios, non fu solo un tragico di successo con le sue numerose vittorie (almeno diciotto contro le tredici di Eschilo e le cinque di Euripide), ma ricoprì anche cariche importanti per la vita della polis. Nel 443 fu eletto ellenotamio, cioè amministratore del tesoro della confederazione attica, e insieme presidente del collegio dei dieci ellenotami. L’anno successivo, nel 442, egli faceva rappresentare la più antica delle sette tragedie che ci sono rimaste, L’Antigone, risultando vincitore. Ancora l’anno seguente, nel 441/40, fu eletto stratego insieme a Pericle e fu perciò impegnato nella spedizione punitiva contro Samo, che in quell’anno si era ribellata ad Atene, alla guida di una flottiglia di navi che fu inviata a Chio e a Lesbo per ottenere rinforzi. Sulla sua scarsa abilità di stratego il poeta stesso scherzava, secondo l’interessante aneddoto che lo ritrae in una scena conviviale, conservatoci da Ateneo insieme ad un ampio brano tratto da un libro di memorie del tragediografo contemporaneo Ione di Chio, che proprio in quell’occasione ebbe a conoscerlo.
L’amabilità di Sofocle, il fascino della sua personalità si evincono proprio dall’unanime consenso che egli ottenne fra i suoi contemporanei, persino fra i commediografi che, come Frinico e Aristofane, non risparmiavano a nessuno il loro scherno. E i dati della sua biografia concordano mirabilmente con la dexiotes, questa felicità di carattere cui da più parti si allude: ben più degli altri due grandi tragici seppe infatti farsi amare dai suoi concittadini, sì che non volle lasciare mai Atene.
All’amicizia con Pericle poi, si aggiunge quella con lo storico Erodono, cui egli indirizzò un’ode di saluto in occasione della partenza di questi per la nuova colonia di Turi, proprio nel 442, l’anno dell’Antigone. Meno sicura è una seconda tragedia, di cui parla la Vita, nel 428/7, ma è certo invece che, dopo la disfatta degli Ateniesi in Sicilia, egli partecipò al collegio dei dieci probuli che furono nominati nel settembre del 413 e prepararono il governo oligarchico dei Quattrocento, subentrato venti mesi più tardi: Sofocle lo disapprovava ma lo considerava inevitabile, come testimonia Aristotele nella Retorica.
Alcuni anni prima di quest’ultimo importante impegno politico, nel 417, se vogliamo prestare fede al racconto della Vita, Iofonte, figlio del poeta e di Nicostrata e anch’egli poeta tragico, avrebbe presentato un reclamo alla fratria accusando Sofocle di demenza senile, per gelosia dell’affetto che il padre nutriva nei confronti di Sofocle il giovane, suo nipote illegittimo. Padre di questi era infatti Aristone, nato dalla relazione che Sofocle ebbe con l’etera Teorie di Sicione.
La vittoria ottenuta nel 409 col Filottete, a ottantotto anni, è l’ultima notizia sicura che lo riguarda, mentre leggende e invenzioni fiorirono sia sul modo della morte che sulle onoranze funebri che gli sarebbero state tributate mentre Atene era assediata dagli Spartani (il che avveniva in realtà circa un anno dopo la sua scomparsa, nell’autunno del 405). Il culto eroico che egli ottenne, col nome di Dexion, va poi collegato a speciali ragioni religiose: l’accoglienza data nella sua casa alla statua di Asclepio allorché, in occasione dei Grandi Misteri del 420, il dio fu solennemente trasportato da Epidauro ad Atene.
Solo sette tragedie ci sono state conservate dalla tradizione medioevale sui 123 drammi riconosciuti autentici da Aristofane di Bisanzio: un’ampia parte del dramma satiresco Ichneutai (i cercatori di tracce) ci viene poi da un papiro scoperto nel 1912. Oltre all’Antigone e al Filottete, solo dell’Edipo a Colono si conosce esattamente la data di rappresentazione (nel 401, postumo, a cura del nipote Sofocle il giovane).

ELENCO DEI PERSONAGGI.
DEIANIRA
NUTRICE
ILLO
CORO DI DONNE TRACHINIE
NUNZIO
LICA
ERACLE
VECCHIO
LA SCENA
A Trachis, in Tessaglia, dinanzi alla reggia di Ceice, di cui la famiglia di Eracle è ospite. Dalla porta del palazzo esce Deianira.
TRAMA
Deianira, la moglie di Eracle apre la tragedia citando uno dei detti più popolari della filosofia proverbiale greca attribuito in età classica a Solone e che afferma che di nessun mortale si può conoscere la vita, se è lieta o infelice, prima che egli muoia, per porre l’esempio della sua vita come eccezione alla regola, perché è consapevole che la sua esistenza è sventurata e penosa. Infatti narra che da ragazza quando abitava presso la casa del padre, Eneo, fu chiesta in sposa dal fiume Acheloo, che si era presentato in tre forme diverse ad Eneo per chiedere la sua mano. Lei avrebbe preferito morire piuttosto che sposare quell’essere. Successivamente giunse Eracle che sconfisse Acheloo, la liberò e la sposò. Ma anche questo matrimonio si era rivelato infelice poiché la donna trascorreva il tempo assalita dalla paura, tormentandosi per lui che non era mai a casa e non aveva mai occasione di vedere i figli, tra l’altro non sapeva neanche dove si trovava in quel momento.
Esce dalla reggia la nutrice.
La vecchia nutrice si rivolge a Deianira e ricorda di averla vista spesso piangere per la lontananza di Eracle e la rimprovera per non aver mai pensato di mandare uno dei suoi numerosi figli alla ricerca del padre, quindi le consiglia di affidare l’incarico ad Illo che in quel momento stava arrivando con passo spedito.
Entra Illo.
Deianira si rivolge al figlio affermando che per lui era una vergogna non cercare notizie sul padre, lontano da tanto tempo. Illo prontamente risponde che gli erano giunte voci sul conto del padre e alla richiesta di maggiori informazioni da parte della madre racconta che Eracle era stato al servizio di una donna Lidia e che in quel momento, dopo essersi liberato da quella schiavitù combatteva una guerra contro la città di Eurito. Deianira ricorda che il marito le aveva rivelato oracoli riguardo a quell’impresa, infatti dopo quella avrebbe dovuto giungere al termine della vita o avere per il resto dei suoi giorni una vita serena, la donna esorta quindi il figlio ad accorrere in aiuto del padre che si trovava in una situazione precaria. Illo acconsente e assicura alla madre che se fosse stato a conoscenza precedentemente del contenuto di quegli oracoli già da tempo sarebbe accorso in aiuto del padre, allora Deianira lo saluta.
Illo si allontana. La nutrice rientra nel palazzo. Fa il suo ingresso il coro, formato da fanciulle di Trachis.
Le fanciulle invocano il sole affinché riveli dove si trova Eracle e descrive il dolore di Deianira che nel suo letto vuoto si tormentava ogni giorno, inoltre esorta la donna ad avere speranza nel ritorno del marito, che essendo figlio di Zeus sarebbe stato sicuramente aiutato dal padre. Deianira si rivolge al coro e tristemente afferma che il suo animo era veramente straziato, ma che il coro non avrebbe mai potuto immaginare quanto e che solo una donna sposata che non smette di trepidare per il marito l’avrebbe potuta capire. Ricorda che Eracle prima dell’ultima impresa le aveva lasciato una tavoletta con dei segni che, quando era partito per le altre imprese non le aveva mai spiegato il significato, si decise ad interpretare per la moglie, come se fosse sicuro di morire, assegnò l’eredità ai figli e fissò una data, entro tre mesi sarebbe morto o avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni senza affanni.
Questo era appunto il destino di Eracle in seguito al compimento delle dodici fatiche. Deianira ammette le sue paure riguardo al destino del marito e che non riesce a dormire la notte per questo.
La corifea la esorta a non pronunciare parole di cattivo auspicio e le fa notare che un uomo si avvicina alla reggia.
Entra il nunzio, un vecchio abitante di Trachis.
Il nunzio annuncia che Eracle è vivo e vincitore. Deianira chiede al vecchio da chi aveva appreso quello che diceva, lui risponde di aver sentito un servitore di Eracle, Lica, che rendeva noto quello che le aveva appena detto e che Eracle non era ancora arrivato perché trattenuto dal popolo della Malide che lo interrogava e lo pressava perché voleva sapere quello che gli stava a cuore. Deianira dopo aver udito le parole del nunzio ringrazia Zeus ed esorta il coro a gioire con lei.
Il coro intona l’IIIIIIIòç, il grido rituale di gioia ed estende la situazione di attesa di Deianira alle donne che la circondano ed alla casa stessa, ringrazia Apollo, esorta Artemide le ninfe e invita Deianira a guardare lo spettacolo che si offriva ai suoi occhi.
Entra Lica che accompagna una schiera di prigioniere, tra cui Jole.
Deianira assicura al coro di aver notato il corteo e saluta Lica chiedendogli notizie del marito. Il servo comunica che Eracle era vivo e che si trovava sul promontorio dell’Eubea dove stava offrendo sacrifici a Zeus Ceneo per sciogliere un voto che aveva fatto quando aveva saccheggiato la terra delle donne prigioniere che si trovavano al suo cospetto. Deianira vuole chiarimenti sull’identità delle donne e Lica risponde che quelle erano le donne che Eracle, dopo aver distrutto la città di Eurito, aveva riservato come preda per se e per gli dei, inoltre che Eracle era rimasto così tanto lontano perché prima di intraprendere quella guerra era stato trattenuto in Lidia e venduto come schiavo ad una donna del posto, trascorse un anno presso di lei e fu talmente offeso di quella situazione che si ripromise di ridurre in schiavitù il responsabile di quella sventura. Infatti quando tornò libero radunò un esercito e marciò contro la città di Eurito che era stato causa dell’ira di Zeus verso Eracle e che aveva portato il dio a far vendere il figlio come schiavo.
Deianira è molto felice di apprendere le gesta del marito e manifesta la sua pietà verso le prigioniere, vaganti in terra, senza più casa e senza più famiglia, prima figlie di uomini liberi e poi schiave, poi implora Zeus che questo non accada ai suoi figli e che se proprio debba accadere, che non accada quando lei è ancora in vita perché né soffrirebbe immensamente, guarda Iole e chiede a Lica chi fosse quella fanciulla, egli risponde che non conosceva il nome né la provenienza, così Deianira si rivolge direttamente alla ragazza che non proferisce parola, Lica aggiunge che durante il viaggio era rimasta tacita e che aveva pianto tutto il tempo. Deianira ordina che la fanciulla sia lasciata tranquilla e che non le fossero arrecate sofferenze più di quelle che aveva già subito e consiglia a tutti di entrare in casa.
Lica e le prigioniere entrano nel palazzo. Deianira fa per seguirli, ma è trattenuta dal nunzio.
Il nunzio rivela e Deianira che lui era perfettamente a conoscenza di chi fossero quelle donne e che Lica aveva raccontato solamente bugie, perché lui lo aveva sentito raccontare che a causa della fanciulla a cui la padrona si era rivolta che Eracle aveva ucciso Eurito e che solo Eros tra gli dei lo aveva ammaliato e spinto alla guerra. La verità era stata celata da Lica ed era quella che Eracle, non essendo riuscito a persuadere il padre a concedergli la figlia come concubina, colse un pretesto per muovere guerra contro di lui, uccidendolo e devastando la città. Deianira capisce che aveva accolto la rovina sotto il suo tetto ed il nunzio le rivela che quella era appunto la figlia di Eurito e si chiamava Iole, la donna parla con il coro e decide di interrogare Lica e di costringerlo a rispondere.
Lica esce dal palazzo.
Il servo chiede a Deianira se doveva riferire qualcosa ad Eracle poiché stava partendo, ma lei è intenzionata a riprendere il discorso che stavano affrontando prima, ovvero sull’identità della giovane schiava, il nunzio interviene affermando di aver sentito Lica annunciare che quella era la figlia di Eurito , ma egli nega tutto dicendo che lo aveva solamente sentito dire e chiede alla padrona che il nunzio venga allontanato dalla reggia. Deianira allora irritata invita Lica a non nascondere la verità e afferma che capisce come Eracle, mosso da Eros, possa essersi innamorato di un’altra donna e lo esorta nuovamente, insieme alla corifea, a dire la verità.
Lica allora decide di rivelare tutto quanto alla sua padrona e afferma che il nunzio aveva ragione e che non aveva mentito per ordine di Eracle ma perché aveva timore di addolorare la padrona con quei discorsi e la prega di non cambiare atteggiamento nei confronti di Iole e lei acconsente.
Deianira e Lica entrano nella reggia.
Il coro parla della forza di Afrodite, famosa per conseguire sempre vittorie e di come nella lotta tra Acheloo ed Eracle per la mano di Deianira, lei era stata l’unica arbitra della lotta, mentre Deianira guardava ansiosa, attendendo il suo futuro sposo.
Deianira esce dalla reggia tenendo fra le mani un cofanetto chiuso.
La donna si rivolge al coro manifestando la sua tristezza nell’ospitare in casa una donna che come lei attendeva Eracle, perché era come avere il marito in comune con la differenza che Iole era nel pieno della sua giovinezza mentre lei no più e temeva che Eracle al suo ritorno sarebbe stato per lei uno sposo solo di nome e avrebbe dedicato tutto il suo tempo alla giovane. A questo punto la donna afferma di aver trovato un rimedio, infatti da tempo conservava un dono fattole da Nesso morente, dopo che era stato colpito a morte da Eracle perché stava cercando di abusare di lei, il centauro infatti in punto di morte le consigliò di raccogliere il suo sangue, perché era un potente filtro d’amore che avrebbe costretto Eracle ad amare solo lei. Deianira ammette di aver conservato il dono e di aver intinto con il sangue una tunica e chiede alla corifea se il suo progetto era irragionevole, la corifea la appoggia e la invita ad agire.
Lica esce dalla reggia.
Il servo chiede alla sua padrona di dargli le sue disposizioni, Deianira senza esitare gli affida la tunica in dono per Eracle e gli raccomanda che nell’atto di consegnarglielo dovrà avvertirlo che nessun mortale prima di lui lo dovrà indossare sulla pelle, perché aveva fatto il voto che se avesse visto tornare il marito sano e salvo o se ne avesse avuto notizia sicura, lo avrebbe dovuto vestire con quella tunica e mostrarlo agli dei.
Lica assicura che porterà a termine il compito che le aveva affidato e lei soddisfatta lo congeda.
Lica si allontana e Deianira entra nel palazzo.
Il coro canta felice il ritorno di Eracle che era stato atteso per dodici lunghi mesi, senza che nessuno ne avesse più notizia, soprattutto dalla sua sposa che infelice consumava il suo cuore con pianti interminabili. Le fanciulle si augurano che l’eroe torni presto e che il balsamo della seduzione del centauro gli abbia pervaso le membra.
Deianira esce dal palazzo.
L’infelice manifesta la sua preoccupazione per il dono che aveva mandato ad Eracle e la sua intenzione di raccontare tutto al marito, la sua inquietudine era dovuta al fatto che il bioccolo di lana reciso ad una pecora con cui aveva intinto la tunica si era autodistrutto quando era stato esposto ai raggi solari. Ragionando capisce che era stata raggirata da centauro che aveva intenzione di annientare colui che lo aveva colpito e ricorda che Nesso era stato colpito da una di quelle frecce che avevano causato molti tormenti persino a Chirone e si mostra sicura che il sangue del centauro mescolato al veleno delle frecce possa uccidere Eracle, la corifea le consiglia di tacere poiché stava arrivando il figlio Illo.
Entra Illo.
Il giovane è adirato nei confronti della madre e l’accusa di aver ucciso il marito, Deianira si mostra stupita e afferma di essere incapace di compiere un gesto così orrendo, ma Illo sostiene di aver visto con i suoi occhi la grave sciagura del padre e racconta che lo aveva raggiunto mentre stava allestendo dei sacrifici per ringraziare gli dei e che subito dopo di lui giunse Lica recando con sé il dono mortale della madre. Egli indossò la tunica e cominciò ad immolare dodici tori, ma quando accese il fuoco, cominciò a sudare e la tunica gli si avvinghiò ai fianchi, aderendo strettamente alle membra e fu assalito da spasmi lancinanti che gli penetravano nelle ossa. Infuriato chiamò Lica che gli rivelò che la tunica era un dono di Deianira, sentito questo Eracle fu preso da un altro spasmo, afferrò Lica e lo scagliò contro un masso, poi chiamò Illo e lo pregò di deporlo in un luogo dove nessun mortale avrebbe potuto vederlo ed Illo prontamente lo mise in una barca con l’intenzione di portarlo alla reggia per mostrare alla madre il suo orrendo delitto e le augura che le Erinni la puniscano.
Deianira fugge in casa.
La corifea la ferma e le consiglia di non andarsene in silenzio perché comportandosi in quel modo dava ragione a chi l’accusava, ma Illo non ha intenzione di ascoltare le sue parole e si augura di non vederla mai più e si allontana.
Il coro riconosce che la profezia di cui aveva parlato Deianira si era compiuta e che Eracle era caduto vittima dell’insidia del centauro, logorato dal veleno dell’Idra, inoltre le donne descrivono la sofferenza di Deianira che ignara aveva ucciso il marito. A questo punto si ode un lamento levarsi dalla casa e la vecchia nutrice si avvia verso il coro.
Esce dalla reggia la nutrice.
La vecchia annuncia che Deianira è morta, infatti dopo aver visto Illo che preparava il necessario per ritornare incontro al padre, si era distesa sul letto, aveva aperto il vestito su un fianco e si era pugnalata.
La nutrice rientra nella reggia.
Il coro è indeciso se piangere prima la morte di Deianira che era avvenuta sotto i loro occhi o quella del valoroso figlio di Zeus.
Entrano un vecchio e alcuni servi che portano Eracle assopito su una barella. Esce dalla reggia Illo.
Il ragazzo vede il padre e comincia a piangere la sua morte ma il vecchio gli dice che Eracle era ancora vivo e che stava dormendo, l’eroe si sveglia e inizia a maledire Deianira, grida e strepita dal dolore, poi sente la voce di Illo e lo cerca, quando lo vede esprime il desiderio di vedere Deianira soffrire le stesse pene.
La corifea rabbrividisce a sentire il tormento dell’eroe, Eracle continua a lamentarsi, dicendo che non aveva mai sofferto tante pene quanto quelle che gli provocava Deianira e esorta il figlio a punire la madre scellerata. Illo decide di spiegare al padre il malinteso di cui era stato vittima e che la madre non aveva colpa di quello che gli era accaduto, perché credendo di applicargli un filtro d’amore datole da Nesso morente lo aveva involontariamente ferito a morte. Inoltre gli rende noto che la donna si era appena suicidata. Quando Eracle sente il nome di Nesso capisce che non avrà speranza di salvezza e che la profezia, in base al quale sarebbe morto per mano di una persona non viva, si era avverata. Ormai rassegnato obbliga il figlio a giurare che lo avrebbe portato sulla più alta vetta dell’Eta, che vi avrebbe appiccato un fuoco e steso sopra il corpo del padre. Illo sebbene riluttante decide che esaudirà il desiderio del padre, Eracle inoltre gli raccomanda di prendere in moglie Iole, la figlia di Eurito, stavolta Illo manifesta maggiormente la sua disapprovazione perché considerava la fanciulla la causa della rovina della sua famiglia, ma il padre gli ricorda che aveva giurato e che se non porterà a compimento i suoi ordini verrà colpito dalla maledizione, il figlio allora accetta e ordina agli schiavi di iniziare a sollevare la lettiga dove stava Eracle, la corifea esorta Iole a rimanere lì e la rassicura dicendole che non c’era nulla, in quello che era accaduto che Zeus non avesse voluto.
PERSONAGGI
ERACLE
Il più grande eroe dei Greci. Figlio di Zeus e di Alcmena, nato a Tebe. Zeus si lasciò sfuggire che quel giorno sarebbe nato un uomo che avrebbe dominato sopra tutta la sua stirpe. Era, irritata di ciò, fece in modo che in quel giorno, invece di Ercole, nascesse Euristeo. In seguito nacquero a un parto Eracle, figlio di Zeus, e Ificle, figlio di Anfitrione. Era, per odio di Eracle, mandò due serpenti per uccidere i due bambini nella culla, ma Eracle, bambino com'era, li strozzò. Anfitrione gli insegnò a guidare il cocchio, Castore lo esercitò nelle armi, Autolico nella lotta, Eurito nel tiro con l'arco, Eumolpo nella musica, Chirone nelle scienze. Durante le lezioni, con la lira uccise Eumolpo, per cui Anfitrione, spaventato dalla sua forza lo mandò a pascolare il gregge sul Citerone, dove uccise un leone. Con la pelle del leone si fece il suo vestito. Un giorno che l'eroe sedeva in un luogo solitario, incerto sulla via da prendere, gli si presentarono due donne di aspetto venerando: una di esse, la Mollezza, gli dipinse una vita piena di piaceri; l'altra, la Virtù, una vita piena di fatiche che conduceva alla gloria. Ercole scelse quest'ultima. All'età di 18 anni tornò a Tebe, ma per la strada incontrò i messi di Ergino che andavano a riscuotere il tributo annuo di 100 buoi, Eracle tagliò loro il naso e le orecchie e li mise in fuga liberando così Tebe da un ignominioso tributo. Creonte, re di Tebe, per riconoscenza gli diede in moglie la figlia Megara. Subito dopo Euristeo, re di Tirinto e di Micene, lo chiamò a suo servizio. L'oracolo gli impose di obbedire. Sotto gli ordini di Euristeo, Eracle compi le 12 famose fatiche:
1. La lotta col leone di Nemea che era invulnerabile e che Eracle strozzò con le sue mani.
2. L'uccisione dell'Idra di Lerna, mostro con nove teste, di cui una immortale. Eracle tagliò le teste, ma ad ognuna che ne tagliava, ne ricrescevano due, per cui egli prese un tizzone ardente e con quello bruciò i colli mozzati, e sulla testa immortale gettò un enorme sasso, col sangue velenoso dell'idra tinse le punte delle sue frecce, che pertanto causavano ferite inguaribili.
3. La cattura del cinghiale di Erimanto, che devastava l'Arcadia, mentre era a questa impresa, fu assalito dai Centauri, che egli sconfisse, ferendo tra gli altri Chirone, a cui fece una piaga insanabile.
4. La cattura della cerva di Cerinea, sacra ad Artemide.
5. La cacciata degli uccelli Stinfalidi.
6. La presa del cinto di Ippolita, regina delle Amazzoni, che Eracle conquistò dopo una lotta furiosa. Al ritorno uccise presso Troia un mostro a cui era stata esposta Esione, la figlia del re Laomedonte, ma poiché costui non mantenne la promessa di regalargli in compenso i cavalli avuti da Zeus, Eracle partì minacciandogli guerra.
7. La pulizia delle stalle di Augia, che effettuò in un solo giorno, deviando il corso di un fiume che fece passare per le stalle. Augia non mantenne la promessa di dargli in dono la decima parte dei suoi armenti, per cui Eracle tornò con un esercito, e devastato il territorio di Augia, uccise il re stesso con i figli, dopo di ché istituì i giochi olimpici.
8. La cattura del toro di Creta, che Poseidone aveva reso furioso per punire Minosse di un sacrificio mancato.
9. La cattura delle cavalle di Diomede.
10. La cattura dei buoi di Gerione. Passando per l'Italia al ritorno, si fermò da Pallante, dove il celebre ladrone Caco gli rubò l'armento. Eracle trovò il ladro e l'uccise. Combatté poi col gigante Anteo e l'uccise.
11. La raccolta dei pomi d'oro delle Esperidi, che le Speridi stesse e il drago Ladone custodivano nel remoto occidente, in un giardino. Eracle mandò Atlante a prenderli, mentre egli sostenne al suo posto il peso del cielo.
12. La cattura di cerbero, guardiano dell'Erebo, che Eracle incatenò e portò ad Euristeo e poi ricondusse nell'Erebo.
Compiute le 12 fatiche Eracle fu liberato dalla servitù e si recò in Tessaglia per domandare al re Eurito in sposa la figlia Iole. Ma poiché Eurito gli negò la figlia, avendo egli in un eccesso di furore ucciso Ifito, figlio di Eurito, l'oracolo di Delfi impose all'eroe di servire per tre anni Onfale, figlia di Iardano, regina della Lidia, che lo mise a filare tra le sue ancelle. Ma anche vestito da donna compì molte imprese valorose, tra cui la cattura dei Cecropi, folletti giocosi e furbissimi. Liberato dalla servitù di Onfale, si recò a Troia per vendicarsi di Laomedonte, che uccise con tutti i figli, eccetto Podarce che fu da allora in poi chiamato Priamo. Eracle tornò poi in Grecia, dove distrusse la schiatta di Neleo, eccettuato Nestore. Sposò poi Deianira, figlia di Eneo. Nel viaggio di ritorno uccise il centauro Nesso che voleva far violenza a Deianira. Nesso, morendo, diede a Deianira il suo sangue, dando a credere alla donna che esso costituisse un potente filtro d'amore. Eracle fece poi una spedizione punitiva contro Eurito e l'uccise, portando con sé Iole. Deianira, temendo che Eracle si innamorasse di Iole, per assicurarsi del suo amore gli fece indossare la tunica intrisa col veleno di Nesso. Appena Eracle se l'ebbe messa, si sentì il corpo infiammato e corroso dal veleno, preso perciò dal furore, scagliò Lica, che gli aveva portato la tunica, nel mare dove il poveretto fu mutato in scoglio. Eracle si fece portare a Trachis, e dopo aver fatto sposare Iole a suo figlio Illo, si recò sull'Eta, e innalzata una pira, vi diede fuoco e vi salì sopra. Si narra che Zeus allora tra un fragore di fulmini portò Eracle in una nube tra l'Olimpo. Eracle divenne così immortale, e riconciliatosi poi con Era, visse in cielo eternamente giovane, e sposò Ebe, da cui ebbe due figli: Alessiare e Aniceto.
Eracle è un personaggio chiave nella mitologia greca, è il grande eroe, realizzatore delle imprese più grandi e famose del mito greco, ma nelle Trachinie, arriva in scena solamente per morire. L’unico progetto che ancora gli resta, quello di vendicarsi di Deianira, si rivela non fondato (infatti Deianira ha agito senza sapere che il dono avrebbe provocato la morte di Eracle) e in ogni caso impossibile da realizzarsi dal momento che Deianira è già morta, il grande realizzatore, non ha quindi più nulla da compiere. Il modo stesso come egli arriva nella scena dà già fin dall’inizio del suo apparire il senso dell’impotenza del grande eroe. Ciò che di più significativo succede sulla scena è il rendersi conto, il pervenire alla consapevolezza da parte del protagonista, che si manifesta con il grido che erompe dalla bocca di Eracle quando egli apprende che all’origine di tutto si pone il centauro Nesso. Significativa è anche la preoccupazione per ciò che riguarda il futuro, infatti ordina ad Illo di sposare Iole, proprio colei che si pone all’origine della sventura che aveva colpito sia la madre Deianira che il padre stesso, quest’ordine non corrisponde all’esigenza di garantire la continuazione della casa e della famiglia, ma va interpretato come un cercare, da parte di Eracle, nell’imminenza della morte, di sistemare le sue poche cose, e affida la giovane donna che tanto amava all’unica persona su cui può contare.
DEIANIRA.
Figlia di Eneo, re di Calidone, sposa di Eracle, che per ottenere la sua mano aveva dovuto combattere il dio fluviale Acheloo. Poco dopo il matrimonio, durante un viaggio in Tessaglia gli sposi arrivarono davanti ad un fiume in piena. Deianira esitò ad attraversarlo. Se fosse riuscito a portarla sulle spalle, Eracle avrebbe potuto attraversare il fiume a nuoto senza nessuna difficoltà. Mentre rifletteva, Deianira vide avvicinarsi un centauro. Questi dichiarò di chiamarsi Nesso e garantì che con lui Deianira avrebbe attraversato le acque senza pericolo alcuno, perché egli era il traghettatore del fiume. Eracle accettò ma appena compiuta la traversata, Nesso afferrò Deianira e la portò via al galoppo. Eracle sentì le sue grida e, preso l’arco, colpì Nesso con una freccia in pieno cuore.
Il centauro capì che era giunta la sua ultima ora e disse a Deianira, ancora tremante, che egli conosceva il modo per assicurarle sempre l’amore del marito, raccogliendo il sangue che sgorgava dalla sua ferita. Mentre Eracle le veniva incontro, Deianira seguì i consigli del centauro e si affrettò a riempire di sangue una piccola ampolla che portava con se. Nesso le dichiarò che mescolando quel sangue con olio profumato e cospargendo di quel filtro magico la veste di Eracle, questi non avrebbe più guardato nessuna donna. Nesso morì, e i due sposi proseguirono il viaggio. Temendo che Iole, rapisse il cuore del marito, Deianira diede ad Eracle una veste cosparsa col sangue di Nesso. Ma il centauro era stato ucciso dalle frecce di Eracle, immerse nel sangue dell’Idra di Lerna, che causano all’eroe infinite sofferenze. Resasi conto del fatale errore, Deianira si uccide. Deianira è la protagonista delle Trachinie ed esprime pienamente la cultura razionalistica del V secolo a.C. In essa possiamo riscontrare qualità tipicamente femminili, che si differenziano dai comportamenti maschili ed arroganti della Clitemnestra di Eschilo, Deianira infatti è una donna timida, quando il figlio la accusa di aver ucciso il padre lei non proferisce nemmeno una parola in sua difesa, buona, accoglie Iole in casa anche dopo aver saputo che era la concubina di Eracle, rassegnata, quando viene a sapere che Eracle si è invaghito di Iole non accenna un gesto d’ira ma addirittura giustifica il marito, malinconica e triste, quando il coro racconta che aveva trascorso i dodici mesi in cui Eracle era via nel letto a piangere, ma anche a tratti ingenua ed impulsiva come una bambina, quando si fida del centauro e prepara inconsapevolmente il veleno che ucciderà Eracle, oltre alla sua passività di donna e alla sua raffinata sensibilità, nelle Trachinie si nota il fatto che il suo solo mondo è la casa, secondo un modello di vita stabile e quieta.
CORO
IL coro è formato dalle fanciulle di Trachis, si divide in due semicori e in una corifea, la corifea ed il coro in generale parlano spesso con Deianira e ne condividono le idee, si può notare che i caratteri delle donne sono molto simili, anche le donne del coro sono ingenue e non sospettano l’inganno che si cela dietro la pozione del centauro, nutrono molto affetto nei confronti di Deianira che hanno visto soffrire per dodici mesi per la mancanza del marito e sono felici quando viene annunciato il suo ritorno, soffrono molto sia per la morte di Deianira che per le sofferenze di Eracle. Il coro in Sofocle assume un ruolo marginale rispetto a quello di Eschilo, infatti non è determinate nelle sue azioni ma esprime solo pareri che tra l’altro non contrastano quelli di Deianira, non permettendole di capire i suoi errori.
ILLO
Illo è il figlio di Eracle e Deianira. Egli ha un grande rispetto per i genitori, ma quando crede che Deianira abbia ucciso il padre si sente tradito e scaglia contro di lei parole ferocissime, rinnegandola come madre e causandole un dolore talmente forte che la donna si uccide. Quando viene a sapere la verità riconosce il fatto che la madre non aveva nessuna colpa e ne convince l’adorato padre in fin di vita. Gli elementi che lo caratterizzano sono il sentimento nei confronti del padre che venera e adora, infatti non ha il coraggio di buttarlo nel fuoco e il forte senso di giustizia che manifesta con l’intenzione di non sposare Iole che ritiene la causa della rovina della famiglia, anche se poi acconsentirà, vinto dai suoi sentimenti verso il padre.
LICA
Lica è l’araldo di Eracle, che lo ha seguito nelle sue imprese, e quando Eracle sta per tornare lo manda ad annunciare la sua vittoria a Deianira, inizialmente cela a Deianira la verità sull’identità di Iole e sul motivo per cui Eracle aveva mosso guerra ad Eurito, ma poi smascherato dal nunzio, rivela che aveva mentito per non far soffrire Deianira e quindi per rispetto nei confronti della padrone. Egli muore ucciso da Eracle dopo avergli portato la veste avvelenata.
IOLE
Iole è la figlia di Eurito, bella e giovane, senza averne colpa è causa di rovina della sua famiglia e di quella di Eracle, lei né è consapevole e trascorre il tempo piangendo, appare più volte nella tragedia ma non proferisce parola.
NUNZIO
Il Nunzio è un fedele servo di Deianira, è il primo a portare la notizia della vittoria di Eracle e smaschera Lica quando mente a Deianira sull’identità di Iole, la donna infatti ha piena fiducia in lui e crede a tutte le sue parole.
NUTRICE
La nutrice è molto affezionata a Deianira e si preoccupa spesso per la sua sorte e le da consigli molto utili, è lei che trova la regina morta nel suo letto.

COMMENTO
Nell’Atene periclea la produzione artistica rimane ancorata ad un progetto di perfezione armonica in cui si immortalava un passato vicino come pegno di un lungo futuro. Sofocle è uno degli esemplari caratteristici di questo fulgore formale. Egli è maestro della parola poetica per l’eleganza quasi naturale dell’espressione, la fantasia delle immagini, il nitore e la concentrazione con cui il pensiero si tramuta in linguaggio. Alla conquista di uno stile che è in eguale misura partecipe di nobiltà e naturalezza, Sofocle appare consapevole che la libertà non ha senso nell’assoluto, bensì in una scelta che contemperi i valori individuali e le regole generali. A questa convinzione egli conformò la sua vita, che fu felice, sia la sua arte che appare fissata in una sorta di inalterabile perfezione a cui sono ignoti il travaglio e l’errore. Questo fatto propone peraltro il problema di come potesse accadere che le tenebre e lo sgomento del mondo concettuale espresso nelle sue tragedie non incrinassero la limpida serenità che appartiene tanto alla sua biografia quanto alla dimensione formale della sua poesia. Una prima sommaria risposta a questo problema è che Sofocle mirasse ad esorcizzare attraverso l’armonia della forma artistica le contraddizioni e le fratture della realtà. Ma la risposta più appropriata è quella che Sofocle, al pari dei suoi contemporanei, sentiva come il mondo fosse percorso e dominato da forze incomprensibili e prevaricanti, da un mistero insondabile, ma che esso intendeva contrapporre un altro mondo, di cui centro fosse l’uomo. Misura esclusiva di questo mondo è la ragione, nella quale l’uomo definisce il proprio carattere e la propria dignità. Il canone della ragione è applicato ed esaltato nello stile di Sofocle, come nella struttura del Partendone o nella statuaria fidiaca. Esso illumina tutte le cose e pretende di comprendere in sé il tutto, isolando e annullando gli aspetti misteriosi, irrazionali, demoniaci dell’esistenza. Una sovrana padronanza tecnica metteva la materia della parola completamente nelle mani del poeta, la assoggettava alle sue intenzioni; e per uno sforzo della volontà, nel dominio della forma il poeta segnava la rivincita dell’uomo sulla desolazione della vita. Molte innovazioni tecniche sono attribuite a Sofocle dalla tradizione biografica. A parte il bastone ricurvo o i calzari bianchi per attori e coreuti, la Vita e Suida Parlano dell’aumento dei coreuti da dodici a quindici: il che comportava la possibilità che il corifeo, staccandosi dal coro, partecipasse più agevolmente al dialogo con gli attori e che il coro stesso si dividesse in due semicori guidati ciascuno da un parastates. Aristotele, nelle Poetica, gli attribuisce l’introduzione della scenografia e ricostruiva la storia della tragedia intorno al presupposto che Eschilo ne fu il creatore e Sofocle colui che portò il genere alla perfezione. Gli viene attribuita l’introduzione del terzo attore che era già stato utilizzato da Eschilo per influenza del poeta più giovane. Le Trachinie sono l’unica tragedia di Sofocle in cui il prologo non è in forma di dialogo, infatti consiste in un lungo monologo di Deianira. Reinhardt, nel Sophocles, sostiene che il tragediografo col contrapporre la morte di Eracle a quella di Deianira, ne ha fatto una tragedia della conoscenza nel senso della massima deifica “conosci te stesso” e, con ciò, egli si è allontanato dal senso della leggenda. Poiché secondo la leggenda, l’autoimmolazione sulla pira era solo il mezzo della sua partenza ed il tormento e vittoria finali erano l’inizio della sua elevazione agli dei. Le Trachinie infatti si concludono in modo triste, come erano iniziate. La deificazione rimane al di fuori del dramma senza avere nessuna connessione col destino umano che in esse è rappresentato. Easterling sostiene che l’uomo di fronte alla sua mortalità è già un grande tema della tragedia, ma le Trachinie non si concentrano esclusivamente su questo motivo. I fattori che lo complicano sono tipicamente umani: l’ignoranza (l’uomo non sa mai abbastanza per giudicare rettamente ed evitare di nuocersi) e la passione (egli agisce in modo da danneggiare sé e i suoi cari sotto l’influenza di forze irrazionali come l’eros). Più sono straordinari la sua forza ed il suo coraggio, più violenti è probabile che saranno gli effetti di queste forze irrazionali. Ma la tragedia non si limita al caso estremo. Non tutti possiamo avere inclinazione alla grandezza, ma possiamo tentare di esserlo. Contrapposta alla figura di Eracle è quella di Deianira, che cerca di essere saggia, sempre conscia della debolezza e della vulnerabilità umane. Ma la sua mancanza di conoscenza, complicata dall’eros, è tale da condurla ad un tragico errore e soffrire non diversamente da Eracle. Di Benedetto analizza il personaggio di Deianira ritenendo che in essa ci sia uno strato tradizionale, in relazione al suo essere legata alla casa, alla sua dedizione nei confronti di Eracle, al desiderio della buona reputazione. Su questo strato più antico Sofocle ha innestato una componente più moderna, nel senso di una ricezione di problematiche caratteristiche di una nuova cultura infatti con un’operazione estremamente audace sul personaggio della moglie devota e affettuosa ha innestato il personaggio che si pone problemi metodologici in relazione all’accertamento della verità. Senonché, da un parte questa nuova cultura viene messa rapidamente in crisi per l’impossibilità di individuare un criterio valido per valutare l’azione prima che essa sia compiuta, cosicché l’azione si risolve in un completo fallimento, e d’altra parte questa componente intellettualistica appare in Deianira fin dall’inizio inglobata nel contesto, ad essa estraneo, di paura e di infelicità.
La magnanimità degli eroi di Sofocle non vale a salvarli dal patimento: quanto essi sono grandi, altrettanto sono sventurati, perché questa è la necessità inerente alla loro natura di uomini, immersi in un mondo di contraddizioni insanabili, di conflitti con forze inevitabilmente tese a sconvolgerli. Di queste forze e di questa necessità sono simbolo gi dei, non soltanto come necessità drammaturgia, ma come segno i una convinzione che vede nel loro operare il principio della condanna umana. La tragedia Sofocle li descrive come i responsabili del male di esistere; e tuttavia questo non va considerato come una forma di ateismo, bensì come l’ammettere l’onnipotenza arbitraria degli dei, la rinuncia quindi a trovare una logica che valga a dare ragione all’esistenza degli uomini.

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