Terenzio

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Testo

TERENZIO

1 La vita

Il celebre commediografo Cecilio Stazio, presidente del “collegium scribarum historionumque”, sedeva a banchetto; a pochi passi da lui, in abiti dimessi, un poeta alquanto magro, di statura modesta e dalla carnagione scura, teneva la sua prima “audizione”, con voce tremante. Ma basta la lettura di pochi versi e l’anziano poeta rimane favorevolmente colpito dal giovane esordiente al punto da invitarlo a sedere alla sua tavola. Il poeta protagonista di quest’aneddoto è Publio Terenzio Afro, un liberto di origine africana -forse nacque a Cartagine nel 185 a.C.- Sono passati alcuni anni da quando Terenzio, ancora bambino, era stato condotto come schiavo a Roma dal senatore Terenzio Lucano; quest’ultimo, favorevolmente impressionato dal suo talento, lo affrancò e gli fece impartire un’educazione liberale.
Grazie a lui Terenzio poté prendere parte a quel clima di rinnovamento, di apertura alla cultura e al pensiero della Grecia ellenistica, che riservava un’attenzione particolare all’individuo singolo nel suo essere “uomo” in senso universale, andando a scavare nella sua emotività e portando alla luce le sue risorse intime e le sue dolcezze. Questa visione finì inevitabilmente per scontrarsi con l’ideologia più chiusa del mos maiorum, che considera la persona per il ruolo che svolge nella società, e che ne ispira e giudica le azioni in base all’effetto che avranno sul complesso della res publica.

2 Le commedie

Andria( La ragazza di Andro). La prima opera di Terenzio, e tratta da un originale di Menandro dallo stesso titolo. Il giovane Panfilo ama Glicerio, una ragazza dell’isola di Andro, che si trova ad Atene presso una cortigiana; ma è un amore contrastato poiché lo status sociale di Glicerio rende impossibile un’unione regolare tra i due giovani, e Simone, padre di Panfilo, ha già provveduto a combinare il matrimonio del figlio con Filumena, figlia di Cremete. Tocca al servo Davo escogitare una via d’uscita. La commedia si conlude con un doppio matrimonio: Panfilo sposa Glicerio, e Filumena l’amato Carino, amico di Panfilo.

Heautontimorumenos( Il punitore di se stesso). E’ una commedia statuaria, tratta da un originale menandreo: si definisce statuaria perchè incentratasull’analisi dei caratteri e della complessività dei rapporti umani. Il protagonista è Meneremo, un anziano padre che si “autopunisce” sottoponendosi al duro lavoro nei campi: egli è pentito per aver costretto con la sua intransigenza il figlio Clinia, innamorato di Antifila, ad arruolarsi come mercenario in Asia. Clinia ora è tornato e si trova nella casa del vicino Cremete, il cui figlio Clitifone è innamorato di Bacchide. La conclusione svela che Antifila è in realtà la figlia di Cremete: i due giovani si sposano, mentre Clitifone rompe il suo rapporto con Bacchide.

Eununchus(L’eununco). Rapressentata nel 161 a.C. L’etera di Taide,innamorata di Feria, tuttavia desiderata dal soldato Trasone. Il miles per ingraziarsela, le fa dono di Panfila, una melisma schiava. Fedria risponde al dono regalando all’amata un servo eunuco: tuttavia il fratello Cherea, invaghitosi di Panfila, con un travestimento prende il posto dello schiavo e si introduce nella casa per approfittare di Panfila. Il soldato geloso va con il fido parassita Gnatone ma trova l’opposizione di Taide e di Cremente. Alla fine Cherea sposa Panfila, e Feria tiene per se Taide.

Hecyra(La suocera) Panfilo, di ritorno da un viaggio, scopre che la moglie Filumena ha abbandonato la casa ed è tornata presso i genitori. La suocera, Sostrata, si offre di allontanarsi da casa per favorire la riconciliazione ; ma Panfilo sa che la moglie è incinta e la respinge.Il lieto fine è reso possibile dall’intervento dell’etera Bacchide: costei, sollecitata dai genitori di Panfilo, accetta di recarsi da Filumena, e le confessacheogni rapporto con Panfilo è stato troncato. Non solo, ma Murrina, la madre di Filumena, riconosce al dito di Bacchide l’anello sottratto alla figlia la notte della violenza. Così si scopre che è Panfilo l’autore della violenza.

Phormio(Formione). Protagonista è il parassita Formine, il quale, ricorrendo a cavilli legali e valendosi dell’aiuto dello schiavo “astuto” Geta, beffa due anziani fratelli, Demifone e Cremete, i padri, rispettivamente, di Antifone e Feria. Fa dunque in modo che Antifone, spacciato come parente dell’amata Fanio, sia citato in tribunale: in base alla legge, dovrà trovare il denaro per la dote di lei oppure sposarla, come il giovane auspica e poi ottiene, malgrado Demifone non sia d’accordo. Alla notizia delle nozze tra Antifone e Fanio, Cremete offre a Formine trenta mine per farle annullare. Quando poi scopre che Fanio è proprio la sua figlia di Lemno, rinuncia a invalidare le nozze e chiede la restituzione delle trenta mine: il parassita coinvolge la moglie di Cremete e l’intreccio si avvia verso una riconciliazione generale.

Adelphoe(I fratelli). Demea, culture del mos maiorum, ha impartito una rigida educazione contadina ad uno dei figli, Ctesifone, mentre l’altro, Eschino, è stato allevato con metodi più moderni e liberali dallo zio paterno Micione, in città. Una serie di equivoci induce a ritenere un fallimento questa educazione liberale, poiché Eschino, pur innamorato di Panfila, che è incinta di lui, rapisce al lenone la cortigiana Bacchide. In realtà Eschino ha commesso il rapimento per aiutare Ctesifone. Nel finale Demea spinge Micione a compiere alcuni atti di liberalità poco avveduti, come a dimostrare che la via dell’ accondiscenza è più agevole da percorrere e procaccia più facilmentel’altrui approvazione.

3 I prologhi

I prologhi delle commedie di Terenzio risultano un buon indicatore se non della popolarità, quantomeno dell’interesse suscitato dal personaggio. Mentre il prologo tradizionale aveva la funzione di introdurre l’intreccio esponendone gli antefatti e delucidandone le implicazioni, nelle opere terenziane esso si articola in una struttura che ricorda le orazioni giudiziarie e diventa luogo privilegiato per polemizzare con gli avversari, esporre infine principi-guida della sua opera di poeta.
I toni sono talora pacati, come quando deve respingere l’accusa di non essere l’autore delle commedie, ma solo un prestanome di Lelio e dell’Emiliano. Qui Terenzio si trova in difficoltà, perché sa che una smentita offenderebbe i suoi patroni, lusingati da queste voci; così sfugge alla polemica e si dichiara onorato di tale familiarità, appellandosi al buon senso del pubblico. Molto più sanguigna appare la sua autodifesa quando deve tutelare il valore della sua opera duramente attaccata da Luscio Lanuvino , il “vecchi poeta malefico” sostenitore di una tradizione secondo canoni rigorosi, un bene vertere che, tuttavia, ha come risultato lo scribere male, a quanto afferma Terenzio stessonel prologo dell’Eunuchus.” Lui, che traducendo bene, ma scrivendo male, da buone commedie greche ne ha fatto delle latine non buone; egli ,medesimo ha dato ora il Fantasma di Menandro”.Costui non risparmierebbe critiche a Terenzio:” Quelle scritte prima di questa (prologo del Phormio) colui va ripetendo che hanno un dialogo poco efficace e uno stile privo di forza.
Luscio giunse a chiamare Terenzio “ladro” accusandolo di aver messo in scena una commedia già rappresentata da Plauto e Nevio. A sua difesa, Terenzio sostiene di aver semplicemente “tradotto” un originale di Menandro ,l’Eununco, inserendovi due personaggi tratti da un’altra commedia dello stesso autore, il Colax(L’adulatore); egli avrebbe soltanto utilizzato lo stesso modello.
E’ importante la norizia secondo la quale già Nevio, Plauto ed Ennio avevano fatto uso della “contaminatio”, che per Terenzio serve ad amplificare le possibilità sceniche ed espressive del testo.

4 Terenzio e la tradizione

Gli intrecci della commedia sono riconducibili a schemi fissi, che si ripetono con regolarità; le trame la fondo si somigliano tutte, e generalmente si risolvono con un fortunoso riconoscimento; i personaggi rientrano in tipologie ben definite, maschere sempre uguali a se stesse. Nel prologo dell’ Heautontimorumenos Terenzio rivendica per sé uno spazio di libertà, e chiede agli spettatoriche gli sia concesso di “recitare senza essere disturbato una commedia che non è di movimento (stataria). E’ evidente la volontà di svincolarsi da una tradizione che gli appariva ormai povera di interesse, sempre uguale a se stessae, di conseguenza, incapace di incidere sugli spettatori. Terenzio provò a rinnovare questa tradizione adll’interno, lasciandone intatto l’involucro: le trame esibiscono in effetti una sostanziale fedeltà ai “canovacci” standard della palliata, ma uno sguardo attento a scoprire un umorismo sottile e sfumato, un teatro in cui equivoci colpi di scena non sono giocati sul burlesco, ma servono a gettare luce sugli atteggiamenti dell’animo umano.
I personaggi terenziani perdono molto della tradizionale fissità quasi grottesca, e le relazioni interpersonali sulla scena si mutano in rapporti autenticamente umani nella loro imprevedibilità e sofferta problematicità.
Il fine perseguito dall’autore non è quello di provocare il riso o l’applauso, ma di indurli alla riflessione attraverso il sorriso, alla persecuzione della comune umanità, che diventa motivo di slancio solidale. Homo sum: è questa l’unica realtà, il solo valore che Terenzio sente di poter affermare, sicuro della sua universale validità. Dall’analisi cui Terenzio sotto pone l’animo umano risulta un quadro meno convenzionale, ma certo più autentico. Anche senza incontrare figure “uniche” scopriamo che non sempre i padri sono arcigni e le suocere bisbetiche, non sempre gli adulescentes sono intemperanti e le meretrices avide di denaro, ma per tutti esiste la possibilità di essere “diversi”, di svincolarsi per un attimo dal proprio ruolo.

5 La nuova figura della meretrix

Questo aspetto non era sfuggito agli antichi e si trova espresso dal commentatore Evanzio. Bacchide, nell’Hecyra, è forse il personaggio più rappresentativo del crocevia Terenziano di tradizione ed innovazione. Come si conviene ad una cortigiana, è bella e desiderabile, mentre la sua nobiltà d’animo è una dote del tutto eccezionale in una meretrix. Bacchide rinuncia al suo amante, Panfilo, quando questi prende moglie; poi, di fronte alla giovane sposa e ai genitori di lui, memore dell’affetto che la legava a Panfilo, mette da parte l’amor proprio e i suoi sentimenti di donna ferita per smentire le voci che la vogliono ancora legata al giovane, e salvare così il matrimonio della rivale.Per vivere ha come unica risorsa il commercio di sé; ma la Bacchide terenziana ha orizzonti più vasti del gretto utilitarismo: è un essere umano, capace di sentimenti, di credere in valori importanti come l’amicizia, l’affezione e la riconoscenza. Anche l’omonima cortigiana dell’Heautontimorumenos ci consente di evidenziare, un’evoluzione nella storia teatrale di questa maschera. La prima volta che si parla di Bacchide, per boca del suo amante Ctesifone, essa è la meretrix tradizionale: sfrontata. La morale comune non esisterebbe a censurare l’eccesso nel sumptus, o la vanitosa ostentazione implicita in magnifica;procax ha una connotazione negativa, evidente nella serie di insulti di matrice platina, che ci permette anche di rivelare la relativa sobrietà della descrizione in Terenzio. Questa Bacchide è la tradizionale meretrix anche per quanto riguarda le sue arti de adescatrice.
Subito dopo però si realizza il distacco dallo stereotipo, nel discorso di Bacchide ad Antifila. Bacchide confessa la propria disillusione sull’amore e la consapevolezza che il suo fascino sfiorirà: il ritratto umano che ne scaturisce non è quello della meretrix procax e proterva.

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