Foscolo, Autoritratto

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Testo

ANALISI TESTUALE: IL SONETTO AUTORITRATTO DI UGO FOSCOLO

Il sonetto Autoritratto di Foscolo, tratto dalla raccolta "Poesie" del 1802-1803, si presenta come una vera e propria descrizione che l'autore compie di se stesso, sia a livello fisico, sia a livello psicologico-morale.
L'autore dichiara di avere la fronte solcata dalle rughe, gli occhi un po' infossati ma sempre attenti, i capelli rossi, le guance pallide, un aspetto orgoglioso, le labbra carnose e di colore vivo, i denti bianchi, il capo spesso abbassato, un bel collo, un torace largo e spazioso, le membra proporzionate, un modo di vestire semplice ma allo stesso tempo elegante, una certa fulmineità nel camminare, pensare, agire, parlare. Il poeta passa poi a descrivere il proprio carattere: si definisce serio, ricco di umanità, leale, generoso, pronto, facile all'ira, inquieto, tenace, ricco di pregi e di difetti. Afferma inoltre di ammirare la razionalità, ma di comportarsi sempre seguendo l'istinto. Conclude infine dicendo che solo nella morte potrà trovare la gloria e la pace.
Com'è facilmente intuibile, il tema principale di questo sonetto è quello della proiezione autobiografica, un motivo tipicamente foscoliano che compare già nell'Ortis e che l'autore mutua da illustri modelli quali l'Alfieri. Il ritratto che appare da questi versi (soprattutto a partire dal verso 7) è quello di un vero e proprio eroe romantico, dall'esistenza inquieta, rapida, tempestosa, un personaggio che vive in una malinconica solitudine, in un isolamento volontario che testimonia il suo atteggiamento di ribellione nei confronti delle istituzioni e di tutto il mondo in generale. Punto chiave del sonetto, a questo proposito, è il verso 8: "avverso al mondo, avversi a me gli eventi". E' in queste parole l'espressione perfetta del profondo pessimismo del Foscolo: egli è consapevole che la vita stessa è dolore, è eterna contraddizione ("avversi a me gli eventi"), e che solo lottando senza sosta ("avverso al mondo") potrà essere in grado di vivere appieno la propria esistenza. E' fondamentale sottolineare che, con questa affermazione, il poeta si fa interprete non solo del suo dramma intimo, personale, ma di quello dell'intera umanità, condannata ad una sofferenza e ad un'inquietudine che sono insite nella sua natura. Accanto a quello principale, nel sonetto si possono individuare altri motivi cari al Foscolo. Innanzitutto il contrasto tra istinto e ragione ("do lode/alla ragion, ma corro ove al cor piace", vv.13-14), un tema attinto sicuramente alla classicità (si ricordi, ad esempio, il conflitto interiore di Medea nelle Metamorfosi ovidiane), e che in questo contesto contribuisce a rendere l'idea della contraddittorietà dell'esistenza umana. Importante, inoltre, sottolineare il tema della morte, che attraversa tutta la produzione foscoliana. Nella poesia in esame, essa è nominata solo all'ultimo verso, ma nei suoi confronti l'autore assume una posizione che manterrà coerente anche in tutte le altre liriche. La morte è infatti vista dal Foscolo come l'unico strumento per raggiungere la pace interiore e, soprattutto, la fama. Proprio da ciò si comprende che dal suo autoritratto il poeta fa emergere un giudizio di sé sostanzialmente positivo (a differenza dell'Alfieri), poiché egli dà per certo che nella morte troverà la gloria.
La forma metrica utilizzata in questa lirica è il sonetto, organizzata secondo il seguente sistema di rime: nelle quartine vi è la presenza della rima alternata, secondo lo schema ABAB - CDCD, nelle terzine invece la rime segue lo schema ABC - ACB, variante della rima incatenata. La scelta del sonetto non è sicuramente casuale: è proprio questa, infatti, la forma metrica che meglio si addice a trattare un tema personale come quello del proprio autoritratto, e comunque non bisogna dimenticare che tra i modelli del Foscolo vi era l'Alfieri, che aveva avuto molto a cuore l'utilizzo del sonetto. Il lessico è prevalentemente colto e, sebbene il tema affrontato sia di stampo tipicamente romantico, il linguaggio risente ancora molto degli echi classici e petrarcheschi. E' infatti semplice individuare i frequenti latinismi, come l' "intento" del verso 1, l' "eletto" del verso 5 e soprattutto l'aggettivo "umano" del verso 7, che richiama chiaramente il concetto di humanitas classica, ma anche intere strutture che rimandano alla produzione letteraria del Petrarca (ad esempio il verso 10). Bisogna però ricordare che la grandezza del Foscolo consiste proprio nel riuscire a scrivere con passione impetuosa e veritiera pur all'interno di schemi tipici della classicità. Vi è quindi in questo sonetto un connubio tra perfezione formale ed espressione sincera del proprio stato d'animo. Quest'ultima viene resa soprattutto tramite l'uso dell'enumerazione, che attraversa praticamente tutta la lirica. Funzione analoga hanno anche le numerose figure retoriche. L'anastrofe al 1°verso, ad esempio, mette in rilievo l'aggettivo "solcata", riferito a "fronte", che rende benissimo l'idea del profondo turbamento che affliggeva il poeta; l'ossimoro "semplice eletto" del verso 5 evidenzia la natura doppia del comportamento del Foscolo, semplice e contemporaneamente elegante; la ripetizione della parola "avverso" al verso 8 gioca con il termine chiave del sonetto; l'enjambement "do lode/alla ragion" ai versi 13-14 sottolinea l'importanza della razionalità e al contempo il suo conflitto con l'istinto. Infine i 2 climax ai versi 7 e 11 contribuiscono a creare quella crescente tensione emotiva che raggiunge il culmine nell'ultimo verso e giunge al termine solo con l'ultima parola :"riposo".

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