Lettere a Lucilio (Seneca), libro IX

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Testo

LIBRO NONO


75
1 Ti lamenti perché ti invio lettere scritte con minore ricercatezza. Ma con ricercatezza si esprime solo chi vuole essere manierato. Io voglio, invece, che le mie lettere siano quali sarebbero le mie parole se sedessimo o passeggiassimo insieme: semplici e chiare; non voglio che abbiano niente di artificioso o di falso. 2 Se fosse possibile, preferirei mostrarti più che esprimerti i miei sentimenti. Anche se discutessi, non batterei i piedi e nemmeno agiterei le mani o alzerei la voce, ma lascerei tutti questi artifici agli oratori, accontentandomi di esternarti i miei sentimenti senza fronzoli o sciatterie. 3 Un'unica cosa vorrei mostrarti chiaramente: che sento in me tutto quello che dico e non solo lo sento, ma lo amo. Gli uomini baciano l'amante in modo diverso che i figli, ma anche in questo abbraccio così puro e misurato l'affetto è abbastanza evidente. Non voglio, perbacco, che si usi un linguaggio arido e scarno per argomenti tanto importanti: la filosofia non rinunzia all'elaborazione formale; non conviene, però sprecare fatica per le parole. 4 Il nostro principale proposito deve essere di dire quello che sentiamo e di sentire quello che diciamo; vita e parole devono essere coerenti. Mantiene il suo impegno chi è sempre lo stesso a parole e a fatti. Vedremo le sue qualità e la sua grandezza: è il medesimo. 5 Le nostre parole non devono essere piacevoli, ma utili. E tuttavia, se l'eloquenza scaturisce senza sforzo, facile o spontanea, ben venga e tratti argomenti di grande rilievo: ma evidenzi la sostanza, non se stessa. Le altre arti riguardano interamente la mente, qui è in gioco la salvezza dell'anima. 6 L'ammalato non cerca un medico eloquente, ma se gli capita un uomo che possa guarirlo e che nello stesso tempo parli forbitamente delle cure necessarie, ne sarà contento. Non c'è, tuttavia, motivo di rallegrarsi per aver incontrato un medico tanto eloquente; è come se un esperto pilota fosse anche bello. 7 Perché solletichi le mie orecchie? Perché le blandisci? Ben altro è in gioco: devo essere cauterizzato, operato, messo a dieta. Questo è il tuo compito: devi curare una malattia di vecchia data, grave, diffusa; hai da fare quanto un medico in una epidemia. Ti preoccupi delle parole? Rallegrati se riesci a fare quello che devi. Quando imparerai tante cose? Quando fisserai le nozioni che hai appreso in modo da non dimenticarle più? Quando le metterai in pratica? Non basta, come le altre, ricordarle a memoria: bisogna sperimentarle in concreto; non è felice chi le conosce, ma chi le applica.
8 "Ma come? Al di sotto del saggio non ci sono altri stadi? Subito dopo la saggezza c'è l'abisso?" Credo di no; chi sta progredendo è ancora nel numero degli stolti, ma c'è già un notevole distacco. E anche tra quegli stessi che stanno progredendo ci sono grandi differenze: certi li dividono in tre gruppi.
9 Primo: quelli che non possiedono ancora la saggezza, ma le sono ormai arrivati vicino; nondimeno anche ciò che è vicino è fuori. Chi sono? Quegli uomini che si sono liberati da tutte le passioni e i vizi e hanno imparato i concetti necessari, ma non hanno messo alla prova il loro impegno. Non hanno ancora dimestichezza col bene che hanno raggiunto e tuttavia non possono più cadere negli errori da cui sono fuggiti; sono ormai arrivati a un punto da dove non possono cadere all'indietro, ma questo non lo hanno ancora chiaro: ricordo di averlo scritto in una lettera: "Non sanno di sapere." Usufruiscono del loro bene, ma non ne sono ancora sicuri. 10 Alcuni comprendono in questa classe di neofiti, di cui si è detto, quegli uomini che sono ormai sfuggiti alle malattie dell'anima, ma non alle passioni, e stanno ancora su un terreno malcerto, perché solo chi si è scrollato di dosso la malvagità non corre più nessun pericolo; ma se l'è scrollata di dosso solo chi in cambio ha conquistato la saggezza. 11 Ho già parlato spesso della differenza tra passioni e malattie dello spirito. Ma voglio ricordartela anche adesso: malattie sono i vizi radicati e tenaci come l'avarizia o l'ambizione; hanno avviluppato strettamente l'anima e sono diventati mali permanenti. Per farla breve: malattia è il pervicace proposito al male, come ricercare con accanimento beni trascurabili; o, se preferisci, concludiamo così: aspirare troppo a beni che vanno ricercati con moderazione o tralasciati del tutto, oppure apprezzare molto beni di scarso o di nessun valore. 12 Le passioni, invece, sono i moti dell'anima riprovevoli, improvvisi e violenti, che, ripetuti e trascurati, provocano la malattia; facciamo un esempio: il catarro, quando è un'affezione momentanea ed episodica, porta la tosse, ma se è cronico e di vecchia data fa venire la tisi. Perciò chi ha fatto molti progressi è ormai fuori dal pericolo di malattie, ma nonostante sia vicino alla perfezione avverte ancora le passioni.
13 Al secondo gruppo appartengono quegli uomini che si sono liberati dai mali peggiori dell'anima e dalle passioni, ma non al punto da essere sicuri della conquistata serenità: possono, difatti, ripiombare nei medesimi vizi.
14 Il terzo gruppo si è liberato di molti gravi vizi, ma non di tutti. È sfuggito all'avarizia, ma è ancora soggetto all'ira; non è più preda della lussuria, ma lo è ancora dell'ambizione; non ha desideri sfrenati, ma ha ancora molte paure, e nella paura di fronte a certe evenienze è abbastanza fermo, di fronte ad altre cede: disprezza la morte, teme il dolore.
15 Facciamo qualche riflessione su questo punto: ci va già bene se apparteniamo all'ultimo gruppo. Il secondo possiamo raggiungerlo, se abbiamo una buona predisposizione naturale e attraverso un'assidua e grande applicazione allo studio; ma non dobbiamo disprezzare nemmeno il terzo gruppo. Pensa a quanti mali vedi intorno a te; guarda quanti esempi di ogni delitto, quanto si diffonda giorno dopo giorno la malvagità, quali colpe si commettano nella sfera pubblica e privata: capirai che è già un buon risultato se non siamo tra i peggiori. 16 "Ma io spero," mi dici, "di poter far parte anche del gruppo superiore." Più che prometterlo, io lo desidererei: siamo assaliti da ogni parte, aspiriamo alla virtù assediati dai vizi. Mi vergogno a dirlo: curiamo la virtù nei ritagli di tempo. Ma che grande premio ci aspetta se riusciamo a farla finita con le nostre occupazioni e con i mali più incalliti. 17 Non ci colpiranno cupidigia e terrore; senza i turbamenti della paura e la corruzione dei piaceri non avremo più timore della morte e neppure degli dèi; ci renderemo conto che la morte non è un male e che gli dèi non ci fanno del male. Quello che nuoce è debole quanto colui a cui nuoce: gli esseri migliori non hanno forza nociva. 18 Se un giorno riusciremo ad arrivare da questa feccia in quel mondo sublime ed eccelso, ci aspettano la serenità e, dissipati tutti gli inganni, una libertà incondizionata. Cos'è questa libertà? Non temere gli uomini e nemmeno gli dèi: non concepire desideri turpi o sfrenati, avere un grandissimo dominio di se stessi; appartenersi è un bene inestimabile. Stammi bene.

76
1 Minacci di non essermi più amico, se non ti informerò di tutto quello che faccio giornalmente. Guarda come sono schietto con te: ti confiderò anche questo. Vado a sentire un filosofo; già da cinque giorni frequento la sua scuola e lo ascolto parlare alle due del pomeriggio. "È proprio l'età giusta!" osservi. E perché non dovrebbe essere quella giusta? È da stupidi non voler imparare solo perché per tanto tempo non lo si è fatto. 2 "E allora? Dovrei fare come i bellimbusti e i giovanotti?" Mi va bene se è l'unica cosa sconveniente alla mia vecchiaia: questo tipo di scuola ammette uomini di ogni età. "E noi invecchiamo per seguire i giovani?" Sono vecchio, eppure andrò a teatro, al circo, assisterò a tutti gli spettacoli di gladiatori e dovrei arrossire perché vado a scuola da un filosofo? 3 Devi imparare finché non sai; anzi, a credere al proverbio, finché vivi. Il che torna perfettamente con quanto segue: finché hai vita devi imparare a vivere. Tuttavia anch'io insegno qualcosa lì. Che cosa? Che anche un vecchio deve imparare. 4 Ogni volta che entro a scuola mi vergogno del genere umano. Per andare a casa di Metronatte si deve, come sai, oltrepassare il teatro dei Napoletani. È strapieno e vi si giudica con grande attenzione chi sia un buon flautista; anche il trombettiere greco e l'araldo richiamano molta gente: ma in quella scuola dove si ricerca l'uomo virtuoso e si impara a diventare virtuosi, ci sono pochissime persone, e i più ritengono che costoro non hanno niente di buono da fare; li definiscono inetti e fannulloni. Tocchi anche a me questo scherno: gli insulti degli ignoranti bisogna ascoltarli senza scomporsi e se uno aspira alla virtù deve disprezzare il disprezzo stesso.
5 Vai avanti, Lucilio, e affrettati, perché non ti accada come a me, di imparare da vecchio; anzi affrettati ancora di più perché hai intrapreso studi che potresti a stento concludere da vecchio. "Quanti progressi farò?" mi chiedi. Proporzionati ai tuoi sforzi. 6 Che aspetti? A nessuno capita di diventare saggio per caso. Il denaro arriverà spontaneamente; una carica sarà offerta, favori e crediti ti verranno forse messi davanti: ma la virtù non può capitarti per caso. E neppure la si può apprendere con poca fatica o scarso impegno; ma vale la pena darsi da fare per conquistare tutti i beni in una sola volta. L'unico bene è l'onestà: negli altri apprezzati dalla massa non troverai niente di vero, niente di sicuro. 7 Secondo te, nella mia lettera precedente non ho trattato il problema esaurientemente e ho dedicato più spazio alle lodi che alla dimostrazione; ti ripeterò allora in breve perché sostengo che la virtù sia l'unico bene.
8 Ogni cosa vale per il bene che ha in sé: la fertilità e il sapore del vino dà pregio alla vite, la velocità al cervo; dei cavalli da tiro, che sono utilizzati solo per il trasporto di carichi, si chiede se hanno la schiena forte; la principale qualità di un cane è il fiuto, se deve scovare le fiere, la velocità se deve inseguirle, il coraggio, se deve assalirle e azzannarle; ognuno deve raggiungere la perfezione in quello per cui nasce, per cui viene valutato. 9 E nell'uomo qual è la caratteristica migliore? La ragione: grazie a essa è superiore agli animali e di poco inferiore agli dèi. Quindi la ragione perfetta è un suo bene peculiare; le altre qualità le ha in comune con gli animali e le piante. È forte: lo è anche il leone. È bello: anche il pavone. È veloce: anche il cavallo. Senza dire che in tutte queste qualità è superato; io non cerco la sua qualità migliore, ma quella sua propria. Ha un corpo: anche gli alberi. Ha slanci e movimenti volontari: li hanno anche le bestie, anche i vermi. Ha la voce: ma i cani ce l'hanno tanto più forte, le aquile più acuta, i tori più profonda, gli usignoli più dolce e agile. 10 Qual è la qualità peculiare dell'uomo? La ragione: se questa è onesta e perfetta, dà all'uomo una felicità completa. Quindi se ogni cosa, quando ha portato a perfezione il suo bene, è lodevole e raggiunge il suo fine naturale, e il bene proprio dell'uomo è la ragione, se egli lo ha portato a perfezione, è lodevole e ha toccato il suo fine naturale. La ragione perfetta si chiama virtù e coincide con l'onestà. 11 Pertanto è l'unico bene nell'uomo, poiché è l'unico bene proprio dell'uomo: noi non stiamo cercando che cosa sia il bene, ma quale sia il bene proprio dell'uomo. Se esso consiste solo nella ragione, questa sarà l'unico suo bene, ma va confrontato con tutti gli altri. Se uno è malvagio, verrà, a mio parere, giudicato negativamente; se è buono, positivamente. Quindi, nell'uomo, primo e solo bene è quello per cui egli riceve approvazione e disapprovazione.
12 Tu non dubiti che questo sia un bene, dubiti che sia il solo bene. Se uno ha tutti gli altri beni, salute, ricchezza, antenati famosi, una massa di clienti, ma è chiaramente un malvagio, lo disprezzerai; così se uno non ha alcuno dei beni suddetti, è privo di denaro, di clienti, di nobiltà e di una sfilza di avi e bisavoli, ma è palesemente virtuoso, lo apprezzerai. Quindi è questo l'unico bene dell'uomo: chi lo possiede, anche se gli mancano gli altri beni, merita apprezzamento; chi non lo possiede, è disapprovato e disprezzato, benché di tutti gli altri beni ne abbia in abbondanza. 13 Identica la condizione dell'uomo e quella delle cose: non si definisce buona la nave dipinta con colori preziosi o quella col rostro d'oro o d'argento o che ha il dio protettore scolpito in avorio o che è carica di tesori o ricchezze degne di un re, ma quella stabile e sicura, compatta in modo che non entri acqua, solida e resistente alla furia del mare, docile al timone, veloce e non soggetta alla violenza del vento; 14 non definirai buona una spada se ha il cinturino d'oro o il fodero tempestato di gemme, ma se ha la lama dal taglio affilato e una punta in grado di trapassare ogni difesa; non si richiede che una riga sia bella, ma che sia perfettamente diritta: ogni oggetto è apprezzato in virtù dell'uso per cui è fatto e che gli è proprio. 15 Dunque, anche in un uomo non importa quanta terra abbia, quanto frutto ricavi dai suoi capitali, quanta gente gli renda omaggio, se dorme in un letto prezioso, se beve in una coppa scintillante, ma la sua onestà. Ed è onesto se la sua ragione è libera, giusta e realizzata in armonia con l'inclinazione della sua natura. 16 Questa si chiama virtù, questa è l'onestà ed è l'unico bene dell'uomo. Solo la ragione può rendere perfetto l'uomo, solo la ragione, quindi, può renderlo perfettamente felice e questo è l'unico bene che da solo rende felici. Noi definiamo beni anche quelli che scaturiscono e nascono dalla virtù, cioè tutte le sue opere; perciò la virtù è l'unico bene, poiché non esiste bene senza di lei. 17 Se ogni bene risiede nell'anima, tutto ciò che la rafforza, la innalza, l'accresce, è un bene; ma è la virtù a rendere più forte, più eccelsa, più grande l'anima. Gli altri beni che accendono i nostri desideri, avviliscono l'anima, la abbattono e apparentemente la elevano, in realtà la gonfiano e la ingannano con false apparenze. Quindi l'unico bene è quello che rende migliore l'anima. 18 Ogni azione dell'intera nostra esistenza è regolata dalla considerazione del bene e del male; su di essi si basa la norma dell'agire e del non agire. Ecco qual è: l'uomo virtuoso farà quello che ritiene onesto anche se gli costerà fatica, anche se lo danneggerà o sarà rischioso; non compirà, invece, un'azione indegna, anche se gli procurerà denaro o piacere o potenza: niente lo distoglierà dal bene, niente lo indurrà al male. 19 Quindi, se perseguirà sempre l'onestà, eviterà sempre la disonestà e in ogni azione della sua vita terrà presente questi due principî, non c'è altro bene che l'onestà, non c'è altro male che la disonestà; se solo la virtù è incorrotta e sola rimane sempre uguale a se stessa, la virtù è l'unico bene e non può succedere che non sia un bene. Non corre il pericolo di cambiare: lo stolto può salire con fatica alla saggezza, il saggio non può ripiombare nella stoltezza.
20 Ho già detto, se te ne ricordi, che molti obbedendo a uno slancio inconsulto si sono messi sotto i piedi tutto quello che la massa desidera o teme: abbiamo trovato uomini che hanno rinunciato alla ricchezza, che hanno messo la mano nel fuoco, che hanno continuato a sorridere anche sotto tortura, che non hanno versato una sola lacrima al funerale dei figli, che hanno affrontato coraggiosamente la morte; amore, ira, ambizione li hanno portati a sfidare i pericoli. Se arriva a tanto una momentanea risolutezza, prodotta da un qualche stimolo, quanto più potrà compiere la virtù: la sua forza non dipende da un impulso improvviso, ma è sempre uguale a se stessa e duratura. 21 Ne consegue che quanto viene disprezzato spesso da gente temeraria e sempre dai saggi, non è né bene, né male. La virtù è, quindi, l'unico bene e avanza superba tra la buona e la cattiva sorte, disprezzandole entrambe.
22 Se, invece, ti convincerai che c'è qualche altro bene oltre l'onestà, vacilleranno tutte le virtù; non potrà mantenersene nessuna, se prenderà in considerazione altro fuori di sé. Se è così, questa affermazione contrasta con la ragione da cui scaturiscono le virtù, e con la verità, che non esiste senza la ragione; ma qualunque opinione sia in contrasto con la verità, è falsa. 23 Devi ammettere che un uomo virtuoso ha una grandissima venerazione per gli dèi. Sopporterà perciò con animo sereno tutto quello che gli accade; sa che è accaduto per la legge divina che muove l'universo. Se è così, per lui l'unico bene sarà l'onestà; essa comprende l'obbedienza agli dèi, non adirarsi per gli imprevisti, non deplorare la propria sorte, ma accogliere con rassegnazione il destino e fare quello che comanda. 24 Se c'è qualche altro bene oltre all'onestà, ci perseguiterà la bramosia di vivere, la bramosia dei beni che corredano la vita, tutti desideri insopportabili, senza limiti e incerti. Il solo bene è dunque l'onestà che ha una misura.
25 Come ho già detto, la vita degli uomini sarebbe più felice di quella degli dèi, se fossero veri beni quelli di cui gli dèi non godono, come il denaro, gli onori. Aggiungi ora che, se pure le anime sopravvivono alla morte del corpo, le aspetta una condizione più felice di quando si trovano nel corpo. Se, però, sono beni veri quelli di cui godiamo per mezzo del corpo, una volta persi, la condizione dell'anima sarebbe peggiore; ma è impossibile credere che le anime chiuse e oppresse nei corpi siano più felici che libere e proiettate nell'universo. 26 Avevo anche detto che se sono veri beni quelli che toccano tanto agli uomini quanto agli animali, anche gli animali vivrebbero una vita felice; e questo non è assolutamente possibile. Per la virtù bisogna sopportare tutto, ma ciò non sarebbe necessario se ci fosse qualche altro bene oltre la virtù.
Ho riassunto ed esposto in breve questi concetti sebbene li abbia trattati più ampiamente in precedenza. 27 Ma tu non potrai mai condividere un'opinione come questa, se non elevi il tuo spirito e non ti domandi se saresti pronto a offrire non solo con rassegnazione, ma anche volentieri, la testa, nel caso che le circostanze richiedano di morire per la patria e di pagare con la vita la salvezza di tutti i cittadini. Se la risposta è sì, non esiste nessun altro bene, perché tu rinunci a tutto per ottenerlo. Guarda quanta forza ha la virtù: morirai per la patria, anche se dovrai farlo subito, non appena ti renderai conto che è tuo dovere. 28 A volte da una nobilissima azione deriva una gioia grande anche se breve; per quanto il frutto dell'impresa non tocchi a chi muore e sia strappato alla vita, tuttavia, fa piacere pensare all'azione che si compirà, e l'uomo forte e giusto, se considera il prezzo del suo sacrificio, cioè la libertà della patria e la salvezza di tutti quegli uomini per i quali si immola, prova una straordinaria gioia e gode del pericolo che affronta. 29 Ma anche l'uomo che è privato della gioia data da quel supremo nobilissimo gesto, correrà senza esitare verso la morte, contento di agire secondo giustizia e dovere. Opponigli ancora altri argomenti per dissuaderlo; digli: "Al tuo gesto seguirà un immediato oblio e l'ingratitudine dei cittadini". Ti risponderà: "Tutto questo non riguarda la mia impresa, la considero per se stessa; sono convinto che sia onesta e perciò vado dovunque mi conduca e mi chiami".
30 Questo, dunque, è l'unico bene e lo avverte non soltanto l'animo perfetto, ma anche l'animo generoso e di indole buona: gli altri beni sono futili e instabili. Perciò il loro possesso non dà serenità; anche se la fortuna propizia li ha concentrati in un solo individuo, pesano su chi li possiede, lo opprimono sempre, a volte lo ingannano. 31 Nessuno di questi dignitari che vedi è felice, non più di quanto lo siano gli attori ai quali il copione assegna lo scettro e il manto sulla scena: in presenza del pubblico avanzano fieri e alti sui coturni, ma appena escono, se li tolgono e ritornano alla loro statura. Non è grande nessuno di quegli uomini che le ricchezze e gli onori mettono in una condizione privilegiata. E perché, allora, sembra grande? Perché lo misuri insieme al piedistallo. Un nano, anche se sta su un monte, non è alto; un gigante mantiene la sua altezza anche in un fosso. 32 Fatalmente commettiamo questo errore: non stimiamo nessuno per quello che è: gli aggiungiamo anche tutti gli orpelli. Ma se vuoi fare una valutazione esatta di un uomo e sapere com'è veramente, esaminalo spoglio di tutto; deponga il patrimonio, deponga le cariche e gli altri inganni della fortuna, si spogli anche del corpo: guarda alla qualità e alla grandezza della sua anima, se è grande per beni propri o estranei. 33 Stimalo felice, se vede balenare lame davanti ai suoi occhi e non li abbassa né gli importa di rendere l'anima dalla bocca o dalla gola; se minacce di tortura gli vengono dalla sventura o dalla violenza di un potente, se è condannato al carcere o all'esilio o è messo di fronte a circostanze che riempiono di vano terrore l'animo degli uomini e non trema, ma esclama:
o vergine, nessuna pena mi giunge nuova o inaspettata; tutto ho previsto, tutto ho considerato nell'animo mio.
"Tu oggi mi annunci queste disgrazie: io le ho sempre annunciate a me stesso e come uomo mi sono preparato al destino umano." 34 Non è duro il colpo inferto da una disgrazia prevista. Ma se uno è sciocco e si affida alla sorte, ogni avvenimento gli sembra nuovo e inaspettato; per gli ignoranti gran parte del male è rappresentato dalla novità. Sappi questo: le disgrazie che sembravano loro intollerabili, le sopportano con più coraggio quando ci hanno fatto l'abitudine. 35 Perciò il saggio si abitua ai mali futuri e, mentre per gli altri diventano sopportabili dopo una lunga sofferenza, egli li rende tali con una lunga meditazione. Certe volte sentiamo dire da un ignorante: "Questo me lo aspettavo"; il saggio si aspetta tutto; qualunque cosa gli capiti, dice: "Me l'aspettavo." Stammi bene.

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1 Oggi sono comparse improvvisamente le navi alessandrine, che di solito precedono la flotta e ne preannunciano l'arrivo: si chiamano "navi staffetta". In Campania le vedono arrivare volentieri: tutta la popolazione di Pozzuoli si accalca sul molo e anche in mezzo a tante navi riconosce quelle alessandrine dal tipo di vele: solo a esse è consentito spiegare la vela di gabbia che tutte le navi alzano in alto mare. 2 Non c'è niente che favorisca la velocità della nave quanto la parte alta della velatura; è da qui che la nave riceve la spinta maggiore. Perciò quando il vento cresce ed è più forte del dovuto, l'antenna viene abbassata: in basso il soffio ha meno forza. Quando arrivano in prossimità di Capri e del promontorio da cui
Pallade su una cima tempestosa guarda dall'alto,
le altre navi devono ridurre la velatura: la vela di gabbia è il segno distintivo delle navi alessandrine.
3 Mentre tutti si precipitavano alla spiaggia, ho tratto un enorme piacere dalla mia pigrizia: dovevo ricevere lettere dai miei amministratori e non mi affrettavo per conoscere la situazione dei miei affari laggiù e che notizie mi portassero: già da tempo per me non ci sono né perdite né guadagni. Avrei dovuto pensarla così anche se non fossi vecchio e quindi ancor più adesso: per quanto poco io abbia, sono provviste superiori al cammino che mi rimane, soprattutto perché ho imboccato una via che non è necessario percorrere fino in fondo. 4 Un viaggio è incompiuto se ci si ferma a mezza strada o prima del punto stabilito; la vita non è incompiuta, se è virtuosa. Dovunque la concludi, se la concludi bene, è completa. Spesso poi bisogna farla finita con coraggio per cause che non sono tra le più importanti: del resto non sono importantissimi neppure i motivi che ci tengono in vita.
5 Tullio Marcellino, che tu conoscevi molto bene, un ragazzo tranquillo e invecchiato di colpo, colpito da una malattia non inguaribile, ma lunga e fastidiosa e che esigeva molte cure, cominciò a pensare al suicidio. Riunì intorno a sé numerosi amici. Ognuno, o perché era vile, gli consigliava quello che avrebbe fatto egli stesso, o perché era compiacente e adulatore, gli dava il consiglio che supponeva a lui più gradito. 6 Uno stoico mio amico, una personalità fuori dal comune e, per lodarlo con parole degne di lui, un individuo forte e coraggioso, gli rivolse, a mio parere, le parole più opportune: "Mio caro Marcellino, non tormentarti," gli disse, "come se dovessi prendere una decisione fondamentale; vivere non è poi una gran cosa: tutti i tuoi schiavi, tutte le bestie vivono: l'importante è morire con dignità, saggezza e coraggio. Pensa da quanto tempo fai sempre le stesse cose: mangi, dormi, fai l'amore. È un circolo vizioso. Desiderare la morte non è solo un segno di saggezza o di coraggio o di infelicità, ma anche di nausea." 7 Marcellino non aveva bisogno di uno che lo convincesse, ma di uno che lo aiutasse. I servi si rifiutavano di obbedire. Lo stoico intanto li tranquillizzò e mostrò che la servitù si sarebbe trovata in pericolo se fossero nati dubbi sul suicidio del padrone; del resto non era un atto esemplare tanto uccidere il padrone, quanto impedirgli di uccidersi. 8 Allo stesso Marcellino ricordò poi, che sarebbe stato un bel gesto offrire alla fine della vita qualcosa alle persone che per tutta la vita lo avevano servito, come, finita la cena, si dividono gli avanzi tra gli schiavi presenti. Marcellino era generoso e liberale, disposto a dare anche del suo; distribuì così piccole somme tra i servi che piangevano e per giunta cercò di consolarli. 9 Non ebbe bisogno di un'arma o di una morte cruenta: non mangiò per tre giorni e comandò che nella stanza da letto mettessero una tenda. Poi fu portata una tinozza: vi giacque a lungo e a poco a poco mentre versavano l'acqua calda, gli vennero meno le forze, come diceva, non senza un suo piacere, il piacere tipico di quel lieve dissolversi ben noto a me che certe volte perdo i sensi.
10 Mi sono dilungato in una narrazione che certo non ti è sgradita; ti renderai ora conto che la morte del tuo amico è stata facile e priva di sofferenza. È vero che si è dato volontariamente la morte, ma se ne è andato dolcemente, quasi scivolando dalla vita. Non ti avrò certo raccontato questo inutilmente; è spesso la necessità a esigere modelli del genere. Molte volte dovremmo morire e non vogliamo, oppure moriamo e non vogliamo. 11 Nessuno è tanto ignorante da non sapere che un giorno o l'altro dovrà morire; eppure, quando si avvicina l'ora, tergiversa, trema, supplica. Secondo te non sarebbe completamente stupido uno che piangesse per non essere vissuto mille anni prima? Altrettanto stupido è uno che piange perché non sarà vivo fra mille anni. È proprio la stessa cosa: in passato non c'eri, non ci sarai in futuro; futuro e passato non ci appartengono. 12 Sei stato scaraventato in questo punto del tempo: allungalo pure; fin dove ti riuscirà di allungarlo? Cosa piangi a fare? Cos'è che vuoi? Fatica sprecata.
Non sperare che per le tue preghiere mutino i disegni divini.
Sono stati sanciti, sono immutabili, li governa una potente ed eterna necessità: andrai là dove vanno tutti gli esseri. Cos'è che ti sembra nuovo? Tu sei nato sotto questa legge; così è stato per tuo padre, tua madre, i tuoi avi, per tutte le generazioni passate e sarà così per quelle future. Una successione ineluttabile, che nessuna forza può infrangere, vincola e trascina ogni cosa. 13 Che folla di uomini destinati a morire verrà dopo di te, che folla si accompagna a te! Saresti più forte, penso, se insieme a te morissero molte migliaia di individui: eppure, nel preciso momento in cui tu esiti a morire, molte migliaia di uomini e di animali in maniere diverse esalano l'ultimo respiro. Ma non pensavi che prima o poi saresti arrivato alla meta del tuo cammino? Ogni viaggio ha una sua fine.
14 Tu credi che ora mi rifarò a esempi di grandi uomini? No, parlerò di ragazzi. È famoso quel ragazzo spartano ancora imberbe che, fatto prigioniero, gridava nel suo dialetto dorico: "Non sarò schiavo mai"; e mantenne fede alle sue parole: quando gli ordinarono il primo lavoro umiliante e servile, (portare un vaso da notte), si fracassò la testa sbattendola contro la parete. 15 La libertà è così vicina: e c'è chi vive schiavo? Preferiresti che tuo figlio morisse così, o che diventasse vecchio nell'inerzia? Perché dunque turbarti, se anche un fanciullo può morire con coraggio? Metti caso che tu non voglia seguire il destino comune: sarai costretto. Riduci in tuo dominio ciò che dipende da altri. Non imiterai il coraggio di un fanciullo per affermare: "No, non sarò un servo"? Infelice, sei schiavo degli uomini, delle cose, della vita; anche la vita, se manca il coraggio di morire, è una schiavitù. 16 Hai davvero buoni motivi per aspettare? Anche i piaceri, che ti bloccano e ti trattengono, li hai esauriti: non ce n'è nessuno nuovo per te; nessuno che non ti disgusti ormai per la troppa sazietà. Conosci il sapore del vino puro, del vino col miele, non c'è differenza se per la tua vescica ne passano cento o mille anfore: sei solo un filtro. Conosci benissimo il gusto delle ostriche e delle triglie: la tua mollezza non ti ha lasciato nulla di ignoto da godere per gli anni a venire. Eppure sono queste le cose da cui ti stacchi a malincuore. 17 C'è dell'altro che ti dispiace se ti viene strappato? Gli amici? Ma sai essere un vero amico? La patria? Ne fai conto tanto da ritardare la cena? Il sole? Ma se potessi, lo spegneresti! C'è qualche tua azione degna della luce? Confessalo: dalla morte non ti trattengono la politica o gli affari o l'amore per la natura: tu lasci malvolentieri un mercato di viveri, in cui non hai lasciato nessun prodotto. 18 Hai paura della morte: eppure come la disprezzi per una mangiata di funghi! Vuoi vivere: ma ne sei capace? Hai paura della morte: perché? Questa esistenza non è morte? Mentre Gaio Cesare passava per la via Latina, uno dei prigionieri, un vecchio con la barba lunga fino al petto, lo supplicò: "Fammi uccidere!" Gli rispose: "Perché, adesso tu vivi?" Ecco la risposta da dare a quegli individui per i quali la morte sarebbe un rimedio: "Hai paura di morire, perché adesso vivi?" 19 "Ma," può rispondere, "io voglio vivere, compio tante nobili azioni; non ho intenzione di venir meno ai doveri dell'esistenza, doveri che adempio con probità e zelo." Perché? Ignori che uno dei doveri della vita è anche morire? Tu non trascuri nessun obbligo; non hai un numero definito di doveri da compiere. 20 Ogni vita è breve; se guardi alla natura delle cose, è breve anche l'esistenza di Nestore e di Sattia, che ha voluto scritto sulla sua tomba di essere vissuta novantanove anni. Vedi: c'è chi si vanta di una lunga vecchiaia; chi l'avrebbe potuta sopportare se fosse arrivata a cent'anni? La vita è come un dramma; non conta quanto è lunga, ma se viene rappresentata bene. Non importa dove finisci. Finisci dove vuoi, basta che tu chiuda bene. Stammi bene.

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1 Ti tormentano continuamente catarro e febbriciattole, inevitabile conseguenza di un catarro cronico e di vecchia data; mi dispiace tanto più perché ci sono passato anch'io per questo genere di malattia: all'inizio non ci feci caso, ero giovane e potevo ancòra sopportare i danni di un male e comportarmi con una certa arroganza nei suoi confronti; poi, dovetti soccombere, e mi ridussi a essere tutto catarro e diventai uno scheletro. 2 Tante volte mi prese la voglia di farla finita: ma mi trattenne la vecchiaia del mio amorevolissimo padre. Pensai non come potevo morire da forte, ma come mio padre non avesse la forza di sopportare la mia scomparsa. Perciò mi imposi di vivere; talvolta anche vivere è un atto di coraggio.
3 Ti dirò che cosa mi diede sollievo; ma prima voglio dirti che quanto mi confortava ebbe per me l'efficacia di una medicina; un conforto onesto diventa una medicina e, se una cosa solleva l'anima, giova anche al corpo. Gli studi furono la mia salvezza. È grazie alla filosofia se mi sono risollevato, se sono guarito; alla filosofia sono debitore della vita, ma questo è il debito più piccolo che ho con lei. 4 Anche gli amici contribuirono molto alla mia guarigione; i loro consigli, le veglie, le conversazioni mi erano di sollievo. Niente, mio ottimo Lucilio, rianima un ammalato e lo sostiene quanto l'affetto degli amici, niente serve tanto a ingannare l'attesa e il timore della morte: non ritenevo di morire, se rimanevano in vita loro. Pensavo, voglio dire, che sarei vissuto non con loro, ma attraverso loro; non mi sembrava di esalare l'anima, ma di trasmetterla. Tutto questo mi diede la volontà di farmi forza e di sopportare ogni tormento; altrimenti è ben triste cosa non avere il coraggio di vivere e aver buttato via il coraggio di morire.
5 Questi sono i farmaci da prendere: il medico ti prescriverà quante passeggiate o quanto moto devi fare; ti raccomanderà di non abbandonarti all'ozio cui si tende quando una malattia costringe all'inattività; di leggere ad alta voce e di esercitare il fiato perché vie respiratorie e polmoni lavorano male; di andare in barca per smuovere le viscere con quel dolce ondeggiare; ti dirà che cosa devi mangiare, quando devi bere vino per darti forza, quando devi astenertene per non provocare e inasprire la tosse. Io ti prescrivo un rimedio adatto non solo a questa malattia, ma a tutta l'esistenza: il disprezzo della morte. Non c'è più nulla di triste, se ci sottraiamo alla paura della morte.
6 In ogni malattia ci sono tre cose gravi: il timore della morte, il dolore fisico, l'interruzione dei piaceri. Della morte si è detto abbastanza, aggiungerò solo questo: è un timore legato non alla malattia, ma alla nostra natura. È successo a tanta gente che una malattia ne allontanasse la morte, e la sensazione di morire fu per loro salutare. Morirai non perché sei ammalato, ma perché vivi. La morte ti attende anche dopo la guarigione; se guarirai, non sarai sfuggito alla morte, ma alla malattia.
7 Torniamo ora ai disagi veri e propri: una malattia provoca forti sofferenze, ma a intervalli che le rendono tollerabili. Un dolore quando è al massimo dell'intensità non dura; nessuno può soffrire intensamente e a lungo: la natura, che ci ama molto, ci ha regolato in modo che il dolore fosse o sopportabile o di breve durata. 8 I dolori più acuti si localizzano nei punti più magri del corpo; i nervi, le giunture e le altre parti più scarne ci fanno soffrire terribilmente quando il male si annida nella loro superficie limitata. Queste parti, però si intorpidiscono presto e l'intensità stessa del dolore le rende insensibili, primo perché lo spirito vitale è impedito nelle sue attività naturali e si deteriora: perde la forza da cui trae vigore e con cui ci stimola; secondo perché gli umori corrotti, quando non hanno più uno sbocco, si neutralizzano da sé e privano di sensibilità quelle parti che hanno riempito in maniera eccessiva. 9 Così la gotta che colpisce mani e piedi e tutti i dolori delle vertebre e dei nervi si calmano quando ottundono le parti che tormentavano; le prime fitte di tutte queste malattie sono lancinanti, poi, se durano, finisce la fase acuta e al dolore subentra l'intorpidimento. Il mal di denti, di occhi, di orecchie è più acuto perché si sviluppa in organi molto piccoli, e lo stesso è, perbacco, per il mal di testa; se, però è troppo violento, provoca delirio e torpore. 10 Perciò un dolore intenso porta questo sollievo: se lo si sente troppo, si finisce necessariamente per non sentirlo più. Ma c'è una cosa che tormenta gli ignoranti nelle sofferenze fisiche: non sono abituati a essere paghi dello spirito; attribuiscono molta importanza al corpo. Perciò l'uomo magnanimo e saggio separa l'anima dal corpo e con la parte migliore di sé, di origine divina, si intrattiene a lungo, con quella corporea lamentosa e fragile, invece, solo lo stretto necessario. 11 "Ma," si obietta, "è fastidioso non godere dei consueti piaceri, astenersi dal cibo, soffrire la sete, la fame." In un primo momento queste privazioni sono gravose, poi il desiderio comincia ad attenuarsi proprio per la spossatezza e l'indebolimento degli organi del desiderio; lo stomaco diventa schifiltoso e all'avidità di cibo subentra la nausea. Anche le voglie si spengono e allora non è duro rinunciare a ciò che non si desidera. 12 Aggiungi che ogni dolore a tratti si placa o, almeno, diminuisce. Inoltre, è possibile prevenirlo e contrastarlo con le medicine; ogni tipo di sofferenza presenta chiari sintomi, specie se ritorna spesso. È, dunque, possibile sopportare la malattia se ne disprezzi le estreme conseguenze.
13 Non renderti più gravosi i tuoi mali, non opprimerti con i lamenti: il dolore è leggero se non lo accresci con la tua suggestione. Se comincerai invece a farti coraggio e a dirti: "Non è niente o almeno è cosa da poco; resistiamo, sta per finire", con questi pensieri lo renderai leggero. Tutto dipende dalla suggestione; e non ne sono soggette soltanto l'ambizione, la lussuria, l'avidità: soffriamo per suggestione. 14 Ognuno è infelice quanto ritiene di esserlo. Ma evitiamo, io la penso così, di lamentarci per i dolori passati dicendo: "A nessuno è mai capitato di peggio. Che sofferenze, che mali ho sopportato! Nessuno pensava che mi sarei ripreso. Quante volte i miei mi hanno pianto, quante volte i medici mi hanno dato per spacciato! Nemmeno sotto tortura si soffre tanto." Anche se questo è vero, ormai è andata: a che serve rivangare i dolori sofferti ed essere infelice ora perché lo sei stato in passato? Tutti ingigantiscono i loro mali e mentono a se stessi! E poi è piacevole che siano finiti quei dolori che è stato duro sopportare: quando il male finisce, è naturale goderne. Due cose, dunque, vanno eliminate: il timore di un nuovo male e il ricordo di quello vecchio; l'uno ancora non mi tocca, l'altro non mi tocca più. 15 Proprio quando uno sta male deve dire:
Forse un giorno mi riuscirà gradito anche il ricordo di queste sofferenze.
Combatta con tutto se stesso; se si arrende, sarà sconfitto, ma vincerà se lotterà contro il dolore. E invece, la maggior parte della gente attira su di sé le disgrazie a cui dovrebbe opporsi. Il male che ti incalza, che ti sovrasta, che non ti dà tregua, se cercherai di sottrarti, ti inseguirà e ti piomberà addosso più pesantemente; se rimarrai saldo e opporrai resistenza, riuscirai a respingerlo. 16 Quanti colpi prendono gli atleti sulla faccia, su tutto il corpo! E tuttavia sopportano ogni sofferenza per desiderio di gloria, non solo durante i combattimenti, ma anche quando si preparano ai combattimenti: l'allenamento stesso è già sofferenza. Vinciamo anche noi ogni male: il premio non è una corona o una palma o un banditore che impone il silenzio per proclamare il nostro nome, ma la virtù e la fermezza d'animo e la pace conquistata in ogni altro campo, se vinciamo una volta un combattimento con la fortuna. 17 "Sento un dolore lancinante." E allora? Non lo senti, se ti comporti come una donnetta? Il nemico è più pericoloso per chi fugge; allo stesso modo una disgrazia dovuta al caso preme di più su chi si arrende e volge le spalle. "Ma è lancinante." E come? Siamo forti solo per portare pesi leggeri? Preferisci una malattia lunga oppure breve e violenta? Se è lunga ha degli intervalli, lascia un po' di respiro, concede molto tempo e necessariamente, come comincia, finisce; una malattia breve e violenta presenta due alternative: o si estingue o estingue. Che differenza c'è se vengo meno io o la malattia? In entrambi i casi finisce la sofferenza.
18 Gioverà anche volgere lo spirito ad altri pensieri e staccarsi dal dolore. Ripensa ai tuoi atti di onestà e di coraggio; considerane gli elementi positivi; ricorda le imprese che più hai ammirato; richiama allora alla memoria tutti gli uomini più forti che hanno sconfitto il dolore: quello che ha continuato a leggere un libro mentre si faceva operare di varici, quello che non ha smesso di sorridere mentre i suoi carnefici, rabbiosi proprio per questo, provavano su di lui tutti gli strumenti della loro crudeltà. Quel dolore che il riso è riuscito a vincere, non lo vincerà la ragione? 19 Ora puoi descrivere quello che vuoi, il catarro e la virulenza di una tosse continua che ti fa vomitare anche le viscere, la febbre che ti brucia il petto, la sete, gli arti storpiati dalla deformazione delle articolazioni: sono, però, peggiori il fuoco, il cavalletto, le piastre roventi, tutto quello che viene cacciato dentro le ferite tumefatte per riaprirle e tormentarle più in profondità. Eppure c'è chi tra queste torture non si è lasciato sfuggire un lamento. Ma questo è poco: non ha implorato. È poco: non ha risposto. È poco: ha riso, e di cuore. Vuoi allora ridertela del dolore dopo questi esempi?
20 "Ma," si dice, "la malattia non mi permette di far niente, mi ha distolto da tutte le mie occupazioni." La malattia colpisce il corpo, non lo spirito. Può impedire i piedi del corridore, impacciare le mani del sarto o del fabbro: ma se tu abitualmente ti servi dello spirito, potrai dare consigli e insegnare, ascoltare e imparare, domandare e ricordare. E dunque? Secondo te non fai niente, se, pur essendo infermo, mantieni un comportamento equilibrato? Dimostrerai che un male si può vincere o almeno sopportare. 21 Credimi, anche in un lettuccio c'è posto per la virtù. Prova di un animo ardente, che la paura non riesce a domare, non possono darla solo le armi e le battaglie: l'uomo forte si rivela anche sotto le coperte. Hai qualcosa da fare: combattere valorosamente contro la malattia. Se non c'è cosa a cui potrà costringerti o indurti, darai un esempio insigne. Che straordinaria occasione di gloria ci sarebbe, se gli uomini ci osservassero quando siamo ammalati! Ma tu osservati e lodati da te.
22 Ci sono, poi, due generi di piaceri. La malattia impedisce i piaceri fisici, ma non li elimina; anzi, a ben guardare, li stimola. Se uno ha sete, bere gli piace di più; il cibo è più gradito a chi ha fame; tutto quello che si riceve dopo un periodo di astinenza, si prende con maggiore avidità. Ma i piaceri dell'animo che sono più grandi e più sicuri, nessun medico li nega all'ammalato. Chi tende a essi e li conosce bene, disprezza tutti gli allettamenti dei sensi. 23 "Povero malato!" E perché? Perché non può sciogliere la neve nel vino? Perché non può mantenere fresca la sua bevanda, preparata in una capace coppa, aggiungendovi pezzi di ghiaccio? Perché non gli vengono aperte proprio sulla tavola le ostriche del lago Lucrino? Perché mentre cena non c'è intorno a lui un trambusto di cuochi che insieme alle pietanze portano i fornelli? Ormai la dissolutezza ha escogitato anche questo: per evitare che i cibi diventino tiepidi, che il palato ormai indurito li senta poco caldi, la cucina fa da scorta alla cena. 24 "Povero malato!" Mangerà quanto può digerire: non gli si metterà di fronte un cinghiale, bandito poi dalla mensa come carne poco pregiata, non si ammucchieranno sul piatto da portata petti di uccello (vederli interi darebbe il voltastomaco). Che c'è di male? Mangerai come un malato, anzi una buona volta come una persona sana.
25 Ma tutti questi disagi li sopporteremo volentieri, brodini, acqua calda e tutte quelle altre cose che sembrano intollerabili agli schifiltosi snervati dai piaceri e malati più nell'anima che nel corpo: basta non avere più orrore della morte. E non ne avremo più, se conosceremo i confini del bene e del male; allora soltanto non avremo disgusto della vita, né timore della morte. 26 Non può avere nausea della vita uno che esamini tante questioni, diverse, grandi, divine: chi vive pigramente nell'ozio arriva di solito a odiare la vita. Se uno scruta la natura, la verità non gli verrà mai a nausea: solo le cose false saziano fino al disgusto. 27 E poi, se la morte arriva e lo chiama, anche se è prematura, anche se tronca la sua vita a metà, egli ha già raccolto i frutti di una lunghissima esistenza. Conosce gran parte della natura; sa che la virtù non cresce col passare del tempo: solo a quegli uomini che misurano la vita in base a piaceri vani e perciò senza limiti, ogni vita sembra necessariamente breve.
28 Rinfrancati con questi pensieri e intanto leggi attentamente le mie lettere. Verrà finalmente un tempo in cui ritorneremo a vivere insieme; per quanto breve sia, il saperlo usare lo renderà lungo. Dice Posidonio: "Un solo giorno di un uomo colto è più esteso di una lunghissima esistenza di un uomo ignorante." 29 Intanto tieni ben ferma questa regola: non soccombere ai casi avversi, non fidarsi di quelli propizi, avere presenti gli arbìtrî della sorte, come se dovesse attuare tutto quanto è in suo potere. Ogni evento che si è aspettato a lungo, giunge più sopportabile. Stammi bene.

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1 Aspetto tue lettere per sapere che novità hai scoperto girando per tutta la Sicilia e avere notizie più sicure su Cariddi. Infatti, so benissimo che Scilla è uno scoglio e non è pericoloso per i naviganti: desidero, invece, che tu mi scriva esattamente se sono vere le leggende su Cariddi e, se ci hai fatto caso, (e certo la cosa merita attenzione), informami se i vortici li provoca un vento in particolare, oppure se tutte le burrasche sconvolgono allo stesso modo quel tratto di mare, e se è vero che ogni relitto strappato via da quel turbinio di correnti viene trascinato sott'acqua per molte miglia ed emerge vicino alla spiaggia di Taormina. 2 Se mi scriverai tutte queste notizie, allora oserò chiederti di salire anche sull'Etna per farmi piacere. Secondo alcuni questo vulcano si sta consumando e abbassando a poco a poco; lo deducono dal fatto che un tempo i naviganti lo scorgevano più da lontano. Questo fenomeno può succedere non perché diminuisce l'altezza del monte, ma perché il fuoco è più debole ed esce con minore violenza e in minore quantità e per lo stesso motivo anche il fumo diventa più tenue durante il giorno. Sono due ipotesi plausibili, sia che il monte si stia consumando e abbassando giorno dopo giorno, sia che rimanga tale e quale, perché il fuoco non lo divora, ma si forma in qualche cavità sotterranea, ribolle ed è nutrito da altre sostanze: nel monte non trova alimento: solo una via d'uscita. 3 In Licia c'è una regione notissima, che gli abitanti chiamano Efestione, dove il terreno presenta numerose buche: il fuoco che le circonda è innocuo e non danneggia la vegetazione. La regione è ridente ed erbosa; le fiamme non bruciano niente, semplicemente brillano di una luce debole e fiacca.
4 Ma mettiamo da parte questo argomento per approfondirlo quando mi scriverai a che distanza dal cratere si trova la neve; pur essendo vicina al fuoco, è tanto riparata che non si scioglie nemmeno in estate. Non devi, però addebitarmi la fatica della scalata: anche se nessuno te lo avesse chiesto, l'avresti fatto per soddisfare la tua forte curiosità. 5 Non c'è niente che possa distoglierti dal descrivere l'Etna nel tuo poema e dal toccare questo soggetto abituale per tutti i poeti. Il fatto che Virgilio ne avesse parlato diffusamente non impedì a Ovidio di trattare l'argomento; e Virgilio e Ovidio insieme non distolsero neppure Cornelio Severo. Inoltre questo soggetto si è prestato con successo a tutti, e gli scrittori precedenti, secondo me, non hanno portato via agli altri quello che c'era da dire, ma hanno spianato la via. 6 È molto diverso accostarsi a un tema ormai esaurito, oppure a uno su cui hanno lavorato altri: questo si sviluppa giorno per giorno e le immagini create non sono di ostacolo a chi ne vorrà creare di nuove. E poi lo scrittore che arriva per ultimo è nella condizione ottimale: trova le parole pronte; basta disporle diversamente e acquistano una fisionomia nuova. Il suo non è un furto: appartengono a tutti. 7 O io non ti conosco o l'Etna ti fa venire l'acquolina in bocca; e già desideri scrivere qualcosa di grande e allo stesso livello delle opere precedenti. La tua modestia non ti fa sperare di più: è tale che, secondo me, saresti pronto a trattenere le forze del tuo ingegno se ci fosse pericolo di superare gli altri: tanto è il rispetto che nutri per gli scrittori precedenti.
8 La saggezza ha, oltre al resto, anche questo di buono: uno può superare un altro solo durante la salita. Arrivati in cima, si è tutti uguali; non c'è possibilità di avanzare, si sta fermi. Il sole aumenta forse la sua grandezza? E la luna percorre un'orbita più lunga di quella solita? I mari non crescono; l'universo conserva sempre lo stesso aspetto e la stessa estensione. 9 Le cose che hanno raggiunto le dovute dimensioni non possono ingrandirsi: tutti coloro che raggiungeranno la saggezza saranno uguali e alla pari. Ciascuno di loro avrà doti sue proprie: uno sarà più affabile, uno più pronto, uno più spedito nel parlare, uno più eloquente: la virtù, di cui si discute e che rende felici, è uguale in tutti. 10 Non so se il tuo Etna possa crollare e precipitare su se stesso o se l'azione violenta e continua del fuoco possa corrodere questa alta vetta, visibile su un largo tratto di mare: ma né le fiamme, né un crollo possono trascinare in basso la virtù; è l'unica dignità che non conosce diminuzioni. Non può avanzare e nemmeno indietreggiare; la sua grandezza è fissa come quella dei corpi celesti. Cerchiamo di innalzarci fino a essa. 11 Si è fatto già molto; anzi, a dire il vero, non molto. La bontà non consiste nell'essere migliori dei peggiori: chi potrebbe vantarsi della propria vista, se scorge appena la luce del giorno? Se uno vede splendere il sole attraverso una fitta nebbia, benché sia lieto di essere per il momento sfuggito alle tenebre, non gode ancora del bene della luce. 12 Allora l'anima nostra potrà congratularsi con se stessa quando, uscita dalle tenebre in cui è avvolta, scorgerà la luce, non con vista debole, ma accoglierà tutto lo splendore del giorno e sarà restituita al suo cielo, quando riprenderà il posto assegnatole dalla sorte al momento della nascita. Le sue origini la chiamano in alto e ci arriverà anche prima di liberarsi dalla prigionia del corpo, se disperderà i vizi, e pura e leggera si innalzerà a pensieri divini.
13 È bello, mio carissimo Lucilio, perseguire questo scopo, e tendervi con tutto il nostro slancio, anche se pochi, o nessuno, sono in grado di farlo. La gloria è l'ombra della virtù: la seguirà anche contro il suo volere. Ma come l'ombra a volte precede, a volte segue, oppure è alle spalle, così certe volte la gloria è davanti a noi, visibile, certe altre è dietro ed è più grande quanto più tardi arriva, una volta scomparsa l'invidia. 14 Per quanto tempo Democrito fu considerato pazzo! A fatica Socrate divenne famoso! Per quanto tempo i concittadini ignorarono Catone! Lo respinsero e ne compresero il valore solo dopo la sua morte. L'integrità e la virtù di Rutilio non sarebbero emerse se non avessero subìto un'ingiustizia: l'oltraggio le fece risplendere. Non fu forse grato alla sua sorte e non accettò volentieri l'esilio? Parlo di uomini che la fortuna ha reso celebri mentre ne subivano le angherie: ma di quanti vennero alla luce i meriti solo dopo la morte! Quanti la fama non accolse subito, ma li trasse poi fuori dall'oblio! 15 Vedi quanto è ammirato Epicuro non solo dai più dotti, ma anche dalla massa degli ignoranti! Eppure egli che viveva in disparte nei dintorni di Atene, in Atene stessa era sconosciuto. Molti anni dopo che Metrodoro era morto, celebrò in una lettera con un ricordo grato la sua amicizia con lui; alla fine aggiunse che, fra i tanti beni di cui avevano goduto, né per sé, né per Metrodoro era stato un danno che la celebre Grecia non solo non li avesse conosciuti, ma quasi non li avesse sentiti nominare. 16 Non fu scoperto forse dopo la sua morte? Non rifulse la sua fama? Anche Metrodoro in una lettera confessa che lui ed Epicuro non erano abbastanza noti, ma che dopo di loro avrebbero ottenuto grande e immediata fama gli uomini che avessero voluto calcare le loro stesse orme. 17 La virtù non rimane mai sconosciuta e l'essere stata sconosciuta non la danneggia: verrà il giorno che la riporterà alla luce dalle tenebre in cui era stata seppellita e compressa dall'invidia dei contemporanei. Chi si dà pensiero degli uomini del suo tempo, è nato per pochi. Seguiranno migliaia di anni, migliaia di generazioni: guarda a loro. Anche se l'invidia ridurrà al silenzio tutti i tuoi contemporanei, verranno i posteri a giudicarti senza risentimenti o compiacenze. Se dalla fama deriva un premio alla virtù, neppure questo andrà perduto. Non ci toccherà quello che i posteri diranno di noi; tuttavia ci onoreranno e ci celebreranno anche se non potremo sentirli. 18 La virtù ricompensa tutti o da vivi o da morti, purché la seguiamo con lealtà, senza fregiarcene o adornarcene, ma rimanendo sempre gli stessi, sia che sappiamo di essere visti, sia che veniamo colti di sorpresa, impreparati. Fingere non serve; una maschera superficiale può ingannare solo pochi: la verità è uguale in ogni sua parte. L'inganno non ha solide basi. La menzogna è uno schermo sottile: se guardi con attenzione, è trasparente. Stammi bene.

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1 Oggi sono libero: non tanto per merito mio, ma di uno spettacolo di pugilato che ha fatto da richiamo a tutti gli scocciatori. Nessuno farà irruzione a casa mia, nessuno verrà a interrompere le mie riflessioni, che, proprio fidando in questo, procedono più ardite. La porta non cigolerà improvvisamente, nessuno alzerà la tenda della mia stanza: potrò procedere in tutta tranquillità, e questo è necessario soprattutto per chi cammina da solo e percorre una sua strada. Non seguo, dunque, le orme dei miei predecessori? Sì, ma mi permetto di trovare, di cambiare, di tralasciare qualcosa; condivido le loro idee, senza, però esserne schiavo.
2 Ho parlato troppo, tuttavia, quando mi ripromettevo silenzio e solitudine senza scocciatori: ecco, alte grida arrivano dallo stadio: non mi distolgono dai miei pensieri, ma mi portano a esaminare proprio questo fatto. Penso tra me e me quanti sono gli uomini che esercitano il corpo e quanto pochi quelli che esercitano la mente; quanta gente accorre a un passatempo inconsistente e vano, e che deserto intorno alle scienze; che animo debole hanno quegli atleti di cui ammiriamo i muscoli e le spalle. 3 E soprattutto penso a questo: se con l'esercizio il corpo può arrivare a sopportare pugni e calci, e non di un uomo solo, se un individuo può passare un giorno intero sotto un sole a picco nella polvere rovente, perdendo sangue, quanto sarebbe più facile rinforzare l'animo in modo che riceva senza piegarsi i colpi della fortuna, che si risollevi anche atterrato e calpestato. Il corpo ha bisogno di molte cose per star bene: l'animo cresce da sé, alimenta ed esercita se stesso. Gli atleti hanno bisogno di molto cibo, molte bevande, molto olio e, infine, di un lungo esercizio: tu, invece, raggiungerai la virtù senza preparativi, senza spesa. Tutto quello che può renderti virtuoso lo hai con te. 4 Di che cosa hai bisogno per diventare virtuoso? Della volontà. Ma che cosa puoi volere di meglio che sottrarti a questa schiavitù che opprime tutti, che persino gli schiavi di infimo stato, nati in questa abiezione, tentano in ogni modo di scuotersi di dosso? Loro, per avere la libertà, sborsano quei risparmi che hanno accumulato privandosi del cibo: e tu, che ritieni di essere nato libero, non desidererai raggiungere a ogni costo la libertà? 5 Perché guardi la cassaforte? La libertà non puoi comprarla. Perciò è inutile scrivere sui documenti la parola libertà: non si può comprarla, né venderla: questo bene te lo devi donare tu stesso, devi chiederlo a te stesso. Liberati prima di tutto dalla paura della morte, che ci impone il suo giogo, e poi dalla paura della povertà. 6 Nella povertà non c'è niente di male; per rendertene conto confronta tra loro il volto dei poveri e quello dei ricchi: il povero ride più spesso e più di cuore, non ha nessuna preoccupazione nel suo intimo e, anche se gli capita qualche cruccio, passa come una nube leggera: ma l'allegria di quegli uomini che vengono definiti felici è simulata oppure gravata e corrotta da un'intima tristezza, ed è tanto più penosa perché certe volte non possono mostrare apertamente la loro infelicità, ma devono fingersi lieti anche se gli affanni rodono loro il cuore. 7 Dovrei servirmi più spesso di questo esempio, perché esprime, più efficacemente di qualsiasi altro, questa farsa della vita umana, dove ci viene assegnata una parte che recitiamo male. L'attore che avanza impettito sulla scena e a testa alta recita queste battute:
Ecco comando su Argo; Pelope mi lasciò in eredità quei luoghi dove l'Istmo è battuto dall'Ellesponto e dal mare Ionio,
è uno schiavo, la sua paga è di cinque moggi di farina e cinque denari. 8 Quell'altro che superbo e tracotante, fiduciosamente orgoglioso della sua potenza, dice:
Se non stai quieto, Menelao, perirai per mia mano,
è pagato a giornata e dorme su un pagliericcio. Lo stesso si può dire di tutti questi effeminati che in lettiga avanzano sopra una folla di teste: la loro felicità è una commedia. Se li spogli, li disprezzerai. 9 Quando compri un cavallo vuoi che gli tolgano la gualdrappa: gli schiavi messi in vendita li fai svestire perché non nascondano qualche difetto fisico: e giudichi un uomo tutto paludato? I mercanti di schiavi cercano di nascondere le anomalie con qualche espediente, perciò chi compra diffida proprio delle bardature: se vedessi un braccio o una gamba bendati, li faresti scoprire e mettere a nudo. 10 Vedi quel re di Scizia o di Sarmazia col capo splendidamente adorno di una corona? Se vuoi giudicarlo e sapere com'è veramente, levagli il diadema: sotto si nascondono molte magagne. Ma perché parlo degli altri? Se vuoi valutare te stesso, metti da parte il denaro, la casa, la tua posizione, esaminati nell'intimo: ora ti affidi al giudizio degli altri. Stammi bene.

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