LA poesia relastico-giocosa.

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Testo

LA POESIA REALISTICO -GIOCOSA

Contemporaneamente e in opposizione allo “Stil novo” si afferma, sempre nell’area toscana, la corrente che si è convenuto chiamare “comico-realistica”. Il primo aggettivo allude al fatto che questa poesia è scritta in stile “comico”, come veniva allora chiamato lo stile umile in opposizione a quello elevato o “tragico”; il secondo propone una definizione, anche se approssimativa, del contenuto. All’idealismo “cortese” e stilnovistico, questa poesia contrappone, infatti, una rappresentazione del concreto, del quotidiano, che ne costituisce il rovesciamento. Infatti, i “topoi” più ricorrenti della poesia realistico-giocosa, antitetici all”’aristocratico sentire”, sono: l’amante e l’amore presentati nell’aspetto sensuale, l’imprecazione contro le donne vecchie e brutte, la celebrazione della ricchezza, l’esecrazione dell’odiata povertà, l’esaltazione del gioco, le lamentele contro la mutabilità della sorte, l’invettiva ingiuriosa contro i nemici personali, le caricature che riconducono alla piccola maldicenza municipale, l’esaltazione della vita gaudente e spensierata e, in genere, la rappresentazione di un ambiente grossolano e plebeo nel quale si svolge la vita dissipata degli scrittori.
Gli autori, tuttavia, non sono rozzi e incolti, e neppure schietti e immediati come vogliono apparire, ma seguono le norme di un “genere” codificato che risale alla poesia goliardica o a forme analoghe della poesia latina medievale. Ne è prova che si cimentano in questo tipo di poesia, sia pure saltuariamente, poeti come Guinizzelli, Cavalcanti, Dante.
Il “realismo “di questi scrittori va, pertanto, limitato, nel senso che prevale in loro un gusto giocoso, caricaturale o parodistico che li porta ad una rappresentazione della realtà e dei rapporti umani limitata e, in genere, povera di rilievo sul piano conoscitivo e morale. Tuttavia la loro produzione è interessante, sul piano storico culturale, in quanto riflette aspetti del costume e della vita comune, e incontrò per questo l’apprezzamento di un pubblico numeroso che le garantì un secolare consenso.
Va inoltre rilevato il fatto che il presentarsi, da parte di questi poeti, come persone scioperate e dissipatrici, moralmente e socialmente disadattate, indica sia un’ insofferenza nei confronti dell’alta cultura ufficiale che coinvolge anche le strutture ideologiche, sociali e di costume sulle quali essa si fonda, sia di aderire a stili e temi codificati. Questa lirica è opera dunque di artisti coscienti ed esperti e non va considerata quasi uno sfogo autobiografico o abbandono o confidenza lirica. Non tutto quello che il “poeta comico” scrive è il riflesso di fatti o di affetti realmente vissuti. Un esempio di ciò ci viene fornito da Piero de Fattinelli, uno dei più famosi poeti minori, uomo assai felice e particolarmente devoto alla moglie che scrisse un sonetto di satira violenta della vita coniugale. Infatti il tema di questa poesia è essenzialmente topico ed è svolto indipendentemente da ogni riferimento alla vita reale: il poeta lirico rivendica il diritto, concesso all’epico e al narratore, d’inventarsi i suoi temi, per costruire un personaggio che non combacia esattamente con l’autore.
Per quanto riguarda lo stile si può notare che in questa corrente letteraria si sostituisce ad una lingua aulica, preziosa e raffinata, tipica della lirica cortese, l’uso di un idioma energico e colorito, ricco di vocaboli plebei, di proverbi, di grossolane interiezioni e di una sintassi ardita, ripetitiva, elementare e scorretta.
Da notare inoltre la straordinaria presenza di figure ed artifici retorici quali: l’adunaton, i doppi sensi, le similitudini, le metafore, le espressioni allusive e le imprecazioni, vituperia.
I maggiori esponenti di questa corrente sono: Cecco Angiolieri, Rustico di Filippo, Folgore da San Giminiano e Cenne de la Chitarra. Comunque il più importante poeta giocoso del Duecento è, senza dubbio, Cecco Angiolieri, il cui capolavoro è considerato il sonetto “S’i’ fosse foco”, che è lo sfogo, letterarialmente molto abile, di un uomo stizzito contro sé e contro gli uomini tutti, che esagera per gioco il suo odio e furore e svolge il tema antico, comune e sempre vivo, del sogno e della fantasia , dei “se” e dei “vorrei”. Visto un tempo come lo sfogo di un poeta “maledetto”, oggi lo si valuta come l’espressione artistica di un momento di malumore. Ciò che salta subito agli occhi in questo sonetto è la presenza dell’adunaton: “S’i’ fosse.....s’i’ fosse....”, e che cosa vorrebbe essere? Fuoco, vento, acqua, Dio, papa, imperatore... Con queste immagini apocalittiche evidenzia una forte vena demolitrice e distruttrice che si accanisce contro tutto e tutti. Poi, per sbalordire ancor di più, usa un “topos” tipico di tale letteratura e cioè l’augurio di morte al padre ed alla madre..”S’i’ fosse morte andarei da mio padre;....similmente faria da mi’ madre...”.Termina poi, per allentare il tono dell’ultima cinica battuta, con una mossa comica di sicuro effetto:..”S’i’ fosse Cecco com’i’ sono e fui, terrei le donne giovani e leggiadre: e vecchie e laide lasserei altrui.” E’ proprio la comicità, infatti, un altro dei temi tipici della poesia realistico-giocosa.
Analizzando un altro sonetto di Cecco Angiolieri, “La mia malinconia”, possiamo vedere un consapevole rovesciamento della posizione stilnovistica: non più l’arcano senso di morte ma la malinconia; non più una donna gentile e angelica, ma una popolana triviale. Il poeta esprime la sua malinconia , malinconia che non prostra ma eccita a scuotere la donna agghiacciante e ad imprecare Amore. In questo sonetto l’autore mette in risalto la particolare crudeltà e l’indifferenza della donna nei confronti dell’amante sofferente....”Quella, per cu’ m’avvien, poco ne cale,....ch’ella non cura s’i’ ho gioi’ o pene...ched ella non mi vol né mal né bene....”. Nei versi ...”s’ egli’l sapesse un che mi fosse nemico mortale, che di me di pietade non piangesse...” è presente la figura dei malparlieri, topos di questa corrente. Il sonetto termina con la maledizione scagliata ad Amore che è un parodistico rovesciamento delle posizioni stilnovistiche.
Ancora di Cecco Angiolieri è: “ Sed i’ avess’ un sacco di fiorini” che, anche qui, non solo rappresenta un amore, più concreto e triviale di quello dello stile cortese ma addirittura capovolge con consapevole polemica questo modello. I motivi centrali di questo componimento sono lo smisurato, “desmesura”, amore di Cecco per Becchina e l’incompatibile “valore” dell’amata. Ed è proprio qui che compare la consapevolezza polemica nei confronti della poesia stilnovistica: l’affermazione che la donna è “un terren paradiso” è al tempo stesso seria in quanto per Cecco l’amore è sede di delizie, e ironica, nei confronti di chi attribuiva alla donna amata come sede naturale il paradiso celeste.. L’ironia si fa ancor più viva quando menziona gli effetti miracolosi prodotti dalla donna amata, non si tratta , infatti, di effetti morali e spirituali, ma fisici, anche nel senso equivoco di restituire virilità.....”sed egli è vecchio, ritorna garzone”. Possiamo notare anche in questo sonetto: l’adunaton ....”Sed i’avess’...” e altri topoi di questa corrente letteraria, quali l’esaltazione del denaro e l’allusione dell’odio nei confronti del padre.
Concludendo, possiamo affermare che la poesia realistico-giocosa può essere intesa come facente parte del mondo carnescialesco, per gli aspetti e le caratteristiche fino ad ora prese in considerazione.

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