Nietzsche

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Testo

Nietzsche
La filologia
Da Schopenhauer
Wagner
La tragedia
L’immagine della classicità di impronta filologica, secondo la quale i greci crearono opere armoniose, misurate e serene perché anch’essi erano misurati e sereni, secondo N. è sbagliata: infatti fissa e irrigidisce l’antichità nel momento della sua decadenza, quando lo spirito greco ha ormai smarrito le “radici vitali” che ne contraddistinguevano le origini (di queste radici rimane traccia, secondo N., nella musica e nella religione popolare greca)
L’immagine di un mondo governato dal dolore, rispetto a cui l’esistenza umana, priva di un senso trascendente che sappia darne una spiegazione, è solo un istante. Alla nolontà di Schop. N. oppone una coraggiosa accettazione del dolore (come quella degli eroi della tragedia greca). La rinuncia ad ogni soluzione consolatoria, sia metafisica che religiosa, comporta l’accettazione dell’irrazionalità dell’esistenza e l’amore per le “cose problematiche e terribili” di cui è fatta la vita.
La vita è volontà, e la volontà è forza espansiva infinita. Di fronte alla crudeltà della vita bisogna essere più crudeli e occorre rispondere con “più vita”. Al tema della vita N. perviene grazie anche all’influenza della concezione musicale di Wagner: Wagner vede nella musica l’arte dell’interiorità per eccellenza. Essa è la lingua dell’inesprimibile e dell’immediato. Specchio della vita elementare dei sensi, la musica è nella sua essenza la forma d’arte più lontana dal concetto. Il concetto blocca la vita nella rappresentazione, la musica spezza i vincoli della ragione e restituisce all’uomo l’esistenza nella sua originaria dimensione creativa e produttiva. Solo nell’arte musicale e in una vita vissuta in modo artistico l’uomo può ricercare la possibilità del riscatto e della salvezza. L’adesione alla tesi di Wagner spinge il giovane N. a vedere nel musicista tedesco il modello di artista tragico destinato a rinnovare la cultura del secolo.
L’arte è in grado di spiegare l’essenza della vita. Interpretando tragicamente l’essenza del mondo, N. scopre nella tragedia, in quanto opera d’arte, la chiave che permette la comprensione dell’essere stesso.
La tragedia è la massima espressione culturale della civiltà ellenica perché in essa si incontrano le due grandi forze che animano lo spirito greco: l’apollineo e il dionisiaco. Lo sviluppo dell’arte greca è legato al dualismo di questi due elementi. La duplicità dell’istinto artistico greco si mostra attraverso le maschere di Apollo e Dioniso.
Apollo è il dio della luce e della chiarezza, della misura (apollineo -> tensione alla forma perfetta, che si realizza nella scultura e nell’architettura).
Dioniso è il dio dell’ebbrezza, del caotico e dello smisurato (dionisiaco -> energia istintuale, eccesso, furore, la sua forma espressiva è la musica che genera la passione).
Nella tragedia apollineo e dionisiaco si fondono in perfetta sintesi, perciò la tr. greca è la più alta espressione della cultura ellenica.
La nascita
della tragedia
apollineo e dionisiaco
Decadenza
Morte della
tragedia
La concezione tragica del mondo nell’opera di Wagner
N. sostiene una tesi sull’origine della tragedia tutta nel segno di Dioniso: la tragedia nasce dal coro dei seguaci mascherati del dio, l’eroe tragico è una maschera del dio, del quale ripete le sofferenze, nella morte dell’eroe è Dioniso stesso che muore, per poi rinascere.
La sensibilità greca, per N., avverte la tragicità della condizione umana, il suo essere momento di un ciclo di vita e di morte sul quale l’uomo non ha potere. Il gioco dialettico fra apollineo e dionisiaco esprime il sistema di forze e impulsi che agisce all’interno di ogni singolo uomo.
L’apollineo è l’illusione che rende sopportabile la vita racchiudendola in forme stabili e armoniche.
Il dionisiaco è l’esperienza del caos, il perdersi nel flusso ambiguo della vita: la vita qui erompe qual è, gioco crudele di nascita e morte. Il dionisiaco esprime il senso del dolore, ma anche quello della gioia, perché Dioniso è forza generatrice, vita che si afferma continuamente al di là della morte. Nel dionisiaco, l’uomo infrange le barriere poste dalla cultura e “dice di sì alla vita” (si libera dalle illusioni e si accorda con la natura = vitalità).
Nella tragedia lo spettatore NON vive una catarsi, ma si abbandona al flusso di dolore e gioia della vita che la tragedia fa vivere sulla scena.
N. interpreta come decadenza l’intera storia dell’occidente, a partire dalla vittoria dello spirito razionale- socratico sullo spirito musicale- dionisiaco della tragedia greca.
La tragedia muore secondo Nietzsche quando il pensiero greco con Socrate pretende di racchiudere in concetti l’esistenza. La tragedia muore suicida con Euripide, che porta lo spettatore in scena e trasforma l’azione drammatica in dibattito teorico, riproduce nell’arte la mediocrità del quotidiano abbandonando la religiosità del mito. La tragedia sopravvive nella sua “forma degenerata”, nella quale il mito tragico decade a narrazione realistica di vicende razionalmente concatenate. Si chiude, con Socrate, l’epoca di Dioniso e il dionisiaco viene espulso dalla cultura occidentale. All’uomo tragico si sostituisce l’uomo teoretico che con la ragione costruisce un mondo di apparenze per affermare il suo dominio sulla vita, sospinto da un bisogno di rassicurazione, dall’esigenza di rendere tollerante il disordine della vita.
Il tragico è la dimensione ineliminabile della vita. La concezione tragica resiste e sopravvive al tentativo del pensiero occidentale a partire da Socrate di costruire filosofie finalizzate ad occultare il tragico che è nelle cose, tramite la pretesa di imporre al mondo un ordine razionale. Il fallimento di questa pretesa, di cui N. scorge i sintomi nella cultura del suo tempo, può aprire la via al ritorno della tragedia: una possibilità che N. vede rappresentata nella musica di Wagner. Nell’arte, e specialmente nella musica, la tragicità trova espressione adeguata e viene trasformata in esperienza vitale (=riappropriazione gioia e dolore che la vita stessa esprime).

Il linguaggio
La verità
Il prospettivismo
Il soggetto
L’”artista wagneriano” e il “filosofo schopenau.”
La figura del genio
Il linguaggio è una convenzione, è un sistema di metafore, liberamente prodotto, che NON rappresenta la natura delle cose in modo universale e oggettivo.
Ciò che chiamiamo verità è solo un “gioco di dadi” concettuale, una delle infinite interpretazioni del mondo possibili, prodotte dall’intelletto umano. Essa è solo il provvisorio configurarsi di determinate opinioni e concezioni, risultato del prevalere a livello intellettuale e collettivo di determinati criteri, interessi, rapporti di forza.
L’uomo teoretico crede che i concetti siano l’essenza stessa delle cose, L’artista, creatore e forgiatore di immagini, non è guidato dai concetti ma dalle intuizioni.
Il prospettivismo afferma che non ci sono fatti, bensì solo interpretazioni. Non esistono verità e falsità, ma solo differenti prospettive sulla realtà.
Pertanto il conoscere è un conoscere prospettico, in cui tutte le verità prodotte si equivalgono, perché nessun criterio oggettivo può essere invocato per preferirne una ad un’altra. Conoscere significa sempre valutare, ossia organizzare la realtà secondo il prospettivismo dei valori attraverso i quali ciascun uomo esprime la singolarità della propria esistenza. Solo i valori stabiliscono “ciò che viene tenuto per vero”.
Il mondo è solo il risultato dei giochi prospettici che vi operano.
La vita stessa è gioco e scontro di forze e prospettive (quelle che N. maturo chiama le “volontà di potenza”).
Interno al gioco delle interpretazioni, il soggetto è semplicemente un posizione prospettica tra le altre, privo di quei caratteri di unità e stabilità che gli erano stati attribuiti dalla filosofia precedente.
Ogni rappresentazione del soggetto deriva da una suo conatus o appetitus verso l’oggetto; poiché però questo tendere si radica nella stessa biologia del soggetto, la rappresentazione non è necessariamente accompagnata dalla coscienza, che è un accidens, una concomitanza non necessaria.
L’artista wagneriano e il filosofo schopenaueriano sono per N. i protagonisti della rinascita della cultura tragica nel mondo attuale. Schopenhauer è la figura esemplare di maestro ed educatore, che ha perseguito un ideale di filosofia come denuncia del conformismo e come ricerca della libertà
Wagner incarna la figura del “redentore”, di colui che sa indicare all’uomo la via della sola verità possibile, quella che nasce dalle ceneri della catastrofe (come nell’”Anello del Nibelungo”).
Nelle “Considerazioni Inattuali” N. vagheggia un progetto di rinascita dell’umanità, che ha per protagonista la figura del genio, che è un devoto ricercatore della verità e che possiede l’”intuizione del tutto”. Egli si sforza
“Sull’utilità e il danno della storia nella vita” (1874)
Le tre forme della storiografia

di “conoscere tutto”, per un doloroso amore per il vero che lo costringe a sacrificare anche se stesso. Il genio, in quanto artista che inventa e produce cultura, è investito in una missione cosmica che determina il destino. Consacrato alla verità, cioè all’intuizione dell’essenza tragica della vita, è esso stesso la manifestazione del destino. Nella “divinizzazione” del genio e nell’elogio del “grande uomo” si può scorgere il primo abbozzo della concezione del superuomo.
In questa, che è la più importante delle “Considerazioni Inattuali”, N. prende di mira lo storicismo ottocentesco, affermando che l’Ottocento soffre di una “malattia storica”, i cui sintomi sono l’eccessivo legame con il passato e l’atrofizzazione di ogni elemento creativo e attivo.
L’eccesso di senso storico è il segno della decadenza: gli uomini si riducono a vivere solo nel passato, senza più stimoli a creare “nuova storia”, spettatori rassegnati del corso inarrestabile degli eventi, perché convinti che niente di nuovo possa mai accadere e che tutto sia già stato deciso: non ha più senso impegnarsi per il futuro, in quanto tutto è destinato a scomparire nel fluire inarrestabile delle cose. Costituito interamente dalla sua relazione con il passato, l’individuo cessa di essere protagonista del presente.
L’enorme sviluppo di conoscenze storiche che si è realizzato nel XIX secolo ha trasformato l’individuo in una “enciclopedia ambulante”, riempita di “epoche, costumi, arte, filosofia, religioni”. In questo modo gli uomini non “cavano niente” da se stessi, e perdono ogni contatto con la propria interiorità, abbracciando una cultura ormai solo riproduttiva.
Per N., bisogna invece vivere ed agire in modo “non storico”. La vita ha bisogno di “oblio”, l’uomo deve imparare l’arte “del dimenticare”, così da poter agire secondo quel certo grado di incoscienza, senza il quale non c’è felicità, ma solo paura.
Ciò non significa che la conoscenza del passato non abbia alcuna utilità per la vita, anzi! “ciò che non è storico e ciò che è storico sono ugualmente necessari per la salute di un individuo, di un popolo, di una civiltà” purchè la storia sia al servizio della vita e non si erga come “scienza pura”, avida solo di sapere.
Secondo N., ci sono tre modi fondamentali di porsi in un rapporto non dannoso con la storia:
• storiografia monumentale: atteggiamento di chi è attivo, ha aspirazioni, e si proietta nel futuro. CHI:Di essa si serve l’individuo che ha bisogno di grandi modelli e maestri che non può trovare nel presente. META:La sua meta è la felicità propria e dell’umanità intera, per la quale lo attende la ricompensa della gloria. A COSA SERVE: A quest’uomo la storia serve come mezzo contro la rassegnazione: dai grandi momenti della storia passata egli deduce che la
Dopo il 1878 “Umano,
troppo umano”
grandezza fu cmq una volta possibile e perciò sarà possibile anche un’altra volta.
RISCHIO: falsare il passato, mitizzarlo per renderlo degno di imitazione
• storiografia antiquaria: CHI: questa storiografia appartiene ad una specie umana conservatrice, che si assume la tutela della tradizione come compito. Vita è, per gli uomini di questo tipo, essenzialmente memoria e fedeltà. META: Guardando oltre la propria caduca esistenza individuale, essi ritrovano se stessi nella città e nella stirpe a cui appartengono. RISCHIO: servire la storia passata fino al punto di mummificare la vita stessa. La storiografia antiquaria degenera nel momento in cui inaridisce il presente e si mostra incapace di generare il nuovo.
• Storiografia critica: assume il presente come unità di misura per giudicare il passato. “E tuttavia – osserva N.- noi siamo sempre figli del nostro passato, anche nei nostri errori”; staccarsi dal passato è dunque sempre un processo pericoloso, anche per la vita stessa.
Soltanto se la vita sa porsi grandi compiti ha ancora senso guardare al passato. Solo chi esprime una potente volontà di futuro sa scoprire il futuro che vive nel passato stesso. Se il progetto per il futuro viene a crollare, allora tutto il sapere storico diventa un pericolo per la vita: l’uomo imparerà dalla storia solo la rassegnazione nell’illusoria pienezza di una vita già vissuta.
Con “Umano, troppo umano” N. si distacca dagli “eroi” della propria giovinezza (Wagner [a causa del Parsival, l’eroe pietoso e cristiano, simbolo per N. di debolezza] e Schopenhauer). All’arte si sostituisce la scienza come centro per il rinnovamento della cultura.
L’arte ora è illusione, che la critica scientifica deve smascherare.
L’artista, al contrario dello scienziato, esprime una “moralità debole” nei riguardi della conoscenza e della verità. Egli agisce sugli animi solo in forza di un richiamo alle emozioni, riferendosi artificialmente al mondo del passato, ossia ad un mondo che non è più il nostro.
La scienza è intesa come analisi critica, esercizio del dubbio, diffidenza metodica. (quindi N. per scienza non intende le scienze positive, cioè l’insieme delle scienze specialistiche del tempo che sono considerate “nemici della cultura”).
Dalla scienza non dobbiamo aspettarci una immagine del mondo più vera di quella offerta dall’arte, ma la scienza può aiutarci a rischiarare il mondo delle nostre rappresentazioni, nonostante tutti gli errori di cui la sua storia -come la storia degli uomini- è costellata.
La consapevolezza dell’ineliminabilità degli errori cui soggiace la scienza segna la distanza esistente fra N. e il positivismo.
Il metodo del buon filosofo
La filosofia settecentesca
La trascendenza
I grandi modelli culturali ottocenteschi
La morale
Freigeist: lo spirito libero
In analogia con quello dello scienziato, il metodo del buon filosofo è critico e storico.
Critico perché egli assume il sospetto a criterio di analisi anche delle verità più certe.
Storico perché egli non crede a “realtà eterne” e a “verità assolute”, ma concepisce l’uomo come risultato delle circostanze storiche.
Della fil. Settecentesca N.
apprezza l’elemento del disincanto e la riduzione delle forme di vita alla loro basi sensistiche, più di tutte al piacere
rifiuta l’enciclopedismo, perchè anticipa il sistema positivistico del suo tempo.
Cattiva filosofia è quella che “duplica” il mondo, immaginando idealisticamente una realtà in sé, dietro ai fenomeni. Tutto invece è apparenza, nulla, neanche la scienza, può condurci alla cosa in sé, che “è degna di un’ “omerica risata”. La credenza in una cosa in sé, al di là della realtà fenomenica, è un errore della ragione, che non può avere pretese di verità.
Le ipotesi metafisiche e quelle religiose sono frutto di un inganno, a cui l’uomo si appella per tollerare la propria caducità e debolezza.
La metafisica ha solamente un valore consolatorio.
Sono solo “raffinati imbrogli”, che testimoniano lo stato di malattia della cultura moderna:
• Il romanticismo: perché espressione di uno spirito pessimista, estetizzante e decadente
• L’idealismo: perché pretende assurdamente di realizzare una comprensione totalizzante e definitiva della realtà
• Il positivismo: perché ingenuo ottimismo che riduce la scienza a calcolo e sistema
N. condanna la morale in quanto assoggetta la vita a valori pretesi trascendenti, che hanno invece la loro radice nella vita stessa.
Occorre invece ricondurre la filosofia “alla stessa forma interrogativa di 2000 anni fa”, quando i filosofi greci delle origini (prima dell’avvento della metafisica) chiedendosi come può nascere una cosa dal suo contrario, cercavano gli elementi semplici delle cose.
La metafisica ha negato che le cose derivassero dal loro opposto e ha affermato che le idee e i valori del mondo avevano un’origine “superiore” (Dio/ misteriosa cosa in sé). In realtà, creando i valori morali, l’uomo ha voluto “ordinare” e così controllare la realtà.
È tuttavia possibile un’umanità libera dalle illusioni della morale. Protagonista di questo è lo SPIRITO LIBERO, il quale:
La felicità dello spirito libero
La morte di Dio
• non crede ciecamente alla ragione, ma diffida e pone interrogativi
• è un grande scettico: non ha soggezione né rispetto verso tutto ciò che gli “spiriti vincolati” accettano e venerano
• ha la gaiezza e l’audacia di chi non indietreggia davanti a nulla
• è alla caccia della verità, ma senza illusioni
Il suo è un mondo organizzato sul principio della “gaia scienza”, libero, dall’ignoranza e dalla paura.
La sua scienza è “gaia” perché non ha la solenne serietà del concetto.
La sua è l’etica del coraggio e della responsabilità, che appartiene agli uomini artefici del proprio destino (tipo C. Colombo) , che sanno dire addio al vecchio continente e farsi largo nel mare.
Spiriti liberi:
- Cristoforo Colombo
- I grandi retori dell’età sofistica
- Gli uomini forti dell’umanesimo e del rinascimento
- I “costruttori di storia” come Napoleone
I loro avversari:
- gli inventori delle grandi ipocrisie moralistiche (Socrate e Rousseau)
- gli uomini asserviti alle società massificate moderne (Bismark)
Attraverso la figura dello spirito libero, N. mette a fuoco uno dei temi chiave della sua filosofia: la grandezza dell’esistenza (= la vita dell’uomo ha valore per i grandi progetti che è capace di esprimere).
Sottratto al dominio della religione, della morale e della metafisica, lo spirito libero può intendere la vita come esperimento. Se l’uomo occidentale si è perduto, perché ha posto la sua vita al servizio della metafisica, della morale, di Dio, lo spirito libero conquista invece la propria esistenza, inventa con coraggio la propria condotta, gioca con il rischio e l’incertezza. Tuttavia lo spirito libero non smarrisce il “senso storico”. Al contrario, egli nella sua spiritualità esprime l’intera storia dell’umanità come la propria storia.
Avere la forza di portare con sé il passato, sentendosi erede delle vittorie e delle sconfitte, del dolore e della gioia dell’umanità è la “felicità” che l’uomo finora non ha mai conosciuto.
Nell’aforisma 125 della “Gaia Scienza” l’”uomo folle” annuncia la morte di Dio. Non c’è più alcun Dio che ci possa salvare, oltre gli uomini sta solo il nulla.
Dio muore perché il mondo moderno è investito da una crisi mortale, che ha sprofondato l’umanità nell’angoscia e nell’assurdo.
Proclamando la morte di Dio N. intende riassumere in una formula radicale che l’uomo è dominato dal nichilismo, ossia dal fatto che gli ideali e i valori su cui, grazie al cristianesimo, la civiltà europea ha costruito per secoli la propria regola di comportamento hanno rivelato il nulla che ne era il fondamento nascosto. Agli occhi dell’umanità che non crede più ai suoi fini
Il nichilismo
Così parlò Zarathustra
e ai suoi valori, anche il valore supremo (=dio) si svalorizza, si rivela come la più lunga menzogna.
Se Dio è morto non ha più senso parlare di morale, di bene e di male, di giusto e di ingiusto.
v. scheda pg. 186
I tre insegnamenti fondamentali che Z. intende donare agli uomini sono:
1. la dottrina del superuomo: il superuomo è la realizzazione estrema dello spirito libero.Sta al di là dell’uomo del presente, come quest’ultimo sta al di là della scimmia. N.B. La teoria del superuomo NON è una teoria evoluzionistica, a questo scopo il filosofo Gianni Vattimo ha proposto di tradurre Ubermensch con Oltreuomo. Il superuomo fa seguito all'evento fondamentale della civiltà moderna: la morte di Dio. Con questa espressione Nietzsche intende affermare che nell'età presente i valori trascendenti della morale, le illusioni metafisiche e le credenze religiose hanno ormai perduto la loro efficacia, producendo un vuoto. L'annientamento dei fondamenti morali e religiosi della civiltà occidentale è, secondo Nietzsche, all'origine del nichilismo. Consapevole del fatto che non è più possibile volgersi a valori trascendenti, il superuomo è colui che si caratterizza per la sua "fedeltà alla terra". Non essendoci più Dio, non esiste più un “mondo dietro il mondo” in cui trovare consolazione al pensiero della morte.Consapevole della perdita dell’aldilà, il superuomo si volge alla terra con quel fervore e quel senso di appartenenza che l’uomo riservava in precedenza al mondo divino. Non dunque il superuomo ma la terra al posto di Dio. Egli afferma la vita accettandone la sofferenza, il dolore e le contraddizioni che l'accompagnano con gioioso (dionisiaco) amore per l'esistenza; è un creatore di valori ed è per questo privo di valori fissi e immutabili (privo di morale), vivendo al di là del bene e del male. Il superuomo sa dire si sì alla vita, sapendo che non c’è nulla al di là di essa.
2. L’eterno ritorno dell’uguale:Il superuomo è soprattutto colui che vuole "l'eterno ritorno dell'uguale". Tale concetto, che rinvia a una concezione circolare del tempo risalente alla filosofia greca, in particolare alle dottrine di Eraclito e degli stoici, comporta nel pensiero di Nietzsche non tanto una visione cosmologica e fatalistica per cui ogni evento ritorna eternamente, quanto una nuova prospettiva di adesione alla vita:quella per cui il superuomo vive l'attimo presente in modo tale da desiderare di riviverlo sempre.
3. La volontà di potenza:Il superuomo si distingue inoltre perché accetta e dispiega la propria "volontà di potenza", anziché mascherarla come fa colui che è schiavo del risentimento morale. La volontà di potenza non va intesa semplicemente come volontà di dominio o di sopraffazione, ma come volontà che tende
Le critiche all’evoluzioni
smo, al cristia
nesimo, all’idealismo
La morale 2
Politica
continuamente a potenziarsi e accrescersi, in un rapporto dinamico nei confronti della vita. È la volontà che vuole se stessa. Soggetto della volontà di potenza è colui che ha la forza per affermare la propria prospettiva sul mondo. Per evocare il protagonista della volontà di potenza, N. ricorre all’immagine dell’artista creatore che costruisce e da forma alla materia. L’arte modello di volontà di potenza è l’arte tragica.
Critica all’evoluzionismo:
danneggiato, secondo N., da una concezione ingenua di progresso, di una fede del progresso, di cui sono responsabili la scienza e il cristianesimo:
§ sono spesso i più deboli, non i più forti, a prevalere nella lotta per
la vita.
§ nella società umana non si è formata un’elite che costituisca un progresso rispetto alla massa, anzi, l’umanità oggi sembra aver subito un processo di regressione se la si confronta con il rinascimento o con gli antichi greci.
Critica al cristianesimo: il cristianesimo, in quanto fondato sulla repressione degli istinti e sul senso di colpa tramite l’angoscia del peccato, è la più raffinata tecnica di annientamento della vita che la civiltà abbia mai saputo produrre. Il cristiano fa della propria debolezza una virtù, proiettando in un’illusoria vita oltre la morte il premio per le proprie sofferenze e frustrazioni.
Critica all’ idealismo: (specie quello hegeliano) che conduce erroneamente a concepire il progresso storico come lo sviluppo vittorioso dei valori considerati moralmente migliori. N. osserva invece che ciò che è forte e nobile deve spesso aprirsi un passaggio nelle maglie della storia.
La morale è il “sonno della vita”, in cui l’uomo vive senza alcuna coscienza di sé, prigioniero delle illusioni e dimentico della propria natura libera e creativa.
Il suo fondamento è il risentimento, che rappresenta lo stato d’animo proprio dell’uomo schiavo che non sa accettare la propria impotenza, che non ha la forza di affermarsi sulle sofferenze della vita. La morale è pura volontà di vendetta dei sofferenti contro i felici, vendetta che conduce alla negazione della volontà di potenza, cioè al rifiuto della vita stessa.
N. trova gli esempi della morale del risentimento nelle grandi religioni: buddismo, ebraismo, cristianesimo.
N. detesta l’ideologia egualitaria e democratica, che gli sembra l’ostacolo più periglioso per l’affermazione del superuomo.
Al socialismo rimprovera l’ottimismo, perché è proprio questo ottimismo che ispira le pretese “scientifiche” del socialismo e dà vita
La morale 3
agli ideali illusori della giustizia e della felicità di massa, considerata da N. una variante moderna della “morale del gregge”.
Si dichiara favorevole ad un’organizzazione sociale aristocratica, antistatalista e antinazionalistica, il cui compito sia quello di formare una nuova casta dominante educata agli ideali del superuomo.
L’aristocrazia a cui egli si riferisce NON è tuttavia né quella del sangue né quella del denaro. Né vi è traccia di nozioni razziste o antisemite.
Il disprezzo per la politica come professione lo conduce ad immaginare una “grande politica” i cui artefici sappiano farsi carico dell’avvenire dell’uomo e preparare il regno del superuomo. Ma N. non si spinge più in là del puro vagheggiamento di una elite di uomini che sappia farsi carico dell’educazione dionisiaca del pianeta.
La morale ha assoggettato la vita a valori che si vogliono trascendenti e assoluti, ma che hanno invece la loro origine nella vita stessa, essendo il prodotto di fattori e istinti umani; la metafisica, a partire dalle sue origini nel pensiero di Platone, ha opposto un mondo ideale, superiore, al mondo sensibile del divenire; il cristianesimo, poi, ha inteso negare quelli che sono i valori vitali dell'uomo, per sostituirvi ideali ascetici quali il disinteresse, il sacrificio di sé, la virtù come sottomissione a Dio. Tutti questi costrutti normativi, a detta di Nietzsche, rivelano alla loro base lo spirito di risentimento e la malafede, cioè l'atteggiamento tipico di chi riesce a trovare la vita accettabile soltanto se riesce a imputare agli altri la causa della propria infelicità, ovvero di chi vuole mascherare e razionalizzare la propria debolezza. Ai valori tradizionali, propri di una "morale schiava", caratterizzata dalla debolezza dell'individuo e dal risentimento, Nietzsche oppone una "trasvalutazione" di tutti i valori e l'avvento di una figura capace di affermare positivamente i valori legati alla vita: si tratta del "superuomo" (Übermensch), nato per andare "oltre" l'uomo del presente.

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