Mito e filosofia

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia

Voto:

2 (2)
Download:716
Data:02.07.2007
Numero di pagine:12
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
mito-filosofia_2.zip (Dimensione: 13.55 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_mito-e-filosofia.doc     45 Kb


Testo

1. MITO E FILOSOFIA
1. IL MITO: LA SPIEGAZIONE ANTROPOMORFICA DELLA REALTA’
La filosofia e la scienza non furono le prime forme di sapere presenti nell’antica Grecia. Prima del sorgere di queste ultime, tra VI e IV sec. A.C., anche nel mondo greco come in tutto il mondo arcaico (nelle antiche civiltà mesopotamiche, egizia, indiana, cinese, ecc.) troviamo il mito. La forma del pensiero mitico fu dominante nelle società antiche dall’inizio dell’era storica (3000 a.C.) fino al primo millennio a.C. ed anche oltre. I miti (dal greco mythos = narrazione, racconto) erano storie che avevano come contenuto gli dei, gli eroi e il cosmo intero di cui si raccontavano la vita, le imprese e l’origine. I miti venivano cantati dagli aedi (poeti cantori) presso le corti dei signori e dei sovrani per intrattenere il pubblico aristocratico presente. Tuttavia, il mito non aveva solo questa finalità di intrattenimento ma si proponeva anche di spiegare (seppure in una forma molto diversa da quella scientifica) l’intera realtà.
Che tipo di spiegazione è quella del mito? Il pensiero mitico non considera il mondo e la natura alla stregua di oggetti “esterni” all’uomo, dotati cioè di caratteristiche diverse rispetto a quelle umane. Al contrario, esso considera la natura come un altro soggetto, come un “tu”. In altri termini: anche gli animali, le piante, le pietre e gli oggetti celesti possiedono caratteristiche simili a quelle umane e si comportano in modo paragonabile all’uomo. Come gli esseri umani anche gli elementi naturali pensano, agiscono, provano sentimenti. Il pensiero mitico è dunque segnato dall’ antropomorfismo (dal greco: antropos = uomo, morfé = forma), termine che indica qualunque concezione del mondo che attribuisca a cose non umane forme e caratteristiche umane, sia fisiche (cioè, l’aspetto esteriore), sia psichiche (cioè, il modo di pensare e di comportarsi).
Per es., nella mitologia babilonese del IV millennio a.C. – una delle più antiche di cui ci è stata tramandata una versione scritta -, i due principali elementi della natura sono la Terra (Ninhursaga) e le Acque dolci (Enki). La comparsa della Vegetazione (Ninsar) viene spiegata dicendo che quest’ultima è figlia di Ninhursaga e di Enki. Come si vede, i fenomeni naturali vengono riferiti a esseri personali e divini (Ninhursaga, Enki), dotati di caratteristiche umane (sessualità, parto) e le vicende del cosmo naturale sono interpretate come risultato di vicende simili a quelle umane (matrimonio, nascita). Si tratta, dunque, non di una semplice “descrizione” della realtà (c’è la Terra, c’è l’Acqua, c’è la Vegetazione...) ma di un tentativo di spiegazione (la Vegetazione c’è perchè Terra e Acqua si sono unite) che ricorre a una concezione antropomorfica che spiega tutti i fenomeni naturali per somiglianza ai principali fenomeni umani.
2. IL MITO: LA VERITA’ COME RIVELAZIONE DIVINA
I poeti che si trasmettevano oralmente, di generazione in generazione, tali miti e che li cantavano nelle corti presumevano di parlare in nome della divinità stessa. Attraverso di loro era il divino che si manifestava agli uomini. Era un dio a ispirarli suggerendogli il canto ed era la divinità a fungere da garante della verità del loro racconto. Non a caso, solo raramente conosciamo l’identità degli autori dei miti: per lo più la personalità umana dell’autore rimane celata poichè è la divinità stessa che si ritiene che stia parlando attraverso le parole del poeta e quest’ultimo, pertanto, non ha molta importanza. La verità del mito era ritenuta dunque, dai poeti e dai loro uditori, una rivelazione divina. Come tale essa non andava compresa e discussa razionalmente ma doveva essere accolta, accettata e creduta.
Un es. di tutto ciò lo abbiamo nell’opera, del 700 a.C., Teogonia (=genesi degli dei), del poeta greco Esiodo. Pur essendo il poeta un semplice agricoltore (e non un membro della casta sacerdotale, assente in Grecia) egli si ritiene direttamente ispirato dalle divinità e interpellato dalle Muse:
Le Muse una volta insegnarono un bel canto a Esiodo, 22
Mentre pascolava le greggi sotto il divino Elicone (1); 23
Questo discorso, per primo, a me rivolsero le dee, 24
Le Muse d’Olimpo, figlie dell’egioco Zeus (2): 25
“O pastori dei campi, creature inferiori, 26
che non siete altro che ventre; 27
noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero, ma sappiamo anche, 28
se vogliamo, dire la verità” 29
Così dissero le figlie del grande Zeus, abili nel parlare, 30
E come scettro mi diedero un meraviglioso ramo d’alloro fiorito, 31
Dopo averlo staccato; e m’ispirarono il canto divino, 32
Affinché cantassi ciò che fu e ciò che sarà, 33
E mi ordinarono di cantare gli dei che vivono eternamente 34
(Esiodo, Teogonia, vv. 22-34)
(1)catena montuosa della Beozia ricca di foreste e di fonti. Luogo sacro al dio Apollo e alle Muse, che vi avevano un noto santuario
(2)Zeus è detto “egioco” dal nome del suo magico scudo infrangibile (ègida) che era coperto di pelle di capra (in greco aigis). Il termine ègida è quindi passato a significare “difesa”, “baluardo”.
Domande:
Le Muse si rivolgono a Esiodo in modo ambiguo: prima lo accomunano a tutti gli altri uomini nei confronti dei quali annunciano la propria superiore potenza, poi, insegnandogli il canto, lo consacrano poeta e lo separano dalla moltitudine: 1) rintraccia e distingui i versi relativi ai due momenti; 2) individua le caratteristiche di Esiodo allorché viene considerato un uomo come gli altri (quindi le caratteristiche degli uomini in quanto tali) e allorché viene eletto dalle Muse.
3. IL PASSAGGIO DAL MITO AL LOGOS E ALLA FILOSOFIA
Il passaggio dal mito al logos (=ragione, pensiero razionale) fu lento e travagliato e richiese secoli. In molti dei primi filosofi greci (soprattutto nei filosofi della Magna Grecia, le colonie greche della penisola italica), tracce della mentalità mitopoietica arcaica si conservano ancora, intrecciandosi con la più recente mentalità logica. Si tratta di un intreccio per noi, oggi, difficile da comprendere: un pensiero che risulta, per così dire, a metà strada tra mito e filosofia, tra rivelazione religiosa e indagine razionale. Vi sono numerosi esempi di questa situazione di transizione. Così, la scuola fondata da Pitagora (575-495 a.C.) a Crotone in Calabria nel 540 a.C. era caratterizzata da un severo percorso iniziatico, dall’indiscussa autorità del maestro, dalla segretezza della dottrina la cui divulgazione non autorizzata veniva punita con la morte. Nella personalità di Empedocle (484-424 a.C.) convergono i tratti dell’indagatore della natura, del mistico, del taumaturgo che opera miracoli e guarigioni prodigiose, del medico e del politico. In Eraclito (540-480 a.C.) troviamo lo scostante disprezzo per il volgo tipico del sapiente che si ritiene ispirato da dio. Infine, il Proemio del poema Intorno alla natura, del filosofo di Elea Parmenide (515-450 a.C.), racconta l’allontanarsi del filosofo dal mondo degli uomini comuni e la rivelazione della verità a lui solo concessa direttamente dalla dea Dike (Giustizia). Ma va sottolineato che in altre parti del poema, il discorso di Parmenide procede invece in forma del tutto razionale, con rigorose deduzioni logiche che sostengono il ragionamento. Questa ambivalenza fa di Parmenide un perfetto esempio del difficile passaggio dal mito al logos.
Esercizi:
Cfr. il Proemio di Parmenide nel libro di testo e rispondi alle seguenti domande:
1) Quante volte, con quali forme e con quali funzioni compare il “divino” nel testo?
2) Nel brano, prevalgono riferimenti ad una attiva ricerca razionale della sapienza o ad un passivo accoglimento della verità? Individua le espressioni relative.
3) Individua le eventuali analogie con i versi sopra citati di Esiodo.
2. NATURALISMO IONICO E FILOSOFIE DELLA MAGNA GRECIA
Al di là delle differenze delle singole dottrine, il naturalismo ionico presenta le seguenti caratteristiche:
• Si interroga sulla natura (physis) ossia sulla totalità di ciò che è, ricercandone l’origine (arché);
• L’arché viene individuata in uno degli elementi naturali che compongono tutte le cose (terra, acqua, aria, fuoco); tutte le filosofie ioniche sono moniste;
• L’elemento naturale prescelto viene individuato a seguito di un duplice processo gnoseologico: osservazione empirica della natura attraverso le sensazioni e ragionamento induttivo che universalizza l’esperienza compiuta:
• L’esperienza informa anche sulla legge che governa la formazione degli altri elementi e dell’intera realtà naturale a partire dall’elemento originario (rarefazione-condensazione, raffreddamento-riscaldamento, ecc.).
L’esperienza sensibile funge pertanto da base della ricerca dell’arché. Il pensiero razionale non rifiuta l’esperienza sensibile ma ne dipende e la rielabora.

I filosofi della Magna Grecia, invece, si distinguono dagli ionici perché ritengono che:
• La realtà non sia così come appare nell’esperienza sensibile immediata (quindi, l’esperienza è ingannevole)
• La realtà vera sia così come si rivela al solo pensiero razionale (quindi, la ragione si distingue dall’esperienza sensibile, la oltrepassa e coglie la verità)
• Il linguaggio umano, opportunamente sorvegliato, è in grado di dire la verità circa la realtà (distinguendosi dal discorso comune che è impreciso e fallace).
Nel caso di Eraclito questi tre punti sono chiaramente ribaditi dall’uso del termine logos che significa, contemporaneamente: 1) la legge che governa la realtà al di là delle apparenze (l’unità dei contrari che lega tutte le cose in un continuo divenire); 2) la ragione umana, capace di oltrepassare le apparenze sensibili; 3) il discorso veritiero, al quale Eraclito affida la sua dottrina filosofica. E’ per questo che Eraclito afferma che “non ascoltando me [cioè un punto di vista individuale] ma ascoltando il logos [ossia la ragione comune, identica in tutti gli uomini, capace di rimontare al di là dei differenti punti di vista e di cogliere la legge cosmica] è saggio convenire che tutto è uno [ossia, che tutta la realtà, al di là delle apparenze, è unitaria nel suo incessante divenire e non è scissa in aspetti immobili contrastanti]” (Frammento 1).
Eraclito, comunque, è un autore di transizione dal naturalismo alla nuova filosofia: in lui troviamo anche il tema ionico dell’arché (il fuoco) che attraverso la legge del raffreddamento-riscaldamento si trasforma in tutti gli altri elementi dando vita all’ intera natura.
Questi tre punti caratteristici li ritroviamo anche in Parmenide, nella cui filosofia viene formulata la prima ontologia: un discorso sull’essere in generale, ossia sulle caratteristiche generali che accomunano tutto ciò che è.
Anche secondo Parmenide, per cogliere la vera realtà, dobbiamo oltrepassare l’apparenza sensibile e affidarci al puro pensiero razionale. Ma cosa significa pensare e ragionare? Quali sono le vie (ossia, i modi e i metodi) che il pensiero può e deve percorrere per giungere alla verità?
Le vie possibili al pensiero sono due. La prima via è percorribile e porta alla verità. Essa è la via che dice (ciò) che è (= il pensiero che coglie il vero, che dice come stanno realmente le cose). La seconda via è impraticabile e porta all’errore. Essa è la via che dice (ciò) che non è (= il pensiero che dice come non stanno le cose, ossia che dice il falso). Essa è impercorribile nel senso che conduce all’errore. Essa non va dunque percorsa.
Ma quando è falso il pensiero razionale? Quando pensiamo correttamente e quando in maniera erronea? Poiché si sta parlando del pensiero razionale e si è detto che la sensibilità è ingannevole, risulterà impossibile affermare che il pensiero sia vero allorché viene confermato dall’esperienza. Occorre invece un criterio di verità tutto interno al pensiero, puramente logico e non empirico, capace di distinguere il vero dal falso. Tale criterio è il principio di contraddizione. Falso è quel pensiero in cui il predicato contraddice il soggetto (a è non-a) ; vero quel pensiero in cui il predicato è coerente con il soggetto e non lo contraddice. Allorché diciamo che un triangolo non è una figura triangolare dotata di tre angoli o, il che è lo stesso, allorché diciamo che un triangolo ha quattro angoli (a è non-a), noi pronunciamo senz’altro dei suoni ma non riusciamo davvero a pensare quel che stiamo dicendo: un triangolo quadrangolare è contraddittorio e pertanto impensabile.
Accanto a queste due vie puramente logico-razionali (contraddizione e non-contraddizione), Parmenide indica una terza via, quella della doxa o opinione sensibile. Questa terza via è quella che consiste nell’affidarsi all’esperienza sensibile presumendo di comprendere così la realtà. Ma l’esperienza sensibile si rivela contraddittoria. Allorché cerchiamo di esprimere in concetti e parole quel che l’esperienza ci mostra, cadiamo immediatamente in pensieri e discorsi contraddittori. Infatti, l’esperienza ci mostra una realtà composta di tante cose distinte e molteplici, in continuo divenire e trasformazione, che nascono e muoiono, ecc. Ma tutto ciò è contraddittorio e assurdo perché richiede di pensare come identici l’essere e il non essere, richiede, cioè, di pensare che l’essere è il non essere (a è non-a). Infatti, per es., analizziamo il caso della molteplicità. Se l’essere è molteplice (= se la realtà è composta di tanti individui diversi), ogni ente è, ma insieme non è l’altro ente. Ma dire che ogni ente, insieme, è e non è, risulta chiaramente contraddittorio. Ciò significa che l’autentica realtà, al di là di come, indubbiamente, ci appare nell’esperienza sensibile, deve considerarsi un’unità indistinta e non una molteplicità di entità individuali distinte. L’esperienza sensibile risulta pertanto inconcepibile e impensabile perché contraddittoria..
Che cosa significa “concretamente” tutto ciò? Alcuni storici della filosofia, ritengono che il vero essere di cui parla Parmenide sia la totalità del reale, ossia l’insieme di tutte le cose concrete, finalmente liberata dall’apparenza sensibile, puramente illusoria. Per altri, l’essere vero è dio, l’unica realtà di cui si possa davvero dire che è, in un senso autentico e pieno, dal momento che dio è e non nasce, non muore, non diviene, non si trasforma ma resta eternamente identico a sé e immutabile, fuori del tempo. Nel primo caso, Parmenide starebbe condannando l’esperienza sensibile alla stessa stregua di un miraggio o di una illusione ottica (dinanzi alla quale possiamo solo affidarci al pensiero che, comprendendone le origini e il meccanismo, la “mette tra parentesi”, le toglie valore anche se essa perdura. Si pensi all’esperienza dell’asfalto bagnato sotto il sole d’agosto o al cucchiaino che appare spezzato se immerso nell’acqua). Nel secondo caso, l’esperienza non sarebbe illusoria nel senso di ingannevole, ma ci mostrerebbe soltanto il livello inferiore della realtà – quello delle cose che nascono e muoiono, divengono e si trasformano continuamente e che, pertanto, non “sono” nello stesso senso pieno e autentico in cui si può dire che “è” dio).

GLI ELEATI: ZENONE E MELISSO
Zenone e Melisso proseguono la ricerca del maestro, sia pur con alcune differenze. Soprattutto Zenone è importante perché, al fine di difendere la dottrina eleatica, inventa la dialettica, cioè l’arte della confutazione. In particolare, elabora una strategia argomentativa che si chiamerà: dimostrazione per assurdo. Essa consiste nel 1) prendere le mosse dalla posizione che si intende confutare, 2) svolgerla mostrandone l’intrinseca contraddittorietà e quindi inaccettabilità, 3) concludere per la verità della posizione opposta. Questo procedimento sottintende il principio logico soprannominato tertium non datur che sostiene: di due posizioni contrarie una sola è vera e l’altra è falsa. Non si dà una terza possibilità logica. In tal modo Zenone dimostra la verità eleatica (l’essere è immobile) confutando la posizione opposta (esiste il movimento) esibendo la contraddittorietà che deriva dalla sua ammissione.Con Zenone l’esperienza sensibile è rigettata in quanto illusoria: i suoi paradossi sono ragionamenti la cui conclusione va contro (parà) l’opinione comune (doxa).
(N.B. il principio tertium non datur vale parlando di possibilità logiche contrarie e non semplicemente diverse! Esso afferma che non c’è una terza possibilità tra A e non-A, non tra A e B. Per esempio: tra le due possibilità per cui “oggi piove o non-piove” non c’è un terzo caso dal punto di vista logico. Se “nevica”, ciò rientra nella possibilità “non piove”)
FILOSOFIA PLURALISTE
Dinanzi al radicale rifiuto eleatico del mondo della sensibilità, sorgono filosofie che si impegnano a conciliare ragione ed esperienza. Sono le dottrine pluraliste di Anassagora, Empedocle e Democrito. Le loro caratteristiche essenziali sono:
• Fedeltà al principio eleatico secondo cui: “il vero essere non può derivare dal nulla” (pena il cadere in contraddizione)
• Il pensiero può e deve oltrepassare l’esperienza sensibile
• L’esperienza sensibile è incompleta ma non è del tutto illusoria: i tratti che essa mostra (molteplicità, divenire, nascita e morte delle cose) non sono irreali, benché vadano spiegati
• Il vero essere che il pensiero individua al di là dell’esperienza ha alcune caratteristiche dell’essere eleatico (eternità, immutabilità) e altri dell’arché naturalistico ionico (è un elemento naturale, in movimento, origine del divenire e della nascita e morte della physis)
• Le dottrine in questione sono tutte pluraliste: individuano una pluralità di principi eterni e ricercano il meccanismo che ne spiega l’unione che dà vita ai composti che nascono e muoiono
Anassagora individua una pluralità infinita di semi all’origine di tutte le cose (le cose si sviluppano dai semi e si distinguono per la prevalenza quantitativa di un tipo di semi o di un altro). Egli teorizza un nous – intelletto divino (però “materiale”) che dà origine all’universo mettendo i semi in movimento e distinguendoli gli uni dagli altri a partire da una sorta di “brodo primordiale” indistinto. Il nous dà vita ad un cosmo ordinato dove ogni cosa è se stessa e ha una sua precisa identità. Empedocle sostiene che all’origine delle cose vi sono quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) i quali si combinano tra di loro mossi dalle forze cosmiche e divine dell’amore-attrazione e dell’odio-repulsione. Democrito teorizza l’esistenza di infiniti atomi eterni diversi tra loro per caratteristiche quantitative (forma geometrica, grandezza o volume, posizione spaziale) e in movimento nel vuoto assoluto. Dalla loro unione casuale (non voluta o causata da nessuna divinità intelligente) si formano le cose che nascono e muoiono,pur essendo la loro materia eterna.
Per tutti questi autori il pensiero razionale oltrepassa l’esperienza sensibile raggiungendo la verità (i semi e il nous, i quattro elementi e le forze cosmiche, gli atomi e il loro movimento casuale); ma proprio la verità ultima giustifica l’esperienza (la diversità delle cose, il loro muoversi e divenire, nascere e morire). La conoscenza sensibile, incapace di dire cosa sono veramente le cose in se stesse è però utile sia come punto di partenza della ricerca sia perché ci dà informazioni su quel che le cose sono per noi, sulla loro utilità o meno per l’individuo (la conoscenza sensibile è opinione, dà solo un punto di vista, non la verità assoluta, raggiunta dal pensiero).
SOFISTICA
• Filosofia della crisi
• Due generazioni
• Dalla physis all’uomo
• Rifiuto dell’eleatismo e del naturalismo
• Critica razionale della tradizione religiosa e politica
RELIGIONE
GLI DEI ESISTONO? SE NO, CHE ORIGINE HA LA RELIGIONE?
1. AGNOSTICISMO (è impossibile decidere se gli dei esistono o no e come essi sono: Protagora)
2. ATEISMO (gli dei non esistono e loro credenza religiosa ha origini umane:
Prodico di Ceo: divinità e utilità naturale
Crizia: religione come instrumentum regni)
GNOSEOLOGIA
VERITA’ E LINGUAGGIO
IL PENSIERO COGLIE LA VERITA’? IL LINGUAGGIO DICE IL VERO?
1. ROTTURA IDENTITA’ ESSERE-PENSIERO-LINGUAGGIO
2. RELATIVISMO GNOSEOLOGICO (la conoscenza è opinione, doxa)
3. RETORICA ED ERISTICA (il linguaggio non esprime la verità ma edifica bei discorsi persuasivi)

POLITICA
LEGGE E NATURA
LE LEGGI SONO UMANE, NON DIVINE. VALGONO?
1. DIFESA LEGGI DELLA POLIS
Le leggi sono solo convenzioni ma vanno rispettate perché utili alla sopravvivenza (Protagora)
2. CRITICA LEGGI DELLA POLIS
la giustizia è solo la legge del più forte (Trasimaco, Crizia)
le leggi sono solo strumenti dei deboli per frenare i forti (Callicle)

Esempio