Boccaccio

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano

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Testo

Boccaccio
VITA: Giovanni Boccaccio, figlio illegittimo di Boccaccio di Chelino, nacque nel 1313. All’età di quattordici anni, nel 1327, si trasferì col padre a Napoli, dove questo iniziò a lavorare per i banchieri fiorentini Bardi. Nel 1329 il padre di Boccaccio fu chiamato a lavorare per la corte di Roberto D’Angiò, ciò diede a Giovanni la possibilità di avere contatti con i maggiori letterati del tempo e con la biblioteca del re, ove nacque la sua passione letteraria. Nel 1336 conobbe fiammetta, splendida donna, probabilmente figlia illegittima del re napoletano; l’amore nato tra i due durò circa tre anni. Poco dopo Boccaccio e il padre furono costretti a lasciare Napoli a causa del fallimento dei Bardi. Tornarono a Firenze dove Giovanni svolse incarichi diplomatici per il comune, qui il giovane ventisettenne non riuscì subito ad integrarsi nell’ambiente culturale e faticò anche ad abituarsi alla condizione economica disagiata. Nel frattempo in Italia scoppiò la peste, evento che ispirò l’ambientazione della sua opera maggiore, il “Decameron”.
Nel 1350 conobbe Petrarca con il quale instaurò una forte amicizia; nello stesso anno le sue novelle furono accusate d’immoralità e ciò gli causò una crisi poetica e religiosa. Per tre volte tornò a Napoli cercando di ritrovare l’onore e la protezione che aveva da piccolo. Il comune di Firenze gli affidò il compito di leggere e commentare la commedia di Dante, autore che Boccaccio ammirava e di cui era il primo studioso e commentatore, ma arrivò solo al XVII canto poiché essendo malato di idropsia nel 1371 si ritirò a Cretaldo, dove morì nel 1375.

PERCORSO LETTERARIO: Il primo nucleo d’opere di Boccaccio composte tra il 1330 e il 1340 sono scritte in volgare, in prosa e/o in versi ed hanno richiami alla lirica francese, stilnovistica e dantesca, basate sul filone amoroso e quello epico. Le opere scritte a Napoli sono caratterizzate da una componente autobiografica, la presenza di Fiammetta e lo sfoggio di erudizione mitologica. La prima opera scritta da Giovanni Boccaccio è la “Caccia di Diana”, un poema composto nel 1333 nel quale l’autore rende omaggio alle più belle donne di Napoli. La sua seconda opera risale al 1335 ed è il “Filostrato” un poema narrativo ove il tema principale è amoroso-cavalleresco e narra di Troilo, che va in battaglia e viene ucciso da Achille dopo essere stato tradito da Criseide, la sua donna amata. In tale opera vi è un’analisi psicologica di fondo del sentimento d’amore tradito. Tra il 1336 e il 1338 Boccaccio scrive il “Filocolo”, un romanzo d’amore riguardante le avventure di Florio, un giovane nobile alla ricerca di Biancofiore, la sua donna amata. Nell’opera il protagonista incontra Fiammetta. Nel 1339 Boccaccio scrisse il primo poema epico in volgare, il “Treseida”, riguardante la lotta di Teseo, re di Atene, contro Tebe e le Amazzoni; in quest’opera compare oltre al tema cavalleresco quello amoroso, attraverso il conflitto creatosi tra Arcita e Palemone, due amici che contendevano una stessa donna, Emilia; l’opera termina con un commento dell’autore. Nel 1341 iniziò la stesura della “Commedia delle ninfe fiorentine”, opera in tema stilnovistico della nobiltà d’animo e dell’amore come forza capace di elevare lo spirito dell’innamorato.
Nel 1343 Boccaccio produsse un romanzo nominato “Elegia di madonna Fiammetta”, ove il narratore è Fiammetta che in un lungo monologo confessa il suo innamoramento per Panfilo, la felicità raggiunta con lui, il dolore per l’abbandono causato dall’improvvisa partenza dell’innamorato e dalla promessa di fedeltà. Nel suo dialogo la narratrice fa riflessioni psicologico-morale e riferimenti a casi conosciuti di donne abbandonate. L’ambientazione è contemporanea alla vicenda e dà allo stile un tono chiaro e realistico, è composta per un pubblico femminile; al termine della stesura di quest’opera compone il “Ninfale fiesolano” trattante la leggenda delle origini di Fiesole, Africo un giovane pastore innamorato della ninfa Mensola, che fece voto di castità a Diana, su consiglio di Venere si travestì da ninfa per poter conquistare Mensola, ma questa triste per aver violato il patto fatto con Diana non volle più vedere il pastore, che per la disperazione si uccise, il sangue di Africo si mischiò con le acque del fiume. Diana, dopo aver scoperto il parto di Pruneo, figlio illegittimo di Mensola e Africo, trasformò la madre in torrente. Nel 1348 scoppiò la peste in Italia, a causa di questa pestilenza Boccaccio perde numerose amicizie e inizia la stesura del “Decameron”, opera che ha come cornice la pestilenza che spinge un gruppo di giovani, sette fanciulle e tre fanciulli, a rifugiarsi per dieci giorni in una villa di campagna, per passare il tempo si raccontano novelle riguardanti la vita umana, le vicende d’amore, l’astuzia, l’intelligenza, la fortuna e la burla. Decidono di eleggere per ogni giorno un re o una regina che scegliesse il tema dei racconti. E’ un’opera complessa, multiforme e divagante; è considerata una “commedia terrena” nella quale i protagonisti rappresentano la varietà delle vicende terrene. Boccaccio cambia toni e lessico a secondo del tema e della novella; di ogni novella si hanno informazioni spazio-temporali precise e informazioni della psicologia dei personaggi. Il “Decameron” è costituito da un proemio di poche pagine riguardante le donne, da un’introduzione generale che descrive la situazione di Firenze, l’incontro dei giovani e la decisione di partire; dagli interventi dell’autore all’inizio della quarta giornata e in conclusione all’opera in difesa dell’opera stessa dalle critiche. Infatti Boccaccio all’interno dell’opera inserisce delle riflessioni sull’opera stessa, nel “Proemio” delinea il disordine sociale portato dall’epidemia, mentre nell’“Introduzione alla quarta giornata” giustifica il proprio realismo, perché descrive col suo lessico molto diretto la realtà, si tratta di critiche di fondo in grado di mettere in discussione tutto l’opera, ma l’autore rivendica il merito di aver “fotografato” la realtà. Nella conclusione del “Decameron” Boccaccio commenta i gesti compiuti dai fiorentini durante l’epidemia, invoca la finzione letteraria del narratore che trascrive quanto appreso e quindi deve narrare anche le situazioni scabrose ed infine sostiene che gli argomenti possono sembrare sconvenienti non solo per i contenuti, ma anche per il linguaggio con cui sono scritti. Boccaccio si dice orgoglioso della sua capacità di affrontare situazioni anche scabrose e di trascriverle ad un livello più alto per mezzo di un linguaggio corretto. Ogni giornata ha un’ambientazione particolare, i giovani raccontano dieci novelle al giorno e una ballata ogni fine giornata. Inizialmente la storia è ambientata in una chiesa di SMN, un martedì mattina, qui i giovani s’incontrano e decidono di andare in una villa fuori città. Le varie novelle, però, sono ambientate nei luoghi più diversi. I nomi dei giovani hanno diversi significati: Pampinea, dolce e matura giovinezza
Filomena, l’amata
Emilia, colei che è soddisfatta di se
Lauretta, timida e scontrosa
Naifile, acerba e sensuale, la nuova giovinezza
Elissa, colei che è stata lasciata
Panfilo, tutto amore
Filostrato, l’amante della guerra
Dioneo, colui che è legato all’amore carnale
La “Genealogia deorum gentilium” rappresenta un vasto repertorio mitologico scritto in latino, che presuppone un’amplissima ricerca.
Il “Corbaccio” è l’ultima opera di Boccaccio, scritta in volgare, è la risposta ad una delusione d’amore, che ha causato uno smacco nell’orgoglio del poeta, ferito dal comportamento ci una vedova che prima lo aveva incoraggiato e poi pubblicamente deriso. L’autore immagina di entrare in un bosco dove sono trasformati in bestie tutti coloro che hanno creduto all’amore terreno; qui trova anche il marito della vedova, che ne approfitta per parlargli male della moglie e di tutte le donne, le definisce maliziose, imbroglione, mendaci, ipocrite, venali, fintamente deboli e pronte a tutto per raggiungere i propri scopi. Tale opera manifesta le delusioni dell’autore nei confronti delle esperienze amorose del passato e testimonia un allontanamento dalla positiva visione dell’amore che ha caratterizzato il “Decameron”.

AMORE: il tema d’amore è il filo conduttore di molte produzioni di Boccaccio, l’autore di fronte a questo sentimento è laico e aperto, lo considera una forza naturale; la donna è raggiungibile e fa si che porti al coronamento della reciproca soddisfazione fisica; boccaccio, nel tema d’amore introduce la parità tra uomo e donna.
La situazione dei giovani nella villa è stata creata dall’autore per idealizzare riproporre la vita di corte.

Nastagio degli onesti: una delle novelle della quinta giornata, con tema degli amori travagliati, ma a lieto fine. Nostagio è un ricco cittadino innamorato di Bianca Traversaro, che altezzosamente rifiuta il corteggiamento ricevuti. Vive da signore e consuma il patrimonio di famiglia e la sua stessa vita per amore. Per allietare il cuore andò nella pineta di Ravenna ove vide una giovane donna nuda inseguita da due cani e da un cavaliere. Il protagonista tentò di aiutare la donna, ma il cavaliere lo fermo rivelando di essere due anime e che quella era la loro pena. Il cavaliere si era infatti ucciso per colpa della crudeltà della donna che non aveva accettato il suo amore. Nastagio riuscì a far assistere alla scena anche Bianca e i suoi famigliari in modo tale da spaventare la donna e avere il suo consenso alle nozze. La narratrice è Filomena, narra la morale del racconto: come va lodata la pietà, va condannata la crudeltà. In questo caso la crudeltà è un richiamo alla tradizione cortese della ritrosia da parte della donna, un cuore nobile non può non rispondere all’amore di un altro animo nobile . Il tema della cortesia è decentrato sui valori borghesi dell’ingegno. Da allora le donne di Ravenna sono state più disponibili alle tentazioni d’amore di quanto lo fossero prima.

L’ingegno è un insieme di abilità e capacità che permettono ai personaggi di raggiungere lo scopo prefissato, è un mezzo. Le abilità che secondo boccaccio fanno parte dell’ingegno sono astuzia, inganno, fede, beffa, menzogne, scioltezza di lingua e capacità di convinzione, virtù laiche e terrene prive di riferimenti morali. L’ingegno trasforma l’amore in maniera radicale, diviene conquista del congiungimento carnale ed il suo ottenimento giustifica inganni e menzogne.

Le badesse e le brache: una delle novelle della nona giornata, raccontata da Elissa, a tema libero. La narratrice anticipa il contenuto della novella, spiegando la morale, un’aperta critica all’ipocrisia: molte persone si ritengono esempi di moralità, e perciò si fanno fustigatrici dei costumi altrui, ma poi, quando vengono scoperte vengono coperte di vergogna.
In un monastero una giovane monaca si innamora di un giovane, e con lui inizia una relazione amorosa. Le altre monache accortesi chiamano la badessa per cogliere sul fatto i due amanti, la superiora, che era a letto con un prete si vestì di fretta e al buio, così mise in testa i pantaloni del parroco invece del velo. Mentre la badessa inveiva contro la giovane monaca questa, con molta discrezione, fece notare alla superiora lo scambio; scoperta, non poté che ammettere il proprio comportamento e concedere anche alle altre monache il permesso di procurarsi qualche piacere.
Secondo Boccaccio in questa novella non vi è irriverenza, poiché l’autore tratta le figure religiose come esseri umani, con debolezze, Boccaccio non fa nessuna condanna e alcun moralismo, anzi lo critica; enuncia la regola di un nuovo modo di vivere: la sincera adesione alla natura senza i sensi di colpa. Boccaccio non pretende la santità da parte dei religiosi, ma la cancellazione dell’ipocrisia.

Boccaccio nelle sorti infelici degli amanti non trova né peccato né la giusta punizione, ma la sventura e la grettezza umana, non è l’amore che conduce alla tragedia, sono gli uomini che volendo contrastare tale forza naturale fanno violenza a se stessi e ai propri simili trasformando così l’amore in tragico evento. Baccaccio non ha rimproveri da fare all’amore.

Lisabetta da Messina: questa novella è narrata da Filomena nella quarta giornata, la narratrice introduce il racconto sottolineando i protagonisti della vicenda e confrontandoli con la narrazione precedente. Lisabetta inizia una relazione amorosa con Lorenzo, giovane che lavora nella bottega dei fratelli mercanti di lei, venuti a conoscenza della relazione i fratelli decidono di uccidere Lorenzo all’insaputa della sorella. La giovane avvisata in un sogno premonitore da Lorenzo trova il cadavere dell’amato, ne stacca la testa e la mette in un vaso di basilico, ove la cura amorevolmente e ne piange la scomparsa fino alla morte.

Boccaccio ha uno sguardo cordiale e aperto alla molteplicità dell’avventura terrena dell’uomo. Nei casi affrontati dall’autore emergono 3 temi:
Fortuna: indica la casualità delle circostanze, favorevoli o sfavorevoli, con le quali l’uomo deve fare i conti, per Boccaccio la fortuna diviene un insieme degli accidenti che ci aiutano o ci danneggiano, è il risultato della varietà dell’esistenza, di fronte alla sorte l’uomo può mettere a frutto il suo ingegno.
Astuzia: è il tratto dominante dell’ingegno, si manifesta come difesa del caso, come iniziativa dell’uomo che riesce a determinare lo svolgersi delle situazioni. Boccaccio, privo di moralismo, guarda con comprensione e simpatia il tentativo degli uomini di togliersi dagli impicci o di modificare una situazione sfortunata. Nei casi in cui l’astuzia è un progetto attivo e non un’arma di difesa, si trasforma in beffa.
Beffa: viene presentata come un progetto, come la creazione di una situazione in cui viene immischiata la vittima di turno; non come mezzo ma come fine.

Chichibio: novella narrata nella sesta giornata col tema delle difficoltà di particolari situazioni da cui si esce con una rapida battuta di spirito. Currado Gianfigliazzi, banchiere fiorentino, aveva dato l’ordine a Chichibio, suo giovane cuoco, di cucinare per cena una gru, che aveva cacciato. Durante l’assenza del banchiere il giovane cuoco incontrò una donna di nome Brunetta che gli chiese un po’ di coscia da mangiare, il cuoco preso dalla compassione gliela diede. Al ritorno di Currado, Chichibio fu costretto a inventarsi una bugia per motivare la mancanza di una coscia, così disse che le gru avevano solo una gamba e di conseguenza una sola coscia, dopo aver sentito una tale menzogna il banchiere furibondo disse a Chichibio che doveva vedere di persona le gru, se no l’avrebbe bastonato. L’indomani andarono nel bosco dove Currado andava di solito a caccia e, dopo un urlo del banchiere, le gru si spaventarono, abbassarono l’altra gamba e scapparono. Chichibio, trovatosi in difficoltà inventò una nuova menzogna dicendo che la gru del giorno prima aveva una sola gamba perché al momento della cattura Currado non aveva urlato. La novella termina con l’ira di Currado che si trasforma in risata.

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