Il pensiero di Aristotele

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Testo

Aristotele:
LA VITA
Aristotele nasce a Stagira. Il padre Nicomaco era medico presso la corte macedone, dove Aristotele ricevette un'accurata istruzione. A 17 anni si trasferì ad Atene, dove prosegue gli studi presso l’Accademia di Platone. L’accademia all’epoca era luogo di incontro per gli intellettuali di tutta la Grecia e la riflessione di Aristotele può quindi confrontarsi con le più differenti tendenze filosofiche. Era già ammirato per la sua intelligenza e per il fatto che leggesse personalmente i libri. Fu costretto però a lasciare Atene già prima della morte di Platone, quando aveva 37 anni, ed era già un filosofo maturo.

LA CRITICA A PLATONE
Le principali differenze tra Aristotele e Platone:
Aristotele si formò alla scuola di Platone, e ha quindi modi di pensare simili al maestro, ma evidenzia tuttavia delle caratteristiche ben differenti.

1. Platone pensa che la realtà vera, sia qualcosa (le idee) che trascende la nostra esperienza; al contrario, per Aristotele, tutte le singole cose che ci circondano esistono effettivamente, e non sono immagini imperfette dell’idea. Egli appare quindi più vicino alle filosofie naturalistiche.

2. Per Aristotele è possibile uno studio della natura: gli enti sono realtà a tutti gli effetti e possono quindi divenire oggetto di una vera conoscenza. La constatazione che gli enti naturali nascono, mutano, muoiono, dà luogo alla ricerca di cause e principi capaci di rendere intelligibili tali processi di trasformazione. Platone davanti a ciò aveva rinunciato a conoscerli con verità.

3. Mentre per Platone prevale la considerazione dell’unitarietà del reale, la filosofia aristotelica evidenzia le differenze tra le cose: così, nel campo della natura, gli animali si distinguono dalle piante, i viventi dagli essere inanimati, gli enti sulla terra dagli astri, ma in particolare i corpi fisici dagli enti matematici.

4. Aristotele è attento a salvaguardare l’autonomia di ogni singola scienza per cui tutte le scienze si trovano sullo stesso piano. Platone afferma invece che tutte le scienze sono subordinate alla dialettica ed il sapere scientifico presenta un assetto rigidamente gerarchico.

5. Platone identifica la virtù con la conoscenza, Aristotele distingue la sfera della teoria da quella dell’agire: è diversa quindi l’impostazione dei rapporti tra sapere teorico e vita pratica.

Le difficoltà logiche della dottrina delle idee:
Aristotele fa una critica alla più importante dottrina del maestro Platone, quella delle idee. Egli afferma che se si ammette l’esistenza delle idee, allora è necessario ammettere idee anche nelle negazioni (come non uomo). Insiste inoltre sul fatto che le idee non offrono alcun vantaggio nella comprensione della realtà: Platone infatti ricercava nelle idee le cause delle cose e delle loro trasformazioni. A ciò Aristotele obbietta che se esse sono separate dagli enti sensibili, non servono a spiegarne il divenire e nemmeno possono essere considerate causa della loro esistenza. Platone esclude inoltre la possibilità di raggiungere una conoscenza rigorosa di ciò che è mutevole, come le cose sensibili; Aristotele nega che a questo fine sia utile ammettere l’esistenza delle idee la cui conoscenza non potrebbe garantirci alcun vero sapere sulle cose stesse.
Opere pubblicate ed opere di scuola:
Di Aristotele non possediamo tutte le opere: di alcune abbiamo solo notizia, di altre solo brevi frammenti, di altre ancora porzioni più vaste. I testi aristotelici possono essere divisi in due grandi gruppi:
1. Al primo gruppo appartengono le opere destinate alla pubblicazione, cioè alla lettura di fronte al pubblico; tra queste ricordiamo Sulla filosofia, Sull’immortalità dell’anima, Sulla retorica. Di queste opere ci è rimasto poco ed il loro contenuto è di difficile ricognizione.
2. Al secondo gruppo appartiene la maggior parte delle opere giunte fino a noi: vi fanno parte i testi di scuola, corrispondenti alla trascrizione delle lezioni che Aristotele teneva prima all’Accademia, successivamente al Liceo.

L’edizione di Andronico di Rodi:
Nella maggior parte dei testi aristotelici di scuola si era persa la traccia dopo la morte dei discepoli di Aristotele. Gli scritti sarebbero stati ritrovati in Asia minore, tre il secondo ed il primo secolo a.C. nella biblioteca di un collezionista di antichi testi, Apellicone. Tale biblioteca costituì parte del bottino che Silla portò a Roma dopo aver conquistato Atene. A Roma le opere furono pubblicate da Andronico di Rodi, un dotto greco, che le raccolse a seconda dell’argomento:
1. Scritti di logica: sono definiti Organon e contengono i procedimenti logico-linguistici;
2. Scritti di fisica;
3. Scritti della Metaphisica: con questo titolo si indica la collocazione di questi scritti dopo quelli di fisica (::::::::::::::::
4. Scritti di etica e politica;
5. Scritti sull’arte.
L’opera di Aristotele si presenta così come un sistema: Corpus aristotelicum.

TERMINI E PROPOSIZIONI
La dialettica come metodo per la confutazione:
La dialettica è vista da Aristotele come la tecnica che permette di sostenere vittoriosamente la discussione con un avversario, confutando la tesi da lui sostenuta e facendo in questo modo prevalere la propria opinione.

Le regole del discorso: termini e definizione:
Per prevalere in una discussione il buon dialettico deve in primo luogo conoscere il significato di singoli termini, che rappresentano gli elementi minimi di cui il discorso è costituito. Deve essere innanzitutto chiaro il significato di ciascun termine: alcuni termini hanno significato univoco, cioè con un solo senso, altri equivoci, cioè con molteplici significati (vano-aggettivo = inutile; vano-sostantivo = stanza). Conoscere il significato di un termine è importante perché la definizione ci dà l’essenza. Una definizione precisa è composta da due elementi:
1. Il genere: ossia l’indicazione dell’ambito cui il termine appartiene;
2. La differenza specifica: ossia le caratteristiche che distinguono ciò di cui si parla dal resto.

La logica: proposizioni e sillogismi:
Oltre al significato dei termini, il dialettico deve padroneggiare i criteri che regolano l’attribuzione di un predicato ad un soggetto, potendo così comporre una proposizione. Se infatti confutare una tesi equivale a dimostrare che essa comporta conseguenze contraddittorie, sarà di grande importanza padroneggiare i meccanismi logici attraverso i quali si giunge ad una conclusione. La teoria della proposizione e la teoria del sillogismo fanno parte della dialettica.
Ogni proposizione si presenta come un insieme di termini: “Socrate ride” è formato da “Socrate” e “ride”. In questo modo si attribuisce al soggetto una categoria, cioè ciò che si dice di un termine chiedendo cosa esso sia. Nel fare ciò si esprime un giudizio che può essere o vero o falso (è vero quando il soggetto in unione con il predicato corrisponde alla realtà, poiché Socrate sta ridendo, è falso invece nell’altro caso, se Socrate non sta ridendo).

Verità e falsità delle proposizioni categoriche:
La proposizione è quindi l’espressione verbale di un giudizio. La proposizione è vera quando in essa il giudizio che si formula congiunge ciò che nella realtà è congiunto, o viceversa; è falsa quando si congiunge ciò che nella realtà non è congiunto. Ci sono però anche giudizi né veri né falsi: “Socrate” ad esempio. Ma se “Socrate” è attribuito a chi si chiama così, allora sarà vero, altrimenti falso. Aristotele inoltre considera vari tipi di proposizioni:
Dichiarative o categoriche (dette da Aristotele apofantiche): hanno lo stesso soggetto e lo stesso predicato e possono essere distinte per qualità e quantità. Secondo la qualità esse possono essere affermative o negative. Sono affermative quando il giudizio espresso dalla proposizione congiunge il soggetto ed il predicato; sono negative quando li disgiunge.
Secondo la quantità, possono essere universali, singolari o particolari, a seconda della maggiore o minore generalità del soggetto. (prop. Univ. = genere; Sing.=nome del soggetto; Partic.=alcuni individui dell’insieme a cui si riferisce “qualche uomo”).

I quattro tipi di proposizione categorica:
La parte più consistente della teoria aristotelica si occupa della proposizione universali e particolari. Combinando la distinzione fra affermativo e negativo con quella tra universale e particolare, si ottengono 4 proposizioni fondamentali. Con parole come “tutti” e nessuno” le proposizioni saranno universali; con “qualche” particolari. Queste parole chiave sono dette quantificatori.

IL SILLOGISMO E LA SCIENZA
La dottrina del sillogismo:
La teoria delle proposizioni fa dunque da premessa e conduce alla teoria del sillogismo, che tratta dei collegamenti fra proposizioni. Il sillogismo è definito da Aristotele come un discorso, che ammette qualsiasi tipo di ragionamento, in cui, partendo da più premesse , si giunge ad una conclusione. Aristotele affonda dei ragionamenti nei quali la conclusione segue necessariamente da due premesse.
Per Aristotele il sapere è deduttivo, parte cioè dal generale per giungere al particolare (induttivo è l’opposto). Quindi se tutti gli uomini sono mortali e se Socrate è un uomo, allora Socrate è mortale.

Validità e verità di un sillogismo:
Il limite del ragionamento di Aristotele e l’accertamento che le premesse siano corrette. La verità o la falsità delle conclusioni, dipende dalla verità o falsità delle premesse.

La scienza come conoscenza delle cause:
Importante è un particolare tipo di sillogismo, quello scientifico. Per Aristotele conoscere scientificamente una cosa significa conoscere la causa per cui essa è in un determinato modo. Perché si abbia scienza, non è sufficiente sapere quali proprietà appartengono ad una cosa, ma è necessario conoscere perché tali proprietà le appartengono con assoluta necessità. Il sapere scientifico è quindi un sapere causale e necessario.

Il sillogismo scientifico e i principi delle scienze:
Per dare un sillogismo scientifico è necessario che le premesse da cui la dimostrazione muove siano vere. Inoltre tali premesse devono essere prime, cioè non devono essere ottenute a loro volta da altre dimostrazioni. Le proposizioni vere e prime da cui, nei vari ambiti del sapere, muove la dimostrazione, rappresentano i principi propri delle diverse scienze. Ogni scienza studia un campo quindi suo proprio, con un genere particolare di enti. I principi propri di ogni disciplina sono differenti da quelli che muovono le altre scienze.

Il principio di non contraddizione:
Accanto ai principi primi di ciascuna scienza, vi sono anche quelli comuni a più discipline: uno è il principio di non contraddizione, che regola il linguaggio ed il ragionamento, per cui se A è uguale a B, e B è uguale a C, necessariamente C sarà uguale ad A. Ricordiamo anche il principio d’identità, per cui ogni cosa è uguale a se stessa. Per noi sono dei principi ovvi, ma all’epoca non lo erano affatto.

Le scienze teoretiche e la pura conoscenza:
Aristotele suddivide la filosofia in tre grandi aree disciplinari, che si distinguono tra loro sia per lo scopo sia per il campo d’indagine. Innanzitutto abbiamo le scienze teoretiche: esse hanno come scopo il sapere per il sapere e ricercano una verità fine a se stessa. Esse comprendono la fisica, la matematica e la filosofia prima. La fisica studia gli enti naturali, che sono per Aristotele realtà a tutti gli effetti, ma sono sottoposti al divenire e quindi caratterizzati dal mutamento e dal movimento. La matematica invece studia enti, come numeri e figure geometriche, che sono immobili (non sottoposti al divenire), ma che non esistono in natura. Infine abbiamo la filosofia prima, che si occupa dell’essere in quanto tale (ontologia). La filosofia prima che comprende però anche un campo d’indagine particolare, il dio, l’essere è per eccellenza, è detta teologia.

Le scienze poetiche e pratiche: produzione e guida all’azione:
In secondo luogo abbiamo le scienze poetiche che si occupano delle attività produttive. Infine le scienze pratiche servono all’uomo per vivere meglio: sono l’etica e la politica, che si occupa della gestione dello stato.

L’ENTE E LA SOSTANZA
I molteplici significati di ente e le categorie:
Per Aristotele tutto ciò che ci circonda sono per Aristotele cose esistenti e quindi enti: persone, animali, piante, colori, odori, suoni, sapori… La svariata molteplicità degli enti viene classificata e spigata secondo dieci categorie: sostanza, qualità, quantità, relazione, dove, quando, giacere, avere, agire, partire. Inizialmente però Aristotele aveva considerato solo otto categorie, ma in seguito, secondo la tradizione filosofica, dieci. La categoria delle qualità indica tutte le qualità, come colori, odori, sapori. Quella della quantità include le determinazioni quantitative, come peso, larghezza, lunghezza. Quella di relazione implica il confronto tra enti.

La sostanza come sostrato e gli accidenti:
La sostanza si divide inoltre fra sostanza prima, che indica gli individui e le cose concrete che percepiamo attraverso i sensi, e fra la sostanza secondaria che invece esprime l’essenza o la natura di queste realtà. La sostanza è la prima categoria, senza la quale le altre non hanno significato. Le sostanze rappresentano quindi il sostrato in cui si inseriscono le altre categorie, il sostegno che le regge. Ecco perché le altre categorie vengono definite accidenti. “Essere” è qualcosa di generale; dire che cosa esso sia significa indicare la sostanza.

SOSTANZA E MUTAMENTO
Le trasformazioni delle sostanze e le quattro cause
Arditotele si occupa dell’essere come qualcosa che cambia. Per ogni realtà dell’essere possiamo determinare le cause:
1. La materia o causa materiale indica ciò di cui è costituito l’essere;
2. La forma o causa formale indica per l’appunto l’insieme delle caratteristiche sia morfologiche sia funzionali;
3. La causa efficiente, o motrice, è ciò che determina l’inizio del cambiamento, cioè chi ha fatto un qualche cosa: Un esempio può essere il padre nei confronti del figlio;
4. La causa finale che indica il motivo per cui avviene un mutamento.

Egli considera quindi l’essere nel suo cambiamento al contrario di Platone, per il quale le idee sono immutabili e nell’iperuranio. Egli considera quindi il mutamento: prima solo Eraclito se ne era occupato, ma non trattando l’essere assoluto.

Materia e forma, atto e potenza:
Ogni sostanza è pensabile quindi come unione di materia e forma e viene detto sinolo. Strettamente legata è la coppia di concetti potenza e atto.
o La potenza esprime la possibilità o potenzialità di qualcosa di trasformarsi in qualcosa d’altro.
o L’atto indica invece la condizione di qualcosa che abbia raggiunto il proprio fine, realizzando le proprie potenzialità. Inoltre questo qualcosa ormai perfettamente cresciuto è ormai in grado di svolgere le funzioni che gli sono proprie. Il seme ha quindi la possibilità (è la pianta in potenza) e la potenzialità di divenire pianta; la pianta adulta è invece il seme in atto, in quanto ha raggiunto la piena attuazione delle potenzialità del seme.
Il passaggio dalla possibilità all’attuazione è un movimento, cambiamento.

La priorità dell’atto rispetto alla potenza:
Per Aristotele è più importante l’atto, poiché è la piena realizzazione di quello che doveva accadere.
L’atto è primo rispetto alla conoscenza: non si può conoscere infatti la potenza, se non si conosce l’atto di cui essa è potenza.
L’atto è primo anche rispetto al tempo: l’individuo precede cronologicamente la generazione di un altro individuo. Tuttavia se si considera l’individuo singolo rispetto la tempo, la potenza antecede l’atto, poiché l’individuo è prima bambino e poi adulto.
Ci sono anche dei rapporti fra le nozioni di potenza ed atto e quelle di materia e forma.
o Materia e potenza: la materia può essere pensata come potenziale capacità di assumere una determinata forma.
o Atto e forma e causa finale: una determinata forma può infatti venir pensata come l’atto della potenzialità di una certa materia.
Tra queste due coppie di concetti esiste però un'importante differenza:
o Forma e materia: rende l’idea di una realtà prevalentemente statica;
o Atto e potenza: rende l’idea di una realtà prevalentemente in mutamento.

La forma come principio immanente della sostanza:
Abbiamo detto che sinolo è unione di materia e forma.Per Aristotele è più importante l’essenza, cioè la forma, poi la materia. Il sinolo rimane comunque sostanza di primo ordine accanto alla forma; in secondo luogo abbiamo invece la materia.

MOVIMENTO E COSMO
Mutamento e movimento:
Aristotele si interessa anche alla realtà: egli osserva quello che gli sta attorno e vede ciò che avviene. Il mutamento è quindi una forma di movimento: tutto nel mondo fisico è determinato da questi movimenti. Classifica anch’essi secondo la classificazione delle categorie:
1. Mutamenti secondo sostanza, cioè di generazione e corruzione, quindi nascere e perire;
2. Mutamenti secondo la quantità, cioè di accrescimento e di diminuzione;
3. Mutamenti secondo la qualità;
4. Mutamenti secondo la traslazione, cioè il movimento in senso proprio.

Movimenti, elementi e,luoghi naturali:
I movimenti naturali sono propri degli elementi naturali, cioè delle quattro componenti di cui è costituito il mondo secondo la tradizione: acqua, terra, fuoco, aria. Ogni elemento è dotato della tendenza di muoversi in direzione del proprio luogo naturale: la terra verso il basso. Il fuoco verso l’alto, l’acqua e l’aria verso collocazioni intermedie.

Il cosmo aristotelico: l’etere e le sfere celesti:
Il sistema cosmologico inventato da Aristotele durerà per tutto il Medioevo, fino alla rivoluzione di Copernico. Il cosmo ha dimensioni finite ed è costituito da una serie di sfere concentriche, il cui centro è la Terra. Si distingue di due zone principali:
1. Il mondo terrestre: comprende la terra e lo spazio immediatamente circostante: E’ caratterizzato dalla generazione e dalla corruzione, che dipendono dalla mescolanza e dalle trasformazioni dei quattro elementi;
2. Il mondo celeste: è il luogo naturale del quinto elemento, l’etere che è eterno, incorruttibile e dotato del moto perfetto, quindi circolare. Il movimento delle sfere celesti è la causa del moto degli astri. Oltre alla sfere che ruotano, vi è la sfera cosiddetta delle stelle fisse, ossidala volta celeste.

La concezione qualitativa dello spazio ed i movimenti violenti:
Lo spazio è quindi qualitativamente diverso a seconda degli elementi che dominano.
Sono detti violento tutti i movimenti prodotti artificialmente, che non assecondano la tendenza naturale dei corpi, anzi la contrastano. Per Aristotele affinché si verifichi un movimento violento occorrono due condizioni:
1. è necessario che vi sia una causa in atto (il motore) che produca il movimento;
2. è necessario che tale causa sia esterna all’ente che muta.

La necessità di un motore primo ed il moto degli astri:
In ogni movimento vi è un motore primo, il quale è anche immobile, cioè non partecipa al movimento di cui è causa. Aristotele spiega anche il movimento delle sfere celesti, per cui il movimento degli astri sarebbe causato da un motore immobile. Poiché però i movimenti degli astri sono eterni, è necessario ammettere che vi sia un primo motore immobile eterno.

Il motore primo immobile e la teologia aristotelica:
In seguito parlerà in modo più dettagliato riguardo tale motore immobile ed eterno. Riguardo al modo in cui tale motore dia inizio la movimento dirà che le sfere celeste sarebbero messe in movimento dall’aspirazione a conseguire la condizione di immobilità del primo motore e non potendo riuscirvi a pieno si sforzerebbe a riprodurla compiendo il moto che più si avvicina alla quiete, quindi quello circolare uniforme, che si svolge sempre identico a se stesso nello stesso luogo.
Aristotele definirà il primo motore come qualcosa di immateriale e come puro atto. E’ specificato come vita e viene a coincidere con il dio. Inoltre può essere concepito come pensiero di pensiero, poiché può pensare solo la perfezione, quindi solo se stesso.

IL VIVENTE E L’ANIMA
Le facoltà dell’anima:
Aristotele individua nell’anima il principio vitale di ogni organismo. Esclude quindi che l’anima possa esistere separata dal corpo d i cui essa è forma. Aristotele individua tre facoltà dell’anima:
Vegetativa o nutritiva: è tipica di ogni essere vivente che vive, nasce, muore. Essa ci permette di nutrirci;
Sensitiva: è caratteristica di coloro che provano delle sensazioni, quindi animali ed uomo;
Razionale: ce l’ha solo l’uomo e gli consente di pensare.
Aristotele afferma quindi che ogni uomo possiede tutte tre le anime, mentre per Platone c’era sempre una parte che prevaleva.

Conoscenza sensibile e razionale:
Arditotele supera il rigido dualismo di Platone tra conoscenza sensibile e razionale. Egli tende a ricomporre i due tipi di conoscenza in un processo unico e relativo ad oggetti appartenenti allo stesso piano del reale. Ciò che il senso percepisce dell’oggetto è la forma. L’oggetto sensibile si attua come tale solo quando viene percepito, altrimenti è sensibile solo in potenza. La sensazione è quindi il passaggio dalla potenza all’atto, ad esempio di vedere.. L’immaginazione si fonda sulla sensazione: esauritosi lo stimolo esercitato sul senso dall’oggetto della sensazione, la facoltà dell’immaginazione produce immagini prive dell’immediatezza delle sensazioni in atto, ma proprio per questo meno vincolate alle caratteristiche sensibili dei singoli oggetti.

La ragione e l’intuizione intellettuale:
Sulle immagini prodotte dall’immaginazione opera la ragione, che coglie la forma universale od essenza. Così sulla base di successive percezioni sensibili di uomini rielaborate dall’immaginazione e conservate dalla memoria. È possibile giungere (con un atto di intuizione intellettuale) a cogliere l’essenza dell’uomo. Aristotele articola la facoltà razionale in due parti: intelletto in potenza o potenziale ed intelletto produttivo od attivo. L’intelletto potenziale non è che la pura potenzialità di apprendere gli intelligibili: l’intelletto in potenza è quindi tutti gli intelligibili, con i quali viene ad identificarsi. Perché l’intelletto potenziale si attui nella conoscenza è indispensabile che vi sia un intelletto già in atto che lo muova a conoscere: è quindi l’intelletto produttivo od attivo.

BENE, FELICITA’ E VIRTU’
La Felicità come bene supremo:
Tutte le azioni degli uomini hanno come fine un bene. Per lo più un bene è ricercato in vista del conseguimento di altri; ma deve esserci un bene che venga desiderato per se stesso e per ottenere il quale vengono ricercati tutti gli altri beni. In definitiva secondo Aristotele il bene supremo, cui l’uomo può effettivamente aspirare è l’eudaimonia, cioè la felicità. Ottenere l’unione fra felicità e benessere: la felicità in quanto bene supremo non può coincidere con il piacere, che anche gli latri animali provano. Inadattabile anche l’ipotesi dell’identificazione della felicità con la ricchezza, poiché quest’ultima è solo un mezzo in vista di latro. La felicità non può nemmeno consistere nell’onore: gli onori dipendono dagli altri e non sono fini a se stessi, ma mezzi anch’essi. La felicità deve invece essere qualcosa di autosufficiente, cioè di desiderabile per se stesso. Per Aristotele tale è solo l’opera propria dell’uomo: ciò che distingue gli uomini dagli altri animali è la facoltà razionale. L’esercizio della ragione deve però avvenire a livello di eccellenza per arrecare felicità. La felicità consiste quindi nell’esercizio eccellente e virtuoso delle attività della ragione: la felicità coincide con la virtù.

La virtù e le facoltà dell’anima:
Abbiamo detto che le facoltà dell’anima sono tre: quella nutritiva non interessa dal punto di vista etico, non essendo in relazione con la ragione. A quella razionale spetta invece un ruolo direttivo nella realizzazione del comportamento virtuoso. Quanto a quella sensitiva, la sua capacità di provare desideri e passioni viene chiamata facoltà desiderativa, che corrisponde al carattere di una persona. Aristotele divide quindi le virtù dianoetiche, specifiche dell’anima razionale, da quelle etiche, proprie della facoltà desiderativa, in quanto si sottopone al governo della ragione.

La virtù etica come risultato di un lungo allenamento:
La virtù è quindi definita da Aristotele come una disposizione virtuosa, che si fonda sull’abitudine. La morale aristocratica tradizionale aveva considerato sempre la virtù come patrimonio degli aristocratici, mentre lo stagirita nega che essa sia un semplice dono di natura. E’ invece dell’idea che un carattere virtuoso si ottenga con molto esercizio e con la continua ripetizione si azioni virtuose. Il compito dell’educatore è quindi quello di indurre nel giovane tale propensione sempre più naturale ad agire secondo virtù.

L’importanza della volontà nel conseguimento del bene:
Per Aristotele non è sufficiente la conoscenza del bene per agire in modo virtuoso, ma si richiede anche il concorso della volontà. La virtù etica consiste quindi nella disposizione d’animo a volere fini buoni.

La ricerca del giusto mezzo e la giustizia:
La virtù etica è anche disposizione a volere sempre il giusto mezzo tra due vizi.
E’ attribuita notevole importanza alla giustizia, della quale Aristotele analizza i molteplici significati. Generalmente la giustizia si identifica con la virtù, in quanto ricerca dell’equilibrio. Inoltre il temine ha due significati differenti:
1. La giustizia distributiva, che vuole onori, ricchezze e beni vengano distribuiti in proporzione ai meriti;
2. La giustizia regolatrice, che interviene a ristabilire l’equità dei rapporti tra i singoli cittadini quando essa sia stata violata.

Le virtù dianoetiche: la saggezza e la sapienza:
Nelle virtù dianoetiche si manifesta l’eccellenza delle funzioni proprie dell’anima razionale. Di questa Aristotele distingue due facoltà:
o Quella scientifica, che si esercita nella conoscenza teorica di ciò che non dipende da noi e che non può essere altrimenti;
o Quella calcolativa che si applica a ciò che può essere altrimenti e che è in nostro potere.
Le virtù proprie della facoltà scientifica sono la scienza, l’intelligenza, ovvero la disposizione a conoscere i principi, la saggezza, ossia la disposizione che comprende le due precedenti.
Le virtù proprie della facoltà calcolativa sono invece l’arte e la saggezza, detta anche prudenza.

La sapienza e l’indagine teorica:
La saggezza si distingue dalla sapienza poiché la prima deriva dall’esperienza di vita, mentre l’altra da esperienza di studio. La saggezza è quindi alla portata di tutti i cittadini che, disponendo pienamente della ragione, si fanno guidare da essa. Per Aristotele il massimo saggio è rappresentato da Pericle. La sapienza è invece propria del filosofo che dedica la sua esistenza alla teoria ed alla conoscenza. Per Aristotele è questa la vita più degna che esista e portatrice della massima felicità, poiché corrisponde all’attività della ragione teoretica, l parte più simile dell’uomo al dio. Esponenti fra i più importanti dei sapienti sono Talete ed Anassagora, ma anche Socrate.

ETICA E POLITICA
I rapporti tra etica e politica:
La scienza a cui spetta il compito di determinare che cosa sia davvero la felicità, ed il modo per conseguirla, è secondo Aristotele la politica. Infatti le discipline come la retorica, l’economia e la strategia appaiono subordinate alla politica. L’etica di Aristotele appare più interessata a riconoscere le esigenze del singolo. Ma poiché bene del singolo e della città sono legate tra di loro, costituiscono l’oggetto di un'unica scienza la politica. Aristotele la considera secondo due differenti prospettive: una mira alla chiarificazione di che cosa sia la felicità e come può essere conseguita dal singolo; l’altra invece studia le diverse forme nelle quali si è sviluppata la società umana e di determinare le istituzione più adatte la conseguimento della felicità da parte di tutti i cittadini.

La polis e la naturale socialità dell’uomo:
In Aristotele prevale l’interessa più a descrivere le forme politiche che le città greche assumevano, piuttosto che descriverne di ideali. Le città infatti rappresentano il compimento che vede l’uomo aggregarsi in società via via più ampie (famigli- villggio-città). L’uomo infatti è “animale naturalmente politico” che per natura tende ad aggregarsi con altri individui. La vita la di fuori della società è tipica solo di essere o superiori (dei) o inferiori.

La classificazione aristotelica delle costituzioni:
Aristotele elabora un criterio qualitativo per giudicare un tipo di costituzione. Le costituzioni perfette per il filosofo sono la monarchia, l’aristocrazia e la politia, poiché realizzano il bene comune. Saranno costituzioni devianti invece quelle che non portano al bene comune, ma all’interesse privato: esse sono la tirannide (interesse del monarca), l’oligarchia (int. dei ricchi) e la democrazia (int dei poveri)

La costituzione perfetta: la politìa:
Tra le costituzioni perfette quella più idonea per il bene comune è la politia, nella quale si realizza un equilibrio tra ricchi e poveri. Può essere paragonata alla nostra attuale democrazia.

La famiglia e l’attività economica:
La grande importanza che Aristotele dà alla città, non sottovaluta l’importanza del singolo o della famiglia. In essa teorizza come conseguente alla natura, la subordinazione della donna la capofamiglia. Giustifica anche l’istituzione della schiavitù, affermando che padrone e schiavo sono tali per natura. Rileva inoltre che i beni economici possono essere rilevati in due modi: o con l’agricoltura o con la vendita per il profitto (inaccettabile comunque poiché non è una cosa naturale), quindi rispettivamente o dalla terra o dagli altri uomini.

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