L'atomo

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Categoria:Fisica

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L'atomo

E' affascinante ripercorrere, anche se brevemente, i momenti piщ importanti degli studi che hanno portato alla descrizione dell’atomo, per spiegare come l’intuizione di alcune menti particolarmente brillanti sia stata un faro per raggiungere con ingegno, pazienza e dedizione porti altrimenti lontanissimi. Il concetto di atomo (dal greco "atomтs", "indivisibile") come costituente della materia trae le sue origini dalla filosofia greca e, con alterne fortune (spesso piщ di origine filosofica che strettamente scientifica) ha navigato attraverso i millenni. Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo gli studiosi si convinsero che la natura era discontinua e formata di atomi e molecole. Nessuno aveva idea, perт, dell’esistenza delle particelle costituenti. Nel XIX secolo, poi, furono eseguiti numerosi esperimenti per determinare molte proprietа della materia. Ma spesso fu possibile ricavare solo leggi empiriche di cui non era possibile dare una giustificazione. I piщ importanti esperimenti che fornirono dati apparentemente inspiegabili furono quelli di tipo spettroscopico: inviando della luce su di un gas di idrogeno, questo fornм un risultato inaspettato. Osservando la radiazione riemessa dal gas, si notт che era composta da una serie di righe (spettro discontinuo) di frequenza diversa, mentre quella incidente aveva uno spettro piatto (tutte le frequenze in un certo intervallo). Era come se il gas distinguesse tra una frequenza ed un’altra immediatamente vicina tra tutte quelle che gli venivano inviate. Questa libertа di scelta dell’atomo sembrava inspiegabile. Il primo passo sulla strada per la veritа avvenne quando, nel 1897, J.J.Thomson, a conclusione di una serie di esperimenti, capм di aver scoperto una particella: l’elettrone. Capм inoltre che il numero atomico Z и il numero di elettroni atomici. Su queste basi realizzт il primo modello atomico, secondo il quale l’atomo и una sfera di raggio circa 10-10m che racchiude sia gli elettroni che una carica positiva diffusa all’interno della sfera in maniera omogenea (l’atomo nel suo insieme и neutro). La posizione degli elettroni nell’atomo и definita dalla repulsione coulombiana.
Questo modello, sebbene spiegasse molti effetti osservati, lasciava ancora molti dubbi: ad esempio non spiegava i risultati delle misure spettroscopiche prima descritte. Nonostante alcuni insuccessi, la maggior parte dei fisici di allora era comunque convinta che questa fosse la strada giusta.
Pochi anni piщ tardi, per cercare di dare una risposta ai molti dubbi che ancora rimanevano, E.Rutherford consigliт a due suoi ricercatori, H.Geiger e E.Marsden, di bombardare un sottilissimo foglio d’oro con particelle o (oggi sappiamo composte da due neutroni e due protoni, Rutherford sapeva solo che erano nuclei doppiamente carichi di atomi di elio e molto pesanti).
Supponendo valido il modello di Thomson, Rutherford concluse che le particelle avrebbero dovuto attraversare il foglio subendo deflessioni molto piccole dal moto rettilineo (quindi variazioni di velocitа a causa dell’applicazione di una forza deflettente), poichи il valore del campo elettrico all’interno dell’atomo (all’esterno della sfera non c’и campo elettrico perchй l’atomo и neutro, quindi la particella non puт subire una forza deflettente) и sempre molto limitato.
Dalle misurazioni della deflessione delle particelle, Rutherford era convinto che sarebbe stato possibile eseguire misure precise sulla struttura dell’atomo di Thomson.

I risultati di quest’esperimento, perт, furono sconvolgenti: le particelle vennero deviate piщ di quanto si aspettasse, ed alcune di esse invertirono addirittura il loro moto. Rutherford commentando questi dati scrisse: "Fu l’evento piщ incredibile che mi fosse mai capitato nella vita. Altrettanto incredibile che se vi fosse capitato di sparare un proiettile da quindici pollici su un pezzo di carta velina e questo fosse tornato indietro a colpirvi." Rutherford cercт quindi di capire che cosa avesse potuto dare origine a risultati di questo tipo ed arrivт a concludere che l’atomo и composto da un nucleo carico positivamente, di raggio m, intorno al quale sono distribuiti gli elettroni fino ad una distanza di circa 10-10 m. Le ragioni che portarono a queste conclusioni sono le seguenti: se una particella passa attraverso la materia esternamente alla corteccia degli elettroni, non sente alcun campo elettrico e quindi non viene deviata; se invece entra all’interno della nuvola atomica, incontra un campo tanto piщ intenso quanto piщ и vicina al nucleo e quindi tanto piщ viene deviata. Nel caso di urto frontale con un nucleo, il proiettile puт addirittura invertire il suo moto. Questo modello, che prese il nome dal suo ideatore, non spiegava perт ancora molti dei risultati sperimentali osservati e neanche di che cosa fosse fatto il nucleo. Risultava poi evidente che la materia и vuota poichй tra il nucleo e la fine della corteccia atomica sono presenti solo poche (al massimo un centinaio) particelle praticamente puntiformi. La soluzione del problema sembrava, perт, piщ vicina, anche se molti fisici erano scettici su questo nuovo modello che lasciava ancora molti fenomeni inspiegati. Ad illuminare il cammino verso la comprensione della reale struttura dell’atomo arrivт, nel 1913, un giovane fisico danese: Niels Bohr. Questi, di ritorno da un viaggio presso il laboratorio di Rutherford (che lo aveva definito "uno dei giovani piщ intelligenti che io abbia mai incontrato") propose una spiegazione del comportamento degli elettroni atomici. Il principale problema del modello di Rutherford и legato agli elettroni che lo compongono. Sappiamo infatti che essi, stando vicino al nucleo, risentono dell’attrazione Coulombiana; non potrebbero rimanere fermi, in quanto questa forza di richiamo li accelererebbe fino a farli collassare sul nucleo, cosa impossibile essendo la materia stabile. D’altronde l’elettrone non puт neanche muoversi. Infatti una legge sul moto delle particelle cariche afferma che, se una particella carica devia dal moto rettilineo (e quindi subisce un’accelerazione, come una macchina in curva), emette onde elettromagnetiche perdendo parte della sua energia cinetica. Se l’elettrone si muovesse liberamente nell’atomo perderebbe tutta la sua energia in pochi miliardesimi di secondo e collasserebbe sul nucleo. Per ovviare al problema apparentemente insormontabile della presenza degli elettroni intorno al nucleo, Bohr applicт ad alcuni concetti appresi presso il laboratorio di Rutherford le idee della quantizzazione introdotte da Planck ed ampliate da Einstein. Egli immaginт che il moto dell’elettrone intorno al nucleo fosse simile a quello della luna intorno alla terra (moto planetario), sostituendo l'interazione gravitazionale con quella elettromagnetica. Per superare il problema dell’emissione di radiazione elettromagnetica da parte degli elettroni, suppose che esistessero delle orbite stabili sulle quali l’elettrone potesse rimanere senza perdere energia. Secondo quest’idea le orbite dell’elettrone venivano, quindi, quantizzate. Per definire quali orbite fossero permesse, Bohr pensт che, compiendo l’elettrone orbite circolari, il suo momento angolare non doveva cambiare e suppose che questo fosse una buon candidato per essere quantizzato. Dallo sviluppo di questo modello Bohr dedusse che gli elettroni atomici sono distribuiti a strati, nel senso che coprono orbite intorno al nucleo a diverse distanze (come i pianeti intorno al sole), fissate dalla condizione di quantizzazione. Affinchи questo modello potesse essere presentato come una corretta spiegazione della distribuzione degli elettroni nell’atomo, era necessario che potesse giustificare alcuni risultati sperimentali. Una importante vittoria fu quella di fornire una giustificazione per le misure spettroscopiche ottenute e non ancora spiegate. Secondo quanto si era venuto a delineare in quegli anni, la luce incidente sul gas и composta da tutte le frequenze comprese all’interno di un certo intervallo, quindi di fotoni di diversa energia (a seconda della frequenza). Bohr suppose che tutti i fotoni attraversano gli atomi del gas senza interagire tranne quelli con un’energia tale da portare gli elettroni da un’orbita permessa ad un’altra piщ lontana dal nucleo. Secondo questo modello, quando un fotone viene assorbito dall’atomo, l’elettrone si allontana dal nucleo; pochi miliardesimi di secondi dopo, l’elettrone ritorna nell’orbita iniziale riemettendo energia sotto forma di fotoni. Solo i fotoni (e quindi le frequenze della luce) tali da fornire un energia all’elettrone per eseguire la transizione tra due livelli atomici, vengono assorbiti, e ciт vale anche nel caso dell’emissione di fotoni durante la diseccitazione atomica (che и un processo di decadimento, denominato decadimento d). Bohr calcolт quali frequenze sarebbero dovute essere riemesse dall’atomo durante il processo di diseccitazione. I risultati furono in ottimo accordo con quanto misurato sperimentalmente. Nonostante il successo del modello di Bohr, non tutti i fisici inizialmente abbracciarono questa ipotesi. Lo stesso Rutherford commentт cosм, il 20 marzo del 1923, la lettera inviatagli da Bohr con la descrizione della sua teoria e dei suoi risultati: "Le Sue idee sull’origine dello spettro dell’idrogeno sono molto ingegnose e sembrano funzionare bene; ma la mescolanza delle idee di Planck con la vecchia meccanica consente molto difficilmente di formarsi un’idea fisica della base del discorso. Mi sembra ci sia una grave difficoltа nelle sue ipotesi, che non penso affatto Le sia sfuggita: come fa un elettrone a decidere con quale frequenza deve vibrare quando passa da uno stato stazionario all’altro? Sembra che debba supporre che l’elettrone sappia in partenza dove andrа a finire." (a questo dubbio risponderа, in seguito, la meccanica quantistica...) La strada giusta era stata trovata. Il modello di Bohr, per quanto spiegasse bene la maggior parte dei risultati, lasciava ancora problemi irrisolti. In seguito Arnold Sommerfeld riuscм ad ampliare questo modello, generalizzando ed aumentando le condizioni di quantizzazione imposte da Bohr. Grazie a queste e ad altre nuove idee i risultati delle misure sperimentali erano sempre piщ facilmente spiegabili. Anche la comprensione della struttura del nucleo subм in quegli anni un forte sviluppo fino ad arrivare, nel 1932, alla scoperta del neutrone da parte di J.Chadwick. Era l’ultimo tassello per capire da cosa fosse costituito l’atomo. Oggi sappiamo che gli atomi sono composti da un nucleo molto piccolo (raggio m) composto da neutroni e protoni, che costituisce la parte piщ massiva, circondato da una nuvola di elettroni che gli gira intorno fino ad una distanza di circa 10-10 m. Neutroni e protoni sono tenuti insieme, vincendo la repulsione elettrica tra le cariche positive, grazie alle interazioni forti, mentre gli elettroni rimangono legati all’atomo a causa dell’interazione elettromagnetica. Esistono in natura circa un centinaio di tipi di atomi e ne vengono creati di nuovi nei moderni laboratori di fisica Ogni specie и caratterizzata da un diverso numero di protoni (essendo l’atomo neutro, questo ha tanti protoni quanti elettroni). Ogni atomo ha un nome che lo caratterizza ed un simbolo, introdotti quando non si conosceva la struttura atomica e si distinguevano le diverse specie di atomi sulla base delle loro proprietа chimiche e fisiche, ma utilizzati ancora oggi per comoditа. Alcuni di questi sono: Idrogeno (H), Ossigeno (O), Carbonio (C), Oro (Au) e cosм via. Il simbolo atomico и spesso affiancato da due numeri, il numero atomico Z (numero di cariche elettriche negative ed utilizzato per la classificazione di Mendeleev) ed il numero di massa A (numero di neutroni e protoni), cosм posizionati: Ogni specie atomica ha un valore Z diverso dagli altri; questo non vale per il numero di massa. Infatti il numero di neutroni all’interno del nucleo non и lo stesso per tutti gli atomi di una specie; le diverse sottospecie legate al diverso valore del numero di neutroni sono detti isotopi. Gli isotopi possono essere stabili o decadere, con tempi piщ o meno lunghi, in nuovi atomi fino ad arrivare ad una configurazione stabile ("decadimento radioattivo dei nuclei atomici"). Alcuni anni piщ tardi, rispetto allo sviluppo del modello di Bohr-Sommerfeld (o modello semiclassico), Schrтdinger ed Heisenberg risolsero, secondo la teoria della meccanica quantistica, il problema dell’atomo d’idrogeno, ritrovando le condizioni di quantizzazione che Bohr e Sommerfeld avevano inserito a naso. La meccanica quantistica, a differenza di quella classica, и una teoria probabilistica, quindi non dice che gli elettroni vivono su orbite fisse, ma fornisce la probabilitа di trovarli ad una certa distanza dal nucleo. Il valore piщ probabile, per ogni orbita, coincide con quello trovato con il modello semiclassico.
E' affascinante ripercorrere, anche se brevemente, i momenti piщ importanti degli studi che hanno portato alla descrizione dell’atomo, per spiegare come l’intuizione di alcune menti particolarmente brillanti sia stata un faro per raggiungere con ingegno, pazienza e dedizione porti altrimenti lontanissimi. Il concetto di atomo (dal greco "atomтs", "indivisibile") come costituente della materia trae le sue origini dalla filosofia greca e, con alterne fortune (spesso piщ di origine filosofica che strettamente scientifica) ha navigato attraverso i millenni. Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo gli studiosi si convinsero che la natura era discontinua e formata di atomi e molecole. Nessuno aveva idea, perт, dell’esistenza delle particelle costituenti. Nel XIX secolo, poi, furono eseguiti numerosi esperimenti per determinare molte proprietа della materia. Ma spesso fu possibile ricavare solo leggi empiriche di cui non era possibile dare una giustificazione. I piщ importanti esperimenti che fornirono dati apparentemente inspiegabili furono quelli di tipo spettroscopico: inviando della luce su di un gas di idrogeno, questo fornм un risultato inaspettato. Osservando la radiazione riemessa dal gas, si notт che era composta da una serie di righe (spettro discontinuo) di frequenza diversa, mentre quella incidente aveva uno spettro piatto (tutte le frequenze in un certo intervallo). Era come se il gas distinguesse tra una frequenza ed un’altra immediatamente vicina tra tutte quelle che gli venivano inviate. Questa libertа di scelta dell’atomo sembrava inspiegabile. Il primo passo sulla strada per la veritа avvenne quando, nel 1897, J.J.Thomson, a conclusione di una serie di esperimenti, capм di aver scoperto una particella: l’elettrone. Capм inoltre che il numero atomico Z и il numero di elettroni atomici. Su queste basi realizzт il primo modello atomico, secondo il quale l’atomo и una sfera di raggio circa 10-10m che racchiude sia gli elettroni che una carica positiva diffusa all’interno della sfera in maniera omogenea (l’atomo nel suo insieme и neutro). La posizione degli elettroni nell’atomo и definita dalla repulsione coulombiana.
Questo modello, sebbene spiegasse molti effetti osservati, lasciava ancora molti dubbi: ad esempio non spiegava i risultati delle misure spettroscopiche prima descritte. Nonostante alcuni insuccessi, la maggior parte dei fisici di allora era comunque convinta che questa fosse la strada giusta.
Pochi anni piщ tardi, per cercare di dare una risposta ai molti dubbi che ancora rimanevano, E.Rutherford consigliт a due suoi ricercatori, H.Geiger e E.Marsden, di bombardare un sottilissimo foglio d’oro con particelle o (oggi sappiamo composte da due neutroni e due protoni, Rutherford sapeva solo che erano nuclei doppiamente carichi di atomi di elio e molto pesanti).
Supponendo valido il modello di Thomson, Rutherford concluse che le particelle avrebbero dovuto attraversare il foglio subendo deflessioni molto piccole dal moto rettilineo (quindi variazioni di velocitа a causa dell’applicazione di una forza deflettente), poichи il valore del campo elettrico all’interno dell’atomo (all’esterno della sfera non c’и campo elettrico perchй l’atomo и neutro, quindi la particella non puт subire una forza deflettente) и sempre molto limitato.
Dalle misurazioni della deflessione delle particelle, Rutherford era convinto che sarebbe stato possibile eseguire misure precise sulla struttura dell’atomo di Thomson.

I risultati di quest’esperimento, perт, furono sconvolgenti: le particelle vennero deviate piщ di quanto si aspettasse, ed alcune di esse invertirono addirittura il loro moto. Rutherford commentando questi dati scrisse: "Fu l’evento piщ incredibile che mi fosse mai capitato nella vita. Altrettanto incredibile che se vi fosse capitato di sparare un proiettile da quindici pollici su un pezzo di carta velina e questo fosse tornato indietro a colpirvi." Rutherford cercт quindi di capire che cosa avesse potuto dare origine a risultati di questo tipo ed arrivт a concludere che l’atomo и composto da un nucleo carico positivamente, di raggio m, intorno al quale sono distribuiti gli elettroni fino ad una distanza di circa 10-10 m. Le ragioni che portarono a queste conclusioni sono le seguenti: se una particella passa attraverso la materia esternamente alla corteccia degli elettroni, non sente alcun campo elettrico e quindi non viene deviata; se invece entra all’interno della nuvola atomica, incontra un campo tanto piщ intenso quanto piщ и vicina al nucleo e quindi tanto piщ viene deviata. Nel caso di urto frontale con un nucleo, il proiettile puт addirittura invertire il suo moto. Questo modello, che prese il nome dal suo ideatore, non spiegava perт ancora molti dei risultati sperimentali osservati e neanche di che cosa fosse fatto il nucleo. Risultava poi evidente che la materia и vuota poichй tra il nucleo e la fine della corteccia atomica sono presenti solo poche (al massimo un centinaio) particelle praticamente puntiformi. La soluzione del problema sembrava, perт, piщ vicina, anche se molti fisici erano scettici su questo nuovo modello che lasciava ancora molti fenomeni inspiegati. Ad illuminare il cammino verso la comprensione della reale struttura dell’atomo arrivт, nel 1913, un giovane fisico danese: Niels Bohr. Questi, di ritorno da un viaggio presso il laboratorio di Rutherford (che lo aveva definito "uno dei giovani piщ intelligenti che io abbia mai incontrato") propose una spiegazione del comportamento degli elettroni atomici. Il principale problema del modello di Rutherford и legato agli elettroni che lo compongono. Sappiamo infatti che essi, stando vicino al nucleo, risentono dell’attrazione Coulombiana; non potrebbero rimanere fermi, in quanto questa forza di richiamo li accelererebbe fino a farli collassare sul nucleo, cosa impossibile essendo la materia stabile. D’altronde l’elettrone non puт neanche muoversi. Infatti una legge sul moto delle particelle cariche afferma che, se una particella carica devia dal moto rettilineo (e quindi subisce un’accelerazione, come una macchina in curva), emette onde elettromagnetiche perdendo parte della sua energia cinetica. Se l’elettrone si muovesse liberamente nell’atomo perderebbe tutta la sua energia in pochi miliardesimi di secondo e collasserebbe sul nucleo. Per ovviare al problema apparentemente insormontabile della presenza degli elettroni intorno al nucleo, Bohr applicт ad alcuni concetti appresi presso il laboratorio di Rutherford le idee della quantizzazione introdotte da Planck ed ampliate da Einstein. Egli immaginт che il moto dell’elettrone intorno al nucleo fosse simile a quello della luna intorno alla terra (moto planetario), sostituendo l'interazione gravitazionale con quella elettromagnetica. Per superare il problema dell’emissione di radiazione elettromagnetica da parte degli elettroni, suppose che esistessero delle orbite stabili sulle quali l’elettrone potesse rimanere senza perdere energia. Secondo quest’idea le orbite dell’elettrone venivano, quindi, quantizzate. Per definire quali orbite fossero permesse, Bohr pensт che, compiendo l’elettrone orbite circolari, il suo momento angolare non doveva cambiare e suppose che questo fosse una buon candidato per essere quantizzato. Dallo sviluppo di questo modello Bohr dedusse che gli elettroni atomici sono distribuiti a strati, nel senso che coprono orbite intorno al nucleo a diverse distanze (come i pianeti intorno al sole), fissate dalla condizione di quantizzazione. Affinchи questo modello potesse essere presentato come una corretta spiegazione della distribuzione degli elettroni nell’atomo, era necessario che potesse giustificare alcuni risultati sperimentali. Una importante vittoria fu quella di fornire una giustificazione per le misure spettroscopiche ottenute e non ancora spiegate. Secondo quanto si era venuto a delineare in quegli anni, la luce incidente sul gas и composta da tutte le frequenze comprese all’interno di un certo intervallo, quindi di fotoni di diversa energia (a seconda della frequenza). Bohr suppose che tutti i fotoni attraversano gli atomi del gas senza interagire tranne quelli con un’energia tale da portare gli elettroni da un’orbita permessa ad un’altra piщ lontana dal nucleo. Secondo questo modello, quando un fotone viene assorbito dall’atomo, l’elettrone si allontana dal nucleo; pochi miliardesimi di secondi dopo, l’elettrone ritorna nell’orbita iniziale riemettendo energia sotto forma di fotoni. Solo i fotoni (e quindi le frequenze della luce) tali da fornire un energia all’elettrone per eseguire la transizione tra due livelli atomici, vengono assorbiti, e ciт vale anche nel caso dell’emissione di fotoni durante la diseccitazione atomica (che и un processo di decadimento, denominato decadimento d). Bohr calcolт quali frequenze sarebbero dovute essere riemesse dall’atomo durante il processo di diseccitazione. I risultati furono in ottimo accordo con quanto misurato sperimentalmente. Nonostante il successo del modello di Bohr, non tutti i fisici inizialmente abbracciarono questa ipotesi. Lo stesso Rutherford commentт cosм, il 20 marzo del 1923, la lettera inviatagli da Bohr con la descrizione della sua teoria e dei suoi risultati: "Le Sue idee sull’origine dello spettro dell’idrogeno sono molto ingegnose e sembrano funzionare bene; ma la mescolanza delle idee di Planck con la vecchia meccanica consente molto difficilmente di formarsi un’idea fisica della base del discorso. Mi sembra ci sia una grave difficoltа nelle sue ipotesi, che non penso affatto Le sia sfuggita: come fa un elettrone a decidere con quale frequenza deve vibrare quando passa da uno stato stazionario all’altro? Sembra che debba supporre che l’elettrone sappia in partenza dove andrа a finire." (a questo dubbio risponderа, in seguito, la meccanica quantistica...) La strada giusta era stata trovata. Il modello di Bohr, per quanto spiegasse bene la maggior parte dei risultati, lasciava ancora problemi irrisolti. In seguito Arnold Sommerfeld riuscм ad ampliare questo modello, generalizzando ed aumentando le condizioni di quantizzazione imposte da Bohr. Grazie a queste e ad altre nuove idee i risultati delle misure sperimentali erano sempre piщ facilmente spiegabili. Anche la comprensione della struttura del nucleo subм in quegli anni un forte sviluppo fino ad arrivare, nel 1932, alla scoperta del neutrone da parte di J.Chadwick. Era l’ultimo tassello per capire da cosa fosse costituito l’atomo. Oggi sappiamo che gli atomi sono composti da un nucleo molto piccolo (raggio m) composto da neutroni e protoni, che costituisce la parte piщ massiva, circondato da una nuvola di elettroni che gli gira intorno fino ad una distanza di circa 10-10 m. Neutroni e protoni sono tenuti insieme, vincendo la repulsione elettrica tra le cariche positive, grazie alle interazioni forti, mentre gli elettroni rimangono legati all’atomo a causa dell’interazione elettromagnetica. Esistono in natura circa un centinaio di tipi di atomi e ne vengono creati di nuovi nei moderni laboratori di fisica Ogni specie и caratterizzata da un diverso numero di protoni (essendo l’atomo neutro, questo ha tanti protoni quanti elettroni). Ogni atomo ha un nome che lo caratterizza ed un simbolo, introdotti quando non si conosceva la struttura atomica e si distinguevano le diverse specie di atomi sulla base delle loro proprietа chimiche e fisiche, ma utilizzati ancora oggi per comoditа. Alcuni di questi sono: Idrogeno (H), Ossigeno (O), Carbonio (C), Oro (Au) e cosм via. Il simbolo atomico и spesso affiancato da due numeri, il numero atomico Z (numero di cariche elettriche negative ed utilizzato per la classificazione di Mendeleev) ed il numero di massa A (numero di neutroni e protoni), cosм posizionati: Ogni specie atomica ha un valore Z diverso dagli altri; questo non vale per il numero di massa. Infatti il numero di neutroni all’interno del nucleo non и lo stesso per tutti gli atomi di una specie; le diverse sottospecie legate al diverso valore del numero di neutroni sono detti isotopi. Gli isotopi possono essere stabili o decadere, con tempi piщ o meno lunghi, in nuovi atomi fino ad arrivare ad una configurazione stabile ("decadimento radioattivo dei nuclei atomici"). Alcuni anni piщ tardi, rispetto allo sviluppo del modello di Bohr-Sommerfeld (o modello semiclassico), Schrтdinger ed Heisenberg risolsero, secondo la teoria della meccanica quantistica, il problema dell’atomo d’idrogeno, ritrovando le condizioni di quantizzazione che Bohr e Sommerfeld avevano inserito a naso. La meccanica quantistica, a differenza di quella classica, и una teoria probabilistica, quindi non dice che gli elettroni vivono su orbite fisse, ma fornisce la probabilitа di trovarli ad una certa distanza dal nucleo. Il valore piщ probabile, per ogni orbita, coincide con quello trovato con il modello semiclassico.


L'atomo

E' affascinante ripercorrere, anche se brevemente, i momenti piщ importanti degli studi che hanno portato alla descrizione dell’atomo, per spiegare come l’intuizione di alcune menti particolarmente brillanti sia stata un faro per raggiungere con ingegno, pazienza e dedizione porti altrimenti lontanissimi. Il concetto di atomo (dal greco "atomтs", "indivisibile") come costituente della materia trae le sue origini dalla filosofia greca e, con alterne fortune (spesso piщ di origine filosofica che strettamente scientifica) ha navigato attraverso i millenni. Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo gli studiosi si convinsero che la natura era discontinua e formata di atomi e molecole. Nessuno aveva idea, perт, dell’esistenza delle particelle costituenti. Nel XIX secolo, poi, furono eseguiti numerosi esperimenti per determinare molte proprietа della materia. Ma spesso fu possibile ricavare solo leggi empiriche di cui non era possibile dare una giustificazione. I piщ importanti esperimenti che fornirono dati apparentemente inspiegabili furono quelli di tipo spettroscopico: inviando della luce su di un gas di idrogeno, questo fornм un risultato inaspettato. Osservando la radiazione riemessa dal gas, si notт che era composta da una serie di righe (spettro discontinuo) di frequenza diversa, mentre quella incidente aveva uno spettro piatto (tutte le frequenze in un certo intervallo). Era come se il gas distinguesse tra una frequenza ed un’altra immediatamente vicina tra tutte quelle che gli venivano inviate. Questa libertа di scelta dell’atomo sembrava inspiegabile. Il primo passo sulla strada per la veritа avvenne quando, nel 1897, J.J.Thomson, a conclusione di una serie di esperimenti, capм di aver scoperto una particella: l’elettrone. Capм inoltre che il numero atomico Z и il numero di elettroni atomici. Su queste basi realizzт il primo modello atomico, secondo il quale l’atomo и una sfera di raggio circa 10-10m che racchiude sia gli elettroni che una carica positiva diffusa all’interno della sfera in maniera omogenea (l’atomo nel suo insieme и neutro). La posizione degli elettroni nell’atomo и definita dalla repulsione coulombiana.
Questo modello, sebbene spiegasse molti effetti osservati, lasciava ancora molti dubbi: ad esempio non spiegava i risultati delle misure spettroscopiche prima descritte. Nonostante alcuni insuccessi, la maggior parte dei fisici di allora era comunque convinta che questa fosse la strada giusta.
Pochi anni piщ tardi, per cercare di dare una risposta ai molti dubbi che ancora rimanevano, E.Rutherford consigliт a due suoi ricercatori, H.Geiger e E.Marsden, di bombardare un sottilissimo foglio d’oro con particelle o (oggi sappiamo composte da due neutroni e due protoni, Rutherford sapeva solo che erano nuclei doppiamente carichi di atomi di elio e molto pesanti).
Supponendo valido il modello di Thomson, Rutherford concluse che le particelle avrebbero dovuto attraversare il foglio subendo deflessioni molto piccole dal moto rettilineo (quindi variazioni di velocitа a causa dell’applicazione di una forza deflettente), poichи il valore del campo elettrico all’interno dell’atomo (all’esterno della sfera non c’и campo elettrico perchй l’atomo и neutro, quindi la particella non puт subire una forza deflettente) и sempre molto limitato.
Dalle misurazioni della deflessione delle particelle, Rutherford era convinto che sarebbe stato possibile eseguire misure precise sulla struttura dell’atomo di Thomson.

I risultati di quest’esperimento, perт, furono sconvolgenti: le particelle vennero deviate piщ di quanto si aspettasse, ed alcune di esse invertirono addirittura il loro moto. Rutherford commentando questi dati scrisse: "Fu l’evento piщ incredibile che mi fosse mai capitato nella vita. Altrettanto incredibile che se vi fosse capitato di sparare un proiettile da quindici pollici su un pezzo di carta velina e questo fosse tornato indietro a colpirvi." Rutherford cercт quindi di capire che cosa avesse potuto dare origine a risultati di questo tipo ed arrivт a concludere che l’atomo и composto da un nucleo carico positivamente, di raggio m, intorno al quale sono distribuiti gli elettroni fino ad una distanza di circa 10-10 m. Le ragioni che portarono a queste conclusioni sono le seguenti: se una particella passa attraverso la materia esternamente alla corteccia degli elettroni, non sente alcun campo elettrico e quindi non viene deviata; se invece entra all’interno della nuvola atomica, incontra un campo tanto piщ intenso quanto piщ и vicina al nucleo e quindi tanto piщ viene deviata. Nel caso di urto frontale con un nucleo, il proiettile puт addirittura invertire il suo moto. Questo modello, che prese il nome dal suo ideatore, non spiegava perт ancora molti dei risultati sperimentali osservati e neanche di che cosa fosse fatto il nucleo. Risultava poi evidente che la materia и vuota poichй tra il nucleo e la fine della corteccia atomica sono presenti solo poche (al massimo un centinaio) particelle praticamente puntiformi. La soluzione del problema sembrava, perт, piщ vicina, anche se molti fisici erano scettici su questo nuovo modello che lasciava ancora molti fenomeni inspiegati. Ad illuminare il cammino verso la comprensione della reale struttura dell’atomo arrivт, nel 1913, un giovane fisico danese: Niels Bohr. Questi, di ritorno da un viaggio presso il laboratorio di Rutherford (che lo aveva definito "uno dei giovani piщ intelligenti che io abbia mai incontrato") propose una spiegazione del comportamento degli elettroni atomici. Il principale problema del modello di Rutherford и legato agli elettroni che lo compongono. Sappiamo infatti che essi, stando vicino al nucleo, risentono dell’attrazione Coulombiana; non potrebbero rimanere fermi, in quanto questa forza di richiamo li accelererebbe fino a farli collassare sul nucleo, cosa impossibile essendo la materia stabile. D’altronde l’elettrone non puт neanche muoversi. Infatti una legge sul moto delle particelle cariche afferma che, se una particella carica devia dal moto rettilineo (e quindi subisce un’accelerazione, come una macchina in curva), emette onde elettromagnetiche perdendo parte della sua energia cinetica. Se l’elettrone si muovesse liberamente nell’atomo perderebbe tutta la sua energia in pochi miliardesimi di secondo e collasserebbe sul nucleo. Per ovviare al problema apparentemente insormontabile della presenza degli elettroni intorno al nucleo, Bohr applicт ad alcuni concetti appresi presso il laboratorio di Rutherford le idee della quantizzazione introdotte da Planck ed ampliate da Einstein. Egli immaginт che il moto dell’elettrone intorno al nucleo fosse simile a quello della luna intorno alla terra (moto planetario), sostituendo l'interazione gravitazionale con quella elettromagnetica. Per superare il problema dell’emissione di radiazione elettromagnetica da parte degli elettroni, suppose che esistessero delle orbite stabili sulle quali l’elettrone potesse rimanere senza perdere energia. Secondo quest’idea le orbite dell’elettrone venivano, quindi, quantizzate. Per definire quali orbite fossero permesse, Bohr pensт che, compiendo l’elettrone orbite circolari, il suo momento angolare non doveva cambiare e suppose che questo fosse una buon candidato per essere quantizzato. Dallo sviluppo di questo modello Bohr dedusse che gli elettroni atomici sono distribuiti a strati, nel senso che coprono orbite intorno al nucleo a diverse distanze (come i pianeti intorno al sole), fissate dalla condizione di quantizzazione. Affinchи questo modello potesse essere presentato come una corretta spiegazione della distribuzione degli elettroni nell’atomo, era necessario che potesse giustificare alcuni risultati sperimentali. Una importante vittoria fu quella di fornire una giustificazione per le misure spettroscopiche ottenute e non ancora spiegate. Secondo quanto si era venuto a delineare in quegli anni, la luce incidente sul gas и composta da tutte le frequenze comprese all’interno di un certo intervallo, quindi di fotoni di diversa energia (a seconda della frequenza). Bohr suppose che tutti i fotoni attraversano gli atomi del gas senza interagire tranne quelli con un’energia tale da portare gli elettroni da un’orbita permessa ad un’altra piщ lontana dal nucleo. Secondo questo modello, quando un fotone viene assorbito dall’atomo, l’elettrone si allontana dal nucleo; pochi miliardesimi di secondi dopo, l’elettrone ritorna nell’orbita iniziale riemettendo energia sotto forma di fotoni. Solo i fotoni (e quindi le frequenze della luce) tali da fornire un energia all’elettrone per eseguire la transizione tra due livelli atomici, vengono assorbiti, e ciт vale anche nel caso dell’emissione di fotoni durante la diseccitazione atomica (che и un processo di decadimento, denominato decadimento d). Bohr calcolт quali frequenze sarebbero dovute essere riemesse dall’atomo durante il processo di diseccitazione. I risultati furono in ottimo accordo con quanto misurato sperimentalmente. Nonostante il successo del modello di Bohr, non tutti i fisici inizialmente abbracciarono questa ipotesi. Lo stesso Rutherford commentт cosм, il 20 marzo del 1923, la lettera inviatagli da Bohr con la descrizione della sua teoria e dei suoi risultati: "Le Sue idee sull’origine dello spettro dell’idrogeno sono molto ingegnose e sembrano funzionare bene; ma la mescolanza delle idee di Planck con la vecchia meccanica consente molto difficilmente di formarsi un’idea fisica della base del discorso. Mi sembra ci sia una grave difficoltа nelle sue ipotesi, che non penso affatto Le sia sfuggita: come fa un elettrone a decidere con quale frequenza deve vibrare quando passa da uno stato stazionario all’altro? Sembra che debba supporre che l’elettrone sappia in partenza dove andrа a finire." (a questo dubbio risponderа, in seguito, la meccanica quantistica...) La strada giusta era stata trovata. Il modello di Bohr, per quanto spiegasse bene la maggior parte dei risultati, lasciava ancora problemi irrisolti. In seguito Arnold Sommerfeld riuscм ad ampliare questo modello, generalizzando ed aumentando le condizioni di quantizzazione imposte da Bohr. Grazie a queste e ad altre nuove idee i risultati delle misure sperimentali erano sempre piщ facilmente spiegabili. Anche la comprensione della struttura del nucleo subм in quegli anni un forte sviluppo fino ad arrivare, nel 1932, alla scoperta del neutrone da parte di J.Chadwick. Era l’ultimo tassello per capire da cosa fosse costituito l’atomo. Oggi sappiamo che gli atomi sono composti da un nucleo molto piccolo (raggio m) composto da neutroni e protoni, che costituisce la parte piщ massiva, circondato da una nuvola di elettroni che gli gira intorno fino ad una distanza di circa 10-10 m. Neutroni e protoni sono tenuti insieme, vincendo la repulsione elettrica tra le cariche positive, grazie alle interazioni forti, mentre gli elettroni rimangono legati all’atomo a causa dell’interazione elettromagnetica. Esistono in natura circa un centinaio di tipi di atomi e ne vengono creati di nuovi nei moderni laboratori di fisica Ogni specie и caratterizzata da un diverso numero di protoni (essendo l’atomo neutro, questo ha tanti protoni quanti elettroni). Ogni atomo ha un nome che lo caratterizza ed un simbolo, introdotti quando non si conosceva la struttura atomica e si distinguevano le diverse specie di atomi sulla base delle loro proprietа chimiche e fisiche, ma utilizzati ancora oggi per comoditа. Alcuni di questi sono: Idrogeno (H), Ossigeno (O), Carbonio (C), Oro (Au) e cosм via. Il simbolo atomico и spesso affiancato da due numeri, il numero atomico Z (numero di cariche elettriche negative ed utilizzato per la classificazione di Mendeleev) ed il numero di massa A (numero di neutroni e protoni), cosм posizionati: Ogni specie atomica ha un valore Z diverso dagli altri; questo non vale per il numero di massa. Infatti il numero di neutroni all’interno del nucleo non и lo stesso per tutti gli atomi di una specie; le diverse sottospecie legate al diverso valore del numero di neutroni sono detti isotopi. Gli isotopi possono essere stabili o decadere, con tempi piщ o meno lunghi, in nuovi atomi fino ad arrivare ad una configurazione stabile ("decadimento radioattivo dei nuclei atomici"). Alcuni anni piщ tardi, rispetto allo sviluppo del modello di Bohr-Sommerfeld (o modello semiclassico), Schrтdinger ed Heisenberg risolsero, secondo la teoria della meccanica quantistica, il problema dell’atomo d’idrogeno, ritrovando le condizioni di quantizzazione che Bohr e Sommerfeld avevano inserito a naso. La meccanica quantistica, a differenza di quella classica, и una teoria probabilistica, quindi non dice che gli elettroni vivono su orbite fisse, ma fornisce la probabilitа di trovarli ad una certa distanza dal nucleo. Il valore piщ probabile, per ogni orbita, coincide con quello trovato con il modello semiclassico.
E' affascinante ripercorrere, anche se brevemente, i momenti piщ importanti degli studi che hanno portato alla descrizione dell’atomo, per spiegare come l’intuizione di alcune menti particolarmente brillanti sia stata un faro per raggiungere con ingegno, pazienza e dedizione porti altrimenti lontanissimi. Il concetto di atomo (dal greco "atomтs", "indivisibile") come costituente della materia trae le sue origini dalla filosofia greca e, con alterne fortune (spesso piщ di origine filosofica che strettamente scientifica) ha navigato attraverso i millenni. Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo gli studiosi si convinsero che la natura era discontinua e formata di atomi e molecole. Nessuno aveva idea, perт, dell’esistenza delle particelle costituenti. Nel XIX secolo, poi, furono eseguiti numerosi esperimenti per determinare molte proprietа della materia. Ma spesso fu possibile ricavare solo leggi empiriche di cui non era possibile dare una giustificazione. I piщ importanti esperimenti che fornirono dati apparentemente inspiegabili furono quelli di tipo spettroscopico: inviando della luce su di un gas di idrogeno, questo fornм un risultato inaspettato. Osservando la radiazione riemessa dal gas, si notт che era composta da una serie di righe (spettro discontinuo) di frequenza diversa, mentre quella incidente aveva uno spettro piatto (tutte le frequenze in un certo intervallo). Era come se il gas distinguesse tra una frequenza ed un’altra immediatamente vicina tra tutte quelle che gli venivano inviate. Questa libertа di scelta dell’atomo sembrava inspiegabile. Il primo passo sulla strada per la veritа avvenne quando, nel 1897, J.J.Thomson, a conclusione di una serie di esperimenti, capм di aver scoperto una particella: l’elettrone. Capм inoltre che il numero atomico Z и il numero di elettroni atomici. Su queste basi realizzт il primo modello atomico, secondo il quale l’atomo и una sfera di raggio circa 10-10m che racchiude sia gli elettroni che una carica positiva diffusa all’interno della sfera in maniera omogenea (l’atomo nel suo insieme и neutro). La posizione degli elettroni nell’atomo и definita dalla repulsione coulombiana.
Questo modello, sebbene spiegasse molti effetti osservati, lasciava ancora molti dubbi: ad esempio non spiegava i risultati delle misure spettroscopiche prima descritte. Nonostante alcuni insuccessi, la maggior parte dei fisici di allora era comunque convinta che questa fosse la strada giusta.
Pochi anni piщ tardi, per cercare di dare una risposta ai molti dubbi che ancora rimanevano, E.Rutherford consigliт a due suoi ricercatori, H.Geiger e E.Marsden, di bombardare un sottilissimo foglio d’oro con particelle o (oggi sappiamo composte da due neutroni e due protoni, Rutherford sapeva solo che erano nuclei doppiamente carichi di atomi di elio e molto pesanti).
Supponendo valido il modello di Thomson, Rutherford concluse che le particelle avrebbero dovuto attraversare il foglio subendo deflessioni molto piccole dal moto rettilineo (quindi variazioni di velocitа a causa dell’applicazione di una forza deflettente), poichи il valore del campo elettrico all’interno dell’atomo (all’esterno della sfera non c’и campo elettrico perchй l’atomo и neutro, quindi la particella non puт subire una forza deflettente) и sempre molto limitato.
Dalle misurazioni della deflessione delle particelle, Rutherford era convinto che sarebbe stato possibile eseguire misure precise sulla struttura dell’atomo di Thomson.

I risultati di quest’esperimento, perт, furono sconvolgenti: le particelle vennero deviate piщ di quanto si aspettasse, ed alcune di esse invertirono addirittura il loro moto. Rutherford commentando questi dati scrisse: "Fu l’evento piщ incredibile che mi fosse mai capitato nella vita. Altrettanto incredibile che se vi fosse capitato di sparare un proiettile da quindici pollici su un pezzo di carta velina e questo fosse tornato indietro a colpirvi." Rutherford cercт quindi di capire che cosa avesse potuto dare origine a risultati di questo tipo ed arrivт a concludere che l’atomo и composto da un nucleo carico positivamente, di raggio m, intorno al quale sono distribuiti gli elettroni fino ad una distanza di circa 10-10 m. Le ragioni che portarono a queste conclusioni sono le seguenti: se una particella passa attraverso la materia esternamente alla corteccia degli elettroni, non sente alcun campo elettrico e quindi non viene deviata; se invece entra all’interno della nuvola atomica, incontra un campo tanto piщ intenso quanto piщ и vicina al nucleo e quindi tanto piщ viene deviata. Nel caso di urto frontale con un nucleo, il proiettile puт addirittura invertire il suo moto. Questo modello, che prese il nome dal suo ideatore, non spiegava perт ancora molti dei risultati sperimentali osservati e neanche di che cosa fosse fatto il nucleo. Risultava poi evidente che la materia и vuota poichй tra il nucleo e la fine della corteccia atomica sono presenti solo poche (al massimo un centinaio) particelle praticamente puntiformi. La soluzione del problema sembrava, perт, piщ vicina, anche se molti fisici erano scettici su questo nuovo modello che lasciava ancora molti fenomeni inspiegati. Ad illuminare il cammino verso la comprensione della reale struttura dell’atomo arrivт, nel 1913, un giovane fisico danese: Niels Bohr. Questi, di ritorno da un viaggio presso il laboratorio di Rutherford (che lo aveva definito "uno dei giovani piщ intelligenti che io abbia mai incontrato") propose una spiegazione del comportamento degli elettroni atomici. Il principale problema del modello di Rutherford и legato agli elettroni che lo compongono. Sappiamo infatti che essi, stando vicino al nucleo, risentono dell’attrazione Coulombiana; non potrebbero rimanere fermi, in quanto questa forza di richiamo li accelererebbe fino a farli collassare sul nucleo, cosa impossibile essendo la materia stabile. D’altronde l’elettrone non puт neanche muoversi. Infatti una legge sul moto delle particelle cariche afferma che, se una particella carica devia dal moto rettilineo (e quindi subisce un’accelerazione, come una macchina in curva), emette onde elettromagnetiche perdendo parte della sua energia cinetica. Se l’elettrone si muovesse liberamente nell’atomo perderebbe tutta la sua energia in pochi miliardesimi di secondo e collasserebbe sul nucleo. Per ovviare al problema apparentemente insormontabile della presenza degli elettroni intorno al nucleo, Bohr applicт ad alcuni concetti appresi presso il laboratorio di Rutherford le idee della quantizzazione introdotte da Planck ed ampliate da Einstein. Egli immaginт che il moto dell’elettrone intorno al nucleo fosse simile a quello della luna intorno alla terra (moto planetario), sostituendo l'interazione gravitazionale con quella elettromagnetica. Per superare il problema dell’emissione di radiazione elettromagnetica da parte degli elettroni, suppose che esistessero delle orbite stabili sulle quali l’elettrone potesse rimanere senza perdere energia. Secondo quest’idea le orbite dell’elettrone venivano, quindi, quantizzate. Per definire quali orbite fossero permesse, Bohr pensт che, compiendo l’elettrone orbite circolari, il suo momento angolare non doveva cambiare e suppose che questo fosse una buon candidato per essere quantizzato. Dallo sviluppo di questo modello Bohr dedusse che gli elettroni atomici sono distribuiti a strati, nel senso che coprono orbite intorno al nucleo a diverse distanze (come i pianeti intorno al sole), fissate dalla condizione di quantizzazione. Affinchи questo modello potesse essere presentato come una corretta spiegazione della distribuzione degli elettroni nell’atomo, era necessario che potesse giustificare alcuni risultati sperimentali. Una importante vittoria fu quella di fornire una giustificazione per le misure spettroscopiche ottenute e non ancora spiegate. Secondo quanto si era venuto a delineare in quegli anni, la luce incidente sul gas и composta da tutte le frequenze comprese all’interno di un certo intervallo, quindi di fotoni di diversa energia (a seconda della frequenza). Bohr suppose che tutti i fotoni attraversano gli atomi del gas senza interagire tranne quelli con un’energia tale da portare gli elettroni da un’orbita permessa ad un’altra piщ lontana dal nucleo. Secondo questo modello, quando un fotone viene assorbito dall’atomo, l’elettrone si allontana dal nucleo; pochi miliardesimi di secondi dopo, l’elettrone ritorna nell’orbita iniziale riemettendo energia sotto forma di fotoni. Solo i fotoni (e quindi le frequenze della luce) tali da fornire un energia all’elettrone per eseguire la transizione tra due livelli atomici, vengono assorbiti, e ciт vale anche nel caso dell’emissione di fotoni durante la diseccitazione atomica (che и un processo di decadimento, denominato decadimento d). Bohr calcolт quali frequenze sarebbero dovute essere riemesse dall’atomo durante il processo di diseccitazione. I risultati furono in ottimo accordo con quanto misurato sperimentalmente. Nonostante il successo del modello di Bohr, non tutti i fisici inizialmente abbracciarono questa ipotesi. Lo stesso Rutherford commentт cosм, il 20 marzo del 1923, la lettera inviatagli da Bohr con la descrizione della sua teoria e dei suoi risultati: "Le Sue idee sull’origine dello spettro dell’idrogeno sono molto ingegnose e sembrano funzionare bene; ma la mescolanza delle idee di Planck con la vecchia meccanica consente molto difficilmente di formarsi un’idea fisica della base del discorso. Mi sembra ci sia una grave difficoltа nelle sue ipotesi, che non penso affatto Le sia sfuggita: come fa un elettrone a decidere con quale frequenza deve vibrare quando passa da uno stato stazionario all’altro? Sembra che debba supporre che l’elettrone sappia in partenza dove andrа a finire." (a questo dubbio risponderа, in seguito, la meccanica quantistica...) La strada giusta era stata trovata. Il modello di Bohr, per quanto spiegasse bene la maggior parte dei risultati, lasciava ancora problemi irrisolti. In seguito Arnold Sommerfeld riuscм ad ampliare questo modello, generalizzando ed aumentando le condizioni di quantizzazione imposte da Bohr. Grazie a queste e ad altre nuove idee i risultati delle misure sperimentali erano sempre piщ facilmente spiegabili. Anche la comprensione della struttura del nucleo subм in quegli anni un forte sviluppo fino ad arrivare, nel 1932, alla scoperta del neutrone da parte di J.Chadwick. Era l’ultimo tassello per capire da cosa fosse costituito l’atomo. Oggi sappiamo che gli atomi sono composti da un nucleo molto piccolo (raggio m) composto da neutroni e protoni, che costituisce la parte piщ massiva, circondato da una nuvola di elettroni che gli gira intorno fino ad una distanza di circa 10-10 m. Neutroni e protoni sono tenuti insieme, vincendo la repulsione elettrica tra le cariche positive, grazie alle interazioni forti, mentre gli elettroni rimangono legati all’atomo a causa dell’interazione elettromagnetica. Esistono in natura circa un centinaio di tipi di atomi e ne vengono creati di nuovi nei moderni laboratori di fisica Ogni specie и caratterizzata da un diverso numero di protoni (essendo l’atomo neutro, questo ha tanti protoni quanti elettroni). Ogni atomo ha un nome che lo caratterizza ed un simbolo, introdotti quando non si conosceva la struttura atomica e si distinguevano le diverse specie di atomi sulla base delle loro proprietа chimiche e fisiche, ma utilizzati ancora oggi per comoditа. Alcuni di questi sono: Idrogeno (H), Ossigeno (O), Carbonio (C), Oro (Au) e cosм via. Il simbolo atomico и spesso affiancato da due numeri, il numero atomico Z (numero di cariche elettriche negative ed utilizzato per la classificazione di Mendeleev) ed il numero di massa A (numero di neutroni e protoni), cosм posizionati: Ogni specie atomica ha un valore Z diverso dagli altri; questo non vale per il numero di massa. Infatti il numero di neutroni all’interno del nucleo non и lo stesso per tutti gli atomi di una specie; le diverse sottospecie legate al diverso valore del numero di neutroni sono detti isotopi. Gli isotopi possono essere stabili o decadere, con tempi piщ o meno lunghi, in nuovi atomi fino ad arrivare ad una configurazione stabile ("decadimento radioattivo dei nuclei atomici"). Alcuni anni piщ tardi, rispetto allo sviluppo del modello di Bohr-Sommerfeld (o modello semiclassico), Schrтdinger ed Heisenberg risolsero, secondo la teoria della meccanica quantistica, il problema dell’atomo d’idrogeno, ritrovando le condizioni di quantizzazione che Bohr e Sommerfeld avevano inserito a naso. La meccanica quantistica, a differenza di quella classica, и una teoria probabilistica, quindi non dice che gli elettroni vivono su orbite fisse, ma fornisce la probabilitа di trovarli ad una certa distanza dal nucleo. Il valore piщ probabile, per ogni orbita, coincide con quello trovato con il modello semiclassico.

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