Salvatore Quasimodo e l'ermetismo

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Testo

“Progetto poeta”
Salvatore Quasimodo e l’ermetismo

di
Alaimo Cinzia
Esami di Stato - a.s. 2007/2008
L’ERMETISMO
La prima guerra mondiale chiude un periodo della nostra storia civile, politica e letteraria. Nel clima dell’immediato dopoguerra si registrò un collasso di energie spirituali, una crisi di delusione vuota e amara.
Le pressioni di controllo e censura operata dal regime fascista costrinse i letterati a scegliere tra due possibili strade: o fare arte-propaganda per conto del regime e così venire in contatto con il grande pubblico, oppure ritirarsi in un atteggiamento di distacco e di “purezza” (cioè di estraneità ad ogni impegno sociale e politico) limitandosi a scrivere per un pubblico d’élite.
Ma il realtà il regime politico del tempo influì solo in parte sulla lirica. Non sembra giustificato considerare l’Ermetismo come una conseguenza della situazione di censura intellettuale tipica della dittatura fascista. Infatti l’Ermetismo deve essere piuttosto riallacciato alle esigenze espressive della contemporanea lirica decadentistica europea (Mallarmé, Valéry, Eliot, il surrealismo) che ha assunto il nome di poesia pura.
Il centro dell’Ermetismo fu, dal punto di vista geografico, Firenze, e dal punto di vista cronologico, la seconda metà degli anni Trenta (fra il 1932 e il 1942). L’Ermetismo fu un fenomeno fiorentino in quanto in quegli anni, nella città, si trovavano gli scrittori più animosi e liberi.
L’Ermetismo deve il suo nome al giudizio polemico di un critico letterario, Francesco Flora, che in un saggio del 1936 metteva a fuoco il carattere arduo, aristocratico, chiuso (appunto “ermetico”) delle nuove tendenze poetiche.
Il poeta ermetico tende a una poesia immediata, evocativa, che esprima, attraverso l’analogia e l’utilizzo di metafore e immagini per lo più ricercate e astratte, la sua coscienza sovente sgomenta e ricercata di fronte alla realtà, la sua presa di posizione nel rifiuto del regime politico del tempo. Molti scrittori, infatti, si rifugiarono nella letteratura per contrasto con la vita che sono costretti a vivere, in quanto il fascismo, con la sua forza e la sua violenza, appartiene ad una generazione che ha un’indifferenza spirituale. Per questo non si sentono di affidare ai versi grandi contenuti, conferendo così alla poesia un’espressione priva di sentimento, destinata non a comunicare all’uomo verità o valori, ma solo a raccontare la realtà che né la ragione né i sensi possono interpretare. Le singole parole devono tendere a un massimo di assolutezza, si mira a renderle indeterminate ed astratte, si eliminano gli articoli che potrebbero conferire loro una determinazione, si omettono i nessi grammaticali e sintattici per meglio isolarle e per eliminare dalla poesia l’elemento razionale.
Da questa tendenza ne risultò una poesia concentrata ed essenziale, tormentata dal bisogno di aderire all’inesprimibile. Ma ne risultò anche una poesia di difficile comprensione e interpretazione, che, per tale ragione, in Italia fu detta ermetica: il poeta si limita a suggerire, a stimolare, ad accennare, rivelando una sofferta espressione di angoscia, un tormento di solitudine, un dramma morale, un deluso ripiegamento sulle proprie sconfitte di uomini, derivanti principalmente dal rapporto tra le costrizioni del regime e la figura del poeta.
QUASIMODO E L’ERMETISMO
(1901-1968)
Tra le personalità poetiche più rilevanti del tempo ricordiamo Ungaretti e Montale, che tuttavia tendiamo erroneamente a definirli come ermetici; nonostante Ungaretti ne anticipò i temi, entrambi non furono mai interni al movimento. Montale, da parte sua, prese pubblicamente le distanze sia dalla poesia pura che dall’Ermetismo, criticando la difficile intelligibilità della sua lirica.
Tra i poeti che aderirono all’Ermetismo ricordiamo Quasimodo, Saba, Sinisgalli, Cardarelli, De Libero.
La poesia di Quasimodo agli inizi fu salutata come una delle espressioni più limpide della lirica ermetica .
Salvatore Quasimodo nasce a Modica (Ragusa), in Sicilia, il 20 agosto 1901.
Nel 1908 si trasferisce con il padre, ferroviere, a Messina, tre giorni dopo il terremoto che distrusse la città.
Frequenta gli studi tecnici a Palermo e nel 1919 va a Roma dove studia ingegneria. Fa diversi mestieri: il disegnatore, il commesso, l’impiegato del Genio civile a Reggio Calabria , Imperia, Sondrio.
Nel 1929 va a vivere a Firenze. L’ anno seguente esordisce con la raccolta Acque e terre. Nel 1932 esce l’Oboe sommerso.
Ma il lavoro lo costringe a vari spostamenti finchè, nel 1938, lasciato l’impiego, si stabilisce definitivamente a Milano, dove trova un’attività stabile come giornalista.
Nel 1942 esce Ed è subito sera, che raccoglie tutta la produzione precedente. E intanto lavora a numerose traduzioni dei classici latini e greci (nel 1940 sono uscite quelle dei Lirici greci, di drammi di Eschilo e di Sofocle tra i risultati più maturi e convincenti della sua attività) oltre che di Shakespeare e di pochi moderni come il contemporaneo poeta Neruda.
Pubblica altre raccolte di versi: Giorno dopo giorno (1947), La vita non è sogno (1949), La terra impareggiabile (1958), Dare e avere (1966).
Dal 1941 insegna letteratura italiana al Conservatorio musicale milanese, senza abbandonare mai l’attività giornalistica.
Nel 1959 gli viene assegnato il premio Nobel per la letteratura.
Muore improvvisamente a Napoli il 14 giugno 1968.
La sua formazione si è sviluppata nell’ambito della rivista fiorentina “Solaria” e del gusto ermetico.
I temi fondamentali del Quasimodo sono concentrati nel ricordo dell’infanzia e della terra siciliana, ripensate nostalgicamente come un’età di innocenza e un regno di purezza per sempre perduti.
Il bisogno di scoprire nella propria pena la sofferenza di tutti ha spinto il poeta, durante e dopo la guerra, a partecipare con impegno al dramma dell’umanità offesa nei più elementari ed alti valori civili, per contribuire alla fondazione di una civiltà più libera e consapevole della dignità umana che deve essere rispettata e difesa sopra ogni cosa.
Se fino al 1942 si parla di Ermetismo, a partire dal 1943, con la caduta del fascismo e con l’immersione nella realtà cui furono costretti gli scrittori a causa della guerra, la corrente letteraria entrò in crisi, mentre cominciò ad affermarsi una nuova poetica, il Neorealismo.
Legato prima (sino a Ed è subito sera, 1942) al clima della letteratura ermetica degli anni Trenta e poi all’impegno neorealistico (fra il 1943 e il 1956), Quasimodo resta nella sostanza sempre fedele ad una concezione della poesia come punto di vista superiore e privilegiato, seppure dapprima in senso mitico ed estetico e poi in senso morale e civile. In questa prima fase la lirica si esprime come un canto individuale, il risultato dei ricordi della propria terra, la Sicilia. La poesia di Quasimodo si distingue in questa fase dalla poesia degli altri ermetici per la tendenza a un canto poetico positivo e per la frequentazione degli autori greci, a cui il poeta si dedicava in quegli stessi anni come traduttore.
Dopo il 1943, e a partire dalla raccolta Giorno dopo giorno (1947), si ha la seconda fase della poetica quasimodiana, segnata dall’esperienza tragica e drammatica della guerra che determina un mutamento radicale nel poeta, costretto a fare i conti con una tragica condizione storica, si ha in questa fase, il passaggio ad una poesia consolatoria, più esplicitamente ideologica e politica, ma resta costante lo sforzo di usare un linguaggio classico e letterario, consacrato dalla tradizione.
La parola del poeta tende comunque a collocarsi in una dimensione assoluta: ma il distacco si esprime come purezza e sublimazione nella prima fase della produzione quasimodiana, come possibilità di giudizio e di critica nella seconda fase.
La vocazione più sincera del poeta è alla contemplazione e alla descrizione. La stessa descrizione esclude però soprattutto nella prima fase, riferimenti puntuali alle cose: prevale la tendenza all’astrazione e alla mitizzazione, secondo l’insegnamento ermetico. Ciò è in particolar modo vero per il paesaggio siciliano, che ritorna di continuo nella produzione giovanile, guardato come dimensione favolosa e irreale, come scenario di tipo esistenziale (in rapporto soprattutto al tema dell’esiliato che guarda il paese delle proprie origini perdute).
LE OPERE DI QUASIMODO
- Acque e terre (1930)
- Oboe sommerso (1932)
- Erato e Apòllìon (1938)
- Poesie (1938)
- Lirici Greci (1940)
- Ed è subito sera (1942)
- Con il piede straniero sopra il cuore (Alle fronde dei salici) (1946)
- Giorno dopo giorno (1947)
- La vita non è sogno (1949)
- Il falso e vero verde (1954)
- Il fiore delle "Georgiche" (1957)
- La terra impareggiabile (1958)
- Il poeta e il politico e altri saggi (1960)
- Dare e avere (1966)
- Componimento Poetico "Ma dov'è la pace?"
ACQUE E TERRE (1930)
La prima raccolta di Quasimodo, Acque e terre, è incentrata sul tema della Sicilia, terra natale dell’autore che la lasciò già nel 1919: l’isola diviene l’emblema di una felicità perduta cui si contrappone l’asprezza della condizione presente, dell’esilio in cui il poeta è costretto a vivere (come si evince da una delle liriche più celebri del libro, Vento a Tindari).
Dalla rievocazione del tempo passato emerge spesso un’angoscia esistenziale che, nella forzata lontananza, si fa sentire in tutta la sua pena.
Questa condizione di dolore insopprimibile assume particolare rilievo quando il ricordo è legato ad una figura femminile, come nella poesia Antico inverno.
In questa prima raccolta Quasimodo appare legato a modelli abbastanza riconoscibili (soprattutto D’Annunzio, del quale viene ripresa la tendenza all’identificazione con la natura).
OBOE SOMMERSO (1932)
Quasimodo pubblicò la sua seconda opera poetica Oboe sommerso nel 1932.
Le poesie che la compongono dispiegano l’io lirico del poeta che si sente arido e desolato; si muove in un ambiente naturale fatto di paludi e stagni e pieno di uccelli palustri, ma è un ambiente indeterminato e in un tempo indefinito.
Egli sente la sua vita come avara pena e la implora di ritardare la sua fine, per assaporare ancora ore di sospiranti abbandoni.
L’io del poeta ricorda con rimpianto la fanciullezza e la sua terra. La fanciullezza è passata triste e piena di dolore, a causa della morte di una giovinetta amata nell'infanzia.
ED E’ SUBITO SERA (1942)
I versi aprono la raccolta omonima, e danno il titolo alla nuova edizione della poesia di Quasimodo.
I temi riscontrabili in questa raccolta sono la rievocazione nostalgica della propria terra lontana (la Sicilia) unita a figure di adolescenti, l’insistenza descrittiva su elementi del tempo e della natura evitando qualsiasi oggettività grazie all’evidenza dei simboli e dei miti, la solitudine esistenziale del poeta, la difficoltà di rapporto con i propri simili, la riflessione sulla distanza tra il mondo dei vivi e quello dei morti e sulla distanza che separa tra loro i vivi stessi.
GIORNO DOPO GIORNO (1947)
Quasimodo scrisse Giorno dopo giorno tra il 1943 e il 1945.
Le venti composizioni scandiscono il periodo di guerra che va dall’8 settembre 1943 e il 1945, si ispirano alle ansie ed alle speranze negli anni della Liberazione d’Italia.
L'opera non segue un andamento cronologico; le poesie scritte nel 1943 sono poste nella seconda parte dell’opera, mentre le poesie scritte nel 1945 sono collocate nella prima parte e l’ultima, come ad esempio Uomo del mio tempo, scritta il 23 dicembre 1935, chiude l’opera come condanna della guerra e contiene l’appello a rinnegare gli uomini (i padri) che portano la guerra ad altri popoli.
Giorno dopo giorno segna una svolta nella produzione di Quasimodo: dal linguaggio prezioso e allusivo dei testi precedenti si passa a un lessico realistico benché privo di punte violente. E’ soprattutto l’esperienza tragica della guerra a suggerire un impegno nelle vicende storiche e sociali in contrapposizione ai miti letterari delle opere precedenti.
ED E’ SUBITO SERA
“Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera”
Ognuno sta solo al centro del suo territorio o al centro della sua città, allorché è colpito dalla illusione della felicità, dal raggio del sole che subito tramonta, e arriva la morte che porta via la vita e cancella ogni cosa.
Ed è subito sera è una delle liriche più significative ed espressive di Quasimodo, tanto che ha dato il titolo all’intera raccolta di cui fa parte.
Questa poesia esprime, con estrema efficacia, nella sua brevità ed essenzialità, la condizione umana.
La lirica può essere suddivisa in tre momenti, uno per verso, che insieme riassumono, in maniera intensa e lampante, l’amara concezione che il poeta ha della vita.
- Il primo verso esprime il tema della solitudine insita in ogni uomo. Ognuno è solo
con se stesso, è “solo sul cuore della terra”, anche se vicino agli altri. La
solitudine si affievolisce, ma non scompare quando l’uomo trova l’amore di una
donna e l’amore dei figli. Anche nelle migliori condizioni possibili egli è sempre
solo: se si ammala è lui a soffrire e se muore è lui a morire. Gli altri possono
fare molto, possono lenire le sofferenze ma non debellarle, e non possono
salvarlo dalla malattia o dalla morte.
- Nel secondo verso ogni uomo, solo con se stesso, si illude di poter capire la vita
e si inganna di afferrare la felicità. Qui il termine “trafitto” assume un doppio
significato: la luce del sole illumina l’uomo, quindi è benefica; ma il termine
“trafitto” allude ad un’immagine in cui la luce del sole lo ferisce, quindi è
dolorosa.
L’immagine del raggio di sole simboleggia la vita; quindi la vita, che da possibilità
di felicità, può rappresentare motivo di sofferenza.
- Nel terzo verso il poeta conclude affermando che, con la stessa rapidità con cui
la giornata lascia spazio alla sera, così sopraggiunge improvvisa la morte che
rapina ogni illusione e ogni felicità.
Ogni uomo, quindi, è tragicamente solo nel mondo e il raggio di sole, gioioso
come la vita ma anche amaro per la sua precarietà, presto scompare nella sera
della morte, che arriva improvvisamente.

ALLE FRONDE DEI SALICI
“E come potevamo noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.”
Nei primi mesi del 1945 Quasimodo riprende la penna in mano e scrive la bellissima lirica Alle fronde dei Salici, in cui il poeta manifesta il travaglio interiore di uomo e di poeta.
La poesia apre la raccolta poetica Giorno dopo giorno ed è la rappresentazione degli orrori commessi dai nazisti sulla popolazione inerme degli italiani, massacri che suscitavano panico e paura tra i civili e il silenzio dei poeti. Ma esprime anche la gioia per la Liberazione che si concluderà qualche mese più tardi, il 25 aprile 1945. Una doppia liberazione per il poeta che non ha potuto scrivere per lungo tempo.
Si può dunque considerare Alle fronde dei salici la poesia della Liberazione, che pone fine al silenzio in cui si erano relegati i poeti, inaugura la nuova poetica italiana e ridà voce al popolo.
In effetti Quasimodo esprime il sacrificio che fa per voto di non scrivere poesie. Alle fronde infatti sono appese le “cetre” che i poeti hanno messo da parte per quel periodo in modo da chiedere al Signore la grazia di far cessare il supplizio nazista.
I nazisti occupavano il Paese e i poeti non trovavano le parole per esprimere lo sconforto e il dolore che avevano nel cuore, nell’anima. Tanto dolore paralizza la mano e offusca la mente. I poeti erano ridotti all’impotenza, avevano finito di scrivere versi perché la poesia è impotente di fronte ai morti e alla barbarie.
Un altro significato simbolico è il “piede straniero”, inteso come i soldati tedeschi che freddamente calpestano i sentimenti (il cuore) di tutto il popolo.
Quasimodo, poi, fa dei riferimenti alla religione, usando altri significati simbolici come la “madre (Maria) che va incontro al figlio crocifisso (Gesù)” oppure quando usa “l’agnello” come animale per rappresentare i lamenti dei bambini.
Il poeta utilizza molto spesso riferimenti al Vangelo, anche in altre sue composizioni poetiche; questo probabilmente sta a sottolineare il suo vivere all’insegna della religiosità. Lo stesso fatto di “fare un voto” è simbolo di sottomissione a un dio, più precisamente, in questo caso, al Dio della religione Cristiana.
Da questi riferimenti biblici, il poeta distoglie l’attenzione, riportandola alla realtà, inserendo un elemento quasi dissonante con essi: “il palo del telegrafo”. Infatti il palo è posto simbolicamente in antitesi con il “figlio crocifisso”, proprio per accentuare il legame tra il Vangelo e la vita moderna.
Malgrado questa dissonanza, la poesia risulta scorrevole; l’italiano usato è quasi quotidiano, nonostante alcuni significati simbolici e alcune metafore che potrebbero bloccare la scorrevolezza della poesia.

Esempio



  


  1. maria tonziello

    vita opere poesie e pensiero di qasimodo