De vera Religione

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura Latina

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Testo

La vera religione di Agostino

Il De vera religione è opera importante e centrale nella produzione letteraria agostiniana. Con essa si conclude un periodo, quello delle opere giovanili, che trovano qui una sorta di loro coronamento, e si apre, nello stesso tempo, una nuova fase, quella della maturità e delle opere di più ampio respiro. Composto a Tagaste, intorno al 390, il De vera religione si colloca fra gli scritti anti – manichei con i quali Agostino, a partire dal 388, aveva iniziato e svolto in modo deciso la sua polemica contro la setta che l’aveva avuto un tempo tra i suoi aderenti. Nel manicheismo Agostino aveva cercato la soluzione ai grandi interrogativi esistenziali e intellettuali che assillavano il suo inquieto anime giovanile.
Tuttavia con il passare degli anni, Agostino si accorse che la razionalità promessa dai manichei rimaneva per lo più solo conclamata: nella pratica i loro insegnamenti erano pieni di affermazioni e presupposti che dovevano essere creduti e la loro ratio si riduceva a semplice elemento di copertura di un sostanziale dogmatismo.
Agostino scrive il De vera religione con lo scopo preciso di dimostrare quanto e come la vera religione, ossia il cristianesimo, “sia sicura di fronte a costoro” e regga, vincendolo, il confronto.
Il De vera religione si presenta, pertanto, come una sintetica e convincente riflessione sulla natura del cristianesimo, volta mostrare la convenienza della religione vera agli uomini del suo tempo e, soprattutto, all’amico Romaniano, cui l’opera è espressamente dedicata. L’amico era stato un valido aiuto, per Agostino, negli anni della giovinezza, non solo materialmente, ma spiritualmente; a lui l’irrequieto studente aveva confidato i propri sentimenti e la propria aspirazione ala filosofia. L’ampiezza degli argomenti trattati, la struttura dell’argomentazione, la chiarezza delle soluzioni proposte, la novità del metodo apologetico utilizzato, sono tratti essenziali che ne fanno un’opera di grande valore filosofico e spirituale.
Il De vera religione è l’apologia dell’unità contro ogni forma di dualismo. Se l’avversario principale resta il manicheismo, non mancano però attenzioni ad altre forme di dualismo. Già nell’esordio la tensione unitaria di Agostino, viene espressa nell’affermazione dell’esistenza di un unico Dio e di un unico principio dell’universo. L’argomento della dissensio philosophorum è da subito addotto come prova dell’errore della religione politeista dei greci e dell’insufficienza della loro filosofia; coloro che, separando la filosofia dalla religione, professavano insieme il medesimo culto e, nelle loro scuole, sostenevano idee diverse e in contrasto fra loro, rendevano infatti un cattivo servizio alla religione. Grande estimatore della filosofia greca, Agostino sostiene che il platonismo, ritenuto massima e più alta espressione della filosofia classica, può conciliarsi con il cristianesimo solo aprendosi ad esso, ovvero a quella presagita “potenza e sapienza di Dio” che sorprendentemente si è incarnata in un uomo e ha dato così origine ad una nuova concezione della realtà, dell’esistenza umana e della storia.
La più recente critica ha accettato la duplice influenza plotiniana e porfiriana nel pensiero agostiniano, di questa influenza Agostino si servì per realizzare l’espressione della verità scoperta nella fede cristiana.
Nel De vera religione si ritrovano, infatti, i temi plotiniani dell’Uno e della provvidenza, e quelli porfiriani dell’ascesi, della purificazione e della via universalis. L’Uno è il Verbum, principio di tutte le cose che a tutte dà consistenza ed cui tutte tendono; la provvidenza è la cura che Dio ha avuto ed ha di ogni singolo uomo e dell’umanità intera, per risollevarla dalla caduta e liberarla dai vizi. L’ascesi e la purificazione sono il cammino dell’uomo nuovo, che attraverso le sette età giunge dal “grembo della storia” alla perpetua felicità, alla vita eterna, alla definitiva giustizia.
Gli errori degli antichi e dei contemporanei, in materia di religione e di filosofia, divengono per Agostino il motivo per superare ogni forma di dualismo, così da “lasciarsi alle spalle tutti coloro che nelle cose religiose non sono filosofi e in filosofia non sono religiosi”, e affermare il principio dell’unità, che è principio della salvezza umana. In vista di tale principio il sapere della ragione e della fede non si oppongono, ma si compenetrano e si accordano fra di loro, solo nel loro accordo sta la verità di entrambe e solo nella loro complementarità si può attuare il cammino dell’uomo verso la sua salvezza. Sono così posti i temi della vera religio e del metodo per conoscere e raggiungere la verità. L’espressione vera religio non è nuova nella tradizione patristica latina, si trova già, ad esempio, in Tertulliano ed in Lattanzio; anche il termine vera philosophia non è sconosciuto nei Padri. Agostino intende per religione il legame dell’anima a Dio , è consapevole che questa non è l’unica accezione del termine, ma dichiara di preferirla all’altra secondo la quale religio, derivando da eligere, significa elezione, vocazione. L’espressione vera philosophia, invece, sta ad indicare il sapere consolidatosi lungo i secoli e attraverso diverse scuole, che ha per oggetto l’anima ed il mondo soprasensibile ed è aperto alla Rivelazione.
Sulle orme di Ambrogio, Agostino individua i due motivi fondamentali dell’accordo fra la religione e la filosofia nell’unicità del loro oggetto e nella funzionalità dei diversi metodi, che esse seguono, allo stesso fine. Per strade diverse, infatti, la religione e la filosofia tendono alla verità, che è il termine di ogni ricerca razionale e di quella credenza che non accetti di ridursi a superstizione. Il Dio che libera l’uomo dalla schiavitù idolatra e che, dunque, è l’unico ad essere degno di culto e venerazione, abita dove è la prima sapienza, che coincide con l’immutabile verità, l’arte dell’onnipotente artefice e legge di ogni arte. Il cammino religioso è diretto al pieno ricongiungimento dell’uomo con la sua origine, in analogia al cammino della ragione, che in ogni cosa vuole trovare la forma, l’arte, l’essenza immutabile, la legge cui rivolgersi per giudicare la realtà mutevole, nella quale è inclusa la stessa anima umana. La concezione unitaria, e in un certo senso ottimistica, attraversa tutta l’opera, precisando che né la religiose si riduce a filosofia, né questa deve essere ridimensionata per accordarsi con la prima. A tal fine Agostino dà una concezione della filosofia intesa come ritrovamento, non creazione della verità e come comprensione dell’essere, in opposizione alla falsità del non essere.
Definito l’oggetto è interessante definire il metodo.
Agostino descrive, così, i due modi nei quali la divina provvidenza ha stabilito di provvedere alla cura degli uomini. L’unica medicina, che è “bellissima per gradualità e ordine”, si divide in due aspetti: l’autorità e la ragione. “L’autorità – scrive Agostino – esige la fede e prepara l’uomo alla ragione. La ragione conduce all’intelligenza e alla conoscenza”. L’autorictas, in sostanza afferma Agostino, prepara alla ratio, la quale compie la conoscenza iniziata con la fede. Inoltre, entrambe si ritrovano, talvolta, presenti nel medesimo atto, poiché, ad esempio, la scelta dell’autorità, cui credere, è un atto squisitamente razionale., e la conoscenza razionale obbedisce al principio della veritas, che è l’autorità suprema in campo conoscitivo. E’ questo il cammino intellettuale e morale, dell’ascesi, che porta ad un nuovo orientamento dell’uomo verso l’oggetto del suo interesse e del suo desiderio, fino a quel bene “che non può essere tolto” da nessuno.
Nel De vera religione Agostino sottolinea, maggiormente, il momento sorgivo della fede, come frutto della benefica azione (beneficentia) dell’autorità. Immerso nelle cose del mondo, l’uomo può essere chiamato alla salvezza solo da qualcosa che possa esser visto, udito, percepito sensibilmente. Se le forme corporee hanno allontanato l’uomo dalla verità, solo una forma sensibile può di nuovo avvicinarlo ad essa, proprio perché “nel punto ove è caduto, lì ciascuno deve appoggiarsi per rialzarsi”. Questa è, pertanto, la medicina temporale della divina provvidenza: un’autorità sensibilmente percepita che richiama l’intero genere umano e ogni singolo uomo all’evidenza della verità (perspicua veritas). Tale auctoritas è espressa in fatti ed in uomini, che formano la storia del popolo ebraico prima, e di quello cristiano poi, e in ultima istanza coincide con l’autorità di Dio divenuto uomo. Da ciò nasce la fede e quel cammino di conoscenza che, rimuovendo ogni incertezza e vincendo ogni pigrizia, tende alla sapienza e all’abbandono di ogni menzogna.
Analogo processo compie la ratio. Anch’essa parte dal punto in cui l’uomo è caduto e dove può appoggiarsi per rialzarsi e, attraverso varie tappe, giunge infine alla verità, alla legge di tutte le cose, all’arte suprema. L’approccio estetico è il primo passo della ragione: la forma e la bellezza delle cose costituiscono per l’uomo l’inevitabile attrattiva che può si condurre alla schiavitù delle passioni, ma può anche aprire la strada di un’ascesi intellettuale e morale verso la piena verità. Nessun uomo può essere tanto lontano dalla verità da non incontrarne, in qualche modo, la presenza. Ogni realtà, esistente e perciò “formata”, ne è, infatti, segno, figura, immagine, sicché anche nelle infime cose, e addirittura nei vizi, essa può essere percepita. Secondo un cammino che Agostino stesso ha percorso, come è descritto nelle Confessioni, la ragione, giudicando la proporzione e armonia delle parti, e ricercando il fondamento dei suoi giudizi, giunge gradualmente a scoprire la forma incorruttibile di ogni forma corporea, la regola di ogni unità, la bellezza ultima che solo ‘occhio della mente può cogliere.
Il metodo della ragione procede, dunque, dal piacere sensibile (voluptas) verso ciò che, di tale piacere è la causa ultima, ossia l’armonia perfetta (summa convenientia). A ciò si può giungere solo mediante un ritorno in se stessi, secondo la celeberrima formula agostiniana “noli foras ire, in teipsum redi; in interiore homine habitat veritas”. Tuttavia l’interiorità è solo luogo della verità, ma non coincide con essa. La natura mutevole dell’uomo e della sua stessa ragione deve pertanto essere superata, “trascente et teipsum”, per giungere all’oggettiva verità, che la ragione non crea, ma riconosce grazie alla luce che essa stessa promana.
Il risultato raggiunto dalla ragione ha un effetto molto simile a quello dell’autorità: infatti chi conosce la verità non può non essere da essa rinnovato, la scoperta del vero produce sempre un cambiamento. Questo segna il cammino di rinascita dell’uomo, che, lasciate dietro di sé la corruzione e la falsità, diviene capace di vero giudizio, di autentico amore e di duratura libertà.
La reformatio hominis si presenta così come il fine cui tendono la vera filosofia e la vera religione; entrambe in misura diversa e complementare, formano la via che l’uomo deve seguire per raggiungere il suo fine, la felicità.

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