Animali mitologici

Materie:Altro
Categoria:Filosofia

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Testo

Pegaso
Nella mitologia greca è il cavallo alato, figlio della gorgone Medusa e di Poseidone, venne alla luce dal collo troncato della madre uccisa da Perseo. Sulla sua groppa, questi ritornò in Grecia dal paese delle Gorgoni e liberò Andromeda. Bellerofonte, anch'egli figlio di Poseidone, cercò di impadronirsi di Pegaso, mentre il cavallo alato stava bevendo alla fonte Pirene sgorgata sotto il colpo del suo zoccolo; vi riuscì soltanto quando Atena gli donò un morso dorato. Da allora Pegaso fu il cavallo di Bellerofonte e lo accompagnò in tutte le sue avventure. Secondo una tradizione, quando Bellerofonte volle salire sull'Olimpo, Pegaso lo disarcionò. Molto probabilmente la figura di Pegaso si ricollega alle numerose tradizioni sul cavallo trasportatore nell'aldilà, con particolare riferimento a Poseidone che fu dio del cavallo per eccellenza. Il motivo delle acque infere (per cui Poseidone divenne ad un certo punto dio marino) affiora nella figura di Pegaso nel suo stesso nome che deriva da pegh che significa "sorgente", secondo altri invece l'origine del suo nome è da ricercare nel fatto che sarebbe nato alle sorgenti dell'Oceano. E' legato alle tempeste e "porta il tuono e il fulmine per conto del prudente Zeus", come dice Esiodo.
Cariddi
Mostro marino della mitologia greca. Nell'Odissea (XII, 101 e seg.) sii narra che essa abitava invisibile sotto uno scoglio dominato da un fico selvatico, di fronte allo scoglio di Scilla. Tre volte al giorno inghiottiva l'acqua del mare, e tre volte la risputava, costiituendo un terribile pericolo per i naviganti. Secondo una tradizione post-omerica essa era figlia di Ge e Poseidone (Eneide, III, 420), precipitata negli abissi del mare poichè colpevole di aver rubato i buoi di Eracle.
Cariddi, come Scilla, è una manifestazione della grande dea infera connessa agli abissi marini. Cariddi è stata localizzata, come Scilla, nello stretto di Messina, di cui costituisce la sponda sicialiana.
Cerbero
Mostro della mitologia greca, custode dell'aldilà. La tradizione classica lo presenta generalmente come un cane a più teste (tre, o cinquanta, o cento).
Esiodo (Teogonia, 311) presenta C. come un cane a tre teste, figlio di Tifone e di Echidna e fratello dell'Idra. Egli è di guardia alla foce infera dell'Acheronte, scodinzola per dare il benvenuto ai morti che giungono, ma non lascia tornare indietro nessuno.
L'undicesima fatica di Eracle consistette nel catturare il cane infero. Quando Eracle scese negli inferi, C. alla vista dell'eroe si andò a nascondere sotto il trono di Ade (Virgilio, Eneide, VI, 396). Quest'ultimo permise ad Eracle di impadronirsi di C. solo se fosse riuscito a catturarlo senza armi (Apollodoro, 2.5.12): Eracle strinse C. alla gola e potè incatenare il cane infero, il quale tentava inutilmente di morderlo con la coda-serpente. C. fu poi trascinato in catene da Eracle fuori dall'Ade, sulla via di Tirinto, atterrendo chi assistette al suo passaggio. Secondo una tradizione (Apollodoro, 11.5.12) Eracle stesso poi ricondusse C. nell'Ade; secondo un'altra versione il cane sfuggì ad Eracle presso la fonte tra Micene e l'Eraion di Argo, che da allora fu chiamata l'acqua che libera. Nell'Eneide (VI, 419) Enea riesce a penetrare nel Tartaro gettando a C. una focaccia che lo addormenta.

Chimera
Mostro della mitologia greca, secondo la tradizione abitava la Licia; era figlio di Tifone e di Echidna, era stato allevato da Amisodaro, re di Caria. Secondo la descrizione omerica (Iliade, VI, 181-182) aveva la testa di leone, il corpo di capra e la coda di dragone (o serpente), dalla sua gola uscivano fiamme. Bellerofonte, per ordine di Iobate, l'uccise con l'aiuto di Pegaso.
Echidna
Nella mitologia greca è figlia di Forco e di Ceto, secondo altri invece era figlia di Calliroe e Crisarae. Nacque in una grotta ed abitava nelle viscere della terra sottouna roccia ad Arima, si cibava di vermi ed altre creature simili. Il suo nome significa "serpente". Aveva un corpo che era per metà di una donna bellissima, e per l'altra di serpente. Sposa di Tifone, con il quale generò moltissime figure mostruose della mitologia greca, tra cui i cani Cerbero ed Orto. Con quest'ultimo generò inoltre la Sfinge ed il Leone di Nemea. Suoi figli erano anche la Chimera e l'Idra di Lerna. Venne uccisa nel sonno da Argo.
Gorgoni
Nella Teogonia, Esiodo menziona fra le divinità piu antiche, subito dopo le Grazie, tre Gorgoni sorelle, figlie di Forco e Ceto. Secondo la versione più diffusa le Gorgoni si chiamavano: Steno o Stenno (la forte), Euriale (colei che è del vasto mare) e Medusa (la sovrana). La loro dimora si trovava aldilà dell'Oceano, verso la Notte, presso il Giardino delle Esperidi. Esse avevano la testa circondata da serpenti infuriati, zanne di cinghiale sporgenti dalle labbra, le mani di bronzo e le ali d'oro.
Idra di Lerna
Animale mostruoso della mitologia greca, il cui nome significa "serpente d'acqua". Era figlio di Echidna e viveva nelle paludi di Lerna che rappresentavano il limitare del regno della morte. Il suo alito uccideva gli uomini ed essa devastava il paese facendo razzia del bestiame. Aveva cento teste, una delle qualiera immortale: fino a che quella testa non fosse stata tagliata, le altre, pur mozzate, sarebbero ricresciute immediatamente.
Tuttavia Eracle, in una delle sue dodici fatiche, riuscì ad uccidere l'Idra. Egli affrontò il mostro, assieme al nipote Iolao, presso la sorgente Amimone. Con frecce infuocate obbligò l'Idra ad uscire dalla sua tana sotterranea e la decapitò più volte con una spada ricurva (un'arma rituale molto antica utilizzata anche da Perseo per uccidere la Medusa). Intanto un gigantesco granchio tentava di ferire l'eroe, che però riuscì ad ucciderlo. Con l'aiuto di Iolao, che bruciava con un tizzone le ferite dell'Idra, impedendo alle teste di ricrescere, Eracle riuscì a tagliare la testa immortale del mostro e la seppellì sulla strada di Eleunte dopo aver intinto le proprie frecce nel veleno che ne sgorgava. Il granchi mostruoso fu assunto in cielo e divenne il Cancro dello Zodiaco
Lamia
Con tale nome i Greci chiamavano certe creature, di orribile aspetto, una sorta di orchesse o di streghe, che vivevano nei boschi e nei crepacci, da cui uscivano di notte a succhiare il sangue e a divorare il cuore degli sprovveduti che erano in giro a quell'ora, in special modo i bambini.Secondo una leggenda attribuita a Duride di Samo e poi narrata da Diodoro, una fanciulla libica che si chiamava appunto Lamia, resa madre da Zeus e impazzita per vendetta di Era gelosa, uccise i propri figli, e da allora, per invidia verso le madri più fortunate, andò errando nel mondo per uccidere i bambini.
Medusa
Delle tre gorgoni, Medusa era l'unica mortale. Il suo nome che significa "la sovrana" coincideva con un appellativo di Poseidone e una tradizione mitica ricordava che essa era stata rapita appunto dal dio del mare tra i fiori di primavera. Una misteriosa duplicità caratterizzava la Medusa: di lei si diceva che avesse un bel volto, e al tempo stesso che somigliasse alle Erinni, che avevano un aspetto orrendo. Si diceva inoltre che la sua vista tramutasse in pietra ogni mortale. Fu uccisa da Perseo, che la decapitò con l'aiuto di Ermes e di Atena. Dal collo reciso di Medusa balzarono fuori il cavallo alato Pegaso e l'eroe Crisaroe (colui che ha la spada d'oro). Il capo di Medusa, consacrato ad Atena da Perseo, fu portato dalla dea come ornamento della corazza e dello scudo; altre versioni affermavano, però, che esso fosse conservato da Persefone negli Inferi e che la regina dell'aldilà lo inviasse incontro a chi tentava di penetrare fino a lei.
Nella genesi della maschera della Medusa intervennero sia elementi di tradizioni preistoriche (il leone e il serpente), sia presumibili apporti orientali (il demone assiro Hubaba) ed egizi (il dio Bes).
Leone di Nemea
Mostro della mitologia greca. Figlio di Echidna, che l'aveva generato con il proprio figlio, il cane Orto. Abitava la regione di Nemea e fu ucciso da Eracle in una delle sue dodici fatiche. Un'altra tradizione affermava che il leone era vissuto originariamente presso Selene, la quale se ne era liberata facendolo cadere sul monte Apesas, presso Nemea. Il leone non poteva essere ferito da alcuna arma.
Orto
Nella mitologia greca, creatura mostruosa, figlio di Echidna e di Tifone. Era un cane a due teste che, assieme al pastore Euritione, custodiva i buoi di Gerione nell'isola di Eritea. Venne ucciso da Eracle. Dall'unione con la madre generò il Leone di Nemea e la Sfinge.
Pitone
Nella mitologia greca drago mostruoso, nato dalla dea Ge (la Terra), che abitava a Delfi e fu ucciso con le frecce da Apollo quando il dio si impossessò di quel santuario. Il suo nome era ricollegato dagli antichi al verbo puqein (pythein), cadere in putrefazione, giacchè si diceva che il corpo del serpente era stato decomposto dalla forza sacra del Sole, e perciò il luogo delfico aveva assunto il nome di Pito (da cui l'appellativo di Apollo Pizio, e il nome della sacerdotessa oracolare, Pizia).Nel mito dell'uccisione di P. alcuni studiosi hanno visto il riflesso dell'affermarsi di Apollo sugli originari culti ctonici di Delfi
Satiri
Esseri mitologici della Grecia, la cui patria era il Peloponneso o l'Arcadia, antico centro culto di Pan, il dio caprino. I Satiri avevano orecchie, corna, coda e piedi caprini. Trascorrevano una vita spensierata fra i monti e le foreste, fra canti, suoni e giochi. La loro unione con Dioniso si ebbe nel VI secolo a.C. ad Atene e contemporaneamente la loro rappresentazione perde il tipo selvaggio ed animalesco.
Alcuni studiosi hanno sostenuto che la tradizionale iconografia animalesca dei Satiri rispecchi i travestimenti con pelli di capre previsti per i danzatori in alcune feste dionisiache. Il loro nome significa probabilmente "i pieni", con riferimento al loro stato di continua eccitazione erotica.
Scilla
Mostro marino della mitologia greca. Figlio di Forco o di Tritone ed Ecate, o di Lamia, o di Cratais. Mostruosa e minacciosa, aveva 12 piedi o tentacoli e 6 teste, ciascuna con tre fila di denti; abitava presso lo stretto di Messina, sulla costa calabra, di fronte allo scoglio di Cariddi e cercava di ingoiare i naviganti. Ulisse riuscì ad evitarla, ma non potè impedirle di divorare sei dei suoi compagni. Si narrava che Scilla avesse rubato i tori di Eracle e fosse stata poi uccisa dall'eroe. Forco le aveva ridato la vita, bruciandone e bollendone il corpo, e dopo la sua rinascita Scilla non temeva più neppure la regina degli Inferi. Versioni tardive affermavano che Scilla, un tempo bellissima, era stata trasformata in mostro a causa della gelosia di Anfritrite o di Circe, che Glauco aveva rifiutato per amore di lei.
Le raffigurazioni più diffuse di Scilla la mostrano con torso di donna che alla vita diveniva corpo di cane con due teste e finiva in coda di pesce o serpente marino. Era chiamato anche Tyrsene (l'etrusca).
Sileni
Esseri animaleschi e silvestri della mitologia greca, ostili all'agricoltura e devastatori di campi coltivati. Possedevano una scienza segreta e misteriosa e sapevano cantare in modo meraviglioso. A volte un sileno veniva catturato ubriaco e legato con catene di fiori, egli consentiva allora a rivelare il futuro e i segreti della creazione, cantando i suoi sacri canti. Tra i Sileni ce ne era uno vecchio, precettore di Dioniso che diede a Mida il dono delle sentenze.Nell'ambito dionisiaco il Sileno fu solitamente raffigurato come un vecchio obeso, androgino, dal capo tondo e calvo, il naso camuso, gli occhi rotondi e sporgenti, sopracciglia, barba e baffi accentuati. Egli compariva su di un asino oppure a piedi, barcollante per l'ebbrezza e sostenuto da satiri, spesso avvolto in una lunga veste simile a quella di Dioniso.
Sirene
1)Nella mitologia greca esse erano figlie di Acheloo, nate dalle gocce di sangue cadute dalle sue ferite quando Eracle gli spezzò un corno, o a lui partorite da Sterope. Esse venivano raffigurate con testa femminile su di un corpo di uccello dai pronunciati attribbuti femminili (i seni) e dai grandi artigli. A volte la parte inferiore del corpo aveva forma di uovo. Attributo tipico delle S. erano gli strumenti musicali: in particolare la lira ed il doppio flauto.
La più celebre narrazione mitica in cui compaiono le S. è quella contenuta nell'Odissea: nel suo viaggio sul mare verso l'Alidilà, Ulisse è assediato dalle S. che cercano di affascinarlo con il loro canto e dichiarano di conoscere tutto ciò che accade in ogni luogo della terra. Per non cedere alle S., contro le quali era stato posto in guardia dalla maga Circe, Ulisse si fa legare all'albero della nave dai compagni, ai quali ha turato le orecchie con la cera. La moinaccia insita nel fascino delle S. corrispondeva alla loro natura infera. Si narrava infatti che esse erano figlie di Ctonia, e cioè delle profondità della terra, ed erano inviate da Persefone. Loro compito era affascinare chi giungeva nell'Aldilà, rendendo più dolce la morte (e l'iconografia classica conserva immagini di S. maschili, barbate, destinate ad allietare le donne sulle soglie degli inferi). Zeus aveva assegnato alle S. l'isola Anthemoessa (la fiorita), la cui immagine coincide con il loro aspetto erotico; ma il prato fiorito su cui stavano le S. appariva ai naviganti pieno di cadaveri umani.
L' immagine delle S. con il corpo di uccello sopravvisse nell'arte paleocristiana (vedi Ulisse e le S. nel cimitero di S. Callisto a Roma).
A partire dal XII secolo, però, il nome di S. iniziò a designare soprattutto una figura di donna con la parte inferiore del corpo a forma di pesce. Questo particolare tipo di S. è documentata letterariamente per la prima volta nel trattato De monstris, del VI secolo.
2)Nel folklore irlandese invece fanno parte della schiera dei folletti socievoli. Così le descrive W.B. Yeats in un suo studio: "Si dice che questi folletti d'acqua siano comuni. Una volta ho chiesto a una contadina se i pescatori del suo villaggio ne avessero mai vista una. "Di certo non fa loro per nulla piacere vederle", mi ha risposto., "perchè portano sempre il brutto tempo." Alle volte le Sirene escono dal mare con le sembianze di piccole mucche senza corna. Quando assumono le nostre sembianze hanno coda di pesce e portano un berretto rosso chiamato in irlandese cohuleen driuth. I maschi della specie hanno, secondo Croker, i denti verdi, i capelli verdi, gli occhi porcini e il naso rosso; ma le loro donne sono belle, e alle volte preferiscono qualche bel marinaio ai loro innamorati dai capelli verdi..."
Stinfalidi
Nella mitologia greca uccelli mostruosi ed inferi che poplavano il lago paludoso di Stinfalo. Si narrava che quegli uccelli, tanto numerosi da oscurare il Sole, si nutrissero di carne umana Essi avevano artigli affilati come rasoi ed un becco così forte che poteva tranquillamente trapassare l'armatura di un soldato. Le armi più terribili di questi uccelli erano tuttavia le piume delle ali che venivano scagliate come frecce contro la preda.
Una delle 12 fatiche di Eracle consistette per l'appunto nel cacciar via gli Stinfalidi. Eracle salì su di un'altura e li atterrì con il magico suono delle nacchere bronzee fabbricate da Efesto, che Atena gli aveva donato. Egli poi ne uccise molti con la fionda, con la clava e con l'arco. Gli uccelli sopravvissuti fuggirono nell'isola del mar Nero sacra ad Ares, e furono poi incontrati dagli Argonauti.
Come tutte le fatiche di Eracle anche questa simboleggia una vittoria sulla morte e sui suoi emblemi. Singolarmente E. per la prima volta vince con la magia anzichè con la sua proverbiale forza.
Tritone
Divinità marina, figlio di Poseidone e di Anfitrite. Esiodo (vv. 930 e segg.) afferma che T. "il grandemente potente", vive nella reggia sottomarina del padre ed è un dio terribile. La tradizione più antica gli attribuiva una figura ibrida, con la parte superiore umana e quella inferiore di pesce. Sposò Ecate. Si narrava che l'argomento Eufemo, eroe di Tera (Libia) e fondatore della dinastia Battiade di Cirene, avesse ricevuto in dono da Tritone una zolla di terra in Libia; egli poi gettò la zolla nel mare, e così nacque l'isola Calliste, detta in seguito Tera.
Unicorno
Unicorno
Il mito e la storia dell'unicorno costituiscono un capitolo molto ricco nella storia dei mostri. Questa figura di quadrupede con una sola escrescenza al centro della fronte si ritrova in moltissime culture con numerose varianti: a volte sembra trattarsi di un capretto, altre volte di un cervo, per gli arabi era una lepre, successivamente, in Occidente, si consolida la raffigurazione del cavallo. L'elemento comune a tutte le mitologie di questo mostro, risiede nell'unicità del corno e nella sua preziosità. Esso possiede infatti degli stupefacenti poteri terapeutici ed è in grado di guarire l'epilessia, le convulsioni e di neutralizzare ogni veleno.
Nella tradizione greca, ce ne parlano Ctesia e Megastene, si tratta di un animale selvaggio che vive in India.
Durante il cristianesimo il mito si trasforma e assume dei significati allegorici e simbolici molto forti. Le virtù terapeutiche scompaiono e compare il mito della vergine secondo il quale l'unicorno, animale ferocissimo e indomabile, si ammansisce soltanto al cospetto di una vergine, dalla quale si lascia allattare e segue sino al palazzo del re. Se la donna non è vergine, tuttavia, scoperto l'inganno si infuria e la uccide.
Nel 1500, con la nascita della zoologia scientifica l'unicorno riappare con le caratteristiche della cultura greca, come un animale che esiste realmente nelle terre orientali. In questo periodo, in Europa compare anche il suo corno, venduto a caro prezzo come merce preziosa. In realtà si tratta del dente del narvalo.
Anche se le spiegazioni razionali risultano sempre inadeguate per una figura mitica che compare in tante e differenti civiltà, è molto probabile che l'unicorno di Ctesia e di Megastene sia nato dalla confusione col rinoceronte. In effetti le leggende locali sul potere terapeutico del rinoceronte coincidono con quelle attribuite all'unicorno. Va tenuto presente che questo animale sconosciuto, in Occidente, veniva descritto come una sorta di grande quadrupede con un corno al centro della fronte che, nell'immaginario degli illustratori dovette diventare una sorta di cavallo. Successivamente, anche quando il rinoceronte venne riconosciuto e classificato, la leggenda dell'unicorno, immortalata nell'iconografia favolosa continuò a vivere autonomamente.
Va detto, a proposito del rinoceronte, che il primo esemplare introdotto in Europa, esposto a Parigi a metà del 1700, rimase in esposizione per oltre un anno tra frotte di persone che ogni giorno andavano ad ammirarlo.
Tra le varianti orientali di questo mostro si possono segnalare l'abath, mito malese; l'al-mi'radj, l'unicorno islamico, descritto come una lepre gialla; il bulan, presso i popoli altaici descritto in modo simile al rinoceronte; il camphur indonesiano; il kilin, in Cina, spesso indicato con il corpo di antilope o di cervo; il kirin, in Giappone, molto simile a quello cinese.
Arpie
Un'arpia con caratteristiche di divinità infernale
La parola arpia deriva dal greco arpazo, ovvero "rapisco".
Figlie di Echidna e Tifeo, erano tre sorelle: Aello, Ocipete e Celeno (quest'ultima, secondo Omero si sarebbe chiamata Podarge). Figure mostruose della mitologia greca, le arpie impersonavano i venti marini tempestosi, ed era proprio durante le burrasche che, sotto forma di venti, entravano in azione rapendo i naufraghi.
Successivamente acquistarono carattere di divinità infernali, che rapivano le anime dei morenti e le trasportavano nell'aria. Successivamente hanno acquisito consistenza corporea e sono state raffigurate come uccelli col volto di donna.
Nell'Odissea incontriamo le arpie nella loro accezione arcaica di venti forieri di tempeste marine, di rapitrici che "...travolgono (...) senza gloria" le navi:
" ...ecco che le fanciulle le Arpie rapirono in aria,
e in balia delle Erinni odiose le diedero." (Odissea, XX, 77-78)
Contro le Arpie hanno lottato gli Argonauti, i primi marinai mitici. Sconfitte da due di loro - Zeto e Calai, figli del vento di Borea - si rifugiarono nelle Strofadi dove le incontra Enea, approdato su queste isole dopo tre giorni di naufragio:
"(...) Strofadi grecamente nominate
Son certe isole in mezzo al grande Jonio,
Da la fera Celeno e da quell'altre
Rapaci e lorde sue compagne arpie
Fin d'allora abitate..." (Eneide, III, 354-358)
E Virgilio continua:
"(...) Altro di queste
Più sozzo mostro, altra più dira peste
Da le tartaree grotte unqua non venne.
Sembran vergini a' volti, uccegli e cagne
A l'altre membra; hanno di ventre un fedo
Profluvio, ond'è la piuma intrisa ed irta,
Le man d'artigli armate, il collo smunto,
La faccia per la fame e per la rabbia
Pallida sempre, e raggrinzita e magra..." (Eneide, III, 361-368)
L'Ariosto ne fa una descrizione molto simile, però, per lui, le arpie erano sette (invece di tre) e simboleggiavano le sette pestilenze per i sette peccati mortali:
"...Erano sette in una schera, e tutte
Volto di donne avean pallide e smorte,
Per lunga fame attenuate e asciutte
Orribili a veder più che la morte:
L'alaccie grandi avean deformi e brutte,
le man rapaci, e l'ugne incurve e torte;
Grande e fetido il ventre, e lunga coda
Come di serpe che s'aggira e snoda..." (Orlando Furioso, XXXIII, 120)
La visione di Dante delle arpie è tutta ispirata all'Eneide. Esse vivono e nidificano, infatti, nella selva dei suicidi, che avendo fatto violenza su se stessi in modo innaturale "sradicandosi" dalla vita, nell'inferno dantesco, sono condannati a sopportare la condizione innaturale di uomini-albero. Condizione, questa, che Virgilio aveva invece riservato a Polidoro, per non aver ricevuto degna sepoltura dopo essere stato ucciso.
Anche la descrizione è molto simile a quella dell'Eneide:
"...Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto l'gran ventre;
fanno lamenti in su li alberi strani..." (If. XIII, 13-15)
Scilla e Cariddi
Scilla e Cariddi i mostri marini della mitologia greca
Nella mitologia greca Scilla e Cariddi sono due mostri marini che abitavano due caverne ai lati dello stretto di Messina, rispettivamente verso la Calabria e verso la Sicilia. Erano la personificazione dei terrificanti vortici marini che in quel tratto, scoglioso, dovevano a quei tempi costituire un serio pericolo per la navigazione.
Così i mostri facevano naufragare le imbarcazioni e divoravano i marinai. Secondo il mito Scilla era un tempo una ninfa stupenda di cui si era innamorato Glauco. Questi chiese a Circe di dare alla ninfa un filtro d'amore, ma la maga le fece invece bere una pozione che la trasformò in terribile mostro.
Cariddi era invece la personificazione dei vortici del mare.
(AZ)
Letture: dall'Odissea,
libro XII, trad. di Rosa Calzecchi Onesti
85 Là dentro Scilla vive, orrendamente latrando:
la voce è come quella di cagna neonata,
ma essa è mostro pauroso, nessuno
potrebbe aver gioia a vederla, nemmeno un dio, se l'incontra.
I piedi son dodici, tutti invisibili:
90 e sei colli ha, lunghissimi: e su ciascuno una testa
da fare spavento; in bocca su tre file i denti,
fitti e serrati, pieni di nera morte.
Per metà nella grotta profonda è nascosta,
ma spinge le teste fuori dal baratro orribile,
95 e lì pesca, e lo scoglio intorno intorno frugando
delfini e cani di mare e a volte anche mostri più grandi
afferra, di quelli che a mille nutre l'urlante Anfitrìte.
(...)
L'altro scoglio, più basso tu lo vedrai, Odisseo,
vicini uno all'altro, dall'uno potresti colpir l'altro di freccia.
Su questo c'è un fico grande, ricco di foglie:
e sotto Cariddi gloriosa l'acqua livida assorbe.
105 Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe
paurosamente. Ah che tu non sia là quando assorbe!
Centauri
Lotta tra centauri e fiere
Nella mitologia greca i centauri erano figli di Issione e e Nefele. Questi mostri avevano corpo di cavallo su cui si innestava il tronco, le braccia e il capo umani. Erano descritti come creature piuttosto selvagge e violente, che vivevano in uno stato primitivo sui monti e nelle foreste mangiando carne cruda.
Secondo il mito si scontrarono contro i Lapiti, una popolazione della Tessaglia, con la quale erano venuti in contrasto durante le nozze di Pirotoo e Ippodamia. Furono poi protagonisti della Centauromachia, cioè della lotta contro Eracle, durante la quale l'eroe greco perse la vita.
(MdR)
Letture: dalla Divina commedia di Dante, If, XII:
e tra 'l piè de la ripa ed essa, in traccia
corrien centauri, armati di saette,
57 come solien nel mondo andare a caccia.
Veggendoci calar, ciascun ristette,
e de la schiera tre si dipartiro
60 con archi e asticciuole prima elette;
e l'un gridò da lungi: "A qual martiro
venite voi che scendete la costa?
63 Ditel costinci; se non, l'arco tiro".
Lo mio maestro disse: "La risposta
farem noi a Chirón costà di presso:
66 mal fu la voglia tua sempre sì tosta".
Poi mi tentò, e disse: "Quelli è Nesso,
che morì per la bella Deianira,
69 e fé di sé la vendetta elli stesso.
E quel di mezzo, ch'al petto si mira,
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;
72 quell'altro è Folo, che fu sì pien d'ira.
Dintorno al fosso vanno a mille a mille
saettando qual anima si svelle
75 del sangue più che sua colpa sortille".
Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:
Chirón prese uno strale, e con la cocca
78 fece la barba in dietro a le mascelle.
Cerbero
Cerbero è il cane a guardia del regno dei morti
Cerbero, mostruoso cane della mitologia greca, è il guardiano dell'entrata dell'Ade, colui che impedisce l'uscita ai morti e l'ingresso ai vivi.
Per quanto riguarda l'iconografia, esistono diverse rappresentazioni del suo aspetto: le teste sono in numero variabile da una a cinquanta (fonti più tarde gliene attribuiscono addirittura cento), anche se nella maggior parte dei casi sono due o tre.
Inoltre, a volte, lo troviamo raffigurato con la coda serpentiforme o con serpentelli che gli fuoriescono dal capo o dai fianchi.
Figlio di Echidna e Tifeo, come il fratello Ortro, é stato protagonista di una delle più celebri fatiche di Ercole. L'eroe greco, obbligato a ubbidire a Euristeo, re di Tirinto da lui giudicato "uomo molto inferiore", discende nell'Erebo, prende per il collo la bestiaccia e la trascina fuori fino alla corte del sovrano.
Ercole stesso, una volta morto e disceso nell'Ade, racconterà questo episodio a Ulisse:
"...Ed ero figlio di Zeus Cronide, ma pianto
senza mai fine avevo: a un uomo molto inferiore
dovevo servire, e m'ordinava penose fatiche.
Un giorno quaggiù mi mandò, a prendergli il Cane: niente
pensava sarebbe mai stato più grave di questa fatica!
ma glielo portai, lo tirai fuori dell'Ade:
Ermete mi fu guida, e Atena occhio azzurro"...
(Odissea, XI, 621-627)
Anche Orfeo, disceso negli Inferi alla ricerca di Euridice, incontra Cerbero e riesce ad ammansirlo con il suo canto melodioso.
Enea, invece, lo addormenta con una focaccia soporifera gettata dalla Sibilla nelle fauci della belva.
"...Giunti che furo, il gran Cerbero udiro
Abbajar con tre gole, e 'l bujo regno
Intronar tutto; indi in un antro immenso
Sel vider pria giacer disteso avanti,
Poi sorger , digrignar, rabido farsi,
Con tre colli arruffarsi, e mille serpi
Squassarsi intorno. Allor la saggia maga,
Tratta di mèle e d'incantate biade
Una tal soporifera mistura,
La gittò dentro a le bramose canne.
Egli ingordo, famelico e rabbioso
Tre bocche aprendo, per tre gole al ventre
Trangigiando mandolla, e con sei lumi
Chiusi dal sonno, anzi col corpo tutto
Giacque ne l'antro abbandonato e vinto."
(Eneide, VI, 612-629)
Dante, che lo pone a guardia del cerchio dei golosi, ce lo descrive così:
"...Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e 'lventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra...
...Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo."
(If. VI, 13-24)
Chimera
Antico monile raffigurante la Chimera
La Chimera è un mostro della mitologia greca figlia di Echidna e di Tifeo, anche se secondo un altro mito sarebbe figlia di un legame incestuoso tra l'Echidna e il figlio Ortro.
Qualunque fossero le sue origini, comunque, rappresentava lo scatenarsi irresistibile delle tempeste.
Il suo corpo è composto da parti di capra, leone e serpente combinate fra loro in modo non sempre uguale. A volte è raffigurata con testa di leone e corpo di capra, con un serpente che funge da coda: in questo caso ha due teste. Altre volte ha un solo corpo (leone o capra) con tre teste affiancate di leone, capra e serpente fuoriuscenti da un unico collo. Si può trovare anche con le tre teste innestate su parti diverse di un corpo generalmente leonino.
Nel mito è stata uccisa da Bellerofonte che è riuscito a colpirla dall'alto cavalcando il destriero alato Pegaso.
"...Era il mostro di origine divina,
lïon la testa, il petto capra, e drago
la coda; e dalla bocca orrende vampe
vomitava di foco: e nondimeno,
col favor degli Dei, l'eroe la spense..."
(Iliade, VI, 222-226, trad. V. Monti)
Si dice che l'eroe avesse sciolto sulla punta di una freccia del piombo che sarebbe stato fuso dall'alito infuocato del mostro e in seguito si sarebbe solidificato nella sua gola, provocandone il soffocamento.
Raffigurazioni della Chimera, sola o in lotta con Bellerofonte, si trovano in rilievi, monete e pitture vascolari; la più famosa è la Chimera di Arezzo, un bronzo etrusco che è assurto a simbolo di questa misteriosa civiltà.
La Chimera si ritrova anche nell'Eneide fra i mostri incontrati da Enea nell'Antinferno:
"...La Chimera di tre, che con tre bocche
il foco avventa..."
(Eneide, VI, 424)
e scolpita sull'elmo di Turno:
"...Un elmo avea con tre cimieri in testa
E suvvi una Chimera, che con tante
Bocche foco anelava, quante a pena
Non apria Mongibello..."
(Eneide, VII, 1194-1196, trad. A. Caro)
Drago
Un drago da un bestiario di Aldrovandi
Il drago (o dragone) è una creatura immaginaria diffusa in moltissime mitologie e culture. La rappresentazione più diffusa in occidente, sviluppatasi soprattutto nell'iconografia medievale è quella del rettile coperto di scaglie, con lungo collo e lunga coda, ali di pipistrello e possenti fauci dalle quali la bestia è in grado di sputare getti di fuoco.
I draghi sono tuttavia mostri molto più antichi che si ritrovano anche presso gli Egizi, i Sumeri o gli antichi Greci: Eracle è l'uccisore di draghi come Ladon o l'Idra di Lerna.
Nel simbolismo cristiano queste figure sono spesso considerate come creature del diavolo, simbolo e incarnazione del male da vincere e da abbattere, come fa appunto San Giorgio.
Tra i leggendari uccisori di draghi si può poi ricordare anche il personaggio di Sigfrido, eroe dell'epopea germanica che dopo aver abbattuto il drago a guardia di un tesoro, si immerge nel suo sangue che lo rende invulnerabile, tranne in un punto della schiena che diverrà il suo "tallone d'Achille".
La figura del drago è di solito connessa al ruolo del divoratore - che spesso richiede sacrifici umani, soprattutto di giovani donzelle - e del guardiano o custode di qualche tesoro, ruolo questo, che si accentua soprattutto nell'epica cavalleresca. L'eroe che uccide il drago solitamente salva qualche donzella o qualche popolazione oppressa e si appropria del tesoro custodito.
Nella tradizione cinese, e in quella giapponese, il drago ha una rappresentazione un po' differente: il corpo è lungo e ricorda il serpente, ma possiede quattro zampe tozze, con artigli, una testa leonina con grandi zanne e talvolta dei vistosi baffoni. Spesso questi draghi vivono nelle acque e non sempre sono malefici, hanno talvolta funzione benefica, basti pensare che il drago è anche il simbolo dell'imperatore.
(AZ)
Echidna
L'Echidna era raffigurata come una donna serpente
Figlia di Ceto e Forco, l'Echidna è un mostruoso essere primordiale della mitologia greca.
Ha l'aspetto di donna ma con la parte inferiore del corpo serpentiforme.
Viveva fuori dal mondo, nella grotta Arima. Era moglie di Tifeo con il quale aveva generato una serie di esseri terribili: i cani Ortro e Cerbero, la Chimera, le Arpie, l'Idra di Lerna, la Sfinge, Ladon e il mitico e invulnerabile Leone di Nemea.
Nella mitologia l'Echidna, Tifeo e la loro progenie rappresentavano degli ostacoli all'instaurazione dell'ordine cosmico, la cui realizzazione comportava inevitabilmente la loro distruzione. Così, se dapprima è Zeus stesso a eliminare Tifeo a colpi di saette, successivamente saranno i vari eroi del mito greco a proseguire la sua opera: Ercole, nello svolgimento delle sue dodici fatiche cattura Cerbero e uccide Ortro, l'Idra e il Leone nemeo; Edipo, sciogliendo il famoso enigma, costringe la Sfinge a uccidersi; Bellerofonte, con l'aiuto del cavallo alato Pegaso, colpisce a morte la Chimera. Echidna, invece, cadrà per mano di Argo panoptes (tutt'occhi).
Erinni o Furie
Le Erinni, come le Arpie, erano mostruose figure femminili alate
Nella mitologia greca le Erinni o Furie sono le tre dee della vendetta Tisifone, Megera e Aletto. Avevano il compito di punire i delitti e le malefatte che non venivano scoperti dalla giustizia umana. Creature mostruose nate dal sangue di Urano, possedevano ali di pipistrello e serpenti al posto dei capelli. Abitavano nell'Ade dove, armate di flagello, amministravano la giustizia e le punizioni tra gli inferi. Talvolta, però abbandonavano il regno dell'oltretomba per perseguitare anche i viventi.
(AZ)
Letture: Dalla Divina Commedia di Dante, If, IX:
E altro disse, ma non l'ho a mente;
però che l'occhio m'avea tutto tratto
36 ver' l'alta torre a la cima rovente,
dove in un punto furon dritte ratto
tre furïe infernal di sangue tinte,
39 che membra feminine avieno e atto,
e con idre verdissime eran cinte;
serpentelli e ceraste avien per crine,
42 onde le fiere tempie erano avvinte.
E quei, che ben conobbe le meschine
de la regina de l'etterno pianto,
45 "Guarda", mi disse, "le feroci Erine.
Quest'è Megera dal sinistro canto;
quella che piange dal destro è Aletto;
48 Tesifón è nel mezzo"; e tacque a tanto.
Con l'unghie si fendea ciascuna il petto;
battiensi a palme e gridavan sì alto,
51 ch'i' mi strinsi al poeta per sospetto.
La Fenice
La Fenice
Con questo nome gli antichi greci indicavano il mitico uccello che nell'antico Egitto era consacrato al Sole col nome di Bennu. Citata anche da Erodoto, che ne mette in risalto il legame con l'Egitto, questo uccello era simile all'aquila, di piumaggio rosso e d'oro, e viveva in Arabia. La sua vita seguiva un ciclo di 500 anni, al termine del quale, l'uccello costruiva una pira dove bruciava. Dalle sue ceneri, tuttavia, nasceva una nuova fenice.
Se in antichità e in Egitto, il mito esprimeva il ciclo della nascita e della morte del Sole, in epoca cristiana e durante il medioevo la leggenda diviene il simbolo della morte e della resurrezione di Cristo.
(AZ)
Gorgoni e Medusa
Una raffigurazione di Medusa
Le Gorgoni, personaggi della mitologia greca, erano tre sorelle, Steno, Euriale e Medusa, figlie di Ceto e Forco. Di aspetto mostruoso, avevano ali d'oro, mani con artigli di bronzo, zanne di cinghiale e serpenti al posto dei capelli e la loro bruttezza era tale da impietrire chiunque le guardasse. La gorgone per eccellenza era Medusa, la più famosa delle tre e loro regina, che, per volere di Persefone, era la custode degli Inferi.
A differenza delle sorelle era mortale. Il mito narra che Perseo, avendo ricevuto l'ordine di consegnare la testa di Medusa a Polidette, signore dell'isola di Serife, si recò prima presso le Graie, sorelle delle Gorgoni, costringendole a indicargli la via per raggiungere le Ninfe. Da queste ricevette sandali alati, una bisaccia e un elmo che rendeva invisibili, doni ai quali si aggiunsero, uno specchio da parte di Atena e un falcetto da parte di Ermes.
Così armato, Perseo volò contro le Gorgoni e, mentre erano addormentate, guardandone l'immagine nello specchio divino di Ermes per evitare di rimanere pietrificato, tagliò la testa a Medusa e la chiuse subito nella bisaccia delle Ninfe. Dal tronco decapitato di Medusa uscirono, insieme ai fiotti di sangue, il cavallo alato Pegaso e Crisaore, padre di Gerione.
Perseo donò la testa della gorgone alla dea Atena, la quale la fissò al centro del proprio scudo per terrorizzare i nemici.
Grifone
Il Grifone: metà leone e metà aquila
Il grifone ha una diffusione iconografica molto vasta e antica. E' un incrocio tra due animali forti e nobili: il leone, re della terra, e l'aquila che domina gli animali dell'aria. E' rappresentato come un leone con le ali e la testa d'aquila, spesso con gli artigli da rapace. Si ritrovano simili raffigurazioni presso gli Egizi, con la variante dell'avvoltoio, e in Mesopotamia. Il motivo si ritrova poi in Grecia, nelle opere di Ctesia. Nei reperti della pittura vascolare troviamo spesso questi mostri raffigurati in lotta con i cavalli. E' per questo che Virgilio cita come un esempio di cosa assurda l'idea che un cavallo si potesse accoppiare con questo animale:
"Iungentur iam grypes equis": da oggi i grifoni si uniranno ai cavalli (Bucoliche, egloga VIII, 27).
(AZ)
Letture: dal Milione di Marco Polo
Alla fine del 1200, Marco Polo parla del grifone come di un terribile animale che vive nel Madascar:
"Madeghascar si è una isola verso mezzodì, di lungi da Socotra mille miglia, e questi sono saracini che adorano Malcometto (...).
Qui nascono più leofanti, che in parte che sia nel mondo; e ancora per tutto l'altro mondo non si vendono e non si comperano tanti denti di leonfanti, quanto si fa in questa isola e in quella di Zachibar (...).
Dicommi certi mercatanti, che vi sono iti, che v'ha uccelli grifoni, e questi uccelli apariscono certa parte dell'anno, ma non son così fatti, com'e' si dice di qua, cioè, mezzo uccello e mezzo lione, ma sono fatti come aguglie, e sono grandi com'io vi dirò. E' pigliano lo leonfante, e portanlo suso nell'àiere, e poscia li lasciano cadere, e quegli si disfà tutto, e poscia si pasce sopra a lui. Ancora dicono coloro, che gli hanno veduti, che l'alie loro sono sì grande che cuoprono venti passi, e le penne sono lunghe dodici passi, e sono grosse come si conviene a quella lunghezza".
(Marco Polo, da Le meraviglie del mondo, detto il Milione, 1298).
Minotauro
Antico monile raffigurante un Minotauro
Minosse, re di Creta, chiese a Poseidone di inviargli dal mare un magnifico toro per poterlo onorare con un sacrificio veramente degno. Tuttavia, al momento di predisporre la cerimonia, Minosse sostituì il toro mandato via mare da Poseidone con un altro, suscitando le ire della divinità. La vendetta fu terribile: il bovino divenne furioso, e Poseidone fece in modo che la moglie di Minosse, Pasifae, si innamorasse dell'animale restandone incinta. Da questa anomala passione nacque il mostruoso Minotauro, un uomo con testa di toro che si nutriva esclusivamente di carne umana. Fu rinchiuso a Cnosso, nel labirinto edificato da Dedalo. Quando Minosse conquistò Atene pretese che ogni nove anni la città fornisse quattordici giovani - sette maschi e sette femmine - per sfamare il Minotauro. Per liberare gli ateniesi da tale tributo, l'eroe ateniese Teseo giunse a Creta e con l'aiuto della figlia di Minosse Arianna, uccise il mostro. (Ovidio, Metamorfosi VIII. Apollodoro, Biblioteca, III, 1, 3-4).
Dante lo incontra nell'Inferno, prima di entrare nel girone dei violenti. Il mostro qui rappresenta la rabbia (si morde da solo) e la violenza che trasformano l'uomo in animale. Virgilio lo scaccia invocando la volontà divina.
(LB)
Letture: dall'Inferno di Dante XII, 11-27
e 'n su la punta de la rotta lacca
12 l'infamïa di Creti era distesa
che fu concetta ne la falsa vacca;
e quando vide noi, sé stesso morse,
15 sì come quei cui l'ira dentro fiacca.
Lo savio mio inver' lui gridò: "Forse
tu credi che qui sia 'l duca d'Atene,
18 che sù nel mondo la morte ti porse?
Pàrtiti, bestia, ché questi non vene
ammaestrato da la tua sorella,
21 ma vassi per veder le vostre pene".
Qual è quel toro che si slaccia in quella
c'ha ricevuto già 'l colpo mortale,
24 che gir non sa, ma qua e là saltella,
vid'io lo Minotauro far cotale;
e quello accorto gridò: "Corri al varco;
27 mentre ch'e' 'nfuria, è buon che tu ti cale".
Pegaso
Pegaso il cavallo alato della mitologia greca, simile all'ippogrifo nell'aspetto
Pegaso era il celebre cavallo alato della mitologia greca sgorgato dal tronco di Medusa decapitata da Perseo. Divenne così il cavallo di questo eroe che aiutò a liberare Andromeda da un mostro marino a cui era stata offerta in sacrificio.
Catturato da Bellerofonte mentre si dissetava alla fonte di Pirene, Pegaso fu determinante nell'impresa di Perseo contro la Chimera. Il mito narra che con un colpo di zoccolo percosse l'Elicona facendo scaturire la fonte di Ippocrene, sacra ad Apollo, alla quale si dissetavano poeti e cantori per ricevere l'ispirazione. Per questo motivo Pegaso veniva anche considerato il cavallo delle Muse. Alla fine delle sue vicende, Pegaso si trasformò nell'omonima costellazione.
Sfinge
Giza: la piramide e la Sfinge egizia
La Sfinge è un'entità rappresentata con corpo leonino e volto di donna.
Nell'antico Egitto era, in un primo tempo, la personificazione della forza e della potenza del faraone; col Nuovo Regno, invece, assunse il carattere di divinità solare.
Nella mitologia classica la Sfinge è un mostro figlio di Echidna e Tifeo, o, secondo altre fonti, di Echidna e Ortro.
L'aspetto è analogo a quello della sfinge egiziana, però, nel mito greco, è rappresentata, quasi sempre, con le ali.
Viveva sopra una rupe vicina a Tebe, da dove proponeva ai passanti un enigma che suonava più o meno così:
"Qual è quell'animale che al mattino cammina su quattro gambe, al pomeriggio su due e alla sera su tre?". La soluzione, oggi celeberrima, è l'uomo, naturalmente. Ma allora chiunque non fosse in grado di rispondere veniva ucciso dal mostro.
I Tebani promisero la signoria della loro città a chiunque fosse stato in grado di sciogliere l'enigma, poiché, secondo l'oracolo, solo allora la sfinge sarebbe precipitata dalla rupe e sarebbe morta. L'indovinello fu risolto da Edipo, che liberò Tebe dal flagello e divenne signore della città.
(MdR)
Sirene
Odisseo, legato, ascolta il canto delle sirene
Nella mitologia greca le sirene erano figure simili alle arpie: con le loro irresistibili melodie attiravano i marinai verso le loro isole rocciose e li facevano naufragare. Il curioso Odisseo, secondo Omero, al cospetto delle sirene, ordina ai suoi uomini di tapparsi le orecchie e si fa legare all'albero della sua nave per poter ascoltare il loro canto senza rischiare di esserne fatalmente attratto. Nelle storie degli Argonauti le sirene sono descritte come mostri con il capo di donna ma il corpo di uccello. Giasone e gli Argonauti vengono salvati grazie all'intervento di Orfeo, che con la sua musica riesce a vincere l'ammaliante melodia di questi mostri che, gelose, si gettano in mare e si trasformano in rocce.
Nel folklore europeo le sirene sono invece raffigurate come splendide creature metà pesce, dalla cinta in giù, e metà donna, dalla pancia in su. Nelle fiabe (da Anderson a Walt Disney) e nella tradizione cinematografica questi mostri si sono perciò caricati di significati positivi perdendo la loro originaria natura terribile. La sirena, nell'immaginario collettivo, diventa una creatura leggendaria di straordinaria bellezza, completamente priva dell'originario carattere predatorio.
(AZ)
Letture: dall'Odissea,
libro XII, trad. di Rosa Calzecchi Onesti
Alle Sirene prima verrai, che gli uomini
40 stregano tutti, chi le avvicina.
Chi ignaro approda e ascolta la voce
delle Sirene, mai più la sposa e i piccoli figli,
tornato a casa, festosi l'attorniano,
ma le Sirene col canto armonioso lo stregano,
45 sedute sul prato: pullula in giro la riva di scheletri
umani marcenti; sull'ossa le carni si disfano.
(...)
"Qui, presto, vieni, o glorioso Odisseo, grande vanto degli Achei,
185 ferma la nave, la nostra voce a sentire.
Nessuno mai si allontana di qui con la sua nave nera,
se prima non sente, suono di miele, dal labbro nostro la voce;
poi pieno di gioia riparte, e conoscendo più cose..."
(...)
Così dicevano alzando la voce bellissima, e allora il mio cuore
voleva sentire, e imponevo ai compagni di sciogliermi,
coi sopraccigli accennando; ma essi a corpo perduto remavano.
Unicorno
Unicorno
Il mito e la storia dell'unicorno costituiscono un capitolo molto ricco nella storia dei mostri. Questa figura di quadrupede con una sola escrescenza al centro della fronte si ritrova in moltissime culture con numerose varianti: a volte sembra trattarsi di un capretto, altre volte di un cervo, per gli arabi era una lepre, successivamente, in Occidente, si consolida la raffigurazione del cavallo. L'elemento comune a tutte le mitologie di questo mostro, risiede nell'unicità del corno e nella sua preziosità. Esso possiede infatti degli stupefacenti poteri terapeutici ed è in grado di guarire l'epilessia, le convulsioni e di neutralizzare ogni veleno.
Nella tradizione greca, ce ne parlano Ctesia e Megastene, si tratta di un animale selvaggio che vive in India.
Durante il cristianesimo il mito si trasforma e assume dei significati allegorici e simbolici molto forti. Le virtù terapeutiche scompaiono e compare il mito della vergine secondo il quale l'unicorno, animale ferocissimo e indomabile, si ammansisce soltanto al cospetto di una vergine, dalla quale si lascia allattare e segue sino al palazzo del re. Se la donna non è vergine, tuttavia, scoperto l'inganno si infuria e la uccide.
Nel 1500, con la nascita della zoologia scientifica l'unicorno riappare con le caratteristiche della cultura greca, come un animale che esiste realmente nelle terre orientali. In questo periodo, in Europa compare anche il suo corno, venduto a caro prezzo come merce preziosa. In realtà si tratta del dente del narvalo.
Anche se le spiegazioni razionali risultano sempre inadeguate per una figura mitica che compare in tante e differenti civiltà, è molto probabile che l'unicorno di Ctesia e di Megastene sia nato dalla confusione col rinoceronte. In effetti le leggende locali sul potere terapeutico del rinoceronte coincidono con quelle attribuite all'unicorno. Va tenuto presente che questo animale sconosciuto, in Occidente, veniva descritto come una sorta di grande quadrupede con un corno al centro della fronte che, nell'immaginario degli illustratori dovette diventare una sorta di cavallo. Successivamente, anche quando il rinoceronte venne riconosciuto e classificato, la leggenda dell'unicorno, immortalata nell'iconografia favolosa continuò a vivere autonomamente.
Va detto, a proposito del rinoceronte, che il primo esemplare introdotto in Europa, esposto a Parigi a metà del 1700, rimase in esposizione per oltre un anno tra frotte di persone che ogni giorno andavano ad ammirarlo.
Tra le varianti orientali di questo mostro si possono segnalare l'abath, mito malese; l'al-mi'radj, l'unicorno islamico, descritto come una lepre gialla; il bulan, presso i popoli altaici descritto in modo simile al rinoceronte; il camphur indonesiano; il kilin, in Cina, spesso indicato con il corpo di antilope o di cervo; il kirin, in Giappone, molto simile a quello cinese.
(AZ)
Lo Yeti
Fotomontaggio
Quando gli scalatori europei iniziarono a cimentarsi con le montagne del Nepal e del Bhutan, riportarono voci di avvistamenti di grossi animali bipedi incontrati durante le spedizioni.
Nel 1951 gli scalatori inglesi Eric Shipton e Micheal Ward si trovavano sul ghiacciaio Menlung, in Nepal, a quota 6.000 metri. Con grande stupore notarono sulla neve impronte fresche per più di un chilometro. Le impronte erano lunghe quasi 50 centimetri, larghe 30 e molto profonde, a confermare che l'animale che le aveva lasciate era gigantesco e pesante. Ma a parte le formidabili dimensioni erano del tutto simili a quelle umane, con cinque dita ben distinte. Di sicuro non poteva trattarsi di un orso. Le foto scattate da Shipton e Ward finirono sui quotidiani occidentali e da quel momento il pacifico Yeti divenne l'abominevole uomo delle nevi, il mostro dell'Himalaya.
Nel 1970 l'inglese Don Whillas durante un'escursione sui nevai dell'Annapurna scattò diverse fotografie di orme che non potevano appartenere ad alcun animale conosciuto nella zona. Whillas dichiarò di aver scorto quella stessa notte uno Yeti sulla cresta della montagna sovrastante il campo base.
Secondo gli scettici lo Yeti non sarebbe altro che l'orso rosso himalayano o la scimmia entello. Questi animali fanno parte della fauna tibetana e nepalese, ma difficilmente si potrebbero avventurare sui ghiacciai dell'Himalaya. L'entello, inoltre, non ha certo le dimensioni dello Yeti.
Confronti:
Vedi abominevoli uomini delle nevi
(LB)
Lo Yeti secondo Slavomir Rawicz
Nel 1952 il polacco Slavomir Rawicz pubblicò La lunga marcia, libro in cui racconta la sua fuga da un campo di concentramento in Siberia durante la seconda guerra mondiale. Rawicz, in compagnia di altri sei evasi, avrebbe tagliato il confine sovietico, attraversato tutto il deserto dei Gobi (cosa in realtà poco plausibile per un gruppo di evasi mal equipaggiati), varcato l'Himalaya e raggiunto l'India, che rappresentava la libertà. Durante questa incredibile avventura ebbe modo di incontrare una coppia di Yeti. I fuggiaschi si trovavano in un punto imprecisato fra i ghiacci del Sikkim quando si imbatterono in due altissimi bipedi coperti di pelo. Lo Yeti di Rawicz è straordinariamente robusto, ha braccia lunghe fino alle ginocchia e un enorme torace.
Lo Yeti secondo Edmund Hillary
Due testimoni famosi dello Yeti sono il neozelandese Edmund Hillary e il nepalese Tenzing Norgay, che per primi conquistarono l'Everest, nel 1953. Proprio durante questa storica impresa scoprirono nella neve impronte smisurate. In seguito Hillary divenne un convinto assertore dell'esistenza del misterioso mammifero e capeggiò varie spedizioni per rintracciare l'uomo delle nevi. Nel 1961 lo scalatore tornò dal monastero Khumjung esibendo lo scalpo di uno Yeti.
Lo Yeti italiano
Anche l'Italia forse ha il suo "Yeti". O almeno lo ha avuto per un certo periodo: alla fine della primavera del 1986 in alcune contrade dell'irpina Val di Lauro apparve una sorta di uomo peloso con lunghe orecchie a punta, alto circa tre metri. Fra le ipotesi formulate dai commissariati locali, la più verosimile era quella di un grande orso fuggito da un circo o dal vicino Parco Nazionale d'Abruzzo, ma gli accertamenti diedero esiti negativi. Alcuni agenti di polizia riferirono di impronte gigantesche paragonabili a quelle di un elefante e, per almeno due settimane, il mostro seminò il terrore tra i contadini, costretti a circolare armati di forconi o fucili. Il 3 giugno uscì la notizia più strabiliante: nella notte due insegnanti delle scuole medie locali avevano visto una coppia di uomini-orso salire su una sorta di disco volante e decollare a velocità supersonica. Erano extraterrestri? La testimonianza era davvero bizzarra, ma è curioso notare che quello fu uno degli ultimi avvistamenti. Proprio alla vigilia dell'estate, stagione di psicosi e mostri in prima pagina, lo scoop sullo Yeti irpino se ne volava via su un'astronave.
Draghi

Il drago, nelle leggende mitologiche, viene raffigurato come un enorme rettile alato capace di sputare fuoco. Poteva rendersi visibile o invisibile a suo piacimento e possedeva la facoltà di Salire in cielo o scendere verso gli abissi più profondi con grande facilità. Nelle leggende orientali, la figura del drago, rappresentava la siccità, di conseguenza, lo si pregava per ottenere la pioggia. Dal punto di vista degli antichi, invece, il drago aveva il potere di trasformarsi in diversi generi di creature, capaci di richiamare il vento e la pioggia e di controllare le forze della natura. Era ritenuto, dai cavalieri di Camelot, l' animale che più li aiutava nelle loro battaglie, trasportandoli attraverso il cielo.
Lady Avadir, Maga Guerriera e Signora di Avalon
Saranno i loro sogni a sopravvivere, perchè un sogno è immortale... come lo sono io... e anche se il mondo dovesse cambiare completamente, poiche' i suoi eventi si riflettono qui, ci saranno sempre posti in cui un po' della luce del mondo ultraterreno risplendera' nel mondo degli uomini. E quella luce non andra' perduta per la razza umana finche' gli uomini continueranno a cercare consolazione in questa terra sacra chiamata Avalon....
Ritengo doveroso spiegare meglio la mia natura per farvi comprendere chi io sia.
I draghi sono tra gli esseri più antichi al mondo e ne esistono vari tipi suddivisi a seconda della pelle e delle proprie capacità.
Il più comune è senza dubbio il drago verde, che è anche la specie più piccola, la più potente invece è la razza del drago nero (alla quale appartengo), che è per natura capace di generare formule complicate sin dalla nascita senza particolari riti. Si potrebbe dire che una semplice palla di fuoco per noi sia più difficile di una bomba di fuoco.
I draghi sono esseri intelligenti come gli uomini, sono sempre stati lontani da loro ma purtroppo non tutti draghi lo fecero mettendoci alla scoperto e cosi divenimmo bersagli degli uomini che nonostante la forza inferiore sono riusciti, grazie a intelligenti piani e potenti maghi, ad estinguere una gran parte (ma si dice chi sia opera di altri demoni sparsi nel mondo anche).
Il drago nero avrebbe rappresentato la salvezza dei draghi e cosi un antico drago nero di nome Ghogran fece in modo che tutti i draghi fossero dotati di capacità di assumere aspetto umano sin dalla nascita, la formula si propagava anche per eredità genetica a tutte le speci.
Gli uomini cosi ebbero molti svantaggi con i draghi sotto false spoglie che venivano individuati solo da grandi maghi ed attenti osservatori.
Quando i draghi neri invasero il territorio umano fecero fuori metà della popolazione mondiale... in quei anni un mago noto di nome Merlino creò una formula davvero straordinaria: l'arginamento.
In pratica un barriera invisibile impediva ai draghi neri (era già pesante farla su tutti) di oltrepassare un limite, cosi i draghi neri furono imprigionati e naturalmente gli umani stettero lontani per ordine di questo mago. Nonostante tutto i draghi in vita erano ormai pochi e i draghi neri non sono mai stati molti e in quel momento più che mai.
Da quando sono nata ho visto la morte dei miei parenti, solo mia madre rimase in vita abbastanza da insegnarmi qualcosa per permettermi di andare avanti.
Ho sempre dato il meglio di me stessa nei miei addestramenti, sempre da sola, nel nostro rifugio. Ho studiato molti libri e trovai il modo di offuscare anche il mio spirito di drago come umano per ingannare la barriera dopo tanto tempo...e sempre come umano ho letto molti libri anche degli umani.
Dopo la mia fine di allenamento passai alla pratica: la vendetta.
Uccidevo persone ogni giorno...in piccoli villaggi...viandanti in zone deserte...donne e bambini....qualsiasi umano apparisse ai miei occhi... e la colpa ricadeva sempre sui ladri dei boschi.
Quando tornai nella mia terra incontrai un ragazzo...non umano neanche lui...e pensai di addestrarlo perché mi aiutasse nella vendetta.
Il ragazzo mi ubbidiva come un devoto allievo e attraverso lui vedevo me stessa ma poi per fortuna quel ragazzo particolare fece vedere a me le cose nel modo giusto.
L'ho fatto soffrire e lui in cambio mi ha donato una nuova vita...
Se sono a Camelot è perché so che qui si trovano umani che capiscono i loro errori e cercano di migliorare il mondo e penso che cosi debba essere...
Questo è pressoché la mia storia...per motivi personali non posso rivelare l'identità del ragazzo....
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