Stendhal

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

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Stendhal

Stendhal, pseudonimo di Henri Beyle, nasce a Grenoble nel 1783 da una famiglia borghese. Nel 1800 è aiutante di campo nelle armate napoleoniche d’Italia poi, fino al 1814, fa parte dell’amministrazione imperiale con funzioni anche militari. Alla caduta di Napoleone si ritira in Italia (che ha scelto come patria di elezione) e dove rimane sette anni, prevalentemente a Milano, interessandosi di musica e di pittura. Qui scrive Storia della pittura in Italia, e saggi su Haydn, Mozart, Metastasio. Sospettato di carbonarismo dalle autorità austriache, nel 1821 torna a Parigi dove si mantiene con articoli di critica d’arte e musicale e conduce vita mondana. Sono di questo periodo una biografia su Rossini, il trattato Considerazioni sull’amore e Racine e Shakespeare, in cui si schiera a favore della poetica romantica.
Nel 1827 pubblica il suo primo romanzo, Armance, seguito due anni dopo da Vanina Vanini, per giungere nel 1830 a Il Rosso e il nero, il capolavoro che inaugura la stagione del grande romanzo realista. Dopo la rivoluzione di quell’anno e l’avvento di Luigi Filippo, ottiene la nomina di console a Trieste, quindi a Civitavecchia in territorio pontificio. Nel 1834 inizia a scrivere il vasto romanzo Lucien Leuwen sulla società del tempo di Luigi Filippo, ma ne interrompe la stesura per mettere mano all’autobiografia anch’essa interrotta a sua volta nel 1836. Dal 1837 al 1839 si dedica a novelle ispirate a cronache italiane del rinascimento (tra cui I Cenci; La badessa di Castro) finché nel 1839 esce il suo secondo capolavoro La certosa di Parma. Nel 1841 torna a Parigi in congedo per ragioni di salute e muore improvvisamente l’anno dopo per un colpo apoplettico.

Opere principali
Storia della pittura in Italia (1817); Roma, Napoli, Firenze (1817); Considerazioni sull’amore (1822); Racine e Shakespeare (1823-25); Armance (1827); Passeggiate romane (1829); Vanina Vanini (1829); Il rosso e il nero (1830); Ricordi d’egotismo (1832); Vittoria Accoramboni (1837); I Cenci (1837); La duchessa di Palliano (1838); La badessa di Castro (1839); La certosa di Parma (1839); Vita di Henry Brulard (incompiuto, 1890); Lucien Leuwen (incompiuto, 1894).

La certosa di Parma
Nelle pagine consacrate a Waterloo, Stendhal ribalta tutta la tradizione del racconto storico ed eroico. La battaglia, campale per le sorti dell’Europa, è vista con gli occhi di una recluta, che affronta il fuoco per la prima volta e che non capisce niente di quanto sta succedendo.

(dal capitolo III)

«Dobbiamo però confessare che il nostro eroe era molto poco eroe, in quel frangente. Ma la paura passava in secondo piano: lo indignava soprattutto quello spaventoso rumore (nota 1), gli facevano male le orecchie. La scorta partì al galoppo; adesso stavano attraversando un grande campo coltivato, oltre il fossato: era tutto coperto di cadaveri. [...]
Di colpo partirono al galoppo. Un attimo dopo venti passi più avanti, Fabrizio vide un campo coltivato; la terra era smossa in maniera strana, i solchi erano pieni d’acqua e delle creste di terra umida schizzavano tanti piccoli frammenti neri che arrivavano fino a tre o quattro metri d’altezza. Fabrizio notò passando lo strano fenomeno, poi sentì un grido secco vicino a lui: due ussari erano caduti, colpiti dalle pallottole; quando si voltò per guardarli, era già lontano da loro una ventina di passi insieme alla scorta. Una cosa soprattutto gli fece orrore: era un cavallo sanguinante, che si dibatteva per terra con le zampe impigliate nelle budella; l’animale voleva seguire gli altri, e il sangue colava dal fianco.
- Ah, finalmente sono in mezzo alla battaglia - pensò - Ho visto sparare! - ripeteva soddisfatto - Adesso sì che sono davvero un militare.»

nota 1 Lo scoppio dei cannoni che in quel momento raddoppia di intensità.

La certosa di Parma
Il giovane Fabrizio del Dongo sogna l’amore e la gloria, ma soprattutto l’avventura che è sicuro di vivere unendosi all’armata imperiale di Napoleone. Giunto a Waterloo, assiste per caso, senza capirvi nulla alla battaglia. Tornato in Italia si stabilisce a Parma presso la zia, la duchessa Sanseverina, che nutre per lui una vera passione. Sospettato di simpatie liberali, ottiene dalla zia la protezione del primo ministro, conte Mosca, e diviene bersaglio dei nemici dell’uomo politico. Dopo aver ucciso in un duello l’attore Giletti, Fabrizio non riesce a fuggire e viene incarcerato nella torre Farnese. Dalla finestra del carcere vede spesso la figlia del governatore della fortezza, Clelia Conti, e se ne innamora. La Sanseverina organizza la sua evasione, poi induce il poeta Ferrante Palla ad avvelenare il principe di Parma per manovrare il suo successore innamorato di lei. Fabrizio può così tornare a Parma, dove diventa un predicatore alla moda: ritrova Clelia che gli dà un figlio, che muore insieme alla madre. Fabrizio si ritira allora nella certosa di Parma.

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