Il cavaliere inesistente, I. Calvino.

Materie:Tesina
Categoria:Italiano
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Testo

RESOCONTO DI LETTURA
I. Identificazione dell’opera
• Autore: Italo Calvino
• Titolo: Il cavaliere inesistente
• Editore: Arnoldo Mondatori
• Collezione: Oscar Opere di Italo Calvino
• Collaboratore: Luca Baranelli
• Anno d’edizione: 2003
• Epoca di composizione e anno della prima edizione: scritto nel 1959 da Italo Calvino, fu pubblicato per la prima volta lo stesso anno
II. Intorno al testo
a) La copertina: presentazione e commento
Sulla copertina è raffigurato un emblematico disegno di Fausto Melotti, intitolato Costante uomo, che introduce il personaggio principale della storia, Agilulfo. Infatti, è raffigurato un modello di figura umana di cui non si percepiscono i tratti somatici, solo una mano che affiora dal titolo: di fatto, d’Agilulfo, un cavaliere che non esiste fisicamente, il libro non da una descrizione fisica e lascia una libera interpretazione per la rappresentazione della sua figura.
La “quarta di copertina” svolge una funzione presentatrice del romanzo. Su questa sono, infatti, ripresi un passo di Calvino in cui lo stesso autore descriveva, dopo aver appena finito di scrivere il libro, la propria opera e una lettera, indirizzata da Calvino a “Mondo nuovo”, settimanale politico della sinistra socialista di quegli anni, in risposta ad una recensione critica di Walter Pedullà, col titolo Una lettera di Calvino. In questa Calvino risponde a questa critica argomentando che il suo libro non è stato scritto in chiave politica ma è solo una rappresentazione dell’uomo in generale.
b) Il titolo e la sua funzione
Il titolo di questo libro, Il cavaliere inesistente, inquadra perfettamente il protagonista principale, Agilulfo, uno speciale cavaliere fatto d’aria, composto solo dalla sua armatura retta dalla sua forza di volontà.
c) Lo spazio del libro
Il libro è diviso in dodici capitoli che si succedono in base all’ordine cronologico della vicenda (compaiono tuttavia alcuni flashback); all’inizio del libro c’è una presentazione dove, per introdurre la vicenda, sono scelti due testi: la quarta di copertina dello stesso autore e una lettera a “Mondo nuovo. Poi c’è una cronologia della vita dell’autore e la consueta bibliografia essenziale.
III. Il testo
1) L’opera
a) Tipologia narrativa
Romanzo fantastico breve
b) Riassunto (capitolo per capitolo)
1. Sotto le rosse mura di Parigi in un pomeriggio di prima estate il re del Sacro Romano Impero, Carlo Magno, passa in rassegna il suo esercito fermandosi a scambiare, come di consueto, qualche parola con i soldati più illustri. Il re arriva infine all’ultimo cavaliere che gli dice il proprio nome, lunghissimo e, sollevando la celata, il re scopre che sotto di questa non c’è nulla, al ché questo soldato gli dice che non esiste e che la sua corazza è retta solo dalla sua forza di volontà. Agilulfo, questo il suo nome, dato il segnale del serrate le righe, soldato modello passa per le scuderie e, accorgendosi che gli stallieri non stanno adempiendo il proprio dovere, li sgrida e li punisce, come ci si aspetterebbe da un re.
2. E’ notte e il sonno domina nei due accampamenti dei due eserciti nemici, i Cristiani e gli Infedeli. Ma solo un uomo, che non esiste, non è vinto dal sonno, è Agilulfo che, dapprima, nel suo padiglione pensa, poi sente il bisogno di applicarsi ad una qualsiasi occupazione manuale, infine decide di fare un giro del campo. Mentre vaga per l’accampamento incontra un giovane cavaliere di nome Rambaldo il quale gli chiede come trovare, il giorno dopo, sul campo di battaglia l’argalif Isoarre, autore della morte di suo padre, per vendicarlo; Agilulfo gli indica il padiglione dove può vedere esaurita la sua richiesta e il giovane, colpito dalla sicurezza e dalla fermezza del cavaliere ne ha subito grande stima e decide di prenderlo come modello. Il giovane si dirige quindi a quel padiglione e, quando il sole sta sorgendo raggiunge Agilulfo, ai margini del campo intento ad applicarsi ad un esercizio d’esattezza e si preparano per la battaglia.
3. L’esercito di Carlo Magno è in marcia e, durante il cammino s’imbatte in uno strano personaggio che gli abitanti del posto chiamano Gurdulù ma che è chiamato diversamente a seconda dei paesi che attraversa. Quest’uomo è uno che c’è ma non sa d’esserci, tant’è che tende ad identificarsi con tutto ciò che gli sta attorno, come è raccontato nel terzo capitolo, e si immedesima in un’anatra, una rana e un pero. Egli viene assegnato dal re Carlo come scudiero allo stesso Agilulfo e, da quel momento in poi, lo seguirà in tutte le sue avventure.
4. Scoppia una furiosa battaglia nella quale Rambaldo deve vendicare la morte del padre uccidendo l’argalif Isoarre; ma questo viene ucciso dal giovane indirettamente, infatti, quegli lo fa morire privandolo dei suoi occhiali. Sulla strada del ritorno Rambaldo cade in un’imboscata di due arabi e durante il duello con i due infedeli, viene soccorso da un misterioso cavaliere color pervinca che aiuta il giovane a vincere il duello. Rambaldo scopre infine, dopo averlo seguito, che il cavaliere è in realtà una donna di nome Bradamante e se ne innamora all’istante.
5. Il giorno successivo Rambaldo è felice di aver vendicato la morte del padre ed è smanioso di tornare a combattere, di essere posto nell’avanguardia dell’esercito e di diventare paladino. Agilulfo lo sente e lo consiglia di seguirlo per fargli vedere le mansioni dei paladini e così si dirigono per l’accampamento svolgendo compiti vari mentre a loro si unisce anche Gurdulù. Poi vanno sul campo di battaglia per seppellire i caduti francesi e infine si dirigono nel basco per tagliare legna; qui Rambaldo chiede notizie di Bradamante ad Agilulfo ma non ottiene risposta.
6. Il giorno dopo Rambaldo prima contempla da lontano Bradamante, intenta a scoccare delle frecce contro un palo, poi si unisce a lei per una sfida. Ma in quell’istante compare Agilulfo che, restando in silenzio, centra il palo scoccando una freccia con una tecnica perfetta e Bradamante s’innamora di lui lasciando sbigottito Rambaldo. Il giovane mentre vaga per l'accampamento incontra Torrismondo, un altro giovane cavaliere, anch'egli deluso dal vero aspetto della guerra che mette in discussione l’identità d’Agilulfo.
7. Nei giorni seguenti l’esercito rimane accampato quando una sera, a tavola, lo stesso Torrismodo, mette in discussione l’identità di cavaliere d’Agilulfo. Il giovane afferma, infatti, che la giovane salvata da Agilulfo non era vergine in quanto era sua madre; ma così facendo negava anche d’essere figlio dei duchi di Cornovaglia ricusando anch’egli il titolo di cavaliere, che avrebbe però mantenuto dimostrando di essere stato concepito da uno dei cavalieri del San Graal. Il fatto desta molto scalpore nell’accampamento e il Re Carlo invita i due cavalieri a cercare le prove per avvalorare le proprie tesi. Entrambi i cavalieri partono: Agilulfo alla ricerca della vergine Sofronia, seguito dallo scudiero Gurdulù, rincorso per amore da Bradamante, anch’ella inseguita per lo stesso motivo da Rambaldo; Torrismodo alla ricerca di suo padre.
8. Cominciano le avventure d’Agilulfo raccontate dalla penna di Suor Teodora. Egli si reca dapprima in un mulino e si ristora, poi, sempre seguito dal suo baccelliere Gurdulù e, più lontano da Bradamante e Rambaldo, raggiunge una città cinta da mura e cattura un pericoloso ladro del posto. Infine, soccorre una ragazza che lo implora dicendo che il castello della sua padrona, Priscilla, è cinto da orsi rabbiosi. Agilulfo li uccide tutti e, insieme a Gurdulù è ospitato al castello da Priscilla per una notte: il cavaliere in sua “compagnia”, mentre Gurdulù insieme alle altre ragazze della casa.
9. Agilulfo giunge al monastero dove Sofronia, la donna da lui salvata, si era rifugiata dopo l'incontro con il paladino, ma trovatolo distrutto, si dirige in Marocco per mare. Durante il viaggio la nave si inabissa e Agilulfo raggiunge le rive africane percorrendo l’ultimo tratto di mare camminando sul fondale, mentre Gurdulù lo segue nuotando. In Marocco, Agilulfo scopre che Sofronia è stata promessa in sposa al Saladino di quella regione. Con estrema abilità libera la donna e con lei s’imbarca per la Francia su di una nave. Anche durante il ritorno la nave affonda, ma il paladino riesce comunque a portare in salvo la donna e la lascia riposare in una grotta dove viene raggiunta da Torrismondo.
10. Suor Teodora passa ora a raccontare, tramite un flash back, le avventure di Torrismondo. Questo trova i cavalieri del Santo Graal ma rimanendo deluso dalla loro ideologia e dal modo con cui sottomettevano i villaggi, si schiera con le popolazioni assoggettate e li sconfigge per poi cominciare ad errare senza meta. Giunto nella grotta dove riposava Sofronia se ne innamora e vi si congiunge, ignorando la sua identità.
11. Quando arrivano alla grotta Agilulfo e Carlo Magno, li scoprono insieme e sia Torrismondo che il cavaliere inesistente fuggono nel bosco, il primo perché ha provocato un incesto, il secondo perché si sente tradito nei suoi ideali. In realtà Sofronia, come racconta lei stessa, non è la madre di Torrismondo, bensì la sorellastra e quindi i due decidono di convolare a nozze. Nel mentre Rambaldo corre a cercare Agilulfo, ma ne scopre solo l’armatura che lo stesso cavaliere inesistente ha donato al giovane tramite un biglietto. Lo stesso giovane continua ad inseguire Bradamante e si congiunge a lei ingannandola per via della sua armatura. Quando la cavallerizza scopre che si nasconde dietro l’armatura fugge via.
12. Veniamo a conoscenza che la narratrice della storia, Suor Teodora, non è altro che la guerriera Bradamante che, sapendo dell’inganno precedente di Rambaldo, si è fatta monaca. Si accorge però solo ora di essere innamorata del giovane, che dopo averla cercata per anni la trova in un convento per poi fuggire con lei.
c) Temi
Con questo libro Calvino ha voluto farci riflettere sulla condizione dell’uomo e su alcuni aspetti della realtà del nostro tempo: l’uomo d’oggi, infatti, privo d’identità, quasi inesistente, si può identificare nella figura del cavaliere inesistente. L’uomo appare di fatto incerto, insicuro, perplesso, privo di sicurezza, è vuoto dentro com’è vuota la bianca armatura d’Agilulfo. Altri temi che si possono trarre dal libro sono quello della ricerca di sé, quello della formazione dell’essere, quello del trovare il senso della vita nella realizzazione di un ideale e quello della guerra. Ma il tema fondamentale è certamente quello che non può esistere solo un’anima senza corpo, come Agilulfo o un corpo senz’anima, come Gurdulù. Solo attraverso l’unione di questi due importantissimi elementi si può parlare di vita. La figura di Rambaldo è il punto d’unione di questi due personaggi: egli, infatti, agisce secondo il corpo e si lascia guidare dalla sua anima. Morale di tutta la storia, “ ad essere s’impara”.
d) Personaggi principali
Agilulfo
Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildinverni e degli Altri di Corbentraz e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez è il protagonista principale della storia. Paladino modello dell’esercito di Carlo Magno, è un personaggio pignolo e intransigente che c’è ma non esiste ed è presente quando agisce per mezzo dei suoi ideali. Egli, per il fatto che non si leva mai la sua bianca armatura, sembra un personaggio inanimato. Tuttavia nel finale del racconto, ferito nel suo orgoglio e nell’onore, scappa dopo aver lasciato la sua armatura dimostrando di poter provare sentimenti. Agilulfo è un ufficiale infelice, perché nella sua continua ricerca della perfezione (nel secondo capitolo lo ritroviamo a disporre secondo un disegno regolare piccole pigne cadute al suolo), prova sempre dolore al veder ciò che è fatto male, fuori posto.
Rambaldo di Rossiglione
Giovane cavaliere, introdotto nel secondo capitolo, è in guerra per vendicare la morte del padre per opera di un musulmano, ma al contatto con la realtà della guerra, le sue illusioni crollano immediatamente, ed egli è assalito dall’insicurezza. Nonostante ciò costruisce la sua personalità attraverso le vicende guerresche in cui è coinvolto e attraverso l’esperienza amorosa. E’ dotato di molta fiducia e perseveranza e impara con queste a non lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà. Assume Agilulfo come modello da seguire ma quando scopre che la ragazza che ama, Bradamante, arde di passione per il cavaliere invisibile, per lui il paladino assume un doppio ruolo: quello di confortatore e quello di rivale in amore. Ma alla fine del racconto dimostra tutta la sua stima per Agilulfo rincorrendolo per il bosco, e lo stesso paladino gli regala la propria armatura. Il suo processo di maturazione avviene scontrandosi con la dura realtà della guerra.
Bradamante o Suor Teodora
Abilissima guerriera, bella e coraggiosa donna, nonché narratrice dei fatti, Bradamante non rivela fino alla fine la propria identità. Il suo carattere cambia nel corso della storia: se prima è altera e fredda con Rambaldo e ha occhi solo per Agilulfo, alla ricerca della perfezione negli uomini, alla fine del racconto cede all’amore di Rambaldo scappando con lui dal convento.
Torrismondo
Giovane cavaliere, questo personaggio è subito presentato come antagonista d’Agilulfo quando ne mette in discussione l’identità. Dalla descrizione parziale che n’emerge, Torrismondo ha una concezione pessimistica della vita e di tutte le cose. Tuttavia, nel corso della vicenda, il suo carattere muta, matura, abbandona le proprie illusioni giovanili e cambia il suo ruolo nella vicenda, dopo aver fatto luce sulla propria origine, diventando un personaggio buono.
Gurdulù
Scudiero d’Agilulfo, per volere del re Carlo Magno, segue il paladino invisibile per tutte le sue avventure. Gurdulù è un personaggio che, al contrario del suo padrone, c’è ma non sa d’esserci e tende quindi ad identificarsi con tutto ciò che gli sta attorno; questo fatto risulta chiaro dalla molteplicità di nomi con cui viene identificato.
e) Luoghi dell’azione e spazio del racconto
Il romanzo dapprincipio segue gli spostamenti dell’esercito francese, prima sotto le mura di Parigi, poi negli accampamenti cristiani, infine nella battaglia contro i mori. Prosegue poi, seguendo le avventure d’Agilulfo, in Inghilterra dove si trova il convento di Sofronia, quindi in Marocco, dove era tenuta prigioniera infine di nuovo in Francia dove finiscono tutti gli eventi. Tuttavia né l’epoca né i luoghi sono storicamente ricostruiti. Luoghi d’azione del romanzo sono castelli, campi di battaglia, villaggi, boschi e conventi, tutti posti parzialmente descritti. Le vicende avvengono in prevalenza in luoghi aperti: il campo di battaglia, il bosco, il mare. Ci sono però anche delle scene che si svolgono in luoghi chiusi: la narrazione della storia da parte di Suor Teodora nel convento e la notte passata da Agilulfo nel castello di Priscilla, per esempio.
f) Il tempo del racconto
Immagino, visto che l’autore non ne fa menzione, che la storia si svolga nel medioevo del nono secolo, nel periodo della guerra fra i Cristiani, guidati da Carlo Magno e gli Infedeli musulmani. La vicenda è ricca di flash back (ad esempio il racconto delle avventure di Torrismondo, cap. 10) ed è da notare la differenza tra il tempo in cui si svolgono i fatti e il tempo in cui Suor Teodora li racconta. Per buona parte del libro, nei dieci capitoli, il ritmo narrativo è lento e la narrazione lascia spazio ad una serie di descrizioni di luoghi che però non incidono sul romanzo. Nella seconda parte al contrario il ritmo narrativo è molto veloce: qui sono descritte le avventure dei personaggi principali che Suor Teodora racconta velocemente perché, la stessa autrice, afferma di "stare aspettando qualcosa", che nel colpo di scena finale sarà proprio Rambaldo.
g) Il punto di vista e la voce narrante
La voce narrante è quella di una suora, che dice di non aver esperienza del mondo, ma quando si scopre che in realtà questa suora è Bradamante, ci si rende conto dell’ironia della frase. Questa, non solo racconta i fatti, ma è usata indirettamente da Calvino per fare una riflessione su che cosa significhi scrivere e raccontare. Ella dice che non sempre la scrittura è cosa facile: scrivere è quindi un esercizio faticoso e assai impegnativo.
Ci sono due punti di vista: uno è quello del narratore esterno, quello di Suor Teodora che racconta le vicende in terza persona; l’altro è del narratore interno, quello di Suor Teodora che si rivolge al lettore, facendo delle riflessioni sullo scrivere esprimendosi in 1° persona.
h) Lingua e stile
La sintassi e' strutturata prevalentemente sull'accosto di proposizioni principali e il linguaggio è abbastanza semplice e privo di figure retoriche. E’ uno stile dunque lucido, chiaro e scorrevole. La lettura è molto piacevole grazie alle molte riflessioni che fa l’autore sulla vita in generale e alla sua ironia. Alle pagine 51 e 52 compare una ripresa di una stessa frase all’inizio di tre paragrafi diversi (Agilulfo trascina un morto e pensa; Gurdulù trascina un morto e pensa; Rambaldo trascina un morto e pensa).
i) Registro/tono
Calvino è molto abile a rendere la narrazione favolosa e ironica grazie all’utilizzo di termini tecnici cavallereschi, espressioni popolari e invenzioni verbali.
2) Commento personale
Pag. 6 “-Mah, mah! Quante se ne vedono! – fece Carlomagno. – E com’è che fate a prestar servizio, se non ci siete?
- Con la forza di volontà, - disse Agilulfo, - e la fede nella nostra santa causa!”
Questa frase pronunciata da Agilulfo quasi all’inizio del racconto ne introduce il suo personaggio, il suo carattere, ciò in cui crede. Egli è, infatti, sorretto solo dalla sua forza di volontà poiché non ha corpo e, seguendo questa compie tutte le sue azioni. Compare qui anche un altro credo di combattimento: la santa causa dei cristiani contro gli infedeli musulmani. Ogni cavaliere, infatti, aveva come motivo di guerra la ragione che ciò che facevano era gradito a Dio, Dio era con loro e li avrebbe aiutati nella battaglia. Di conseguenza chi li avrebbe vinti se dalla loro parte era Dio? Con queste convinzioni entravano in battaglia, sicuri d’essere invincibili e di cantare presto vittoria. Ma non fu così: la guerra si protrasse per anni e solo dopo lunghi sanguinosi combattimenti i cristiani ebbero la meglio.
a) Arricchisco il mio vocabolario
• “…ma l’armatura li reggeva impettiti in sella…” (cap. 1, pag. 3).
Impettiti: detto di persone che stanno erette e col petto in fuori.
• “…e tacque subito quella specie di mugghio marino che si era sentito…” (cap. 1, pag. 3).
Mugghio: muggito prolungato, rumore cupo.
• “…il viso coperto dalla celata…” (cap. 1, pag. 15).
Celata: elmo chiuso senza cimiero, spesso provvisto di baviera, goletta e visiera mobile, entrato in uso agli inizi del secolo XV in sostituzione del bacinetto. Si distingue secondo il tipo di visiera (a mantice, a becco di passero, a buffa, alla borgognona, ecc.).
• “…il loro fiero modo di girarsi sulla vita, corazza elmo spallacci come fossero un pezzo solo…” (cap. 1, pag. 15).
Spallaccio: parte dell'armatura che proteggeva la spalla; se si prolungava a difendere il braccio si chiamava spallaccio con guardabraccio.
• “…io sono Rambaldo di Rossiglione, baccelliere, del fu marchese Gherardo!...” (cap. 1, pag. 15).
Baccelliere: titolo dato, nel Medioevo, al giovane di famiglia nobile che apprendeva il mestiere delle armi prima di essere nominato cavaliere. In particolare, baccelliere d'arme, il giovane che apprendeva il mestiere delle armi sotto le bandiere di un cavaliere banderese.
• “…lo sollevano staccando la barbuta dalla gorgera, e lo posano sul tavolo…” (cap. 1, pag. 15).
Barbuta: elmo medievale d’origine italiana, privo di fregio e cimiero e munito inferiormente di una cotta di maglia atta a proteggere il collo. Alcuni tipi di barbuta erano corredati anche di nasale incernierato.
Gorgiera: pezzo dell'armatura che copriva il collo e le spalle; sopportava il peso della corazza ed era munita in alto di una cordonatura che andava ad alloggiarsi in una scanalatura della celata (celata ad incastro).
b) Commento
Il testo è molto coinvolgente e invoglia alla lettura, il linguaggio semplice rende la comprensione per nulla difficile e la sottile patina d’ironia, che pervade nelle descrizioni d’ambienti e usanze sdrammatizza il racconto rendendolo più piacevole da leggere. Secondo me Calvino, attraverso il personaggio d’Agilulfo, è stato capace di suggerire una rappresentazione dello stato degli uomini del nostro tempo. Ed è interessante notare che c’è riuscito sviluppando un romanzo fantastico, usando elementi illusori, portandoci infine alla verità sull’uomo d’oggi. Concordo sul fatto che l’autore dica che Agilulfo è un modello da non seguire, infatti, noi non dobbiamo per forza essere sempre razionali, a volte è meglio agire irrazionalmente, seguendo quell’istinto primordiale che è il motore del nostro corpo: il cuore, l’anima. Agilulfo è, infatti, un essere incompleto: vive solo di volontà e gli manca un aspetto importante della condizione umana, il corpo con tutte le sensazioni ad esso collegate. L’uomo dunque non è completo se non riesce ad impiegare con armonia tutte le sue facoltà, sia quelle legate all’anima, sia quelle legate al corpo. Non concordo, infine, sulla fine, che ritengo troppo dura per Agilulfo: egli è, infatti, l’unico protagonista del libro a cui l'autore riserva un finale infelice.
INTERPRETAZIONE DELLE INTENZIONI DELL’AUTORE
A mio parere Calvino propone di superare la condizione in cui si trova il suo Agilulfo. Egli è un essere incompleto; egli vive solo di volontà e di ragione, ma gli manca un elemento importante: il corpo, con tutto ciò che questo significa (calore, sentimenti, emozioni). L’uomo dunque non è completo se non riesce ad impiegare con armonia tutte le sue facoltà, sia quelle legate al pensiero, sia quelle legate ai sentimenti e agli affetti.
Questo, all’interno del racconto, è reso evidente dalla contrapposizione tra le due figure di Agilulfo eGurdulù: freddo e razionale il primo, vivo e incosciente il secondo; ma soprattutto dalla figura di Rambaldo che si può considerare come l’ ”unione”, il “punto di incontro”, la “somma” tra Gurdulù e Agilulfo. Eglio è infatti un essere razionale, come Agilulfo, ma che si lascia guidare anche dal suo cuore e dalle sue emozioni, come fa Gurdulù
12) CRITICHE VARIE DETTATE IN CLASSE
a) CRITICA di BOCELLI del 1963 tratta da “IL MONDO”
“Italo Calvino taceva dal tempo del cavaliere Inesistente (1959), la terza di quelle storie fantastiche ma allusive alle condizioni dell’uomo di oggi che, scrittore di duplice tendenza, favolosa e realistica, egli […] è venuto alternando a racconti che quella condizioni ritraggono […] in presa diretta. Altra, non opposta, né sostanzialmente diversa tendenza: ché come alla radice di quella favolosità, nel suo vario simboleggiare l’aspirazione dell’uomo diviso o annullato dalla società, all’integrazione, anzi all’interezza e al dominio della ragione sullo sfrenamento delle forze istintive o subconscie, è uno spirito illuministico o neoilluministico; così all’origine di quel realismo […] è un’alacrità di ricerca, un’ansia di conoscenza o approfondimento intellettuale, tale da conferire alla sua lucida razionalità un che di avventuroso, di surreale, di emblematico”
b) CRITICA di VITTORINI negli ANNI ’50
“[Calvino] ha interessi che lo portano in più direzioni: la sintesi delle quali può prendere forma […] sia in un senso di realismo a carica fiabesca, sia in un senso di fiaba a carica realistica”
c) CRITICA di ASOR ROSA del 1985 tratta da “LA REPUBBLICA”
“Esiste, dietro l’eleganza raffinata della scrittura, come un nocciolo duro: […] è la natura morale dell’ispirazione calviniana. Un Calvino scrittore morale: lo scrittore morale non si pone il problema di dire qual è il bene e qual è il male. Chi fa questo è un moralista […] o peggio un propagandista. Per me lo scrittore morale è quello che si limita a suggerire dei comportamenti e ad additare una linea di condotta: ma, la tempo stesso, affianca alla natura apparentemente limitata al messaggio, l’inflessibile persuasione che non si può rinunciare alle regole di comportamento né a perseguire con fedeltà e tenacia una linea di condotta, pena l’inabissamento nel magma dell’indistinto e dell’arbitrario.”
COMMENTO ALLE CRITICHE
Sono perfettamente d’accordo con entrambe le critiche che vengono fatto a Calvino.
Sia Bocelli che Vittorini affermano che Calvino va contemporaneamente in due direzioni: la prima è quella di scrivere racconti reali con una morale fiabesca; la seconda quella di scrivere delle favole a sfondo realistico. La sua prima ispirazione fu realistica. Scrisse infatti “Il sentiero dei nidi di ragno” nel 1947, a cui seguirono i racconti di “Ultimo venne il corvo”. Negli anni ’50 però abbandonò la linea realista per dedicarsi ad una linea narrativa più aderente alla sua ispirazione: la tendenza fantastica o combinatoria. Nascono così “Il visconte dimezzato”, “Il barone rampante” e “Il cavaliere inesistente”. Quest’ultimo racconto si può leggere in vari modi. Ad una prima lettura appare una favola, una vicenda molto particolare e curiosa avvenuta al tempo di Carlo Magno. Ma leggendo attentamente si scorgono dei messaggi che fanno capire che la narrazione vuole avere degli effetti nel presente. Calvino vuole mandare dei messaggi al mondo di oggi e lo fa scrivendo una fiaba. Credo che sia per questo motivo che Bocelli e Vittorini dicono che Calvino segue due direzioni.
Altrettanto d’accordo sono con Asor Rosa. Dopo aver riflettuto sulla definizione che egli dà di scrittore morale, penso anch’io che Calvino faccia parte di questa categoria. Egli infatti non si pone il problema di dire cosa è bene e cosa è male. Egli suggerisce di seguire un certo tipo di comportamento, in cui si crede, e di non abbandonarlo. Lui suggerisce chiaramente il modello da seguire, ma non giudica mai chi è il buono e chi è il cattivo. In “Il Cavaliere Inesistente” egli mette a confronto Agilulfo e Gurdulù, descrivendo dettagliatamente il loro modo di vita, per poi presentarci Rambaldo, come la linea da seguire. Ovvero dobbiamo imparare a farci guidare non totalmente dalla ragione e non completamente dall’irrazionalità; dobbiamo imparare a saper distinguere le situazione dove è meglio utilizzare un certo tipo di comportamento, da altre dove è più utile prendere il considerazione l’altro.
IV. L’autore
Scrittore italiano (Santiago de Las Vegas, Cuba, 1923-Siena 1985). Dopo aver passato l'infanzia e l'adolescenza a Sanremo, a vent'anni aderì alla Resistenza combattendo nelle brigate Garibaldi, sui monti liguri. Questa esperienza significò per lui la certezza che il corso progressivo della storia italiana fosse cominciato e che nuovi compiti attendessero ogni uomo di cultura. Nel 1945 si stabilì a Torino, collaborò al Politecnico e strinse amicizia con Pavese e Vittorini, col quale fonderà, nel 1959, la rivista "Il Menabò". Nel 1947 pubblicò Il sentiero dei nidi di ragno, in cui trasfigura, ma senza tradirla, l'avventura partigiana, interpretandola in chiave poetica sino a renderla favola naturale, superando, per la sua qualità di fantasia, i modi del verismo. Così nei racconti di guerra partigiana di Ultimo viene il corvo (1949) i motivi realistici e fantastici si fondono a rendere innocenti le crudeltà della vita, a scoprire poeticamente l'istintiva volontà di giustizia e di libertà che è nell'uomo. Del 1952 è il Visconte dimezzato che, con Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959), costituisce la trilogia de I nostri antenati (1960). Del 1956 sono le Fiabe italiane, una raccolta di duecento favole, recuperate dalla tradizione popolare con finissima intelligenza. I racconti de L'entrata in guerra (1959) nascono da una tematica ricca: memoria dei sentimenti dell'infanzia, il tempo dell'innocenza minacciata, offesa dalle miserie del mondo degli adulti. Calvino sembra volere sfiorare la realtà piuttosto che penetrarla, come nelle favole ironico-malinconiche del Marcovaldo (1963), o costatare il dissidio insanabile tra l'ideologia e la vita, come ne La giornata di uno scrutatore (1963), o ancora esplorare, al di là della storia, spazio e tempo, come nelle Cosmicomiche (due serie: 1965 e 1984) e in Ti con Zero (1967). Del 1972 è Le città invisibili, visionario catalogo di luoghi sottratti ai confini storico-geografici, seguito da Il castello dei destini incrociati (1973), legato alle suggestioni della cartomanzia in un gioco d’autoreferenzialità testuale che culmina in Se una notte d'inverno un viaggiatore (1979). La descrizione minuta del dettaglio quotidiano che si amplifica spalancando vuoti ontologici e assenze di significato domina l'autobiografico Palomar (1983), mentre attente indagini su odorato, gusto e udito sono alla base dei tre racconti postumi di Sotto il sole giaguaro (1986). Da ricordare, inoltre, le raccolte di saggi Una pietra sopra (1980), Collezione di sabbia (1984) e, postumi, Lezioni americane (1988) e cinque scritti autobiografici: La strada di San Giovanni (1990); le raccolte di saggi I libri degli altri (1991), in cui Calvino esprime in forma epistolare le sue opinioni su molti scrittori nel corso delle sua collaborazione con la casa editrice Einaudi; Perché leggere i classici (1992); la raccolta di racconti Prima che tu dica "pronto" (1993), scritti tra il 1943 e il 1985; pur non essendo sempre d’altissimo livello, questi racconti costituiscono pur sempre un interessante documento; Eremita a Parigi: pagine autobiografiche (1994), che comprende dodici scritti già pubblicati dallo scrittore in varie sedi.
Analisi Generale
Agilulfo è un cavaliere senza corpo, una semplice armatura bianca al servizio di Carlo Magno, che non trasgredisce mai alcun regolamento ed è affetto da una pignoleria estrema, verso sé stesso e tutti. Gurdulù è il suo scudiero: egli non sa di esistere e tende ad identificarsi con le cose che vede. Rambaldo, un giovane cavaliere, Bramante, una fiera donna guerriera, e una provocante Priscilla, sono gli altri personaggi di questo divertentissimo romanzo di Calvino, facente parte della triade de gli "antenati", con il "Barone rampante" e "Il Visconte dimezzato". Un susseguirsi serrato e spassosissimo di avventure, in un medioevo scanzonato e fiabesco, parodia dei romanzi cavallereschi dei tempi andati, ma che nasconde una seria riflessione dell'autore sull'annientamento della persona, nella civiltà moderna (un armatura dietro alla quale non c'è più nulla) ed una critica arguta a certe ideologie, che propongono una "fusione col tutto" decisamente intransigente e inumana, nell'episodio dei cavalieri del San Gral.
Il ciclo dei tre romanzi(Il Visconte dimezzato,Il Barone rampante, il Cavaliere inesistente),fu raccolto da Calvino in due ordini diversi: iniziando con il Cavaliere inesistente e terminando con il Visconte dimezzato, ovvero con maggior pessimismo chiudendo con il Cavaliere inesistente. L'esperienza biografica dell'autore lo rende testimone degli eventi chiave del nostro secolo,ed egli trasfigurerà questi accadimenti nella sua prosa fantastica ma indagatrice del reale.Italo Calvino nasce a Cuba,precisamente a Santiago de las Vegas nel 1923.Lo scrittore viene poi in Italia,a San Remo,città dove vivevano i genitori.Durante la seconda guerra mondiale è chiamato alle armi,ma Calvino,che per formazione familiare era contrario a Mussolini ed a Hitler,decide di non presentarsi e trascorre alcuni mesi nascosto.E' proprio in questo periodo che si sviluppa in lui una vocazione letteraria.Lasciata San Remo, Calvino fissa la propria residenza prima a Torino,poi a Parigi ed infine a Roma.Il romanzo è ambientato alla corte di Carlo Magno durante la guerra condotta dai Franchi contro gli Arabi che occupavano la penisola Iberica.La tematica ispiratrice risale al poema epico-cavalleresco; ma nella scrittura calviniana i paladini non vengono descritti come eroi, ma come persone comuni:"l'armatura,testimonianza del loro grado e nome, delle imprese compiute,eccola ridotta ad un involucro,ad una vuota ferraglia;e le persone lì a russare,la faccia schiacciata nel guanciale, un filo di bava giù dalle labbra aperte".Emerge già dall'inizio il tema dominante dell'essere e dell'apparire.L'atteggiamento parodiaco dell' autore emerge anche dagli ironici anacronismi della trama:non dobbiamo stupirci se i guerrieri di Carlo Magno indossano elmi e corazze di foggia ancora sconosciuta ai tempi dell'impero franco,o se si rispettano a tavola le regole di un'etichetta entrata in uso più tardi,mangiando con la forchetta anzichè con le mani.
Si rilevano le preoccupazioni politiche dell'autore,la sua diffidenza nei confronti delle "sante cause";e anche una sua volontà di opporsi all'inerzia sociale .Infatti si noti,da una parte come la guerra fra Cristianità e Infedeli assurga a simbolo di tutte le guerre combattute per il predominio a scapito degli umili-soldati o civili che siano-e ormai svuotata da ogni spinta ideologica,con il loro carico di inutile ferocia;per altro verso come un popolo capace di liberarsi dall'oppressione sia affidato il compito di essere portavoce del messaggio decisivo"anche ad essere si impara".Tra ragioni politiche e ragioni esistenziali non c'è contrapposizione, al contrario esse si intrecciano.
Possiamo notare che l'autore ha rinunciato sia a descrivere i volti dei personaggi, sia a dotarli di forte rilievo interiore
Il narratore esterno alla storia è impersonale;in un secondo momento ad una voce fuori campo si sovrappone un narratore,o meglio una narratrice intradiegetica di secondo grado.Suor Teodora è anche lei impersonale ed esterna alla storia, almeno fino a quando non si scopre essere Bradamante-un personaggio della storia-. Le descrizioni all'interno del testo sono molto attente,per quanto riguarda l'abbigliamento bellico,ossia tutti i pezzi che fanno parte dell'armatura, come:gli schinieri,il brudiere,la celata;molto vaghe invece riguardo i luoghi: il castello di Priscilla e il campo di battaglia
L'autore utilizza il discorso indiretto libero,mentre l'intreccio risulta articolato secondo un rapporto di tipo logico.Troviamo numerose similitudini,soprattutto nei primi capitoli:nelle armature si bolliva come in pentole tenute a fuoco lento,la notte per gli eserciti in campo è regolata come il cielo stellato,e così di seguito.L’autore si avvale di un linguaggio preciso,limpido,pienamente comunicativo.Da quando comincia la narrazione di Suor Teodora,all'inizio di ogni capitolo,ella esprime la propria difficoltà nello scrivere e la propria ignoranza sui due temi principali:la guerra e l'amore.
Nel secondo capitolo vengono a confronto due inquetudini diverse:quella del cavaliere inesistente e quella di Rambaldo. Diverse e tuttavia complementari,come suggerisce l'atto del posarsi delicato di quella mano di ferro sui capelli del cavaliere inesperto.
Nel terzo capitolo, accanto al protagonista appare un nuovo personaggio,Gurdulù;questa volta non sono le inquetudini dei due personaggi ad essere complementari,ma essi stessi.D'altronde il cavaliere inesistente non ha carne nè ossa,e il suo scudiero le ha entrambe,ma è senza volontà e coscienza.I temi della guerra e dell'amore,vengono svolti con ironia, cossichè ne risulta bilanciata la carica drammatica;ma il gioco dei contrasti tra episodi farseschi e visioni agghiaccianti di cadaveri sbudellati,rende più che mai palese come la guerra sia atroce e inutileLa massima che si può trarre dalla descrizione della battaglia è esplicitamente dichiarata,in un certo punto nel quarto capitolo, dalla voce narrante"e la guerra cos'è poi se non questo passarsi di mano in mano roba sempre più ammaccata?".
Nel quinto capitolo viene affidato a Rambaldo il compito di farsi portavoce di un'etica attiva"Non ci sono altri giorni che questi vostri giorni prima della tomba,per voi vivi e anche per voi morti.Che mi sia dato di non sprecarli,di non sprecare nulla di ciò che sono e di ciò che potrei essere".
Nel sesto e settimo capitolo troviamo un nuovo personaggio:Torrismondo,che come Rambaldo cerca un senso alla propria vita,ma lo cerca nel passato più che nel futuro,cerca la vera storia della sua vita"Era il bosco che voleva ritrovare, l'umido oscuro bosco dell'infanzia,la madre,le giornate della grotta.
Nell'ottavo capitolo il cavaliere inesistente incontra Priscilla,la quale,durante la notte, che trascorre con lui,si innamora;ma lui il giorno dopo all'alba parte senza esitazione di nessuno dei due.Questo episodio può essere interpretato come parodia dell'episodio omerico,e di altri consimili,dove l'eroe viene bloccato dall'amante.
Nel decimo capitolo,i cavalieri del Gral,si riferiscono ad una lunga tradizione letteraria.Molto importante è osservare come Calvino si sia richiamato alla tradizione con la solita libertà:come ci parli,anzichè del Gral,dei cavalieri del Gral.
Nell'undicesimo capitolo troviamo una ennesima parodia.Al contrario di quanto avviene nelle tragedie,qui l'amore creduto impossibile si rivela possibile.Si rivela anche la differenzatra due personaggi:Bradamante e Sofronia.Bradamente a differenza di Sofronia-che si sposa con Torrismondo-non accetta il fatto compiuto.
L'intero libro può essere inteso come una metafora;d'altronde come già rilevato il tema dominante,più che l'amore è quello dell'essere e dell'apparire.Infatti il cavaliere inesistente che non appare,se non per l'armatura,ma che è;Gurdulù,che al contrario appare,ma non è;e suor Teodora che appare quel che non è,considerando che lei in realtà è Bradamante-un'ottima guerriera-.
Uno dei personaggi più importanti della trilogia è Agilulfo, protagonista del Cavaliere Inesistente, «Dall'uomo primitivo che, essendo tutt'uno con l'universo, poteva essere detto ancora inesistente perché indifferenziato dalla materia organica, siamo lentamente arrivati all'uomo artificiale che, essendo tutt'uno coi prodotti e con le situazioni, è inesistente perché non fa più attrito con nulla, non ha più rapporto (lotta e attraverso la lotta armonia) con ciò che (natura o storia) gli sta intorno, ma solo astrattamente "funziona".» (sempre dalla nota del 1960)
Cos'è Agilulfo? Cosa rappresenta? E perché Calvino ha scelto una tale figura? Anche questo racconto come i precedenti deve essere interpretato come metafora del presente, quindi Agilulfo può rappresentare l'uomo di oggi ridotto alla sola esteriorità, all'unica ricerca delle forme e di una bellezza effimera, incarnata dalla candida armatura del cavaliere, cioè senza contenuto, che lo renda reale, quindi si rivela una figura sfuggente alla quale Calvino stesso fatica a dare un significato unitario e preciso. Lo scrittore nasconde in Agilulfo un connotato di negatività: riesce a mantenersi in vita solo svolgendo gesti esteriori, come ordinare pigne o lucidare la spada, perciò ha perso la dimensione dell'essere, ma c'è in lui una forte volontà di sopravvivere, sostituendo l'essere con il fare. Spesso infatti l'uomo moderno si valuta per quello che fa e non per quello è.
Il Cavaliere Inesistente è forse dei tre libri quello che più mi è piaciuto, non per la trama che rievoca il continuo rincorrersi di personaggi presente nelle opere dell'Ariosto, a cui Calvino somma la sua fervida immaginazione per fare assumere alla narrazione una tonalità comica e grottesca, ma per i personaggi. L'autore è infatti abilissimo nel costruire antitesi tra i vari personaggi: la più evidente è quella che intercorre tra Agilulfo, figura dell'uomo alienato, senza sentimenti, freddo, robotico, e Gurdulù che molti critici definiscono "l'uomo bestia", ma rappresenta, secondo me, quell'uomo primitivo, legato alla vita, che si lascia trasportare dalla passione, che confonde la realtà con il sogno, l'oggetto con il soggetto; lo si potrebbe accostare al "fanciullino" di Pascoli, e di conseguenza potrebbe diventare allegoria del poeta stesso, che abbandona la ragiona per sentire ciò che lo circonda toccandolo con l'animo.
Come ho già scritto Agilulfo può assumere infiniti significati, può diventare una scatola, una forma da riempire a proprio piacimento, un'allegoria del tutto, perciò può essere il simbolo stesso dell'allegoria, della quale Calvino si è servito nel ciclo dei Nostri Antenati per effettuare i suoi continui rimandi al presente. Alla fine del libro il Cavaliere Inesistente si dissolve, lasciando solo la corazza.
«Ogni cosa si muove nella liscia pagina senza che nulla se ne veda, senza che nulla cambi sulla sua suprficie, come in fondo tutto si muove e nulla cambia nella rugosa crosta del mondo,…» Solo Agilulfo ha una vera coscienza di ciò che gli accade intorno perché il suo punto di vista è esterno, distaccato e perciò, come il Barone Rampante in cima agli alberi poteva cogliere meglio i segreti delle altre persone, così il Cavaliere può osservare la realtà, l'amore, che Bradamante e Priscilla, seppure in modo diverso, provano per lui, ma non può provare nulla di persona e da ciò gli deriva una forte sofferenza: « (…) il corpo della gente che aveva un corpo gli dava sì un disagio somigliante all'invidia, ma anche una stretta che era d'orgoglio, di superiorità sdegnosa»
La comunità dei Cavalieri del Gral concepisce l'esistenza come esperienza di annullamento della realtà, scandita da un luogo e un tempo, alla ricerca dell'infinito, di un qualcosa che trascende, perciò in essa si può scorgere la ricerca della perfezione da parte dell'uomo che non riesce a trovarla in sé, quindi ricerca qualcosa di superiore.
In notevole antitesi con i Cavalieri del Gral vi è la comunità dei Curvaldi, accomunati dall'esperienza di ricerca della propria identità come popolo, perciò ognuno di essi esiste come componente di quella nazione.
Altri due personaggi notevoli sono Bradamante, e Rambaldo, un giovane alla ricerca della propria identità, egli quindi non sa chi è; all'inizio Calvino ce lo presenta come un personaggio che crede di essere perché fa, vuole vendicare il padre morto in battaglia, poi scopre che l'esistenza non è nel fare e allora conosce l'amore. Bradamante, la quale ha una concezione dell'amore molto guerresca, cerca la massima diversità, quindi Agilulfo. Molto significativo è il fatto che Rambaldo sia l'erede di Agilulfo: il Cavalire Inesistente lascia la sua armatura vuota, emblema dell'allegoria, a Rambaldo, che la riempie con la vita. E' un grande invito di Calvino a vivere in modo partecipe, attivo, energico e passionale, a rischiare e a buttarsi, come fa lui stesso quando incomincia a scrivere: «La pagina ha il suo bene solo quando la volti e c'è la vita dietro che spinge e scompiglia tutti i fogli del libro. La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre le strade. Il capitolo che attacchi e non sai ancora che storia racconterà è come l'angolo che svolterai uscendo dal convento e non sai se ti metterà a faccia a faccia con un drago, uno stuolo barbaresco, un'isola incantanta, un nuovo amore.»
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Data creazione 29/12/2003 15.14.00

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  1. felice

    Potete commentare questa frase di calvino? "anche ad essere si impara"