Pappagalli verdi, G. Strada

Materie:Scheda libro
Categoria:Italiano
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Data:21.05.2007
Numero di pagine:2
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Testo

Pappagalli verdi – Gino Strada

Le storie di guerra raccontate in questo libro provengono da differenti parti del mondo: Gibuti, Serbia, Afghanistan, Angola, Perù, Cambogia, Ruanda, Etiopia, Iraq e Pakistan, dove le condizioni in cui l’autore ed i suoi collaboratori si sono spesso trovati erano piuttosto difficili ed, in alcuni casi, molto tragiche. La loro opera infatti consiste nell’installare ospedali da campo in poche ore, organizzare “soccorsi istantanei” approfittando dei rari momenti di tregua, provare a ricucire a lume di candela corpi (e spiriti..), nell’amputare e rieducare, nel convincere una povera bimba a trascorrere il resto della propria vita “adattandosi alla nuova forma del suo corpo, ad usare meglio quel che è rimasto”. Gino Strada ci narra della sua sorpresa nel constatare l’assenza di reazione da parte delle vittime (e dei familiari), e di aver capito poi come sia la “quotidianità della tragedia che rende superfluo ai feriti dalle mine piangere, lamentarsi. E’ il fatto di avere sempre vissuto in mezzo al terrore e al dolore fisico, di averlo visto negli occhi dei nonni e poi dei padri….”.
La “quotidianità della tragedia” è questa: ogni venti minuti nel mondo una mina esplode.
Una delle affermazioni più sconvolgenti che fece Saddam al ritiro delle truppe dalla regione kurda dell’Iraq nell’ottobre 1991 fu:”Noi ce ne siamo andati ma il nostro esercito è rimasto lì”. Ed alludeva proprio alle mine anti-uomo, la cui produzione e il cui commercio sono stati vietati, in Italia, nel 1997.
Accanto alle mine italiane, compaiono i modelli di fabbricazione russa, i “pappagalli verdi” appunto. In Afghanistan i sovietici ne lanciavano a migliaia dagli elicotteri; grazie alle “ali” di cui erano dotate, queste mine anziché cadere a grappolo in un’unica zona, si disperdevano come volantini. I militari sovietici sostenevano che quelle mine erano state costruite a quel modo solo per motivi tecnici e non perché dovessero assomigliare ad un giocattolo. I progettisti precisavano indignati che non erano assolutamente fatte apposta per attirare i bambini. Ma li attiravano. E quei poveri bimbi, dopo averle raccolte, se le portavano a casa e se le scambiavano come figurine, finchè sulle “ali” veniva esercitata una pressione che faceva verificare poi un’esplosione. Strategia di guerra: più bambini muoiono, o restano ciechi, mutilati, sfigurati, più la popolazione civile terrorizzata cesserà ogni resistenza.
Lo scorrere delle parole è sciolto e, nonostante il contenuto non abbia un ordine cronologico preciso, i ricordi emergono nella loro drammaticità e semplicità, suddivisi in molti episodi che hanno un comune e prezioso valore: la lotta per la vita.

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